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Autore: _hisirisheyes    08/05/2013    2 recensioni
Vorrei far emergere la vera me, una volta tanto. Quella ragazza che mi sono compressa dentro, a causa del giudizio della gente, che di fesserie ne sputa a palate tutti i santi giorni.
Quella ragazza capace di tingersi i capelli dei colori più pazzi, che non ha paura di mostrarsi 'eccentrica', 'diversa'. E tutte quelle qualità che vengono considerate negative, strane, da evitare.
Quella ragazza che, se le proponi di andare per le strade, cantando con le mani al cielo, senza pensarci due volte.. esce di casa e semplicemente lo fa.
Ma questo mondo è vittima di routine e formalità, 'sto mondo non lo accetterebbe, non lo vuole e basta.
Mi squadrerebbe dai capelli alle converse, se mi permettessi di farlo.
Cosa c'è di male nello smaltarsi le unghie coi colori che saltano da rosso al verde, dal giallo al blu?
Cosa c'è di male nell'indossare un vestito con un paio di converse?
Ma soprattutto: cosa c'è di male nell'essere se stessi?
Bah, son sempre la solita, io! Pff, neanche il tempo di presentarmi che vi annoio già facendovi entrare nella mia testa. Piena di adorabili pensieri contorti.
Temo che dovrete farci l'abitudine..
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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1

ADDIO SHORTS, BENVENUTE FELPE!
 
“Non sono sicura della cosa. Tu?” – le chiesi.
Un’ altra estate stava volando via, come un uccellino che aveva appena imparato a volare e ormai aveva deciso: non avrebbe più toccato terra.
Fatto sta che Dafne era decisa ancor più di un uccellino in volo: voleva andarsene. Punto.
“Sì, sono sicurissima. Questa cosa significa molto per me.” – ecco che ricominciava – “Ma proprio non lo capisci, Anna? È molto importante per me e neanche tu puoi impedirmi di andare un po’ dove voglio, magari mi rifaccio una vita..” – okay, ora questo mi rifaccio una vita stava diventando inquietante. “No, ma lo credi davvero? Vuoi prendere di nascosto dai tuoi un aereo di sola andata per Montmartre e non ritornare per un po’ di tempo (che neanche tu riesci a determinare) ?” – era tutta matta, lei – “E vediamo, come farai coi tuoi?” – le chiesi per la centesima volta.
“Ancora con questa storia!?” – sbottò lei – “Lascio un bigliettino di addio, non potranno mai immaginare dove mi trovi a quel punto.. Piuttosto, mi sembra più importante pensare dove dormirò, come mangerò.. tu hai già fatto la ricerca su interessanti camere di condominio?” – interessanti, le chiamava lei. Parola che in questo caso poteva anche significare lugubri appartamenti non muniti di servizi poiché quelli pubblici stanno apposto. Davvero non sapevo come reagire, pensavo stesse scherzando quando la prima volta che me lo disse, circa un mese fa, era tutta divertita del viaggio.
“No, dico sul serio. O ti trovi un lontano parente francese o cambi destinazione.” – ricominciai, come se mi andasse a genio la cosa – “Tu che dici? Non c’è proprio nessun parente che hai in Francia, possibilmente italiano?” – cominciai a ridere. Cioè, una di quelle risatine stupide di quando il professore fa una battuta squallida. Ridevo all’ idea di come sarebbe andata a finire questa storia del viaggio, di cosa sarebbe successo se.. chissà (?).. con lei fossi partita anch’io.
Avevamo solo sedici anni eppure anche mostrandone diciotto la cosa mi spaventava. Era forse normale, si, ma come minimo avrei dovuto fare qualcosa tipo gettarmi ai piedi di Dafne e dirle che siccome era la mia migliore amica dalle medie mi avrebbe portato via un pezzo di vita o non so cosa.
Di certo uscire via di lì era una cosa allettante. Non è che un piccolo paesino di 5.000 abitanti sia così interessante. Quindi, perché no? “Perché no?” – mi chiese lei di rimando. Mi fece seriamente impressione. – “Perché sì?” – mi parve l’unica ‘risposta’ logica ad una domanda del genere.
“Perché Montmartre è più bella di qua e ci sono posti da visitare che non immagini? Perché i ragazzi francesi sono più seri rispetto a quelli italiani?”
“No, la serietà non dipende dalla lingua che si parla” – abbaiai io.
“Va bene, va bene. Lo sai anche tu che non è quello il motivo!”
“E allora qual è?” – dissi con tono deciso, più di quanto volessi. Lei sospirò, insicura.
 
Era forse questo, l’ argomento di cui due sedicenni normalissime dovevano parlare?
No, pensai di no.
 
“Cambiamo discorso..” – accennai allora - “Sei pronta per dare il benvenuto a questo sole di settembre?” – vidi che Dafne era molto triste e quindi, dentro me, le chiesi se oltre al viaggio impossibile c’era qualche altra cosa che andasse storto: nessuna risposta.
Continuava a guardare fuori dalla finestra, incurante di ciò che dicevo e disinteressata a quella bella giornata estiva che prometteva una spiaggia meravigliosa. Sembrava volesse oltrepassare l’orizzonte, ma farlo coi soli occhi non le bastava.
“Ti voglio bene, Anna” – mi disse. E sembrava più profonda delle altre volte – “Ti assicuro che questo viaggio finirà bene. E se le cose andranno male, allora significa che non è ancora la fine.” – mi sorrise.
“Ehi, lo sai che ti voglio bene anch’ io, vero? E se Montmartre ti sembrerà troppo lontana ci andremo insieme.. e sai che ti dico ancora?” – le sue orecchie diventarono enormi – “Che se Montmartre insieme a me non sarà abbastanza ce ne andremo ancora più lontano!” – il sorriso le arrivò fino alle orecchie.
“Sincera!?” – mi domandò.
“Credimi” – le risposi non aspettando un attimo.
“Ragazze, la cena è pronta!” – vociò un tuono chiamato mamma dal piano di sotto.
“Arriviamo!” - dicemmo all’unisono. A poco di lì, io e Dafne avremmo frequentato il terzo anno di liceo linguistico e questo nuovo inizio si mostrava pieno di sorprese.
 
