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Autore: Maki_chan    08/05/2013    4 recensioni
Raccolta di Drabble.
Dipendenza. Come le migliori droghe esistenti al mondo, il sesso con lui gli causava dipendenza; e non era una mera questione di sesso: c'era qualcos'altro, come una fame divorante, una sete inestinguibile di stare con lui.
Genere: Commedia, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ripubblicata integralmente come nel tempo che fu, note incluse (ed alcune manco ricordo più che volessero dire, francamente... Sarà che la storia è di almeno 5 anni fa? XD).



Violator - Track #01 – World in my Eyes



"It's not a day for work, it's a day for catching tan." (All that she wants – Ace of Base)


Amore. Quello che forse non era, o forse sì, ma alla fin fine non importava loro troppo. Quello che veramente contava era avere un’ancora di salvezza, un posto in cui tornare, qualcuno cui dare l’affetto che si aveva, qualcuno che completasse o compensasse i brutti difetti. O li accentuasse: entrambi testardi come due muli, si impuntavano su tutte le cose meno importanti che potevano esistere, dalla biancheria nel lavandino di Hikaru, all’abitudine di Kojiro di lasciare il dentifricio aperto. Attrazione. Quella era certa, sicura e solida. Ed era prima di tutto attrazione caratteriale, solo poi fisica. Ed era giusto così.

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Brutta, davvero brutta: una delle partite peggiori che la Nazionale Giovanile avesse mai giocato. Morale a pezzi, ognuno con i suoi problemi per la testa, avversari decisi, il solito discorso masochistico di giocare anche se con problemi di varia natura. Forse perché, se non l’avessero fatto, il Giappone avrebbe perso per mancanza di giocatori. Quindi si dicevano che era meglio essere undici campioni fasciati, piuttosto che undici pippe senza speranza alcuna. Avevano addirittura messo Ken in attacco, in mancanza d’altro. Avevano pareggiato per miracolo ed alla fine, stanchi morti, erano negli spogliatoi. E Kojiro gli aveva sfiorato appena il polso.

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Criceti?”
“Criceti, sì.”
“Vuoi dei criceti.”
“Esatto, ne voglio un paio, come animali domestici, per farci compagnia.”
“Io... non mi piacciono i criceti. Sono – una smorfia sul viso – topi. “
“Hyuga, quando fai così sembri una donnicciola.”
“Ripetilo, e stasera ti strozzo nei tuoi stessi boxer, lo giuro.”
“Se pensi di farmi paura, ti sbagli di grosso. Non mi stai minacciando d’usare un calzettone post finalissima, dopotutto!”
“Ecco, questa sarebbe un’ottima idea. Potrei sfruttarla. Alla prossima partita conserverò i calzettoni, poi vediamo.”
“Allora, ‘sti criceti li prendiamo o no?”
“No.”
“Su!”
“No!”
“E dai, sono carini!”
“Ma non ti basto io?!”

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Dipendenza. Come le migliori droghe esistenti al mondo, il sesso con lui gli causava dipendenza; e non era una mera questione di sesso: c’era qualcos’altro, come una fame divorante, una sete inestinguibile di stare con lui. Il fare l’amore era sono una conseguenza di queste sensazioni. Alle volte, quando erano lontani, si chiedeva se fosse normale sentirsi come se gli avessero strappato un polmone o una gamba, e così teneva la mano sul telefono, sperando e temendo che chiamasse. Se Kira l’avesse visto in uno di quei momenti, l’avrebbe disconosciuto. Si sentiva tutto, fuorché la tigre che doveva assolutamente essere.

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"È morto!"
"Come ‘è morto’ ?!"
"Un infarto, si è spaventato a morte sbattendomi contro!"
“Rianimazione?”
“Chiamare un’ambulanza?”
“Non ho il telefono!”
“Porco cazzo!”
“Ma siamo sicuri che Misugi sia proprio morto-morto? Magari è come durante la partita delle medie, quando è stramazzato ai miei piedi e poi si è ripreso...”
“Io corro a chiamare aiuto!”

