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Autore: SimplyMe514    08/05/2013    0 recensioni
[La famiglia Addams]
Troppo grosso per essere normale, ma mai grande abbastanza per sfuggire a una famiglia che non gli lascia più respiro.
Un paio di mani di cui non riesce a controllare la forza, ma che scoprono una delicatezza nuova quando toccano una tastiera.
Un ragazzo infelice, forse un po' strano, ma pieno di sogni come tutti.
Un semplice annuncio sul giornale: A.A.A. Cercasi maggiordomo. Bella presenza, massima discrezione, disposto a lavorare con bambini. Vitto e alloggio inclusi. Astenersi perditempo e deboli di cuore. Rivolgersi a Eudora Addams, 0001 Cemetery Lane.
Possibile che sia questa la possibilità che cercava? Possibile che esista un angolo di mondo dove non sentirsi più fuori posto? Lurch spera di sì, anche se ha qualche dubbio sulla “bella presenza”...
Basato sulla serie TV degli anni '60, ma integrato con qualche dato necessario tratto da opere successive.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2 – Colloquio di lavoro

Mentre il resto del corpo puntava alla posizione di maggiordomo, le sue viscere dovevano essersi dissociate per unirsi al circo, se i salti mortali che facevano erano un buon indicatore. Valigia alla mano, Lurch strinse i denti e si mosse verso il cancello, ma quello si aprì con un gran cigolio prima ancora che lo toccasse. Ci voleva un bel respiro profondo, il primo di tanti. C'era di mezzo o una tecnologia avanzatissima o una magia, e se era la prima, allora gli Addams erano ricchi da far schifo e avrebbero sicuramente voluto qualcuno di molto più bravo ed esperto di lui, mentre se era la seconda... be', accidenti, doveva decidere cosa pensare proprio subito o aveva il permesso di rifletterci ancora un pochino? Un lungo passo e il cancello, come se l'avesse aspettato, sbatté alle sue spalle con un gran clangore metallico che sapeva di definitivo. Sembrava che volesse dire: Non uscirai più di qui. Più che terrificante, saltò su una parte ribelle della sua mente in subbuglio, la prospettiva era un tantino deprimente: avrebbe voluto dire che il posto era suo, e questo era un bene, ma diamine, una commissione o due ogni tanto, giusto per vedere ancora il mondo?

Dopo l'esperienza del cancello – il primo test era passato... ma no, era lui che vedeva troppi significati nascosti in tutto, doveva essere così – venne il sentiero che qualcuno aveva aperto in quell'incrocio tra un giardino e una foresta, stavolta senza sorprese di sorta, e poi il campanello. Diede una tirata e quello, molto semplicemente, si staccò. Tutto il meccanismo gli era rimasto in mano. A tutti gli dei presenti e passati fischiarono le orecchie, lassù in cielo, per aver ricevuto tante e tali maledizioni nel giro di un secondo. Lui e la sua stramaledetta forza! Bel modo di presentarsi! Le sue possibilità erano appena precipitate, e davvero appropriatamente, tra l'altro, sottoterra.

Proprio quando stava per risolversi a bussare e provare a profondersi in scuse, la porta si aprì. Ad accorrere era stata un'anziana donna avvolta in uno scialle che doveva avere all'incirca la sua età, con una chioma incanutita che probabilmente non vedeva neanche l'ombra di un pettine da un tempo incalcolabile e una strana luce divertita negli occhi.

«Ehm...» esordì Lurch, ormai perduto anche l'unico, microscopico briciolo di eloquenza che sperava di essere riuscito a raccogliere, mostrando il campanello distrutto con lo sguardo fisso sulle proprie scarpe.

«Quello si sistemerà. È qui per l'annuncio?»

«Sì» riuscì a dire, incapace di nascondere il tono di chi ormai aveva perso le speranze.

«Allora il resto non importa. Dentro, dentro, il posto è ancora libero».