Mia sorella, che è al primo anno di liceo scientifico, continuava a giocare con tutto ciò che le capitava sottomano, come bicchieri e forchette, e a quel punto addio pace e quiete.
“Okay Mary, adesso basta!” – ruppi il silenzio – “Se io e Dafne sapevamo che avresti animato in questo modo la serata di certo saremmo andate a cena fuori, magari trovando qualcosa di meglio di un’ insalata di ma’!” – la rimproverai. “Ma che dici, Anna?” – fece Dafne – “Tua madre cucina benissimo.. e non ti preoccupare per Mary, non dà troppo fastidio” – ecco, una cosa su cui non andavamo d’accordo io e Dafne era proprio mia sorella.
“Possibile che ogni volta che usciamo lei fa la spia? E perché alla festa di Matteo, che era una festa della mia classe, me la sono ritrovata fra i piedi?” – cominciavo a prendere altri discorsi. Non centravano niente, ma il fatto che Mary godeva a vedermi sbollire mi dava ancora più fastidio.
“Basta! Anna, vai in camera tua e tu, Dafne, appena hai finito puoi ritornare a casa. Comunque grazie per i complimenti” – mia madre che si faceva condizionare dagli occhioni di Mary mi disturbava ancora di più, quindi filai di sopra e fino all’ indomani ne uscii di rado.
“Allora ciao Anna” – disse Dafne chiudendo la porta della mia camera – “E pensa alla stanza dove starò fra qualche mese!” – disse gridando perché potessi sentirla anche al piano di sotto – “Facciamo dove staremo tutte e due!” – la corressi io. Mia sorella se ne venne fuori con un – “Cosa? Tu e lei andate a vivere da sole!?” – aveva una faccia del tipo AdessoTiFaccioVedereIo – “Mamma!!!!” – urlò. Ma entrai subito nella sua camera e uscendo chiusi la porta a chiave prima che Mary potesse riafferrarla. Non potevo permetterle di rovinare tutto.
 
Il sole dell’ indomani piombò sulla mansarda di casa come le urla di Mary alle mie orecchie, che era rimasta (involontariamente) chiusa nella sua camera fino alle dieci di mattina, quando mi alzai dal letto e corsi ad aprirle.
“Non ti permettere più! Vedrai stanotte che bello dormire senza la possibilità di correre in bagno!” – disse sicura. “Tanto ho già nascosto la mia chiave dove non puoi trovarla neanche cercando fino all’ ultimo centimetro cubo!” – risposi decisa.
“È matematicamente impossibile!” – sbottò lei, tutta saputella. Quindi per calmarla (o farla alterare ancora di più, chissà?) le risposi sicura – “Ma se in questa casa la chiave non ci fosse e basta?” – mi guardò incredula. Poi fece un sorrisino odioso – “Come mai l’ hai data a Dafne, ieri? Credevi che non potessi arrivarci?” – ma quanta fantasia aveva, lei? Me lo chiesi senza poter rispondere – “Non l’ho data a lei, sarei stata troppo prevedibile!” – e lei mettendosi sopra il suo letto finì la discussione con un semplice – “Si, certo certo.”
 
La mia canzone preferita ruppe il silenzio mentre sulla scrivania stavo cercando di mettermi in testa tutte le date di storia: era da fare per le vacanze, ma sinceramente non so se pochi giorni prima dell’ apertura delle scuole si possono contare come vere e proprie vacanze.
“Dafne, ciao” – dissi fredda.
“Quale entusiasmo, l’hai fatta la storia? Gli ultimi due paragrafi, intendo.”
“Ecco, appunto.”
“Continuerai a rispondermi con parola-virgola-parola o dici che puoi aiutarmi a studiarli?”
“Boh, dipende.”
“Okay, basta.” – distaccò un attimo il cellulare per poter ridere – “Visto, ho cominciato anch’ io? Comunque. Ti va se passo da te fra mezz’ ora?” – ero con la coda ai capelli, il pigiama, i pantaloni extra-large della tuta e qualcuno voleva venire a casa mia a vedermi – “Okay, solo perché sei tu però.” – rise ancora staccando il telefono – “Guarda che anch’io sono struccata e sembro uno zombie! A dopo!”
Non passarono più di cinque minuti che i piedi di Dafne numero 37 fecero capolino davanti alla mia porta: felpa con stampa, jeans vecchi e chignon. Pensai che forse esistono zombie più belli di me.
 