“Quindi siamo rimasti soli col morto.”
“Te l’ho detto, magari non lo è...”
“Però perché era qui? Neppure un attimo di intimità, meno male che non stavamo facendo niente, altrimenti l’avremmo ucciso noi!”
“Fortuna che è stato un altro: non avrei retto alla vergogna dell’omicidio...”

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Frustrante era il non riuscire a sfondare in Italia. L’essere uno dei tanti stranieri che infestavano il Campionato teoricamente più bello del mondo. Frustrante era la pronuncia di quella stupida lingua che aveva troppi suoni strani che lui, tristemente, non riusciva a riprodurre. Hyuga Kojiro era un pessimo maestro e l’unica maledetta cosa che gli aveva detto era stata “se ‘gl’ e ‘gn’ ti sembrano difficili, aspetta di arrivare al congiuntivo”. Bella consolazione! Che ragazzo inutile che si ritrovava! C’erano delle volte in cui gli avrebbe sbattuto più che volentieri la testa al muro. Con tanta, tanta ed immotivata violenza.

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Genzo Wakabayashi li osservava. Li osservava con attenzione. Ora era matematicamente certo che Hyuga fosse dell’altra sponda. Ma non solo! Sbavava su Matsuyama. Ah! Sarebbe stato bello poterlo ricattare! Chissà se stavano assieme... Peccato che fosse coinvolto anche Hikaru: ci sarebbe passato anche lui, nel caso, e non era giusto. Chissà quanti altri sapevano... si girò ed ebbe la risposta: lo sguardo truce di Wakashimazu, così puntato addosso, rivelava fin troppo. Quei due, però, dovevano fare più attenzione: la mano sul polso era quasi invisibile, ma assolutamente in contrasto con l’idea di super macho che la squadra aveva di Hyuga.

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Hikaru!” Era l’urlo prolungato e belluino che proveniva dal bagno con una cadenza regolare di ventiquattro ore. Ok, verissimo, aveva ragione lui, ma non era colpa sua! Quando stava a casa c’era sua madre che faceva quelle cose, ed il solo pensiero di doverle fare lui... bè, gli faceva venire i brividi. Non era cosa per lui, assolutamente no. Ne era certo. Sicuro. Purtroppo, però, l’urlatore non demordeva, ed ogni giorno era lo stesso discorso. Hikaru si trattenne dal rispondergli che non era intenzionato a fare lavori da donna: sapeva che Hyuga Kojiro lo avrebbe sventrato per il solo pensiero.

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Idiota, idiota, idiota e ancora idiota! Come gli era saltato in mente di guardare un porno fra donne, sapendo che Hyuga poteva rientrare?! Lo sguardo sconvolto che aveva il suo compagno davanti alla visione di lui che si masturbava davanti alla tivù fu un colpo al cuore. Tradimento. Il peggior tradimento, visto soprattutto che il ragazzo precedente l’aveva mollato per una donna. L’eccitazione oramai svanita, i pantaloni richiusi, si era gettato all’inseguimento di Kojiro, che aveva sbattuto la porta di casa. Braccarlo letteralmente e sentirlo sussurrare “non credo di poter stare con qualcuno cui piacciono le donne”, fu una stilettata.

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Jun Misugi era esattamente l’ultima persona in cui volevano incappare quando erano assieme: sentirsi colpevoli per aver fatto venire un infarto a un compagno di squadra non era nelle loro priorità. Quindi, se di norma evitavano tutti quelli che conoscevano, Jun lo evitavano maggiormente. Proprio per questo motivo il Principe del Calcio si insospettì e, ovviamente, li pescò sulla canonica panchina dei poveri. Gesto massimo di intimità: una mano appoggiata su un’altra; niente di troppo dannoso per la salute, quindi. Al contrario del voltarsi e sbattere contro Wakashimazu che l’aveva pedinato nel pedinamento. Ma questa, francamente, è un’altra storia ancora.