Doveva ammetterlo, era stato completamente preso in contropiede. Se faceva sul serio, però, il suo modo di ragionare gli piaceva parecchio. Non senza una buona dose d'incredulità, la seguì all'interno e quasi rischiò che la sua consueta maschera andasse in un milione di pezzi. Quella casa era... era... incredibile. Riusciva a essere inquietante, pacchiana e bellissima contemporaneamente. La sua prima impressione fu quella di una stanza piena di tante, troppe cose, un caotico accumulo capace di far girare la testa a chiunque. Poi, una frazione di secondo più tardi, cominciò a rendersi conto di che genere di cose fossero. Facendo saltare lo sguardo qui e là a caso, riconobbe una collezione di animali imbalsamati e altri trofei che suggerivano la presenza di un incallito cacciatore, se non fosse stato per il fatto che provenivano da parti troppo diverse del mondo e sarebbero stati meglio in un museo che in un soggiorno. Come se non bastasse, se i suoi pochi ricordi d'illustrazioni di alci non lo ingannavano, uno dei giganteschi palchi di corna della testa impagliata appesa al muro doveva essere stato girato dalla parte sbagliata con la forza per un motivo che gli sfuggiva. Infine, Lurch vide quello, e dentro di sé mandò poco cerimoniosamente al diavolo le armature, il tappeto di pelle d'orso e la tartaruga a due teste. La signora Addams possedeva un clavicembalo, uno vero, che al suo occhio molto meno esperto di quanto avrebbe desiderato pareva anche antico, con quelle delicate decorazioni che lo percorrevano da cima a fondo. Se era così raffinato l'aspetto estetico, non osava neanche iniziare a immaginarne il suono. Da dove si trovava, i tasti risultavano parzialmente nascosti, ma quanto gli sarebbe piaciuto toccarli anche solo una volta... Per staccarne gli occhi dovette ricordare severamente a se stesso che era più carino mostrarsi interessato anche al resto della casa, ma dopo neanche due secondi si arrese: continuavano a tornare lì come attirati da una calamita.

«Allora», cominciò la signora, facendolo accomodare (e che gli venisse un colpo se non l'aveva fatto di proposito) su una poltrona di proporzioni tali da non far sembrare troppo grosso nemmeno lui, «vedo che abbiamo un aspirante molto determinato».

«Determinato?» ripeté, suonando senza dubbio molto stupido.

«Be', è l'unico che si è presentato con una valigia finora. Vuole proprio restare, eh?»

«Lunga storia» rispose debolmente, sperando che cambiasse argomento. Spiegarle l'esatta ragione per cui aveva fatto i bagagli non rientrava affatto nell'idea – probabilmente da buttare, a questo punto – che si era costruito di quel colloquio.

«Ci sarà tempo più avanti, dunque. Almeno, spero. Prima le formalità: come si chiama?»

«Lurch».

«E poi?»

Ecco, questo era un bel problema. I suoi gli avevano riempito la testa di storie di luoghi lontani, in qualche angolo del pianeta, dove la gente non aveva cognomi, per non farlo sentire troppo a disagio riguardo al fatto di essere chiamato sempre e solo “Lurch”, ma non era tanto sciocco da non sapere che razza di incubo burocratico fossero stati i documenti che erano seguiti al matrimonio tra i suoi genitori, e tra pellirosse, tribù africane e antichi eroi ancora non aveva capito bene da dov'è che venisse esattamente la famiglia di papà, perché ogni volta che glielo domandava si metteva a parlare del tempo.

Ci pensò con tutte le sue forze, cominciando ad avvertire i primi segnali del panico, ma alla fine non gli uscì di bocca altro che quel che già conosceva: «Lurch».

«Lurch e basta

Annuì, salutando da lontano le sue ultime speranze.

«E va bene. Tanto ce l'abbiamo già, un amico con un problema simile».

Se fosse stata una partita di uno strano, nuovo gioco in cui perdeva chi si lasciava sorprendere più volte dall'altro, Lurch avrebbe anche potuto alzare bandiera bianca e riconoscere la clamorosa sconfitta. La signora Addams era decisamente o stravagante o disperata: non c'erano altre spiegazioni possibili per quel suo modo quasi buffo di prendere tutto, compresi i campanelli rotti e i cognomi inesistenti, come un trascurabile sassolino lungo la strada che poteva essere comodamente scalciato via.

