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Autore: None to Blame    08/05/2013    3 recensioni
Nessuno vuole ascoltare della vita normale.
La gente ama gli eroi, vuole Batman che salva il mondo, Garibaldi che fa l’Italia; vuole sentirsi dire che Achille e Giasone erano belli e valorosi; la gente vuole gloria eterna e bicipiti alla Popeye.
E poi ci sono io. L’antieroe. Novantanove chili di quotidianità e bollette da pagare. Sono l’uomo medio che arriva a fine mese con un futuro da fallito, Sancio Panza che vuole diventare Don Chisciotte – perché nella melma ci affondi comunque e tanto vale farlo inventandosi le proprie battaglie.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Aveva una cravatta rossa, allentata per via del caldo. I primi bottoni della sua camicia erano stati liberati. Mi aspettavo che uno o due peli a ricciolo facessero capolino, ma forse bisognava sbottonare anche il terzo. L’avrei fatto, lì e in quell’istante e poi avrei affondato i denti nel suo collo per vedere se era davvero morbido come sembrava. Ma con lui c’era la sua donna, una bella femmina con lenti spesse e rossetto accecante. Lui doveva aver finito presto a lavoro e lei lo aveva accompagnato a fare la spesa.

Sembrava una brava ragazza, ma la odiavo.
Odiavo le sue tette minute che si sollevavano quando respirava e odiavo i suoi capelli lucidi, il modo in cui rideva, sembrava il tintinnio delle posate d’argento contro un calice.
E odiavo la fede, quella piccola fascetta dorata che portava al dito.

« Sono quattordici tondi tondi » annunciai abbassando lo sguardo. Lei mi sorrise ed estrasse dalla borsa il portafogli, mentre suo marito ci ignorava per la sua ennesima telefonata di lavoro.

Stava sempre al telefono, Piergiorgio Biancofiore, milanese di nascita, naturalizzato palermitano e napoletano per scelta, da esattamente un anno e otto mesi. Era un avvocato, uno di quelli che di scrupoli se ne fanno pochi. Era quel genere di uomo che non ama rendere conto alla gente, superiori o sottoposti.
Si era scelto la professione perché inseguiva il sogno di suo padre e poi si era ritrovato con un pugno di mosche (me lo confessò quell’unica volta che riuscii a beccarlo sotto al piedistallo, con qualche bottiglia di birra ed una canna fra le dita. Mi disse che voleva proteggere il giusto e l’innocente e si era ritrovato a parare il culo di criminali di bassa lega, scugnizzi e uno o due pezzi grossi sotto inchiesta. Aveva soldi e potere e tutto quello che un uomo desidera. Lo stereotipo del personaggio di successo, che ha tutto e poi si ritrova con niente. Quella sera mi innamorai sul serio di lui).

Era un uomo che quando cagava faceva soldi e potere aromatizzati all’acqua di colonia e poi si rigirava nel letto con l’anima tarmata.

« Ecco a lei » la moglie mi porse venti euro. Aprii il registratore di cassa e ci infilai la banconota. Cercai fra gli spiccioli i venti e i dieci centesimi. A quella donna mai avrei dato una delle mie preziosissime monete da un euro.

« È curioso, sa? »

Mi girai a guardarla. Aveva quell’espressione compatente che avevo visto troppe volte in faccia a mia sorella. Mi faceva ribollire il sangue.

« Cosa è curioso? »

« Giurerei di averla vista all’Istituto di Cultura Meridionale, avantieri. C’era la conferenza del professor Felletti sul caravaggismo a Napoli »

Inclinò la testa e mi sorrise, scrutandomi ancora come alla ricerca di qualcosa, di un pezzo del puzzle che non si incastrava bene.

Io mi dovetti trattenere dall’usare un tono irritato « E cosa ci sarebbe di curioso? ».

« Oh, beh, sa… » lasciò cadere la frase, scoccandomi un’occhiata imbarazzata.

Quasi mi scappò un sorriso. La signora aveva confermato i miei sospetti: era una snob cresciuta a pane, cliché e gite a Capri.

Era la prima volta che la incontravo sul serio, quella Giovanna Biancofiore, nata Depretis, e fui felice che mi avesse fornito un pretesto per detestarla. Di lei sapevo solo che non usava mai il cognome da ragazza, nemmeno sul lavoro. Faceva da assistente in uno studio dentistico dalle parti dell’Arenella e pareva si fosse laureata alla Suor Orsola.
Del resto, mi bastava saperla maritata con Piergiorgio per farmi il quadro completo.

La signora, incapace di sostenere il mio sguardo, abbassò il viso, alla ricerca di una scappatoia. Mi fece tenerezza e poi non mi andava che mi compatisse, che mi confermasse quello che tanto mi confermava ogni giorno lo specchio del bagno.

« Lo dice perché pensa che potrei non avere mai tempo? Con il negozio e tutto il resto… » e “tutto il resto” stava per “quarantaduenne di quasi cento chili, calvizie incipiente e le rosee prospettive di un calamaro sulla brace”.

Sapevo di essere un fallito. Il passo più grande della mia vita era stato smettere di fare il mammone parassita e prendere in affitto un appartamento, perché mio padre non mi voleva più tra i piedi. (L’unico neo era che il suddetto appartamento era giusto un piano sopra la casa dei miei.)
Che differenza faceva dimostrare di avere degli interessi, un cervello ed un bagaglio culturale non indifferente? Solo un motivo in più per essere compatito, consolato e rifiutato dal resto della società come “né carne né pesce”. Perché a questo siamo arrivati: se sei uno di successo, sei sveglio e in gamba; se sei un incompetente, in sostanza sei un coglione analfabeta.