“Allora, pronta per una bella ripassatina?”
“Direi di no” – dissi sorridendo e portando il libro di storia sulle gambe una volta scivolata nel letto.
“Allora, il 1789 è una data facile da ricordare.. o sbaglio?” – diciamo che alla rivoluzione francese c’ero arrivata anch’io. Ma per non deludere il faccino dolce che aveva abbozzai un – “Sì, può andare..” – e tutte piene di entusiasmo, forse più lei che me, cominciammo a ripetere in francese l’ una all’altra. Qualche volta, studiando sul libro di civiltà, ci scambiavamo un sorriso d’intesa passando sulla parola Montmartre, come fosse un’abitudine, come fosse una specie di sguardo al futuro per sognare un po’.
“..et donc Montmartre est la ville la plus charmante.. Ehi, ma mi ascolti!?” – mi rimproverò Dafne facendomi notare che fosse offesa. Ci restai male di rimando, poi decisi di sganciare la bomba – “Ho trovato una stanza!” – silenzio.
Io con un sorriso grande così e lei immobile. Ad un certo punto, dopo qualche secondo di sguardi reciproci notai che aveva gli occhi lucidi.
“Non ci credo, cioè..” – rispose lei restando impassibile. Manco fosse fatta di gesso.
“Eehm.. Ci sei, ragazza!? Ho affermato una piccola cosa, te l’ho detto ed è proprio così: ho trovato una stanza.” – dissi velocemente meravigliandomi a mia volta rendendomi conto di quanto fosse eccitante questa situazione – “Cioè, intendo un piccolo appartamentino in uno degli alberghi a tre stelle di Parigi, non vogliamo spendere troppo per l’alloggio, no? Quindi viaggeremo per la Francia, vedremo di tutto e mangeremo – si spera – benissimo. I soldi che ci risparmiamo ora sono quelli con cui compreremo vestiti e ritratti, ti va? Cioè, non è una grande idea Dafne?” – okay, forse avevo esagerato e tutte quelle cose non le avremmo fatte.. ma volevo convincerla a mia volta come lei aveva fatto con me.
“Allora!?” – sbottai.
“No, cioè.. ” – passò un po’ – “Wow, okay? È splendido, punto.” – lo disse come parte integrante del discorso, quel punto lì.
“Allora prenoto e andiamo a comprare i biglietti?” – dissi più seria.
“No, non prenotare per ora. Continua a cercare e aspettiamo di comprare i biglietti: sarà bellissimo!” – disse sprizzando felicità. Poi, però, lo sguardo di Dafne cambiò – “Ma come glielo diremo?” – questo non lo sapevo neanche io – “Partiremo negli stessi giorni in cui c’è la gita scolastica proprio in Francia.. ti sembra una buona idea?” – in effetti sembrava l’unica soluzione, quindi accennai un – “Faremo firmare la gita ma non presenteremo il modulo ai prof” – mi stupii di quello che avevo detto – “in questo modo i genitori pensano che siamo in Francia con la scuola (ma solo la prima parte è vera), quando invece i professori sanno che non siamo mai partite. Capisci?” – mi guardò sorpresa portando la testa di lato con gli occhi fissi su di me, poi replicò – “Non ti facevo così mascalzona, Anna!” – con un sorriso stupido alzai le spalle e guardai il portatile: voli low cost, aspettateci!
 
“Sbrigati, sbrigati! Attenta a quella macchina, aspetta ti prego! Okay, adesso fermati.. no, forse dovremmo girare di là.. oppure no, forse ci siamo perse. Un’altra volta.” – queste le parole che riempirono la mattina del giorno dopo, mentre io e Daff ci sbellicavamo dalle risate per aver scoperto di non saper leggere nemmeno una cartina stradale.
“Davvero l’agenzia viaggi è così lontana? Di questo passo, quando saremo arrivate la scuola sarà già partita!” – se c’era una cosa che non amavo di lei, era il modo in cui rendeva peggiori certe situazioni già molto difficili – “Ma è dietro l’angolo, non vedi? Adesso giriamo di qua e..” – sentii un urlo – “Attenta!” – e fu così che boom, finii dritta contro un palo della luce. Sembrava che un’auto mi avesse fatto la doccia correndo sulla strada durante una tempesta, tanto ero furiosa!
“La prossima volta, non piegarti in due dal ridere, magari fammi da air bag quando succede!”
“No davvero, sei stata proprio buffa Anna!” – aspettai che finisse di ridere – “Dovevi vederti! Un signore si è girato a guardare come a dire se fossimo due matte, te l’ assicuro!” – rideva come se niente fosse.
 