Quando le domande da porre erano circa un milione, l'unica cosa da fare era sceglierne una e incrociare le dita, sperando di non aver optato proprio per la più idiota: «Quale amico?»

«Oh, vuole conoscerlo? Sono sicura che avrete un sacco di cose da dirvi, sempre che lei conosca un po' l'alfabeto Morse». E con quest'affermazione più di un tantino criptica, si sporse verso un tavolino e bussò educatamente sulla scatola rettangolare che vi troneggiava sopra. Il coperchio si alzò con un cigolio e lì, impossibile imitazione di un pupazzo a molla, Lurch vide una mano che lo salutava con entusiasmo. Da qualche parte all'interno doveva esserci almeno un gomito, ma non capiva proprio dove potesse nascondere tutto il resto. Semplicemente, quella cosa non aveva un corpo. Consisteva in cinque vigorose dita maschili, un polso e gran parte di un avambraccio nudo, e poi più nulla. Be', si costrinse a pensare Lurch, adesso so cosa intendeva con quella faccenda dell'alfabeto Morse, visto che non c'è la bocca... Non sapeva bene da dove gli venissero quei pensieri, a essere sincero. Forse era l'atteggiamento della signora Addams a influenzarlo, ma mentre metà della sua mente spingeva per scappare di lì e dimenticare il progetto, l'altra metà provava una sorta di perverso divertimento nel cercare ad ogni costo una logica in quello che ancora non sapeva se considerare la realtà o una specie di macabro sogno senza filo conduttore. Il buonsenso urlava a pieni polmoni che il posto per cose del genere era in qualche spettacolo di fenomeni da baraccone, ma poi c'era una vocetta più tranquilla (e molto più convincente, a ben vedere) che gli faceva notare che gli organizzatori dello spettacolo sarebbero stati felicissimi di avere lui come pezzo forte. Perché comportarsi da spettatore se c'era dentro fino al collo? Forse quella mano che gli faceva freneticamente “ciao” era un invito. Resta qui, faremo un bel patto: se tu non avrai paura di noi, neanche noi ne avremo di te. Che ne dici?

«Ehm... salve».

«Oh, finalmente uno che conosce l'educazione! Direi che è ora di fare le presentazioni come si deve. Mano, questo è Lurch, un aspirante maggiordomo. Lurch, le presento Mano. E basta. È il nome, il cognome e anche il secondo nome. Come vede, è in buona compagnia».

Mano si protese nella sua direzione più che poté, un chiaro segnale che voleva... ecco, stringergli la mano, ma forse per lui era paragonabile a un abbraccio fraterno. Era comunque un bel gesto, e non accoglierlo sarebbe stato orribile. Aveva una gran stretta, oltretutto: non poté non notare che la propria, di mano, era di dimensioni simili, e che il suo probabile nuovo amico non aveva mostrato alcun fastidio nella sua presa d'acciaio. Lurch ebbe una curiosa visione di se stesso impegnato in un match di braccio di ferro, lui appoggiato al tavolino e l'avversario comodamente installato nella sua scatola.

«Oserei dire che la prima prova è stata superata brillantemente».

Una piacevole sensazione di calore gli esplose nel petto. Non sapeva che fosse una prova, ma già il fatto di averla passata era molto confortante. Se poi si aggiungeva il piccolo dettaglio che niente di quel che aveva fatto era mai stato definito “brillante” prima d'allora... era questo che si provava ad essere al settimo cielo? Un sorriso un po' storto incrinò la sua studiata faccia neutra per tutta la sua larghezza. La signora Addams sollevò appena un sopracciglio.

«Ah, be', direi che con questo è risolto anche il problema della bella presenza!»

