Un’altra
giornata era passata, non le restò che
rassegnarsi per l’ennesima volta.
Spense
il suo portatile con riluttanza, ancora una
volta aveva fallito. Eppure sembrava fosse andato tutto per il verso
giusto,
qual era l’errore?
Di
sorpresa, vide sulla parete un’ombra silenziosa
avvicinarsi a lei.
<<
Non credi sia meglio andare a dormire, Ai? Hai
lavorato parecchio oggi… >> Esordì
una voce nell’angusta stanza opaca
illuminata parzialmente da una minuscola lampadina affiancata al
computer.
<<
Non stia in pensiero per me, professore. Sa
bene quanto questo sia importante, recentemente l’ho
informata riguardo le
ultime novità sull’antidoto; il problema
è sempre lo stesso: calcoli esatti, ma
effetti per niente vicini a quelli desiderati, eppure dovrei essere
molto
vicina a realizzarne uno definitivo. >>
Sospirò Haibara alzandosi
lentamente dalla sedia.
“E’
inutile che ti dica di lasciar perdere, vero? Sei
una ragazza molto razionale, ma è impossibile ragionare con
te quando sei
determinata in qualcosa.” Pensò Agasa mentre
osservava Ai dirigersi fuori dalla
camera.
<<
Dove stai andando? >> Le domandò con
accortezza tentando di non far trasparire alcuna preoccupazione dal suo
tono.
La conosceva, sapeva che l’avrebbe soltanto importunata.
<<
A prepararmi un caffè. Spero non sia un
problema, professore. >> Dichiarò
rivolgendogli lo sguardo.
Agasa
non rispose, si limitò a fissare le iridi glauche
della scienziata impegnate a studiare l’espressione del suo
viso per poi far
cenno di sì qualche secondo più tardi.
<<
Bene. Allora a domani professore, le auguro
buonanotte. >> Sussurrò la castana accennando
un sottile sorriso.
Nessuno
era riuscito a percepire quanto il professore
tenesse a lei, perfino Shinichi in realtà lo ignorava. Erano
passati sei mesi
da quando l’aveva trovata priva di sensi davanti il cancello
della sua casa in
quella sera dominata dall’assiduo piovasco emettitore di una
costante catena di
rumori battenti ovunque.
La
sua vita non era stata affatto semplice, dopo aver
perso i genitori all’età di 10 anni a causa di un
incidente avvenuto presso
l’autostrada dell’isola di Shikoku.
I
suoi avevano programmato quella breve vacanza allo
scopo di festeggiare il loro decimo anniversario, perciò lo
avevano affidato
alla sorella del padre, Teiko la quale conviveva con Kurisuke, un
giovane
assicuratore; si sarebbero sposati l’anno successivo.
Dopo
la morte del fratello, fu inevitabile per Teiko accingersi
a viziare in ogni modo il piccolo Hiroshi malgrado i tentativi di
biasimo da
parte di suo marito nel continuare.
Non
gli fecero mancare nulla, tuttavia crescendo
sviluppò una visibile tendenza all’isolamento nei
confronti dei suoi coetanei
probabilmente determinata dal carattere mansueto e soggiogabile di cui
era in
possesso.
Iniziato
l’ultimo anno della scuola elementare la
situazione parve degenerare. Cominciò a soffrire di
un’accentuata ossessione
per il cibo, placatasi solo dopo l’incontro con Fusako, il
suo primo amore
ritrovato poco tempo prima grazie ad un biglietto decifrato da Conan.
Quest’ultima
aveva creduto che i detective boys fossero
suoi nipoti, questa fu la motivazione per cui non si
dichiarò a lui e finse di
avere un marito.
In
verità una nipote la aveva: Ai Haibara.
Era
in momenti simili che avrebbe voluto solo prenderla
e stringerla a sé come un nonno amorevole, le voleva bene,
eppure si era
ripromesso di non affezionarsi esageratamente a lei; gli uomini
dell’organizzazione nera la cercavano da tanto, se avessero
scoperto dove si
trovava avrebbero posto termine alla sua esistenza senza il minimo
scrupolo.
All’improvviso
la stanchezza si impadronì di lui,
decise di smetterla di rievocare quelle meste reminiscenze andandosene
nel suo
confortevole letto aspettando con impazienza di addormentarsi.
<<
Professor… Professor Agasa! >> Udì.
Il
professore si strofinò gli occhi avvolto ancora da
quel torpore caratterizzante lo stato di dormiveglia, non poteva essere
che
lei.
<<
Ai… cosa c’è? >> Chiese
aprendo
lentamente gli occhi.
<<
Ce l’ho fatta, l’antidoto è completato.
>>
Esclamò superba la scienziata provando un ineffabile senso
di grandezza.