“Voli per Parigi? Controllo subito signorine!” – stava digitando velocemente sul palmare, quando a un certo punto il ragazzo dell’agenzia distolse gli occhi per chiedere – “Ma siete maggiorenni, giusto?” – E ora? Avrei dovuto aspettarmi quella domanda, potevamo almeno portarci il fratello maggiore di Daff, lei non ci aveva proprio pensato? – “Sì, tutte e due.” – mentì Dafne – “Lei 18, io 19 anni.” – ma bene, non ci eravamo neanche consultate che già si metteva a dire fossi io la più piccola – “Sicure? Avete le carte d’identità?” - a quel punto non potevo fare a meno di guardarla. Lei aveva mentito, lei avrebbe vuotato il sacco. Era giusto così, no?
“Le abbiamo dimenticate, sono proprio necessarie?” – abbozzò Daff.
“Sì, temo di sì” – il ragazzo cominciava ad insospettirsi e io di conseguenza a preoccuparmi..
“No aspetta, io ce l’ho” – non so come, ma uscii la carta dal portafogli e gliela mostrai.
“Okay, qui c’è qualcuno che sta cercando di prendermi in giro. Chi delle due?” – adesso si stava proprio arrabbiando.
“Ci deve essere un errore!” – era davvero così che Dafne pensava di risolvere la situazione? – “Ecco, io però ho veramente 19 anni.” – certo, falsificando la carta ci sarei riuscita anche io. Sembrava tipo i soldi del monopoli, sul serio il ragazzo ci era cascato? – “Va bene, allora può andare.. avrete i vostri biglietti.” – sì. Ci era cascato in pieno.
Dieci minuti dopo, uscimmo di lì tutte raggianti, ma io un po’ arrabbiata con Daff.
“Ma non è splendido? Andremo a Parigi.. puoi prenotarlo adesso l’appartamento!” – va bene mentire ai genitori, quello non mi pare sia illegale. Ma far girare carte d’identità falsificate cominciava a non piacermi.
“Infatti, ci manca di prenotare la stanza, far firmare i moduli scolastici che finiranno dritti nel cestino e.. fare le valigie entro due mesi, quando partiremo.”
“I professori hanno fatto bene ad avvisarci della gita al secondo anno, in modo che siccome al terzo anno partiamo subito avevamo il tempo di convincere i genitori!” – rise Dafne pensando all’estate passata in ginocchio davanti a suo padre per andare a Parigi, come programmato dalla scuola – “Quindi è per questo che prenoterai l’appartamento lì?” – in questo senso ero stata davvero molto astuta, lo riconoscevo – “Sì, così mamma e papà non sospetteranno niente! L’albergo è lo stesso, il programma ovviamente no!” – e lì scoppiò una risata. Perché la vacanza-studio sarebbe diventata una vacanza-shopping.
Arrivate a casa, i moduli da compilare furono firmati e l’appartamento prenotato. Mancavano soltanto le valigie.
“E se lo scoprissero?” – domandai a Dafne.
“Beh, se lo scoprissero saremmo delle sedicenni in punizione a vita che hanno visto Parigi dalla torre Eiffel” – mi sorrise.
 
L’indomani sarebbe cominciata la scuola e io e Daff continuavamo a ripetere gli Stati Uniti, le declinazioni in latino, dialoghi in spagnolo.
“Piccola pausa?”
“Piccola pausa” – affermai.
 
“Non sopporto il senso di ansia che mi ha rapita circa tre ore fa, tu!?” – erano le tre di notte e si era deciso di dormire insieme, noi. Come si fa a svegliare la propria migliore amica (che cercava di dormire) nel cuore della notte?
“Comincia a contar le pecore, allora!” – dissi bruscamente. L’ avrebbe fatto davvero?
“O magari a ripassare grammatica!” – okay, non avevamo ripassato i verbi irregolari, ma che centrava ora? Avevamo studiato tante altre cose, non potevano interrogarci proprio su quello. O sì?
“Stai calma, andrà tutto bene. Te l’assicuro, amica mia.” – dovevo prima assicurarlo a me stessa, però.
Sbuffò, forse non le piaceva l’aria pesante, pensai. Ma neanche un attimo dopo mi resi conto della crudele realtà: un calcio mi arrivò dritto sullo stinco. “Dafne!” – “Scusa..” – “Il problema è che non trovi una posizione comoda, giusto? Ecco, però non direi che appiccicarsi a me sia la soluzione..” – avevo voglia di dormire, per cui ero molto irritata.
 
Pochi minuti dopo mi accorsi dei lievi singhiozzi di Dafne. Di lì a poco, avrebbe cominciato a piangere.
L’abbracciai da dietro dicendole che se era per l’inizio della scuola poteva stare tranquilla, ma intuii che non era quello il problema.
“Se posso aiutarti, dimmelo. Davvero, non ti preoccupare.. il sonno si recupera, una confidenza con la tua migliore amica nel cuore della notte no.”
“Sai il vero motivo della mia decisione? Riguardo il viaggio, dico.”
“No, in effetti no.” – dissi io, dando voce ai miei pensieri – “Prova a spiegarmi” – continuavo ad abbracciarla senza poterla guardare negli occhi.
Comunque, a causa del buio pesto non avrei potuto ammirarle lo stesso. Quelle sue perle scure, sempre curiose depositarie di sentimenti.
Aveva dei bellissimi occhi. Gliel’avevo mai detto?
“Desidero cambiare me stessa. Desidero cambiare il mondo intorno a me.” – la sua serietà quasi mi faceva impressione, stavo cominciando a crederle. Crederle mentre piangeva, crederle mentre col cuore in mano mi confessava ciò che aveva dentro, come non aveva mai fatto. Come se non l’ avesse mai fatto.
“Si dice che i cambiamenti siano una benedizione. Che portino qualcosa di buono.” – le risposi io.
“Sì, si dice che certe cose belle finiscano, per far poi spazio a quelle migliori.” – sorrisi.
“Per cose belle intendi un rapporto normale coi tuoi, amica?” – credo che sorridesse anche lei, a quel punto.
“Sì, e per cosa migliore intendo scoprire il mondo intorno a me.” – si girò per guardarmi e mostrarmi quelle dolci perle nere, nonostante il buio fosse davvero tanto a quel punto – “Vorrei proprio scappare, io.” – interessante. Un’ amica che ti dice così, ti trasmette voglia di andar via anche tu, ma chi lo sa che non si riferisca al fatto che intenda scappare via da te? Decisi di chiederglielo.
“Vuoi scappare. E scappare da chi? Da cosa? Questa vita in cui ci sono io?” – le accarezzai le onde che i suoi capelli le facevano sulla spalla, mi piacevano tanto i suoi capelli.
“Vorrei tanto scappare” – riprese – “Con te.”
“Anch’io. E lo faremo, giusto?”
“Mi piacerebbe tanto, lo sai questo.” – ammise – “Lo sai, giusto?”
“Non sarei qui se non lo sapessi.”
“Ti voglio bene” – sussurrò con la voce più dolce che mai.
“Anch’io.”
 
