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Autore: Akira_blood princess    08/05/2013    1 recensioni
C’era una volta un piccolo Narciso che era bello, così bello da far male.
Il piccolo Narciso che quando il tramonto incendiava il cielo doveva rientrare di corsa in casa, altrimenti avrebbe rischiato di ammalarsi.
Il Narciso soffriva molto, a volte solo, quando l’unica persona che avesse al mondo era lontana, a guadagnare i soldi per le sue medicine.
Medicine per le quali il Narciso si sentiva in colpa.
Perché la sua mamma per comprargliele lavorava tanto e mangiava poco.
Il Narciso era così bello e la sua voce, i suoi occhi, la sua bocca, riuscivano a farti credere che ciò che era blasfemo e inaccettabile avesse un lato puro e prezioso.
Anche la sua malattia aveva una ragione secondo quel Narciso.
E lo scopo gli si presentò nelle sembianze di un giovane uomo. Il dottore che era come un grande albero di rovi e sofferenza, secco nonostante l’età fulgida, che però profumava ancora dei suoi fiori perduti.
Ogni volta che lo stringeva, ogni volta che lo baciava, il Narciso sentiva il suo profumo di fiori di ciliegio.
E sapeva di adorarlo. Sapeva che quello era l’aroma della salvezza, della pace. L’aroma dell’amore.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Nota autrice:
Spero vivamente che ciò che leggerete sarà di vostro gradimento e vi ringrazio da subito solo per avere dato la vostra attenzione a questa shot. Sono più che ben accette le recensioni, anche per segnalare errori che potrei aver fatto nella distrazione. 
Ho scritto questa storia di getto, come mi era stato chiesto da un persona che stimo molto, un esperimento, perciò credo di averci buttato dentro anche troppo di me.
Ma sono soddisfatta e l'importante è che a voi lettori almeno un pò piaccia questa fiction, perchè io l'ho amata, come se non fosse neanche stato un parto della mia mente.
Per chi sta leggendo l'altra mia long del fandom di Naruto " Un soffio di Libertà" dovrebbe aver capito che questa è la favola della quale parlava Sasuke. Non credevo che sarebbe scaturita davvero in forma scritta quando ho pensato a quest'idea del Narciso per il libro d'infanzia dell'Uchiha, ma evidentemente il mio cervello ha deciso di fare come diamine gli pareva, come al solito.
Ok, daccordo, bando alle ciance!
Buona lettura e a presto!
Vero




Il piccolo Narciso.


