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Autore: Eco_90    08/05/2013    1 recensioni
Storia scritta quando avevo 18 anni, quindi la prima in assoluto! E' la mia piccolina, se così possiamo definirla.
La storia parla di un amore profondo ma tormentato, che dovrà sopportare parecchie avversità, ma che forse alla fine riuscirà a trionfare... forse è vero che il vero amore vince sempre!
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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 Fuori era ancora buio. Nonostante l’ora, potevo vedere la luna ancora alta nel cielo, dalla finestra vicino a me. Decisi di uscire, a prendere un po’ d’aria. Il giardino, illuminato dalla luna, sembrava quasi incantato, le statue toccate dai suoi bagliori lievi sembravano quasi vive. Mi avvicinai al grande gazebo nel mezzo del giardino, da lì potevo godere di uno splendido panorama. Il canto di una civetta, in lontananza, suscitò in me uno strano groviglio di sentimenti nuovi , turbandomi. Stavo per chiudere gli occhi, stremata a causa di tutte le emozioni provate nella giornata precedente, quando sentii dietro di me dei passi veloci. Rimasi immobile, un brivido risalì la mia schiena ma presi coraggio e mi voltai di scatto... non c’era niente, né una sagoma, né un’ombra. Mi avvicinai al punto in cui avevo sentito i rumori e notai delle impronte, non l’avevo immaginato, c’era veramente qualcuno che mi spiava. Corsi nella stalla, sapendo di trovarci Mark.  Due candele la illuminavano, ma di Mark nemmeno l’ombra. Lo chiamai più volte, e solo dopo alcuni minuti ricevetti una risposta. Una voce flebile, la sua, si fece sentire da dietro le balle di fieno, gli corsi incontro e lo trovai sanguinante, aveva delle ferite gravi sulle braccia e sul volto. Un grido rotto proruppe dalle mie labbra. – Mark. - sussurrai piangendo. – Chi è stato a farti questo? Chi... AIUTO .- gridai a squarciagola, fino a svegliare tutti gli abitanti della casa, che accorsero spaventati nelle stalle, per capire cosa stesse succedendo. Alla vista di quel corpo straziato Lady Catherine, svenne.
Trasportato Mark in una camera accogliente, aspettammo l’arrivo del dottore e nel momento della visita, io fui costretta ad allontanarmi da lui, ormai pienamente zuppa del suo sangue. – Il ragazzo è fuori pericolo ma ha perso molto sangue, e questo potrebbe recargli qualche danno ma riusciremo a costatarlo solo quando si sveglierà.- disse dopo averlo medicato. – Mi raccomando, dovrà rimanere a riposo per un mese .- mio padre riuscì solo a muovere la testa in segno di assenso, quel ragazzo era come un figlio per lui , e vederlo in quello stato gli aveva straziato il cuore.
 Corsi in camera sua, stava ancora riposando e aveva il viso contratto in una smorfia di dolore. Scoppiai nuovamente a piangere, mi appoggiai alla sua mano e la strinsi forte a me. Purtroppo però fui presa e portata subito nella sala da bagno, dove fui ripulita dal sangue ormai secco, sulla mia pelle. Mi obbligarono a riposare, ma dato che non volevo abbandonare Mark, Lord Anthony fu costretto a portarmi in camera mia di peso. Cominciai ad agitarmi e a bisbigliare frasi sconnesse, facendo preoccupare tutti. –Era lui... è lui che l’ha ridotto così, la persona che mi ha spiato, mentre ero nel gazebo... Lui gli ha fatto del male, io lo troverò e lo ripagherò con la stessa moneta.- mio padre sconvolto da tutti quegli avvenimenti, non riuscì più a trattenersi, si avvicinò bruscamente al mio letto afferrandomi per i polsi e strattonandomi. – Che cosa dici? Di cosa stai parlando? Spiegati una buona volta.- tremava ormai, l’orrore l’aveva sopraffatto. Io dopo quello scatto d’ira smisi di parlare. La mia mente si era svuotata all’improvviso, tutto il dolore di quelle ore, era sparito; mi ritrovai a fissare il vuoto, il mio corpo non rispondeva ai miei comandi, mi sentivo bloccata, senza un modo per tornare alla realtà.
A quanto scoprii in seguito, avevo passato una settimana in quello stato. Il dottore aveva riferito a mio padre, che probabilmente il trauma di quella notte mi aveva segnato profondamente, facendomi cadere in uno stato catatonico. Da parte mia, ero rimasta a quella notte, senza rendermi conto dei giorni passati, o del fatto che i miei cari avessero vegliato su di me notte e giorno, instancabilmente. Gli Anderson, partirono dopo la mia completa guarigione, per una questione di affari, riguardante le loro proprietà in America. La casa era più vuota senza di loro ma c’era più tranquillità per Mark, che dava segni di miglioramento di giorno in giorno. In meno di un mese tornò in piedi, certo non poteva lavorare ma era vivo, e questo era l’importante! Mio padre ritornò a vivere quando lo vide passeggiare per il giardino... quasi lo soffocò nel suo abbraccio.