Sul sentiero di ciottoli bianchi, mi accorsi di che qualcosa era cambiato dall’ anno precedente: la scuola aveva un’aria diversa. Ma no, non la scuola come edificio, dirigente o professori, la scuola come studenti, come ragazzi che vivono le loro emozioni lì dentro. Pensai che forse dovevo solo abituarmi di nuovo all’aria pesante che regnava in classe, alla malinconia dei corridoi e i ricordi delle scritte indelebili sugli specchi e le mura dei bagni.
“L’ hai già vista?”
“No.. Tu?”
“La vedi!?”
“Dove?”
“Ma guardala, ma che fa?”
Uno sciame di parole continuava costantemente a ronzarmi intorno, una di quelle cose che non sopportavo fin dall’elementari.
“Ehi!” – sbottò Daff contro il mio zaino – “L’hai vista, giusto?” – cominciavo a preoccuparmi.
“Cosa!? Chi, dove, quando?” – mi ero stufata di quei sibili a scapito di qualcosa. O qualcuno.
“A ore 3.00, vedi?” – no, non vedo.
“No, non vedo.” – ammisi di rimando.
“La ragazza appiccicata contro la corteccia di quel pino, hai presente? Capelli strani, vestiti come fosse un arcobaleno, l’atteggiamento che ha avuto prima con quel ragazzo..” – ma che problema aveva? A me sembrava una ragazza normale. Ma le mie orecchie non avevano tralasciato l’ultima osservazione di Dafne.
“Quale ragazzo? Quale reazione?” – lei cominciava a stufarsi di quelle domande, ma avevo bisogno di saperla, qualche cosa.
“Matteo, lo stesso che ha organizzato la festa a cui abbiamo partecipato l’anno scorso, ha detto che era una ragazza strana, ma che le piaceva per questo.” – il ricordo di quella festa non era molto positivo, ma ringraziavo Daff per non essersi soffermata su quello - “Certo, l’ha detto atteggiandosi, i suoi amici ridevano con lui e Matteo stesso aveva una faccia da stupido, ma..” – continua, continua per favore, imprecavo dentro di me – “Ma poteva anche evitare di sbattergli la schiena contro il tronco, stava solo giocando con lei, probabilmente aveva scommesso qualcosa sulla reazione di lei con i suoi compagni.”
“Decisa, la ragazza!” – non sarei riuscita a fare una cosa del genere, mi sarei vergognata da morire o avrei ceduto facendo la carina con lui. Certo, questo almeno non conoscendolo e non essendo andata alla sua festa l’anno prima. Ma non vi ho ancora detto cosa successe, giusto?
Ebbene, dopo essermi preparata per due ore, andai con Daff a casa di Matteo, secondo piano, dove si stava già ballando. Avvicinandomi al tavolo dei cocktail, spunta una bionda tinta che mi sporca (involontariamente) il vestito con la sua bibita e l’ unica reazione di Matteo è stata quella di farlo notare a tutti, che si sono messi a ridere. Una bella esperienza, giusto? Tuttavia, non avevo potuto reagire col gesto di cortesia della ragazza nuova: lei era molto più decisa di me.
Lei sapeva quale ragazzo era da respingere, quale da abbracciare forte, quale da chiamare nel cuore della notte per dire ‘ehi, buonanotte ragazzo’. Quanta invidia nei miei occhi, quanta!
“Sarà decisa per te, ma da emarginare secondo il resto della scuola!” – ribatte lei – “Secondo me quelle che corrono dietro a Matteo tutti i santi giorni si chiederanno come ha fatto a respingerlo per un po’.. patetiche, loro!” – capivo che un po’ di gelosia stava anche nelle parole di Dafne, davvero era interessata anche lei a quello spaccone?
“E tu?” – le chiesi di rimando.
“Io cosa!?”
“Cosa pensi della sua reazione? Avresti fatto la stessa cosa?”
“Boh, cioè..”
“Cosa avresti fatto!?”
“Avrei giocato un po’ anch’io. Magari ci sarebbe scappata una bella scena davanti a tutti, e chissà come avrebbe reagito Alana?”
“Se ne sarebbe cercato un altro, di ragazzo. Tanto difficile?”
“No, beh almeno Matteo l’avrei agganciato io.”
“Agganciato? Pensavo non si agganciassero, le persone.”
“Dai, entriamo.”
Una valanga di zaini mi stava sopraffacendo, come si poteva affrontare il primo giorno di suola con tutto questo entusiasmo? Lasciai andare la mano di Daff, che non si preoccupò di aver perso la mia nel bel mezzo della scolaresca.
 
