Note d’autore: Hola! Dunque, l’idea è nata durante l’ora di Storia e non volendosene andare dalla mia testa ho deciso di metterla per iscritto perciò qualunque lamentela rivolgetela pure al mio prof, ok? E’ colpa sua, io non ho avuto altra scelta che seguire le imposizioni di Miss Ispirazione u.u *si rende conto che sta dicendo cose senza senso* uhm, bene, ora vado e vi lascio a questa… cosa che pare non avere né capo né coda né motivo d’essere. Buona lettura! ^^
P.s.: Non ho messo l'avviso
OOC perchè ho cercato con tutta me stessa di mantenere il carattere di
Sasuke il più fedele possibile all'originale ma qualora non doveste
essere d'accordo o pensiate che sia andata OOC ditemelo pure, così
aggiungo l'avviso.
-Neve bianca,
rosso
sangue-
La neve scendeva in candidi
fiocchi gelati che lenti si posavano al suolo coprendo ogni cosa.
Nel bianco accecante, macchie
scure e dai contorni indefiniti attiravano lo sguardo e disturbavano la
vista
come tumori maligni su quell’immacolata distesa. Sapeva da cosa fossero
causate
eppure, con un brivido di terrore a corrergli sotto pelle e ad
attraversargli
la spina dorsale, sentì i propri piedi muoversi autonomamente
portandolo vicino
ad uno di essi. Sentì i brividi aumentare con la consapevolezza di ciò
che
aveva davanti e il disgusto prendere possesso del suo stomaco
torcendolo in una
morsa d’acciaio. Un sottile velo di sudore freddo gli ricopriva la
pelle e le
palpebre sembravano essersi congelate a causa della neve e del terrore
impedendogli di fuggire da quell’orrore anche solo per un battito di
ciglia.
Corpi.
Masse indistinte di corpi
giacevano tra la neve creando un netto contrasto tra gli abiti scuri
che li
rivestivano e i fiocchi candidi. Ai suoi piedi quelle persone
riposavano in un
sonno eterno, immobili, fredde di un rigor mortis prolungato dalla
bassa
temperatura, i volti contratti in espressioni di dolore che non
avrebbero
interessato le loro anime; gli occhi aperti e vitrei che imploravano
una pietà
che non era stata loro concessa.
Non potendo più sopportare quella
vista si costrinse a chiudere gli occhi e portò una mano a coprirsi il
volto.
Fu un attimo.
Qualcosa di viscoso gli bagnò le
palpebre scendendo poi sulle guance, gli occhi si spalancarono e la
vista gli
si tinse di rosso: denso, caldo sangue cremisi grondava dalle sue mani,
ricoprendogli le dita e nascondendo il colorito naturalmente pallido
della sua
carnagione.
Una scossa lo attraversò,
partendo dai piedi e arrivando alla nuca, quasi rimbombandogli nella
cassa
toracica e causandogli un senso di vertigine che gli mozzò il respiro
facendo
socchiudere le sue labbra in un grido muto.
Sasuke
si rizzò a sedere tra le pesanti coperte di lana di quella scomoda
branda. Gli
occhi sbarrati, la fronte madida di sudore e le membra tremanti erano
indice di
un sottile terrore che gli correva sotto pelle.
Si
passò una mano tra i ciuffi scuri e si coprì il volto tentando di
regolare il
respiro e di riprendere il controllo del suo stesso corpo. Tuttavia un
senso di
deja-vù lo colpì a quel gesto: aveva fatto un sogno, quella notte, che
lo aveva
profondamente scosso eppure non lo ricordava per niente, nulla gli era
rimasto
se non quel senso di “già vissuto” e l’angoscia che gli scorreva nelle
vene più
veloce del sangue.
Dopo
un paio di profondi respiri, sebbene un lieve senso d’inquietudine
restasse a
far da eco ai battiti del suo cuore, riuscì a riacquistare il controllo
su sé
stesso. Con rinnovata lucidità e usuale freddezza, indossò l’uniforme
e,
assicurato il fucile sulla schiena, uscì da quello che da un anno era
il suo
alloggio.
Il
sole non era ancora sorto e il cielo era ancora immerso nel buio della
notte,
dai dormitori degli ufficiali e dei soldati c’era il consueto via vai
del
cambio di guardia. Con passo rigido e sicuro si diresse verso il
refettorio
seguendo la solita routine, eppure quella sensazione strana allo
stomaco non lo
lasciò per tutto il tempo. Era irritante, soprattutto perché non
ricordava a
cosa fosse dovuta, perciò, ricevuti gli ordini per la giornata si
diresse al
blocco assegnatogli nel più completo mutismo.
Il
lieve strato di neve che ricopriva la strada scricchiolava sotto i suoi
passi
acquisendo la forma della suola e lasciando che le orme segnassero il
suo
cammino.