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Kojiro!” Era esattamente l’urlo che lo raggiungeva ogni santa, santissima volta che si lamentava per le mutande lasciate nel lavabo. Ora, non era difficile infilarle nella lavatrice, no? No! Eppure quello zotico di Hokkaido dimostrava d’essere capace di mettersi a novanta solo in alcuni casi. Casi che non contemplavano l’inserimento dei boxer nella lavatrice. Kojiro si chiese se, per caso, sua madre non l’avesse educato troppo bene, dato che lui sapeva svolgere un compito così semplice. Biancheria, apri cestello, lancia, accosta. E quando è piena detersivo e via. Andava bene anche il cesto della biancheria, ed invece niente. Nel lavabo.

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Lacerante gelosia. Bruciava come un ferro bollente sulla pelle nuda. Aveva voglia di ammazzare Hikaru. Si sentiva tradito come gli era successo con quel testa di cazzo di Marco. Ma perché finiva con gente cui piacevano le donne?! Eppure era sembrato sincero, in tutto quel tempo. Sembrava addirittura preso. Sentì i suoi passi alle spalle, braccarlo. Glielo disse che non voleva avere a che fare con uno cui piacevano le donne. Anche il solo pensiero di poter essere nuovamente tradito gli mandava il sangue alla testa. Con una donna, poi, rendeva tutto peggiore. Si sentiva ferito, e non gli piaceva.

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Mutande: la mela della discordia, insieme alla musica. A Kojiro piacevano hard rock e metal. Hikaru preferiva il pop. Kojiro cambiava stazione, Hikaru gli nascondeva i cd dei Van Halen, pentendosi subito quando dallo stereo partivano a bomba i Cradle of Filth o i Blind Guardian. Sostenere il suo sguardo, anche se la casa era dell’ala sinistra.
Proporre una tregua: “Mettiamo rock, va bene. Posso sopportare i Van der Graaf.”
Studiarsi. Calcolarsi.
“Solo se non metti le mutande usate nel lavandino.”
RICATTO! S’accese la lampadina ululante nella testa di Hikaru. Ricattatore! Ma con chi stava?!
“Ok, mi arrendo. Niente mutande.”

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Niente mutande” assunse trecentomila miliardi di connotazioni differenti. Non era “Niente mutande nel lavandino”, infatti. Era niente mutande tout-court. Quando se ne accorse, la mascella di Kojiro precipitò a terra. Mentre altro dava segni di salita. Tipo la pressione sanguigna. Ed altro. Perché mettersi alle sue spalle, infilargli le mani nei pantaloni per aprirli e non trovare la seconda barriera... no, non c’era un grande bisogno di spiegazioni. Hikaru si voltò nell’abbraccio, con un sorriso da bastardo, infame e chissà che altro. E Kojiro si accorse, una buona volta, che lo adorava proprio. Senza alcuna via di fuga. Completamente cotto.

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Occazzo”. Sì, esatto. “Occazzo”. Era stata proprio questa la parola che aveva usato Wakashimazu entrando all’improvviso negli spogliatoi e trovandoli avvinghiati tipo edera e muretto. Poi era balzato fuori sbattendo con forza la porta. Kojiro quel giorno si sentì un verme come non mai, dato che non aveva detto della sua relazione nemmeno al migliore amico. “Coglione, ma per chi mi hai preso?! A chi volevi dirlo, a tua mamma?” era stata la risposta del suddetto amico davanti all’ormai inutile coming-out. In effetti, Kojiro non pensava che dirlo alla madre fosse una buona idea: poi chi avrebbe badato ai fratellini?

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Patetico. Si era sentito semplicemente patetico quel giorno, a star lì a guardarlo, osservarlo, mangiarlo con gli occhi, sempre sperando che l’altro non se ne accorgesse. Ed ogni scusa era valida per toccarlo, sentire com’era la pelle, soffocando il desiderio di scoparselo davanti a tutti, sulla spiaggia, in mare, nell’auto in cui s’era addormentato come un idiota, nell’ingresso, sul tavolo della cucina, nella doccia ed alla fine sul letto. Patetico e non solo: pure morboso. Ed era strano sentirsi di nuovo attratti senza poterne fare a meno, senza sapersi controllare. Dio, una buona volta, fai andare le cose per bene!