 
C’era una volta un piccolo Narciso con gli occhi grandi e tanta speranza tra i capelli dorati.
Il piccolo Narciso che era bello, così bello da far male.
Il piccolo Narciso che quando il tramonto incendiava il cielo tingendo le lande d’arancio e l’erba fresca di oro, doveva rientrare di corsa in casa, altrimenti avrebbe rischiato di ammalarsi.
Il piccolo Narciso che non poteva avere il piacere di vedere un cielo plumbeo dei colori della notte, di osservare la luna piangere, di aspettare le stelle alla morte del sole. Lui che non poteva sentire sulla pelle candida la deliziosa sensazione sinuosa dell’acqua delle cascate e dei fiumi di sorgente, lui che non conosceva l’odore della neve.
Lui che le montagne le viveva, ma solo col disco luminoso alto nel cielo. La notte era sconosciuta per il piccolo Narciso.
Sconosciuta nei suoi pericoli, nelle sue paure, nella sua oscurità, nelle sue bellezze fatte di sottili fili argentei.
Poteva dire di non aver mai visto una tela di ragno che si era formata nell’intrico dei rami della sua foresta illuminarsi della luce lattiginosa della luna, poteva dire di non averla mai vista mutare da tela a preziosi ed evanescenti filamenti d’avorio.
A Lui la notte era sconosciuta.
A lui, che era così bello.
Lui, il piccolo Narciso che non aveva mai avuto il privilegio di specchiarsi nel laghetto alla luce dell’aurora o a quella iridescente della luna.
Il Narciso aveva occhi preziosi, vividi, mutevoli come la forma delle nuvole nel cielo.
Ecco, sì. Il piccolo Narciso aveva occhi di nuvole.
Occhi innocenti, puri, sinceri, pieni della luce del perdono, vivi di quella della curiosità, impreziositi da quella della speranza, velati da quella del dolore.
Il Narciso soffriva molto, a volte solo, quando l’unica persona che avesse al mondo era lontana, a guadagnare i soldi per le sue medicine.
Medicine per le quali il Narciso si sentiva in colpa.
Perché la sua mamma per comprargliele quelle medicine, lavorava tanto e mangiava poco.
Il Narciso era così bello e la sua voce, i suoi occhi, la sua bocca, riuscivano a farti credere che ciò che era blasfemo e inaccettabile avesse un lato puro e prezioso.
Anche la sua malattia, crudele e inaccettabile, aveva una ragione secondo quel Narciso.
Dio non affidava loro destini che non avessero un fine, uno scopo.
E lo scopo, la ragione, il fine, gli si presentò nelle sembianze di un giovane uomo. Il dottore.
L’uomo disse alla sua mamma che era tardi, che non c’era più speranza.
Che cosa significasse il Narciso se lo chiese molte volte, nel silenzio.
C’era sempre speranza! E si chiese anche per che cosa fosse tardi.
Lui stava guarendo, la mamma glielo diceva sempre.
Forze tardi per restituire i soldi che la mamma aveva rubato per le sue medicine.
Lei non lo sapeva, ma lui l’aveva scoperto.
Il Narciso era così bello e quando portarono via la sua mamma rimase solo.
Ma Dio gli aveva affidato quel destino e la sua vita fragile come uno filo d’erba, come vetro, si legò indissolubilmente a quella del dottore.
Il dottore che era come un grande albero di rovi e sofferenza, secco nonostante l’età fulgida, che però profumava ancora dei suoi fiori perduti.
Ogni volta che lo stringeva, ogni volta che lo baciava, il Narciso sentiva il suo profumo di fiori di ciliegio.
E sapeva di adorarlo. Sapeva che quello era l’aroma della salvezza, della pace. L’aroma dell’amore.
Il Ciliegio gli fece vedere il mondo e piano dai suoi rami irti di rovi innaturali presero a nascere nuovi boccioli.
Il Narciso era bellissimo, diventava ogni giorno più bello e ogni giorno più fragile. 
Il Ciliegio sapeva che quel Narciso faceva miracoli.
Ma si chiese spesso, negli anni a venire, perché non ne avesse fatto uno per lui.
Infatti diventava sempre più pallido e presto non poté neanche vedere più la luce del sole se non suggendola dalle iridi ialine del Ciliegio.
Presto dimenticò il sapore del vento, l’effluvio dell’erba bagnata di rugiada, dimenticò il calore del sole sulla pelle, la carezza delle nuvole tra i suoi pensieri, incatenate nei suoi occhi cerulei.
Ma non fu mai abbandonato dall’aroma del Ciliegio, stretto e insito nella sua carne, in un abbraccio d’amore.
Si consolava sentendo il battere del cuore del Ciliegio che scandiva il moto della vita, disegnando la direzione verso la quale la terra girava.
Poi la mamma tornò e rivide il suo Narciso che non era più piccolo. Era Bellissimo e Giovane e Felice. 
E aveva sulle gote, sulla pelle i segni dell’Amore del Ciliegio.
Trascorsero anni e la luce del Narciso piano si affievoliva.
Il Ciliegio gli aveva mostrato il mondo finchè aveva potuto.
Gli aveva insegnato l’amore e la felicità.
Il Narciso era così bello, ma la speranza non fu in grado di salvarlo, non fu sufficiente.
Era così bello, ma il suo respiro libero si spense sul viso del Ciliegio, nuovamente sotto un cielo di nuvole, finalmente.
E il Ciliegio, tutto in fiore e così bello a sua volta, non ebbe mai l’occasione di chiedergli il perdono per non essere riuscito a salvalo. Non ebbe l’occasione di dirgli Addio.
Era ancora giovane, il Ciliegio. E seppe che cosa  avrebbe fatto per il resto della sua vita.
La mamma era straziata dal dolore e lui le sarebbe stato accanto, fino alla fine o fino a quando lei non l’avesse scacciato.
E così fece, il Ciliegio.
I suoi occhi invecchiarono, seguendo le rughe che scolpivano sempre di più il viso addolorato della mamma.
Finalmente il Narciso poteva odorare la notte, poteva sentirla davvero, nel freddo della sua lapide.
E vedere di nuovo le nuvole attraversare il cielo trasportate da un soffio di libertà.
Gli mancavano i suoi occhi di nuvole. E mancavano così tanto anche alla mamma.
Si spense di dolore, quella mamma che era stata forte e dolce per tanti anni.
Fu il Ciliegio a seppellirla, accanto al Narciso.
E si sentì libero dal rimorso, seppe di essersi riscattato.
E seppe anche di aver esaudito il desiderio muto negli occhi di nuvole del Narciso.
Lui non l’aveva saputo, non poteva saperlo che la morte si era avvicinata ai suoi petali candidi quando era ancora solo un Piccolo Narciso.
Eppure sembrava avere il cuore di Dio nel petto, come se intimamente sapesse ogni cosa, ma non glielo avesse confessato per paura di farlo soffrire, come se la sua voce potesse realizzare quella verità anche nella mente del Ciliegio, il quale l’aveva rifiutata con tutte le forze per molto tempo.
Ma il Ciliegio aveva donato lo stesso a lui e a sua madre tutto l’amore di cui disponeva, senza remore, nonostante sapesse che avrebbe sofferto. Ma il dolore era necessario per riscattare l’Amore, era il suo prezzo.
Per offrire al Narciso ciò che meritava, per esaudire i suoi desideri semplici di vita e speranza.
Aveva pianto a lungo, il Ciliegio forte, carezzando i marmi freddi.
Poi aveva sorriso, tra le lacrime, consapevole che il Narciso era così bello, e anche libero, ora.
Aveva sorriso sapendo che non si possono intrappolare degli occhi di nuvole.
Aveva alzato lo sguardo al cielo e aveva sorriso ancora.
- Ti amo, mio piccolo Narciso - aveva sussurrato nel vento.






 
  
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