Così bianca…
Qualcosa
sembrava premere insistentemente contro la sua memoria, richiedendo la
sua
attenzione con la promessa allettante di chiarire i suoi dubbi, ma
ormai aveva
raggiunto la sua meta. Aprì con forza la pesante porta della baracca
che
fungeva da dormitorio e davanti a cui si trovava per poi mettere
sull’attenti i
prigionieri, facendoli uscire ordinatamente e conducendoli in fabbrica.
Il
primo periodo era stato il più fastidioso dal momento che c’era stato
qualcuno
convinto di poter scappare o ribellarsi… convinzione che poi gli era
inevitabilmente costata la vita. Dopo il primo mese, sedati dalla vista
di
amici e parenti uccisi senza esitazione e dalle rigide punizioni, gli
spiriti
ribelli dei prigionieri erano stati soffocati portandoli ad obbedire
senza
reazioni agli ordini dei soldati. La situazione si animava lievemente
solo
quando particolari convogli facevano arrivare nuovi prigionieri, ma i
disordini
non duravano mai più di una settimana.
Eppure…
c’era un prigioniero, un ragazzo che si trovava lì da circa sei mesi.
Quando
era arrivato aveva catturato l’attenzione di molti con
i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, il
cui colore era esaltato dalla carnagione brunita con cui facevano
contrasto. La
cosa più incredibile, tuttavia, era lo sguardo che aveva mostrato ogni
singolo
giorno in quei sei mesi: forza e orgoglio non lo avevano abbandonato
nemmeno
una volta e, sebbene avesse abbandonato i tentativi di fuga e di
ribellione,
non aveva perso lo spirito combattivo. Attorno a lui gli occhi delle
persone
diventavano vuoti, le coscienze si annullavano nel dolore e nella
rassegnazione
ma i suoi restavano vivi e fieri, arroganti quando incrociavano quelli
dei
soldati.
Sasuke,
a dirla tutta, lo trovava solo patetico. Sarebbe morto come gli altri,
o di
malattia o di fame o nelle docce, nel migliore dei casi per azione di
un
proiettile o durante uno degli esperimenti a cui era sottoposto… sì,
perché lui
era uno dei prigionieri speciali.
Le
sue caratteristiche fisiche lo avevano liberato dalla condanna ai
lavori
forzati solo per trasformarlo in una cavia da laboratorio. Quando lo
vedeva
rientrare nei dormitori, la sera, spesso notava il viso, segnato da
profonde
cicatrici sulle guance, deformato in smorfie di dolore che non
spegnevano,
però, la forza dei suoi occhi.
Poi
accadde l’inevitabile.
Una
notte, cercando di approfittare del cambio di guardia e dell’oscurità
che copriva
il campo, rifuggendo i riflettori delle sentinelle e i passaggi troppo
vicini
ai canili, il ragazzo biondo tentò nuovamente la fuga. Vi aveva
meditato
parecchio, osservando le guardie e analizzando le strade migliori da
prendere.
Avrebbe
potuto funzionare.
Ma dall’Inferno non si scappa…
Il
suo fisico, troppo provato dai numerosi prelievi e dalle innumerevoli
sostanze
che gli venivano iniettate ogni giorno durante gli esperimenti, non
riuscì a
sopportare lo sforzo di un’arrampicata lungo le alte mura perimetrali,
le sue
azioni erano rallentate dai farmaci sperimentali con cui bombardavano
il suo
organismo e questo causò la sua fine.
Quando
uno dei coni di luce lo abbagliò sentì un brivido corrergli lungo la
schiena
assieme ad un senso di sconfitta che lo annientò. Non sentì l’allarme,
le grida
che avevano aggredito con forza il suo udito o l’abbaiare diventato
incessante
dei cani, la presa delle sue mani perse forza senza che se ne rendesse
effettivamente conto. Cadde lungo il muro, finendo sul terriccio gelato
senza
riuscire a percepire più nulla sotto le dita.
Mentre
figure scure gli si accalcavano attorno solo due parole gli vorticavano
davanti
agli occhi, solo due parole gli invadevano la mente, solo due parole
gli
inondavano la lingua con il sapore amaro dell’insuccesso.
È finita.
Quando
era scattato l’allarme Sasuke, come ogni altro bravo soldato, era
accorso per
controllare che fosse tutto a posto: non sarebbe stata certo la prima
volta che
un prigioniero avesse tentato di aggredire un soldato. Eppure non era
quello il
caso, come scoprì molto presto.
Fu
sorpreso nel constatare che un altro prigioniero avesse tentato la fuga
e,
soprattutto, che questo fosse il ragazzo biondo e patetico che vedeva
tornare
dai laboratori con il corpo a pezzi e lo sguardo vivo.
Come
a voler ottenere un’ulteriore conferma sulla sua identità si ritrovò a
cercare
i suoi occhi.
Morti.
Per
un attimo un forte senso di vertigine lo colse e dovette appoggiarsi al
fucile
per non finire addosso ai propri compagni. Sentì una scossa
attraversarlo,
rimbombare tra i muscoli e le ossa del suo corpo, fargli tremare il
sangue
mentre osservava quegli occhi.