Arrivata in classe, mi accorsi ch’era come se ci fossi sempre stata, lì dentro. Assurdo come ci si può dimenticare dell’ estate in così poco tempo.
“Ragazze mie!” – esordì la prof – “Ragazzo” – salutò Luke, l’unico maschio nella nostra classe. Simpatico, lui!
“Senza troppa formalità, sedetevi e state un po’ calmi. Oggi come sicuramente avete notato si aggiunge un’altra ragazza al nostro liceo..” – un brusio si levò subito dalle mie compagne, chissà quanto ne avevano già (s)parlato? – “Per favore, ragazze” – ci chiedeva l’insegnante – “Lei si chiama Zoe, ma purtroppo non è nella nostra splendida classe. Spero possiate legare bene con lei, magari nasce una bella amicizia. Ho saputo che è una persona particolare..”
“Basta mirarle la criniera!” – esordì Alana, che sulla testa aveva una chioma rovinata per le troppe tinture platino, bruciata per la troppa piastra e piena di doppie punte che voleva eliminare sprecando inutilmente shampoo.
“A me piace molto!” – ammise Luke, tanta stima per lui, allora!
“Sto con Luke!” – ammisi di rimando. Mi fece un sorriso e, dopo le lezioni, andammo verso il pino della ragazza a trovarla per conoscerla un po’.
“Parla prima tu!” – gli dissi con un atteggiamento un po’ infantile – “Davvero, mi mette in soggezione.”
“Ok, ti presento io. Però non scappare a gambe levate!” – mi diede di gomito lui.
Posammo gli zaini sul prato e ci mettemmo accanto a lei – “Non si arrabbia mica, vero?” – sussurrai a Luke – “Mettiti qua vicino a me e sta’ tranquilla.” – chissà se lui pensava fossi un po’ scema? Come si può aver paura di una persona? Sperai che non se lo fosse chiesto.
“Ti dispiace se ci mettiamo qui?” – cominciò lui.
“Direi di no, non sembrate due brutte persone.” – ci guardò bene negli occhi, pensai che avrebbe reagito guardandoci da capo a piedi, ma non sembrò interessarle.
“Piacere, Luke. Lei è Anna, una mia amica.” – le sorrisi.
“Ciao Luke, ciao Anna. Come butta?” – adesso si era alzata gli occhiali da sole, per cui ammirai il bellissimo trucco che aveva sugli occhi. Sembrava che tutta la confezione di glitter le fosse cascata sulle palpebre, tanto era luminoso il suo ombretto.
“Butta bene, ragazza. Dovrei chiedertelo più spesso, come butta Anna?” – era la prima volta che io e lui facevamo una conversazione così lunga, non si è mai esternato troppo in classe, neanche durante i dibattiti. A volte mi chiedevo se fosse asociale o addirittura sociofobico, ma sembra più simpatico di quanto pensavo.
“Butta bene. E a te?”
“Anche.”
“Piacere, sono un dinosauro di nome Zoe, io.”
“E io che pensavo si fossero estinti, guarda un po’ che scoperta, Anna! Dovremmo stare insieme più spesso, noi!” – aveva già cominciato a fare lo spiritoso?
“Davvero non state insieme insieme!?” – ci chiese Zoe.
“Dipende da cosa intendi tu.” – sgranai gli occhi, cosa aveva creduto, lei?
“Stiamo insieme ora, è ovvio che se adesso prendiamo due strade diverse non stiamo insieme più.” – commentò Luke. Poi la guardò e tutti e due guardarono me: scoppiarono a ridere, perché davvero non c’avevo capito niente.
A quel punto sentimmo una ragazza strillare, uno di quegli strilli acuti come se fosse successo qualcosa di sconvolgente.
“Anna!” – perché Dafne reagiva così?
“Eccomi, devi dirmi qualcosa?” – sembrava avesse visto un fantasma.
“Per favore, vieni!” – portava la testa alta, che atteggiamento stupido – “Sbrigati!” – ma che aveva?
“Arrivo, aspetta. Ciao Zoe, ciao Luke.” – preso lo zaino, andai da lei e mi mise da parte, non so, faceva tanto scuole elementari.
“Che ci fai con quella? Io cerco di farmi in quattro per cominciare bene quest’anno e tu te ne freghi e stai con l’emarginata sociale!” – dove stava il problema? – “E con quello, con coso!”
“Si chiama Luke. E l’emarginata Zoe. Ha detto di essere un dinosauro, non è una cosa carina?” – cercavo di rendere meno drammatica la situazione, ma Dafne mi guardava come se avessi la pelle verde o non so cosa.