La donna mi sorrise, riconoscente ed annuì. In fretta, afferrò le maniglie della busta e richiamò il marito, che stava in piedi vicino ai detersivi e parlottava a bassa voce nella cornetta. Piergiorgio le fece un cenno e la seguì fuori dal negozio.

« Ci si vede, Ciro » mi sorrise ed uscì, col suo profumo disturbante e la voce calda che rimbombava nelle orecchie.

Io nemmeno gli risposi. Me ne stavo appoggiato al marmo che copriva il ripiano della cassa, sentendomi sconfitto.

Non mi bastava essere un fallito che non sapeva cucinarsi una frittata da solo, con un negozio familiare da mandare avanti, i proventi da dividere con quella sanguisuga di mia cognata, un’ossessione morbosa per un bellissimo avvocato difensore di camorristi, sposato e non interessato al genere, una bega legale fra eredi (e purtroppo consorti) e senza nemmeno il tempo per scordarmene la sera. No, non bastava. Oltre al danno, pure la beffa. Compatito da una venticinquenne.

Sbuffai e guardai l’orologio. Mancavano cinquanta minuti all’ora di chiusura.
Mi sedetti sullo sgabello, ignorando i tentativi di conversazione di Kamal, il marocchino che avevo assunto come factotum. Un ragazzo con buona volontà da vendere. Non sapevo molto sul suo conto, ma neanche mi interessava quello che gli era successo a casa sua da spingerlo a venire qui.
Avevo messo un annuncio e lui si era fiondato in negozio il giorno dopo. Quando gli avevo detto che non avrebbe lavorato in nero quasi si era messo in ginocchio a baciarmi i piedi. Aveva pianto e io l’avevo abbracciato. Mi chiamava “signor Mazzini”, spaccava il secondo e mai mi mancava di rispetto.
Le gratifiche se le meritava tutte, fino all’ultimo centesimo.  

Cinque minuti più tardi, dopo che ebbi preso in considerazione l’idea di chiudere in anticipo, entrò una delle ragazze che abitavano dietro l’angolo e andò dritta al reparto frigorifero, studiando le tipologie di yogurt presenti.

Nella zona, avevamo un sacco di universitari. Mio padre aveva aperto il Mazzini e figli (ai tempi belli quando eravamo alti un metro e un barattolo e ci portavamo dietro denti da latte e calzoncini corti) a quaranta metri dal Museo, nel pieno centro della zona universitaria. Facevamo affari con gli studenti in cerca di patatine da sgranocchiare sulle scale della facoltà o di coraggiosi che, alle sei del pomeriggio, compravano farina e lievito e qualche melanzana per farsi una cena salutare – e poi li vedevo, due ore dopo, attraversare la strada con i cartoni delle pizze in mano.

« Prendo questi »

La ragazza aveva scelto una maxi confezione di yogurt magro e due banane. Una salutista. O una disperata sotto esame.
Mi piaceva analizzare i miei clienti. Era un passatempo come un altro ed alcuni di loro evitavano il mio sguardo proprio perché temevano di essere giudicati - figuriamoci, un quarantenne senza futuro che giudica una giovane laureanda.

« Uno e ottanta » feci con tono professionale. Le diedi lo scontrino e lei mi passò le monete – contate, per fortuna. Salutò ed uscì.

Mi concessi un sospiro.

Forse avevo bisogno di compagnia. Preferibilmente, della compagnia di Piergiorgio, che voleva essere chiamato Piero, ma il suo nome era bello così, articolato e ricco.
Qualcosa doveva pur smuovere le acque. O avrei dovuto smuoverle io. Decisi di parlarne con mia madre. La cosa positiva della faccenda era che lei non provava gelosia nei confronti di chi mi piaceva. Non portavo mai malafemmine in casa né ingravidate che volevano essere sistemate, perciò poteva esserne orgogliosa. Più o meno.

« Stanco, signor Mazzini? » Kamal, le mani affondate nelle tasche del grembiule, mi sorrideva dal bancone dei salumi.

« Un po’. »

« Che fa stasera, signore? »

Una sega disperata davanti a video porno amatoriali che si bloccano a ogni grugnito dei personaggi, pensai.
La noia uccide l'uomo. Ed io vivevo di routine e sogni distanti.

« Il solito. »
 
 
 

 
 
 
 















NdA


Salve! Spero vi sia piaciuto! Ero stufa dei soliti personaggi, perlopiù giovani studenti o al massimo giovani in carriera. Ecco qua uno che tanto giovane non è. L'antieroe, appunto. Spero davvero vi piaccia!
Primo capitolo un po' vago per presentare il protagonista ed alcuni personaggi. Una breve paronamica sulla vita di Ciro e sul suo modo di pensare.
Vedrò di aggiornare con frequenza bisettimanale. 

Grazie per essere arrivati fin qui nella lettura!

Se volete lasciarmi un commento, ve ne sarò grata. Siate crudeli e senza cuore con le critiche, mi raccomando! 




Poscritto.

Se fra di voi ci fossero quelli che seguono le mie fanfiction, vi dico che il mio "brutto periodo" sembra essere finito e potete aspettarvi i nuovi capitoli a breve! Yay!


   
 
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