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Autore: Little white angel    08/05/2013    1 recensioni
Dalla storia:
"[...]Quando era scattato l’allarme Sasuke era accorso per controllare che fosse tutto a posto [...]
Fu sorpreso nel constatare che un altro prigioniero avesse tentato la fuga e, soprattutto, che questo fosse il ragazzo biondo e patetico che vedeva tornare dai laboratori con il corpo a pezzi e lo sguardo vivo.
Come a voler ottenere un’ulteriore conferma sulla sua identità si ritrovò a cercare i suoi occhi.

Morti."
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Note d’autore: Hola! Dunque, l’idea è nata durante l’ora di Storia e non volendosene andare dalla mia testa ho deciso di metterla per iscritto perciò qualunque lamentela rivolgetela pure al mio prof, ok? E’ colpa sua, io non ho avuto altra scelta che seguire le imposizioni di Miss Ispirazione u.u *si rende conto che sta dicendo cose senza senso* uhm, bene, ora vado e vi lascio a questa… cosa che pare non avere né capo né coda né motivo d’essere. Buona lettura! ^^

P.s.: Non ho messo l'avviso OOC perchè ho cercato con tutta me stessa di mantenere il carattere di Sasuke il più fedele possibile all'originale ma qualora non doveste essere d'accordo o pensiate che sia andata OOC ditemelo pure, così aggiungo l'avviso.

 

-Neve bianca, rosso sangue-

 

La neve scendeva in candidi fiocchi gelati che lenti si posavano al suolo coprendo ogni cosa.

Nel bianco accecante, macchie scure e dai contorni indefiniti attiravano lo sguardo e disturbavano la vista come tumori maligni su quell’immacolata distesa. Sapeva da cosa fossero causate eppure, con un brivido di terrore a corrergli sotto pelle e ad attraversargli la spina dorsale, sentì i propri piedi muoversi autonomamente portandolo vicino ad uno di essi. Sentì i brividi aumentare con la consapevolezza di ciò che aveva davanti e il disgusto prendere possesso del suo stomaco torcendolo in una morsa d’acciaio. Un sottile velo di sudore freddo gli ricopriva la pelle e le palpebre sembravano essersi congelate a causa della neve e del terrore impedendogli di fuggire da quell’orrore anche solo per un battito di ciglia.

Corpi.

Masse indistinte di corpi giacevano tra la neve creando un netto contrasto tra gli abiti scuri che li rivestivano e i fiocchi candidi. Ai suoi piedi quelle persone riposavano in un sonno eterno, immobili, fredde di un rigor mortis prolungato dalla bassa temperatura, i volti contratti in espressioni di dolore che non avrebbero interessato le loro anime; gli occhi aperti e vitrei che imploravano una pietà che non era stata loro concessa.

Non potendo più sopportare quella vista si costrinse a chiudere gli occhi e portò una mano a coprirsi il volto.

Fu un attimo.

Qualcosa di viscoso gli bagnò le palpebre scendendo poi sulle guance, gli occhi si spalancarono e la vista gli si tinse di rosso: denso, caldo sangue cremisi grondava dalle sue mani, ricoprendogli le dita e nascondendo il colorito naturalmente pallido della sua carnagione.

Una scossa lo attraversò, partendo dai piedi e arrivando alla nuca, quasi rimbombandogli nella cassa toracica e causandogli un senso di vertigine che gli mozzò il respiro facendo socchiudere le sue labbra in un grido muto.

 

 

Sasuke si rizzò a sedere tra le pesanti coperte di lana di quella scomoda branda. Gli occhi sbarrati, la fronte madida di sudore e le membra tremanti erano indice di un sottile terrore che gli correva sotto pelle.

Si passò una mano tra i ciuffi scuri e si coprì il volto tentando di regolare il respiro e di riprendere il controllo del suo stesso corpo. Tuttavia un senso di deja-vù lo colpì a quel gesto: aveva fatto un sogno, quella notte, che lo aveva profondamente scosso eppure non lo ricordava per niente, nulla gli era rimasto se non quel senso di “già vissuto” e l’angoscia che gli scorreva nelle vene più veloce del sangue.

Dopo un paio di profondi respiri, sebbene un lieve senso d’inquietudine restasse a far da eco ai battiti del suo cuore, riuscì a riacquistare il controllo su sé stesso. Con rinnovata lucidità e usuale freddezza, indossò l’uniforme e, assicurato il fucile sulla schiena, uscì da quello che da un anno era il suo alloggio.

Il sole non era ancora sorto e il cielo era ancora immerso nel buio della notte, dai dormitori degli ufficiali e dei soldati c’era il consueto via vai del cambio di guardia. Con passo rigido e sicuro si diresse verso il refettorio seguendo la solita routine, eppure quella sensazione strana allo stomaco non lo lasciò per tutto il tempo. Era irritante, soprattutto perché non ricordava a cosa fosse dovuta, perciò, ricevuti gli ordini per la giornata si diresse al blocco assegnatogli nel più completo mutismo.