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Quella sarebbe stata senza dubbio una giornata perfetta per spiaccicarsi su una spiaggia, accantonando così il calcio. Al mister avevano fatto pena, soprattutto quel giapponese nuovo, bianco come la neve del paese dal quale proveniva. Tipo sotto la Kamchatka. Stava in effetti virando dal bianco a una sfumatura sul color peperone, quel Matsuyama. Non sapeva che, prima di lui, anche un altro aveva usato la stessa espressione per definirlo. Al termine dei giochi, stava in infermeria con un principio di insolazione. Kojiro quella volta aveva cercato di mangiarlo vivo, e se non l’aveva fatto, era solo perché gli faceva pena. [1]

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Ruvido come le sue mani, aveva solo il carattere. Non solo ruvido, era anche spigoloso, aggressivo, accentratore, dispotico. E solare come urlava il suo cognome, Hyuga. Cosa c’era di più appropriato per Kojiro? Lui era accecante come la luce del sole. Hikaru si trovava spesso a ridere davanti all’immensa ironia dei loro nomi e cognomi. Quando l’aveva detto a quel cretino del suo ragazzo, l’unica risposta era stata un sorriso sghembo e un “si vede che era destino!”
Ruvido, eppure caldo. Grezzo e malleabile, questo era il suo ragazzo. Una forza della natura, inarrestabile. Ed era lì soltanto per lui.

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Sesso: quello sì che era gratificante. Perché sentirlo urlare il suo nome come un’implorazione era quanto di più bello ed eccitante ci fosse al mondo. Sentirlo che si aggrappava alle sue spalle, che gli cingeva i fianchi con le gambe, che si faceva sbattere contro il muro, che gli azzannava il collo per soffocare la voce troppo alta, che gli chiedeva cose innominabili... era inebriante. Appagante. Ed in quei momenti sentiva che tutti i pezzi scivolavano al loro posto, come un gioco d’incastri risolto alla perfezione. Anche se ogni tanto Hikaru gli chiedeva di scambiarsi i ruoli, andava bene così.

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Tigre un cazzo. Si sentiva stanco, spossato e con la testa ovunque, tranne che sul campo. Tipo sulla gamba ferita di Hikaru. E quella fottutissima partita di merda non aveva intenzione di finire, e quella Cina dei suoi coglioni non voleva sprofondare col suo miliardo e passa di abitanti! Perché dovevano giocare, se erano tutti dei relitti umani? Pensavano che lui fosse in grado di portare avanti il gioco da solo, aiutato esclusivamente da Ken?! Pazzi! Il fischio dell’arbitro fu una benedizione. Spogliatoi ed una carezza nascosta sul polso di Hikaru: siamo sopravvissuti di nuovo. Ce l’abbiamo fatta di nuovo.

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Umiltà: saper cercare la persona amata, cercando di chiedere scusa, soffocando la propria testardaggine e il proprio orgoglio. Fu con umiltà estrema che bussò nuovamente alla porta di Kojiro, che non lo chiamava da settimane. Che non gli scriveva. Che, se le squadre si incrociavano in campo, neppure lo guardava. Che sentì avvicinarsi alla porta e guardare allo spioncino, e trattenere il respiro. “Solo una seconda possibilità. Ti chiedo solo questo.” Sentirlo che si appoggiava alla porta. “So di aver sbagliato e ti chiedo scusa. È che-“ la porta aperta di scatto. “Ti sentiranno, entra”. Parlare, fare pace. L’umiltà serviva.

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Viaggiare. Questo li accomunava da parecchio, dato che entrambi erano nella Nazionale Giapponese. Kojiro viaggiava solo in quei casi, dato che le disponibilità finanziarie erano quello che erano. A parte andare ad Okinawa ad allenarsi con quel pazzo di coach Kira. Non avevano mai viaggiato insieme, da soli, se non in quel primo, fatidico agosto italiano. E da quel giorno l’aveva portato su, fino alla cima più alta, fin giù, nel mare più profondo. Ogni volta alla cieca, senza una bussola ad indicare il cammino. Ed Hikaru si era accorto che gli piaceva, più di qualsiasi altra cosa al mondo. [2]