“Stai scherzando? UN DINOSAURO!?” – okay, avevo commesso un passo falso.
“Càlmati.” – cominciai a imprecare.
“No che non mi calmo!” – si agitava lei.
“Adesso vieni a casa mia e ne parliamo, d’accordo?”
Sbuffò e andammo verso la macchina di suo fratello, che ci aspettava suonando il clacson ininterrottamente.
Salutai Luke e Zoe con un cenno della mano e corsi dietro Dafne verso la Volvo di Filippo: con il volume alto del suo CD preferito non sentimmo ciò che stava bofonchiando, ma poco importava. Ciò che diceva erano tutte cose che ci aveva ripetuto cinquemila volte, e Dafne lo sapeva bene.
“Abbassa, non si capisce niente di quello che dici!” – disse comunque scocciata – “E in ogni caso io ed Anna abbiamo già di che parlare. Quindi smettila e metti in moto.” – che c’è, Zoe era diventata anche il nostro argomento del giorno? Tuttavia, su di lei non potevamo dire molto, perché la scuola ci aveva già pensato quella mattina.
“Sai che lei sta sulle bocche di tutti, giusto?” – confermò Daff i miei pensieri.
“Esatto. E allora?” – provai a difenderla io.
“Non è positivo ciò che si dice in giro, però. Quindi” – e mi diede una pacca sulla coscia – “Farai bene a starne alla larga. Vuoi andare ancora alla festa annuale di Matteo, giusto?” – provai a replicare, ma aperta la bocca mi disse di stare zitta con un cenno della mano –“Ebbene, se la frequenti ti giochi i nostri inviti a casa sua.” – ma perché quel Matteo la stava ossessionando, quella mattina?
“Senti, capsici meglio di me che non c’è paragone: vuoi perdere una nuova conoscenza a costo di una festa del genere? E dai, non è mica un dramma se non ci andiamo!” – mi guardò con gli occhi sgranati come aveva fatto prima, forse avevo davvero la pelle verde.
A quel punto Filippo cominciò a quotarmi, come se gliel’ avessi chiesto. Patetico. E ridicolo. Ma la cosa che mi lasciò stupita più di ogni altra fu che abbassò il volume di un bel po’, per riprendere la sorella dicendo – “Ti faccio notare che Anna ha ragione.” - lo guardai come per dire ma che diavolo..!?, ma mi trattenne lo sguardo fulminante che mi lanciò - “Possibile che una stupida serata con quello stupido ragazzo insieme a ragazzine stupide valga maggiormente di una persona in più nella tua vita?” - “Sì, per me è così” – gli rispose – “E credevo che anche per Anna lo fosse. Ma evidentemente vi siete coalizzati contro di me.” – sollevò il mento e cominciò a scrutarci: un leggero nervoso cominciò a salirmi lungo la colonna vertebrale – “Insomma, da quand’è che siete d’accordo, voi due? E’ successo qualcosa, forse?” – no, non è successo niente, le dicevano i miei occhi. E Filippo lo confermò ulteriormente dicendo – “Non è successo niente, no. Proprio niente. Volevo solo farti riflettere.” – e in questo caso ‘riflettere’ significa ‘far valere la propria opinione calpestando quella della sorella minore’. Eh sì, ragazzo. Gliel’ hai proprio fatto capire al volo! Spero almeno che Daff non ce l’abbia anche con me.
“Ce l’ho con tutti e due” – disse Dafne dopo aver emesso una specie di ringhio. Faceva quasi paura.
Lui, per tutta risposta, sospirò seccato e mi disse di scendere – “Prima fermata!” – fece sorridendomi. Pensai che forse io e Daff dovremmo litigare più spesso. Così almeno potevo non trovarmi faccia-a-terra con l’asfalto quando Filippo è irritato e ha i crampi alla pancia perché è ora di pranzo, come dice lui. L’anno scorso mi ripeteva sempre di fare in fretta e ora faceva il carino con me? Dafne ha ragione, dissi a me stessa. Deve essere successo qualcosa.
“Non fa ridere!” – gli disse lei velocemente liquidandomi con un cenno del capo. In primo luogo rimasi spiazzata dal suo saluto, ma quando vidi suo fratello alzare gli occhi al cielo scoppiai a ridere come una bambina. E lui rise con me. E lei si irritò ancora di più.
 