Il lieve strato di neve che ricopriva la strada scricchiolava sotto i suoi passi acquisendo la forma della suola e lasciando che le orme segnassero il suo cammino.

Così bianca…

Qualcosa sembrava premere insistentemente contro la sua memoria, richiedendo la sua attenzione con la promessa allettante di chiarire i suoi dubbi, ma ormai aveva raggiunto la sua meta. Aprì con forza la pesante porta della baracca che fungeva da dormitorio e davanti a cui si trovava per poi mettere sull’attenti i prigionieri, facendoli uscire ordinatamente e conducendoli in fabbrica. Il primo periodo era stato il più fastidioso dal momento che c’era stato qualcuno convinto di poter scappare o ribellarsi… convinzione che poi gli era inevitabilmente costata la vita. Dopo il primo mese, sedati dalla vista di amici e parenti uccisi senza esitazione e dalle rigide punizioni, gli spiriti ribelli dei prigionieri erano stati soffocati portandoli ad obbedire senza reazioni agli ordini dei soldati. La situazione si animava lievemente solo quando particolari convogli facevano arrivare nuovi prigionieri, ma i disordini non duravano mai più di una settimana.

Eppure… c’era un prigioniero, un ragazzo che si trovava lì da circa sei mesi. Quando era arrivato aveva catturato l’attenzione di molti con  i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, il cui colore era esaltato dalla carnagione brunita con cui facevano contrasto. La cosa più incredibile, tuttavia, era lo sguardo che aveva mostrato ogni singolo giorno in quei sei mesi: forza e orgoglio non lo avevano abbandonato nemmeno una volta e, sebbene avesse abbandonato i tentativi di fuga e di ribellione, non aveva perso lo spirito combattivo. Attorno a lui gli occhi delle persone diventavano vuoti, le coscienze si annullavano nel dolore e nella rassegnazione ma i suoi restavano vivi e fieri, arroganti quando incrociavano quelli dei soldati.

Sasuke, a dirla tutta, lo trovava solo patetico. Sarebbe morto come gli altri, o di malattia o di fame o nelle docce, nel migliore dei casi per azione di un proiettile o durante uno degli esperimenti a cui era sottoposto… sì, perché lui era uno dei prigionieri speciali. Le sue caratteristiche fisiche lo avevano liberato dalla condanna ai lavori forzati solo per trasformarlo in una cavia da laboratorio. Quando lo vedeva rientrare nei dormitori, la sera, spesso notava il viso, segnato da profonde cicatrici sulle guance, deformato in smorfie di dolore che non spegnevano, però, la forza dei suoi occhi.

 

Poi accadde l’inevitabile.

Una notte, cercando di approfittare del cambio di guardia e dell’oscurità che copriva il campo, rifuggendo i riflettori delle sentinelle e i passaggi troppo vicini ai canili, il ragazzo biondo tentò nuovamente la fuga. Vi aveva meditato parecchio, osservando le guardie e analizzando le strade migliori da prendere.

Avrebbe potuto funzionare.

Ma dall’Inferno non si scappa…

Il suo fisico, troppo provato dai numerosi prelievi e dalle innumerevoli sostanze che gli venivano iniettate ogni giorno durante gli esperimenti, non riuscì a sopportare lo sforzo di un’arrampicata lungo le alte mura perimetrali, le sue azioni erano rallentate dai farmaci sperimentali con cui bombardavano il suo organismo e questo causò la sua fine.

Quando uno dei coni di luce lo abbagliò sentì un brivido corrergli lungo la schiena assieme ad un senso di sconfitta che lo annientò. Non sentì l’allarme, le grida che avevano aggredito con forza il suo udito o l’abbaiare diventato incessante dei cani, la presa delle sue mani perse forza senza che se ne rendesse effettivamente conto. Cadde lungo il muro, finendo sul terriccio gelato senza riuscire a percepire più nulla sotto le dita.

Mentre figure scure gli si accalcavano attorno solo due parole gli vorticavano davanti agli occhi, solo due parole gli invadevano la mente, solo due parole gli inondavano la lingua con il sapore amaro dell’insuccesso.

È finita.

 

Quando era scattato l’allarme Sasuke, come ogni altro bravo soldato, era accorso per controllare che fosse tutto a posto: non sarebbe stata certo la prima volta che un prigioniero avesse tentato di aggredire un soldato. Eppure non era quello il caso, come scoprì molto presto.

Fu sorpreso nel constatare che un altro prigioniero avesse tentato la fuga e, soprattutto, che questo fosse il ragazzo biondo e patetico che vedeva tornare dai laboratori con il corpo a pezzi e lo sguardo vivo.

Come a voler ottenere un’ulteriore conferma sulla sua identità si ritrovò a cercare i suoi occhi.

Morti.