Quella sera stessa ci fu una festa in suo onore: falò, musica e cibo a volontà fino alle prime ore del giorno successivo.
Verso le sei del mattino eravamo rimasti solo Mark ed io, che seduti nel gazebo, avevamo deciso di goderci le prime luci dell’alba. Un rumore alle nostre spalle mi fece sobbalzare, riportandomi alla memoria i brutti ricordi della sua aggressione.  All’improvviso mi feci seria. –Tu sai chi ti ha colpito quella sera, vero?-
Mi guardò quasi stupito. –Si.- rispose, sorpreso da quella domanda.
-Dimmelo, ti prego. Quel mostro merita di ricevere lo stesso trattamento che ha riservato a te .-
-E’ meglio che tu non conosca i fatti.-
-Perché?- risposi arrabbiata.
-E’ meglio così, non discutere. - era la prima volta che usava quel tono deciso e poco gentile nei miei confronti. –Scusami, non volevo farti agitare. - accorgendosi dell’errore commesso, prese le mie tra le sue e poi le baciò piano. –Non è colpa tua. - disse gentile come sempre. –Ma non chiedermi niente di quella sera, perché non posso parlarne. -
Quelle parole mi resero ancora più indagatrice di prima, però decisi che per quella sera avevo già investigato abbastanza.
I giorni passarono piatti e senza alcuna rivelazione sulla notte che m’interessava, sembrava che in casa vigesse una specie di omertà su quell’incidente.
Ormai era arrivato il Natale, e come ogni anno  a casa nostra si teneva una grande festa a cui tutte le personalità più rinomate dell’epoca prendevano parte, compresi molti nobili e alcuni ministri di nazioni straniere.
Cibo di altissima qualità, vini pregiati e ogni tipo di sfarzo possibile e immaginabile, erano gli invitati principali del ricevimento. Solo in quest’occasione si poteva assistere al susseguirsi di nobildonne in abiti ricoperti di diamanti. Il creatore di questi vestiti ne produceva solo quattro l’anno, così tutte le dame dell’alta società facevano a gara per accaparrarsene uno. C’era un’atmosfera incantata nella casa, l’insieme dei profumi delle signore, delle vivande e delle candele accese creava un aroma celestiale. Non so per quante volte fui invitata a ballare, avevo i piedi gonfi e così decisi di salire nella mia camera per indossare un paio di scarpe più comodo. L’unica luce a illuminare la stanza era quella della luna, che filtrava dalle pesanti tende, non so perché ma ne fui attratta. Uscii sul terrazzo, per guardare le stelle. Era una notte incantevole, sentivo che da un momento all’altro sarebbe accaduto qualcosa di meraviglioso. Un vento caldo cominciò a soffiare, accarezza domi il viso, un vento che sembrava provenire da terre lontane. Inebriata dal quel soffio dolce, chiusi gli occhi, immaginando mille meraviglie. Quando li riaprii, vidi Mark vicino a me, non l’avevo sentito arrivare, e non sapevo neanche da dove fosse entrato. –Bella serata!- dissi sorridendo. –Incantevole, come la padrona di casa. – rispose amabilmente. Quel tono però m’infastidiva, non era per me.
-Perché fai sempre così Mark?- dissi stizzita. –Così come?- rispose sorpreso lui.
-Mi lusinghi senza alcun motivo. Io non sono una di quelle illustri signore.- affermai, indicando delle signore che stavano lasciando la festa. –Io e te ci conosciamo da quando eravamo piccoli, quindi non c’è bisogno di tutte queste cerimonie.-
-Perché no?- disse intestardendosi. –Perché è così e basta.- affermai io, perentoria.
-Allora non capisci proprio. Vorrei parlarti senza essere pomposo ma rischierei di farmi prendere la mano, e di oltrepassare i limiti imposti dal mio livello sociale. - detto questo, cominciò a respirare affannosamente e per sentirsi meglio, dovette sedersi, scivolando piano sul pavimento del terrazzo. – Scusami, non dovrei farti agitare. Sono solo una ragazzina viziata ed egoista. - asserii io, mortificata. – Non dire così .- rispose lui, quasi senza fiato. –Restami accanto, stringi la mia mano fino a che non mi sarò ripreso. - delicatamente avvicinai le mie mani alle sue, stringendole piano, appoggiando poi la testa sulla sua spalla. Improvvisamente, sciolse la mia presa, e infilò una mano nel suo gilet. –Tieni, questo è per te .- disse porgendomi un piccolo pacchettino. –Cos è?- domandai curiosa.
 –Scartalo.- disse, semplicemente.