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World in my eyes” era stata una tortura. Spettacolare, sicuramente degna di nota, ma una tortura. Kojiro non era sicuro di voler ripetere tutto-tutto-tutto quello che era stato fatto quella notte. Soprattutto la parte del player del computer che mandava a ripetizione la stessa canzone. E la parte che aveva a che fare con... sì... insomma... la possibilità d’essere attivo e passivo insieme. Nello stesso momento, con una persona sola, ad esclusione di lui. Non sapeva neppure come era finito legato supino al letto, se non che era un dopo cena con del vino italiano. Era indeciso: ripetere o no? [2]

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Xenofobia. Luridi musi gialli, ci avete rubato la coppa, il mondiale. Vaglielo a spiegare che tu sei giapponese, non coreano! Soprattutto quando impieghi ancora del tempo per capire una parte delle parole che ti vengono sputate in faccia. Però non hai problemi a capire il tono, no, quello no: è sempre lo stesso ovunque tu vada, che sia perché sei straniero, perché hai un gioco aggressivo, o perché ci hai provato con la persona sbagliata. Un suo compagno di squadra l’aveva letteralmente trascinato via, insegnandogli quella nuova parola. Tornato a casa, aveva chiamato Hikaru per sfogarsi e leccarsi le ferite.

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Yoshiko. Che aveva amato davvero, fino all’adolescenza. Fino a quando farci l’amore non era diventato un peso, non un piacere. Ma era bella, e c’era sempre stata, anche da lontano. Era una costante, non era sicuro di volerla perdere. Per fortuna, superato il trauma della separazione, l’aveva perdonato. Per quello Hikaru le aveva detto con chi stava, lasciandola di stucco. Lei s’era sentita incerta. Erano passati giorni prima che fosse riuscita a metabolizzare la notizia. Poi era andata a trovarli. Regola numero uno: non dare a Hyuga motivi di sospettare. Sentì il suo sguardo geloso addosso per tutto il tempo.

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Zona retrocessione. Era stato quando la sua squadra era finita in zona retrocessione che Kojiro l’aveva chiamato preoccupato, cercando d’offrirgli conforto, anche se al telefono era un incapace clamoroso. Gli aveva detto subito che la dottrina Tsubasa ogni tanto poteva essere buona, che non era colpa sua se la squadra in cui militava era composta da brocchi, e che se al suo fianco ci fosse stato lui, sicuramente non sarebbero finiti fra le peggiori del campionato. Ed Hikaru l’aveva ascoltato, quelle parole concitate ed alle volte così mostruosamente insensate e boriose da... da fargli capire che, sicuramente, l’amava davvero tanto.

 

# Fine #

 

Note.


AVEVO SCORDATO LE NOTE, CHE IDIOTA!
[1]: la citazione per Criticoni
[2]: le citazioni per Violator. L'album è dei Depeche Mode, blablabla. I'll take you to the highest mountain To the depths of the deepest sea And we won't need a map
MA NON SOLO! La fantastica e dimenticata (come la nota 1) nota 2 era: Liz, questa drabble è scritta pensando a te. E tu sai PERCHE' XD


Questo è un raffinato esempio di pesoculismo e ottimizzazione delle challenge. Tre in una, signori e signore! Nell’ordine ci sono l’alphabet  challenge di Pucchyko, Temporalmente di Criticoni e Violator (mia di me).
Credo che non potessi fare di più, giusto? XD
Che dire? Ho dedicato l’ultima storia mancante di Violator a Kojiro e Hikaru. Proprio quelli che popolavano la track #02 di chissà quanto tempo fa. Perché loro valgono! E ora sono triste, perché Violator mi ha accompagnata a lungo. È stato un bel progetto che, anche se molto lentamente, ho portato a compimento.
Con Genzo, Hikaru, Kojiro, Maki,  e i due puccini di Mela. Mi fa strano doverlo mettere da parte così... è un po’ malinconico, francamente. Non amo le chiusure, io!
Spero che vi piaccia e che possiate divertirvi a leggerla, così come io mi sono divertita a scriverla.

PS: no, Jun non è morto. Purtroppo.

  
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