Per un attimo un forte senso di vertigine lo colse e dovette appoggiarsi al fucile per non finire addosso ai propri compagni. Sentì una scossa attraversarlo, rimbombare tra i muscoli e le ossa del suo corpo, fargli tremare il sangue mentre osservava quegli occhi.

Nulla era mai riuscito, in quei sei mesi, a spegnere la luce di quelle iridi; nulla aveva strappato la fierezza da quello sguardo. Nulla. Eccetto quello.

Quella disfatta doveva aver causato il crollo di tutte le sue convinzioni, il prosciugamento di tutte le sue forze.

Morti.

Quando gli alti soldati, imbracciati i fucili, fecero fuoco nessuna luce si spense in quelle iridi già buie, nessun respiro lasciò quelle labbra già fredde.

Si riscosse solo quando uno degli ufficiali lo richiamò e tentò di mantenere l’espressione neutra e fredda di sempre mentre staccava gli occhi dal giovane di fronte a sé.

Un ordine: spostare il cadavere.

Non voleva farlo… in realtà sarebbe solo voluto tornare al suo ruolo di guardia, vicino a una delle porte del lager, facendo finta che nulla fosse successo in quei pochi minuti.

Tuttavia la sua testa annuì e la voce uscì dalla sua gola senza permesso pronunciando un assenso che lo disgustava.

Quando l’ufficiale andò via il suo corpo si mosse da solo, avvicinandosi al corpo che giaceva abbandonato contro il muro. Sentiva una sensazione strana mentre i suoi arti si muovevano come controllati da qualcun altro e la sua mente vagava senza riuscire a concentrarsi su nulla. Aveva visto innumerevoli persone morire lì, anche per mano sua e non si era mai sentito in quel modo.

Quando sollevò da terra il cadavere del giovane si rifiutò di associare il freddo che sentiva su quella pelle al freddo della morte e preferì incolparne la neve che ricopriva ancora il terreno. Si incamminò lungo la via, diretto alle fosse dove venivano abbandonati i cadaveri, in mente solo una lieve, insensata curiosità per il nome di quel ragazzo dallo sguardo fiero; tutto il resto era ovattato attorno a lui.

Arrivato a destinazione guardò il corpo che aveva tra le braccia: doveva avere all’incirca la sua età, forse qualche anno in meno; il volto era privo di espressione ed incredibilmente scarno dopo i mesi passati lì, sebbene la bellezza che lo aveva caratterizzato fosse ancora percepibile dai lineamenti eleganti; i capelli biondi che aveva visto quand’era arrivato erano stati quasi subito recisi crudelmente da un impietoso rasoio elettrico; gli occhi ormai non erano altro che mere gemme prive di luce. Accarezzò con lo sguardo le cicatrici che gli segnavano le guance,chiedendosi se anche quelle fossero state originate in quei laboratori, ma non trovò risposta e sapeva che non l’avrebbe mai trovata.

Lo lasciò andare con un sospiro, facendo forza sulle braccia affinché smettessero di trattenerlo e con sguardo vuoto lo vide rotolare giù fino a fermare la sua corsa conto gli altri corpi.

Doveva andarsene, tornare al suo posto e riprendere il suo lavoro da soldato per controllare che non vi fossero ulteriori inconvenienti durante la notte. Eppure non riusciva a staccare gli occhi da quel ragazzo qualche metro più in basso.

Lentamente, quasi gli costasse uno sforzo immane, sollevò il braccio sinistro. Doveva interrompere quel contatto visivo per riprendersi, per questo, mentre il resto del corpo restava immobile, portò quella mano a troncare la traiettoria del suo sguardo.

Sgranò gli occhi.

Rosso.

Un fremito lo scosse, partendo dalla nuca facendo rizzare i sottili e corti capelli scuri, per poi irradiarsi in tutto il resto del corpo alla vista di quel colore. Osservava quella mano senza riuscire a vederla davvero, cercando di metterla a fuoco con scarsi risultati. La sua mente sembrava bloccata e l’unica cosa che fu in grado di fare fu sollevare anche la mano destra portandola all’altezza dell’altra.

Rosso. Caldo, viscoso e vermiglio sangue le ricopriva facendone sfuggire dalle dita, di tanto in tanto, qualche goccia che precipitava al suolo, tingendo di rosso anche quella neve così candida.

Poi un flash.

Un ricordo, un sogno.

Mani sporche di sangue, corpi abbandonati al suolo, bianco accecante e rosso soffocante.

Sogno mischiato a realtà.

Incubo e pura crudeltà.

Sensazioni tanto vivide da far male, come quel rosso che nella sua inconsistenza sembrava averlo ricoperto e avergli ostruito le vie respiratorie. Un orrore incontrollabile iniziò a prendere possesso della sua mente mentre le sue membra tremavano per qualcosa che nulla aveva a che fare con il freddo. Sentiva il cuore pulsargli furioso in petto mentre i polmoni e la gola bruciarono liberando un grido straziante che si disperse nell’oscurità avvolgente della notte.

 

Fine

   
 
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