- E’ un tale peccato rovinare questo bel pacchetto ma sono talmente curiosa, che non posso fare altrimenti!-
Aprii quell’involucro, e con mia sorpresa vi trovai dentro un piccolo anello. Era stupendo. Non aveva certo diamanti, o rubini, era un cerchio d’oro finissimo, ma ai miei occhi era il gioiello più prezioso che avessi mai visto prima. Entusiasta mi voltai verso Mark e lo baciai sulla fronte, restammo abbracciati per un tempo indefinito, felici e tranquilli... fino a che Anne entrò correndo in camera mia. Restò un po’ spiazzata da quella visione ma si riprese quasi subito. – Milady dovete scendere immediatamente, vostro padre vi cerca da venti minuti.- a quelle parole, indossai subito il nuovo paio di scarpe, e rivolsi uno sguardo dispiaciuto a Mark. –Devo andare, sai com’è fatto, potrebbe adirarsi. - lui si limitò ad acconsentire con un breve cenno della testa, per poi darmi le spalle. Era arrabbiato, ma in quel momento non potevo pensare a lui. Scesi la scalinata che portava al salotto in pochi secondi, rischiando più volte la vita. L’entrata nella sala non fu delle più regali, tanto che tutti gli invitati si voltarono a fissarmi, ridacchiando. Avvicinandosi a me, mio padre afferrò saldamente il mio braccio, scortandomi nel centro della sala. –Tra un anno, da adesso, saranno celebrate le nozze tra mia figlia, e Lord Anthony Anderson!- il suo sguardo fiero, era annientato dagli sguardi di puro odio che le piccole Lady presenti in sala avevano cominciato a lanciarmi, dopo la notizia del matrimonio. Non sapevo che Lord Anthony fosse così amato, chissà cosa ci trovavano in lui tutte quelle ragazze. Era passato parecchio tempo dal nostro ultimo incontro, e anche avendo conosciuto il suo lato sensibile, non avevo nessuna intenzione di cambiare idea su di lui.
La serata era appena cominciata, tutti attendevano l’arrivo di un ospite speciale, ma nessuno sapeva chi fosse, neanche io.
Allo scoccare della mezzanotte la grande porta della villa fu aperta, e due figure fecero il loro ingresso. Un ragazzo ed una donna, dal portamento regale. Fu grazie a questo che riuscii a riconoscere Lady Catherine Anderson, ma stentai a riconoscere il suo accompagnatore, anche quando mi ritrovai a pochi centimetri da lui. Era cambiato, quel viaggio non aveva mutato soltanto il suo aspetto, ma anche i suoi modi. Lord Anthony era freddo e altero nei miei confronti. Mentre con gli altri scambiava battute divertenti e complimenti, a me riservava sguardi gelidi, e smorfie che vagamente ricordavano un sorriso. Non sapevo che cosa avesse, ma volevo scoprirlo. Stizzita, lo afferrai per un braccio, conducendolo in giardino.
 –Che cosa diavolo vi è preso?- sbraitò, nervoso.
– Che cosa ho io? Piuttosto che cosa avete voi? Mi lanciate sguardi freddi e invece di sorrisi mi mostrate delle smorfie.-.
-Ma cosa state farneticando? Io vi sorrido, e i miei sguardi non sono per niente freddi, forse non sapete riconoscerli, o forse siete abituata a più calorose attenzioni. Beh, per quelle io non posso esservi utile ma forse il vostro stalliere... -.
Non potevo credere a ciò che avevo sentito, mi aveva offeso senza alcuna ragione, solo per il gusto di farlo. - Ma come osate? Per me lui è come un fratello, e le sue attenzioni sono dolci e affettuose, non come le vostre. - calcai molto sulle ultime parole per fargli capire quanto fosse inopportuno il suo comportamento. – Ormai non provo più sentimenti dolci nei vostri confronti... e anzi, quando vi guardo, non riesco a provare nulla. - fu un colpo duro, si stava divertendo a farmi male, ma sinceramente non ne capivo le ragioni. – Allora ammettete che i vostri sentimenti sono cambiati?- mi guardò con aria di sfida. –Si, ma non per mia volontà.-
-E adesso vorreste addossarmi questa colpa? Non ci vediamo da mesi, cosa posso aver fatto di così terribile?-.
-Siete così sciocca da non arrivare a capirlo. Comunque la colpa è vostra e non c’è modo di rimediare. - disse deciso.
-Ma noi dobbiamo sposarci, come faremo a vivere in questo modo per tutta la nostra vita?- chiesi esasperata.
-Ci sposeremo, ma saremo come due estranei... non proveremo sentimenti l’uno per l’altra. -
 Rientrò in casa senza aspettarmi. Preferii restare ancora un po’ sotto il gazebo a riflettere, le sue parole mi avevano ferita, e vederlo scherzare con le altre mi rendeva incomprensibilmente gelosa.
 Il ricordo del dolce e introverso Anthony mi rese malinconica, prima mi dedicava molte attenzioni e balbettava imbarazzato ogni volta che doveva confidarmi qualcosa, ora non era più così.
Osservavo ogni sua mossa, sia quando scherzava amabilmente con la cameriera, che quando lusingava le contessine che venivano a trovarmi per il tè . Ero furiosa, non concepivo il fatto che il mio futuro marito potesse rivolgermi tali affronti, così decisi che era arrivata l’ora della controffensiva.
  
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