Doveva esserci un'altra mano in casa, stavolta invisibile, perché altrimenti non sapeva proprio che cosa l'avesse appena schiaffeggiato sonoramente, anche se non gli aveva fatto male. Avrebbe avuto una gran voglia di prendere un bel respiro e sbottare tutto d'un fiato qualcosa come: “Se sta scherzando, signora Addams, gradirei davvero che rimandasse le battute a dopo, e se invece no, mi faccia almeno la cortesia di spiegarmi perché ha detto una cosa del genere”. Ma non ci riuscì. Non poteva proprio, le sue corde vocali avrebbero preso vita e si sarebbero messe a piangere per lo sforzo. Tutto quello che conseguì fu di dare un deciso tono interrogativo al verso che, squassandogli il petto, arrivava dove le parole fallivano.

«Ma certo che dico sul serio, Lurch! Dovrebbe sorridere più spesso, le dona moltissimo. Si sarà pure accorto dall'arredamento che non sono molto d'accordo con il senso estetico del resto del mondo... E poi, diciamocelo chiaramente, richiedere una bella presenza su un annuncio per un maggiordomo è praticamente una formalità».

La mano invisibile passò direttamente dagli schiaffi a un potente pugno in pieno stomaco.

«Lei... mi capisce?»

«Forte e chiaro. Ho conosciuto persone messe peggio. O forse “persone” non è proprio la parola giusta, ma sorvoliamo... comunque, noi Addams abbiamo orecchio per queste cose».

Era come se nessuna delle stranezze per cui era stato segnato a dito in passato le importasse minimamente. La forza eccessiva, il nome, i sorrisi che parevano smorfie, il suo modo di parlare che nessuno sapeva tradurre a parte suo padre: tutto cancellato, zero assoluto. Un sassolino senza importanza, un calcio e via. Era troppo bello per essere vero.

«Mai nessuno...» cominciò, ma le altre parole, se ce n'erano, si persero per strada. Avrebbe potuto limitarsi a dire che nessuno prima di lei era mai riuscito a capirlo, ma non era più solo questione della sua maniera tutta particolare di esprimersi: lei lo capiva anche in tutt'altro senso del termine. Non lo trattava come se grosso e poco eloquente volessero per forza dire anche stupido, tanto per cominciare, e qualunque cosa fuori dalla norma facesse o dicesse, continuava a non fare una piega. Un nodo residuo di tensione da qualche parte nelle sue viscere c'era ancora, ma via via che quel colloquio decisamente sopra le righe proseguiva, senza che se ne rendesse del tutto conto gli si erano sciolti i muscoli. Lo metteva a suo agio in un modo che non aveva mai sperimentato prima.

«Be', non sanno cosa si perdono. Ora basta chiacchiere, le faccio conoscere anche mio figlio».

«È una prova anche questa?» Wow, cinque parole di fila, si era proprio imbaldanzito.

«Se la vuole vedere così... Gomez!»

Le boccate di fumo raggiunsero la stanza prima di lui. Tra il sigaro e i baffi, pareva un adulto magicamente ristretto: solo la forma ancora infantile del viso tradiva la sua giovinezza, pur sepolta sotto uno spesso strato di tratti che sembravano non appartenergli. Il solito, vecchio buonsenso si preoccupò per la salute del piccolo per circa due secondi prima di essere soffocato prepotentemente dalla parte di lui che aveva semplicemente smesso di stupirsi, anestetizzata dal fuoco continuo di stranezze quasi più grandi delle sue. A meno di non essersi sbagliato di grosso sull'età di uno dei due o di entrambi, la signora Addams sembrava troppo vecchia per essere sua madre, ma se lui aveva già i baffi, forse anche lei aveva quell'aspetto da molto tempo... se c'era una cosa che aveva capito, era che niente in quella casa era come appariva a prima vista.

Il bambino lo guardò con tanto d'occhi, facendogli precipitare lo stomaco sotto le scarpe. Eccone un altro che lo fissava come un animale allo zoo. Forse si era illuso. «È il tipo che ti dicevo!»

«Be', questo cambia le cose...»

Lurch bruciava dalla voglia di chiedere delucidazioni. Lo conosceva già? E come? Che cosa significava per le sue possibilità di ottenere il posto, visto e considerato che la signora Addams pareva riflettere seriamente sull'ultimo dato appreso come se potesse avere un'influenza cruciale sulla sua decisione?