Il
professore si destò basito da quella rivelazione,
fino alla notte precedente sembravano non esserci speranze, quanto
aveva
impiegato a prepararlo? Era in gamba, certo, ma abbastanza lenta e
meticolosa
quando lavorava alla medicina.
Il
suo viso venne invaso da un flebile bagliore
proveniente dalla finestra di fronte al suo letto, accorgendosi della
prossimità dell’alba.
“Straordinaria...”
Considerò aprendo del tutto gli
occhi.
<<
Ai, hai superato te stessa! >> Commentò
esultante sedendosi.
<<
Non mi era mai successo di ottenere risultati
come questo, devo chiamare subito Conan. >> Concluse
precipitandosi verso
il telefono con impeto.
"Vuoi
farlo veramente?"
“Cosa?”
Rifletté scioccata.
"Sul
serio intendi informare Shinichi?"
Smise
di comporre il numero riagganciando a rilento
l’apparecchio, allorché posò il suo
sguardo verso la grigia parete della stanza
non emanando alcun fiato. Per quale ragione si era bloccata? Dopotutto
ci stava
lavorando da mesi, i suoi sforzi erano stati finalmente premiati, in
quel modo
sarebbe tornata normale anche lei e la lotta contro i MIB avrebbe
subìto una
svolta decisiva.
Già,
ma quante rinunce?
“Rinunce!?”
Urlò nella sua testa contro quella turpe
quanto sagace voce penetrata nel suo cervello rimbombante come
l’eco di un
fosco antro d’una belva sconosciuta.
<<
Che ti prende? >> Mormorò qualcuno
provocandole un risveglio forzato.
No,
non poteva riferirglielo, non avrebbe compreso. Ne
era certa.
<<
Non è niente professor Agasa, credo solo che
non sia il caso di svegliarlo a quest’ora, è
ancora troppo presto! >> Si
limitò a rispondere con abituale freddezza, sua inossidabile
prerogativa.
<<
D’accordo, ti va di andare a fare colazione?
Preparo una tazza di tè. >> Propose
semplicemente.
Haibara
annuì.
“Quella
ragazza non me l’ha raccontata giusta, sono
convinto che mi stia nascondendo qualcosa.” Si disse
scendendo le scale.
“Professore,
sarà pure un discreto inventore, eppure è
alquanto ingenuo nel capire le persone.” Pensò la
castana intenta a sistemarsi
la frangia lievemente arruffata, non sapendo di star sbagliando del
tutto.
Tra
un paio d’ore si sarebbe incontrata con Conan e gli
altri al solito posto, vicino il parco della scuola. Con quali occhi
avrebbe
incrociato il ciglio del detective del nuovo millennio? Non sarebbe
stato
facile raggirare Shinichi, quest’ultimo non avrebbe impiegato
molto a scoprire
la sua menzogna, anzi vi erano notevoli possibilità che
avrebbe capito
all’istante quasi ogni cosa.
Forse
non voleva abbandonare quella nuova vita perché a
conti fatti non si sentiva talmente gratificata da un tempo
così lontano che le
risultava complicato stabilire con certezza.
Ricordò
quando ingerì la pillola del farmaco inventato
da lei per sfuggire all’esecuzione programmata da Gin per
ordine del capo, per
una ragione non ancora stabilita l’APTX4869 in rare occasioni
determinava il
rimpicciolimento della cavia mantenendo inalterate le sue
capacità cerebrali.
Fin dall’età di 13 anni era rimasta coinvolta
continuamente nelle vicende
collegate all’organizzazione non avendo pertanto la
possibilità di far nulla di
adatto a una bambina, trascorreva giornate intere rintanata in
laboratorio a
lavorare a quella dannata medicina sotto stretta sorveglianza degli
uomini in
nero.
Doveva
star attenta a qualunque gesto compiesse, quei
bastardi avevano installato una videocamera in un imprecisato punto
della sua
stanza, avrebbero potuto osservarla tutto il giorno se avessero voluto.
La sua
condizione era paragonabile a quella di Winston Smith, il protagonista
di uno
dei romanzi preferiti da lei: 1984 di George Orwell. Il GRANDE
FRATELLO ti sta guardando, era il motto
affisso nei manifesti di chi deteneva il
potere in quella storia distopica. Chiunque apparteneva al partito era
costretto volente o nolente ad assumere un atteggiamento consono
specialmente nella sua abitazione, altrimenti i soldati
sarebbero intervenuti tempestivamente.
Non
era nient’altro che un ratto intrappolato in una
scomoda tana tenuta sotto controllo da un vigile felino.
Shiho
non poteva sapere con esattezza i momenti in cui
il membro di turno si sarebbe recato a pisciare o ad ingozzarsi, loro giocavano su questo, e lei non
avrebbe potuto fare niente.
Erano
la sua psicopolizia.
Era
in trappola.