Presi la stradina sul retro di casa, che divideva in due parti il giardino. Pensavo alle lezioni di oggi, quando di punto in bianco calciai un sassolino e mi ritrovai faccia a faccia con lui. O meglio, faccia a petto, dal momento che sono una nana. E lui è un lampione.
“Quanto ci voleva per arrivare?” – mi chiese Luke. Quanto ci voleva per avvertirmi?, gli chiesi dentro di me. Come al solito, nessuna risposta.
“Ci voleva quanto ci voleva” – gli dissi piatta.
“Anna ha il fidanzato! Anna ha il fidanzato!” – cominciò a cantilenare Mary dalla finestra. Evidentemente lui si era fatto vedere. Ma perché era venuto? Ci parlavamo appena, noi!
“E’ da tre ore che cerca di scoprirlo facendomi delle domande a trabocchetto. Proprio simpatica, tua sorella!” – disse con un sorriso sincero. Le rivolsi una linguaccia senza pensarci e mi sentii subito imbarazzata ricordandomi che ci fosse Luke davanti.
“Peccato, non mi sembra che sia lo stesso per te.” – continuò lui facendomi arrossire. Ma che mi era saltato in mente?
“Tra sorelle è normale, si fa tutti i giorni!” – dissi in modo impacciato. “Anche quelle grandi lo fanno!” – e da lì cominciai a sputare stupide giustificazioni per ciò che avevo fatto. “Cioè, non è che io mi sento grande. E’ che siccome lo fanno solo i bambini pensavo che.. cioè, Mary è la bambina. Non io! Non io!” – quando mi resi conto che mi stavo addirittura irritando mi tappai la bocca. Stupida impulsività di famiglia. Non sarò mai una ragazza determinata, ammisi a me stessa. Serrai un pugno e fissai le sue braccia. Non riuscivo a guardarlo negli occhi. “Sei proprio strana, Castoldi!” – esordì lui. Tolsi la mano sulle labbra per replicare, ma mi poggiò la sua sul viso in un modo svelto e delicato per non farmi parlare. Era già la seconda volta che qualcuno mi diceva di stare zitta. Possibile che fossi così antipatica? “Shh” – sussurrò portandosi l’indice alla bocca con l’altra mano – “Nessuno dei due vuole ancora giustificazioni, o sbaglio?” – no, non si sbagliava.
“Forza, mostrami il palmo della mano.” – gli rivolsi uno sguardo interrogativo. Partii per avvicinargli la mia mano, quando Mary cominciò a dire fra sé e sé (ma in modo che potessimo sentirla) – “Adesso. Lui. La. Bacia.” – con la stessa mano di prima mi spiccicai le dita lunghe e affusolate di lui dalla faccia e le gridai – “Ma smettila, scema!” – e si nascose dietro le tende. “Ehi” – riprese lui – “Avevamo deciso che saresti stata zitta.” – si portò le mani alla nuca e, lo ammetto, i miei occhi si posarono sui suoi muscoli delle braccia che si distendevano. “Io dico quello che voglio” – dissi fermamente. “Allora, il tuo palmo dov’è?” – non mossi un dito. “E va bene, va bene. Faccio da solo.” – portai istintivamente le mani dietro la schiena, ma non sembrò interessargli. Cominciò a trafficare con la tasca dei mie jeans scuri e lo fulminai con lo sguardo. Che stava combinando!? – “Certo che li portate proprio stretti, voi ragazze.” – no, la verità era che avevo i fianchi enormi. Ma mi guardai bene dal dirglielo. – “Ecco, volevo solo darti questo” – m’indicò il mio mp3. Feci per saltargli addosso quando glielo vidi tra le mani, lui portò le braccia in alto come per fare l’innocente. A quel punto la sua maglia aderì al corpo e il mio sguardo cadde sulle sue forme. Non che lo stomaco di un ragazzo fosse qualcosa d’interessante, solo mi ritrovai a scrutarlo e basta. “Non ho ascoltato né le canzoni né le tue registrazioni, tranquilla.” – allora come faceva a sapere che ci fossero, queste ultime? Si era fregato da solo.
“L’hai dimenticato a scuola all’ uscita, l’ho trovato sul prato prima di andare a casa. A casa tua.” – me lo porse con il filo degli auricolari accuratamente girato intorno al lettore. Strano, pensai. Io lascio sempre il filo attorcigliato su se stesso. Ho finalmente capito che perdere tre ore a sbrogliarlo non serve a niente. Doveva averlo per forza sistemato lui.
“L’hai usato. Tu, proprio tu. Hai ascoltato il mio mp3.” – portò la testa di lato, perché continuava a non capire. “No, cioè.. no.” – si difese. “Invece sì.” – insistetti io. “Invece no” – affermò lui. “Invece sì” – abbaiai io. “Hai le prove?” – chiese lui. Gli indicai i fili bianchi. E gli ricordai quel dettaglio delle mie registrazioni che aveva accennato prima. “Ah” – disse semplicemente. “Oh!” – cominciò a sbattersi la mano sul viso. “Eh.” – dissi io scocciata – “Ecco, adesso dimmi perché.” – ma non mi sentì, perché dopo aver seguito i nostri ah oh eh si piegò in due dal ridere. “Ho chiesto perché! Perché!?” – continuavo a ripetergli scocciata. Ma era tutto inutile.
“Oh oh” – disse stupidamente Mary dalla finestra. Stava guardandoci ancora? In tutta risposta, comunque, Luke si agitò ancora di più indicandola, come se avesse detto una barzelletta. “Adesso basta!” – gli dissi scocciata. Non pensavo fosse così sfacciato – “Dimmi perché le hai sentite e soprattutto quali.” – si tappò la bocca, almeno lo sentivo meno, ora. “No scusa, è che..” – prese a dirmi – “se sapevo che avremmo riso così tanto sarei venuto prima a casa tua!” – e sghignazzò. “Ti faccio notare che stai ridendo solo tu” – il mio sguardo era impassibile. Poi di colpo pensai agli occhi di Filippo, a come li aveva fatti ruotare poco prima. E scoppiai di nuovo a ridere come una bambina. Era imbarazzante. Ma divertente. “Non ne sarei così sicuro” – disse Luke scuotendo il capo e smentendo le mie parole. “A scuola non mi sei mai sembrato un tipo così allegro!” – gli dissi cercando di sembrare severa. Ma siccome ridevo era suonata come una cosa amichevole.
“Sono allegro solo adesso, che siamo insieme.” – sorrise. Mi bloccai e restai zitta. Lo aveva detto davvero?
“L’ho detto davvero?” – mi chiese serio asciugandosi le lacrime – “No scusa, l’ho detto davvero?” – lo guardai impassibile – “Cavolo, ma che fai? Mi streghi?” – cominciai ad annuire e mi buttai sul prato. Non ne potevo più di stare con lo zaino sulle spalle. Lui si mise alla mia altezza (lo ringraziai dentro di me per questo), e mi disse – “Ci vediamo, allora.” – si alzò e sparì all’ angolo della via con il motorino. Da dentro, mia madre chiamò tutti per il pranzo. Intanto mi accorsi che non aveva ancora risposto alla mia domanda. Non avrebbe dovuto sentirle, le mie canzoni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Un altro colpo di clacson e raggiunsero la macchina.
Parlavano sempre e solo di feste, non le sopportavo più. Quindi ho preso parte alla discussione, abbassando il volume e dicendo apertamente ciò che penso.
Una volta arrivati, ho fatto roteare gli occhi scocciato e ho guardato l’orologio.
Lei scese dall’auto ridendo dolcemente, come una bimba allegra.
È stato proprio al suono della sua felicità che dentro di me si è mosso qualcosa. Ho sempre creduto che fosse la solita soddisfazione maschile di quando qualcuno ride alle tue battute, anche se sono stupide.
Eppure, riflettendoci adesso, temo che ci sia qualcosa di più…
   
 
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