«Mamma dice che non devo parlare con gli sconosciuti, ma te lo devo proprio chiedere: che cosa sei andato a fare al cimitero ieri?» Sua madre parve volerlo fulminare con lo sguardo, ma quella sua scintilla di divertimento la fece fallire miseramente.

«Pensavo».

«Bella risposta. Gomez, lui si chiama Lurch ed è qui per il colloquio di lavoro. Ecco, adesso non è più uno sconosciuto, contento?»

Gomez lo squadrò per benino da cima a fondo. «Non mi sembra come gli altri che ci hanno provato». Lurch sospirò. I bambini a volte erano i peggiori: nella loro innocenza facevano molto più male degli adulti, che avevano imparato a ricoprire le loro parole con un po' più di zucchero.

«Acuta osservazione, caro».

Intanto il piccolo continuava a passarlo ai raggi X. «Ehi, guarda che intendevo in senso buono...»

«Davvero?»

«Sicuro! Non avevo mai conosciuto nessuno che andasse al cimitero per pensare, a parte la mamma e me. Mi sa che hanno tutti troppa fifa. Di cosa, non lo so».

«A me piace». Stare a discutere con un bambino appena incontrato il fatto che un'occasionale passeggiatina silenziosa tra i morti fosse molto più produttiva di dieci conversazioni con persone vive continuava a sembrargli inopportuno, ma forse questo qui faceva eccezione.

«Anche a me. È l'unico posto all'aperto dove vado a giocare».

«Mi fa piacere che andiate d'accordo. A proposito, il secondo test è passato a pieni voti».

Lurch sorrise di nuovo, con meno esitazione del solito. Un altro passo era compiuto. Ora veniva la parte difficile: confessarle che non aveva mai fatto il maggiordomo prima. Se questo non avesse mandato in mille pezzi la prima impressione inaspettatamente buona che le aveva fatto, allora voleva proprio dire che era scritto nel destino (in cui stava cominciando a credere proprio in quel momento, tra l'altro).

«Sai che hai una faccia simpatica?»

E due. Ancora un po' e si sarebbe montato la testa! Da quando in qua una faccia come la sua era simpatica? L'ultimo bambino della sua età che aveva osato guardarla era scappato urlando, per l'amor del cielo.

«È quello che ho cercato di fargli capire anch'io. Torna pure a giocare, da qui in poi parleremo di cose un po' più noiose».

«Posso restare? Voglio vedere come se la cava». E si piazzò in poltrona con l'aria soddisfatta del principino di casa senza nemmeno aspettare di ottenere il permesso. Grandioso, un altro membro della famiglia pronto a sottoporlo a scrutinio. Normalmente l'avrebbe sottovalutato, definendolo “solo un bambino”, ma nel caso di Gomez la parola “solo” strideva parecchio.

«Testardo come un mulo, questo qui. Non avrebbe problemi a farsi coinvolgere in giochi un tantino turbolenti, vero?»

«Con le esplosioni?»

Gomez lanciò un tale grido di giubilo che Lurch dovette sforzarsi per sentire il sommesso: «Se n'è accorto, eh?»

«Non c'è problema. Spalle larghe». Si era appena cacciato in un guaio più grosso di lui, il che era proprio tutto dire, ma quanto potevano essere pericolosi gli scoppi se una madre lasciava che fossero il giocattolo prediletto di suo figlio?

«Ottimo. Prossima domanda, che di solito è la prima, ma ormai è da un pezzo che facciamo le cose alla rovescia: esperienze precedenti?»

Eccolo, il momento che temeva di più. «Nessuna» borbottò, decidendo che le punte delle proprie scarpe fossero una visione da non perdere.

«Accidenti. Visto l'andamento, quasi quasi mi aspettavo delle referenze spettacolari». Gli sfuggì un sospiro. Addio alle sue possibilità. «Vede che ho fatto bene a cominciare il colloquio un po' diversamente? Se fossimo partiti così, forse non saremmo mai arrivati a questo punto. Dopo quel che ho visto, Lurch, posso dire solo una cosa: si farà le ossa prima o poi».