Nulla
era mai riuscito, in quei sei mesi, a spegnere la luce di quelle iridi;
nulla
aveva strappato la fierezza da quello sguardo. Nulla. Eccetto quello.
Quella
disfatta doveva aver causato il crollo di tutte le sue convinzioni, il
prosciugamento di tutte le sue forze.
Morti.
Quando
gli alti soldati, imbracciati i fucili, fecero fuoco nessuna luce si
spense in
quelle iridi già buie, nessun respiro lasciò quelle labbra già fredde.
Si
riscosse solo quando uno degli ufficiali lo richiamò e tentò di
mantenere
l’espressione neutra e fredda di sempre mentre staccava gli occhi dal
giovane
di fronte a sé.
Un
ordine: spostare il cadavere.
Non
voleva farlo… in realtà sarebbe solo voluto tornare al suo ruolo di
guardia,
vicino a una delle porte del lager, facendo finta che nulla fosse
successo in
quei pochi minuti.
Tuttavia
la sua testa annuì e la voce uscì dalla sua gola senza permesso
pronunciando un
assenso che lo disgustava.
Quando
l’ufficiale andò via il suo corpo si mosse da solo, avvicinandosi al
corpo che
giaceva abbandonato contro il muro. Sentiva una sensazione strana
mentre i suoi
arti si muovevano come controllati da qualcun altro e la sua mente
vagava senza
riuscire a concentrarsi su nulla. Aveva visto innumerevoli persone
morire lì,
anche per mano sua e non si era mai sentito in quel modo.
Quando
sollevò da terra il cadavere del giovane si rifiutò di associare il
freddo che
sentiva su quella pelle al freddo della morte e preferì incolparne la
neve che
ricopriva ancora il terreno. Si incamminò lungo la via, diretto alle
fosse dove
venivano abbandonati i cadaveri, in mente solo una lieve, insensata
curiosità
per il nome di quel ragazzo dallo sguardo fiero; tutto il resto era
ovattato
attorno a lui.
Arrivato
a destinazione guardò il corpo che aveva tra le braccia: doveva avere
all’incirca la sua età, forse qualche anno in meno; il volto era privo
di
espressione ed incredibilmente scarno dopo i mesi passati lì, sebbene
la
bellezza che lo aveva caratterizzato fosse ancora percepibile dai
lineamenti
eleganti; i capelli biondi che aveva visto quand’era arrivato erano
stati quasi
subito recisi crudelmente da un impietoso rasoio elettrico; gli occhi
ormai non
erano altro che mere gemme prive di luce. Accarezzò con lo sguardo le
cicatrici
che gli segnavano le guance,chiedendosi se anche quelle fossero state
originate
in quei laboratori, ma non trovò risposta e sapeva che non l’avrebbe
mai
trovata.
Lo
lasciò andare con un sospiro, facendo forza sulle braccia affinché
smettessero
di trattenerlo e con sguardo vuoto lo vide rotolare giù fino a fermare
la sua
corsa conto gli altri corpi.
Doveva
andarsene, tornare al suo posto e riprendere il suo lavoro da soldato
per
controllare che non vi fossero ulteriori inconvenienti durante la
notte. Eppure
non riusciva a staccare gli occhi da quel ragazzo qualche metro più in
basso.
Lentamente,
quasi gli costasse uno sforzo immane, sollevò il braccio sinistro.
Doveva
interrompere quel contatto visivo per riprendersi, per questo, mentre
il resto
del corpo restava immobile, portò quella mano a troncare la traiettoria
del suo
sguardo.
Sgranò
gli occhi.
Rosso.
Un
fremito lo scosse, partendo dalla nuca facendo rizzare i sottili e
corti
capelli scuri, per poi irradiarsi in tutto il resto del corpo alla
vista di
quel colore. Osservava quella mano senza riuscire a vederla davvero,
cercando
di metterla a fuoco con scarsi risultati. La sua mente sembrava
bloccata e
l’unica cosa che fu in grado di fare fu sollevare anche la mano destra
portandola all’altezza dell’altra.
Rosso.
Caldo, viscoso e vermiglio sangue le ricopriva facendone sfuggire dalle
dita,
di tanto in tanto, qualche goccia che precipitava al suolo, tingendo di
rosso anche quella neve così candida.
Poi
un flash.
Un
ricordo, un sogno.
Mani
sporche di sangue, corpi abbandonati al suolo, bianco accecante e rosso
soffocante.
Sogno
mischiato a realtà.
Incubo
e pura crudeltà.
Sensazioni
tanto vivide da far male, come quel rosso che nella sua inconsistenza
sembrava
averlo ricoperto e avergli ostruito le vie respiratorie. Un orrore
incontrollabile iniziò a prendere possesso della sua mente mentre le
sue membra
tremavano per qualcosa che nulla aveva a che fare con il freddo.
Sentiva il
cuore pulsargli furioso in petto mentre i polmoni e la gola bruciarono
liberando un grido straziante che si disperse nell’oscurità avvolgente
della
notte.
Fine