«Sul serio?»

«Le pare che scherzi?» ribatté, piccata.

«No, signora Addams». Ecco, magari con un po' di cortesia extra si sarebbe rimesso in carreggiata...

«Appunto. Ora, non abbiamo altra servitù in casa, anche se Mano è tanto gentile da fare la sua parte, quindi, nel caso ottenesse il posto, il suo sarebbe un lavoro molto vario. Dunque, vediamo: le direi che deve fare le pulizie e riordinare, ma le mie idee di ordine e pulizia sono... un caos organizzato, ecco. Capirà con la pratica. Poi sarebbe l'ideale se se ne intendesse di riparazioni e fai-da-te: mantenere in buone condizioni tutte le botole, assicurarsi che le porte non perdano quel simpatico cigolio, questo genere di cose. Non mi dispiacerebbe un aiuto anche in giardino, ma più che il pollice verde ci vuole il pugno di ferro, quindi se ha bisogno di qualche informazione in più la biblioteca è lì che l'aspetta, non pretendo che sappia tutto».

«Ehm... sono richieste particolari». Gli girava un po' la testa. Finora non sembrava un grosso problema, anche se non aveva mai sentito dire che una porta in buono stato dovesse cigolare, semmai l'opposto.

«Oh, lo so. Ce ne sono anche un paio che forse poteva aspettarsi, come annunciare e servire i pasti e occuparsi degli ospiti. Finora sono stati pochini, tra parentesi, ma non si sa mai. In queste si riconosce un po' di più?»

Fu come scendere a terra dopo un viaggio in mare decisamente turbolento. «Sì, signora Addams».

«E ritiene di saper fare tutte queste cose in modo accettabile?»

«Lo spero».

«Mente aperta, un bel sorriso e pure modesto. Sta' a vedere che abbiamo fatto centro».

«Gli piace il cimitero e non ha paura delle cose che esplodono» commentò Gomez con un'alzata di spalle. «Per me può anche restare per sempre».

«Sarà felice di sapere che il suo è il colloquio più lungo finora. Nessuno degli altri è riuscito a durare fino a questo punto: ancora un paio di dettagli da curare e il posto potrebbe essere suo».

Il cuore di Lurch diede una brusca accelerata. Possibile? Non stava sognando?

«Mi dica» rispose educatamente, chiudendo con un grosso tappo di buone maniere la bottiglia di seltz delle sue emozioni, a cui quell'ultimo annuncio aveva dato una vigorosa scrollata.

«Ha la patente?»

«Sì, signora Addams». Le sue abilità al volante erano parecchio arrugginite, dato che le occasioni di metterle in pratica erano rare, ma sua madre aveva insistito fino alla nausea per fargliela prendere. Segno di distinzione, diceva lei. Saper guidare conferiva un'aria da grand'uomo che poche altre attività potevano dare. Contenta lei...

«Un problema in meno. Può fare anche da autista senza avere guai con la legge. Comunque, non sarebbe stata una tragedia se avesse risposto di no: ci piace la guida spericolata...» L'ultima parola parve rimanere sospesa nell'aria per qualche istante di troppo, minacciosa. Si sarebbero messi tranquillamente nelle mani di un guidatore senza alcuna esperienza? Quello era istinto suicida, non amore per il rischio! Fortuna che possedeva il suo bravo documento... ma via, le riflessioni sulla visione del mondo dei suoi potenziali datori di lavoro potevano aspettare. Lasciarsi distrarre ora sarebbe stato niente di meno che un crimine.

«Va bene». Francamente, ormai era così vicino alla meta che pur di raggiungerla si sarebbe offerto di scarrozzarli in giro anche in risciò.

«Perfetto! E adesso viene il bello: se io le dicessi che in questa casa il massimo del lusso non è un letto morbido, ma uno di chiodi, e che il nostro tè delle cinque è fatto per lo più di cicuta, riterrebbe ancora di poter sopravvivere qui dentro?»

«Mai provato» replicò cautamente. La risposta più ovvia sarebbe stata “no”, ma non poteva rovinare tutto. E poi, a ben pensarci, non era lui quello che da piccolo aveva avuto il vizietto di ingoiare qualunque cosa senza finire mai all'ospedale, non perché la sua famiglia non potesse permetterselo, ma perché non si sentiva male affatto? Era sopravvissuto senza fare una piega perfino a un termometro a mercurio, vetro e tutto. Non era lui che, per quanto andasse indietro con la memoria, non rammentava nella sua infanzia neanche una ferita banale quale un ginocchio sbucciato, come se fosse stato rivestito di una scorza un po' più dura di una pelle comune? E non era sempre lui che se si buttava su un materasso troppo soffice non lo trovava scomodo lì per lì, ma se osava passarci la notte si svegliava con la schiena completamente irrigidita? Sotto sotto, il suo gigantesco corpo era sempre stato o molto resistente o montato al contrario.

«Comprensibile. E se ci provasse, la sua prossima visita al cimitero sarebbe da vivo o da morto?»

«Vivo, credo».

«Alleluia! Il prossimo aspirante se ne tornerà a casa con la coda tra le gambe. Lei è assunto».

Altro che esplosioni, qualcuno doveva appena avergli fatto scoppiare una bomba dentro la testa, mettendogli il cervello del tutto fuori uso. Ringraziare? Non era certo che fosse appropriato. Esultare? Sarebbe solo sembrato stupido. Restare lì a fissarla senza dire niente? Scemo e pure ingrato. Non gli restava che dar fondo a un altro dei suoi lasciapassare universali per quando le parole non funzionavano.

«Ah, lasci stare, chiunque sarebbe in difficoltà. Benvenuto. A occhio e croce posso cominciare a darle del tu, diciamo dalla prossima frase. Gomez lo fa già da un pezzo, ma lui entrerebbe in confidenza con i muri se potesse. Un'ultima cosa...»

«Sì, signora Addams?»

«Sai suonare?»

Lurch aprì la bocca per dire di sì e poi la richiuse per timore di sembrare poco modesto.

«Oh, andiamo, ho visto benissimo come guardavi il clavicembalo. Solo un cieco o uno sciocco non se ne sarebbe accorto, e io non sono né l'una né l'altra cosa. Allora?»

«Suono il piano» precisò, cercando con tutte le sue forze di non illudersi che la piega presa dalla conversazione significasse quello che pensava, anche se in fondo il fatto di doversi rimproverare da solo voleva dire che era già troppo tardi.

«Ti abituerai alla differenza dopo un po'. Vuoi provare?»

«Adesso?»

«E quando, il trenta febbraio?»

Il suo stomaco prese vita, ma non era sicuro se si trattasse della tensione che tornava a tormentarlo o di una danza di felicità. Era come essere di nuovo al locale, eppure non lo era, perché sapeva che i suoi due ascoltatori – ops, tre, rettificò mentalmente vedendo spuntare Mano da una seconda scatola poggiata sullo strumento... via, era giustificabile non averlo contato, siccome non aveva orecchie – non sarebbero scappati. Lo sgabello, verificò, lo reggeva benissimo, il che era già un piccolo miracolo, ma aveva urgente bisogno di essere regolato in funzione della sua altezza. Tanto meglio, aveva qualche secondo in più per decidere cosa suonare. Non aveva la più pallida idea di cosa potesse piacere ai suoi nuovi padroni. Si crogiolò per un istante in quell'espressione, godendosi il successo e insieme cercando di capire una volta per tutte se l'idea di essere un servo gli desse fastidio. Forse, sotto chiunque altro, il suo amor proprio avrebbe recalcitrato, ma con gli Addams ne valeva la pena. Solo durante il colloquio gli avevano già dato così tanto – comprensione, accettazione e approvazione come non ne aveva mai conosciute – che in cambio avrebbe accettato qualunque condizione. E all'improvviso seppe esattamente quale brano le sue dita avrebbero messo insieme per loro: Beethoven, l'Inno alla gioia. La sua.

  
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