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Autore: afewmistakesago    08/05/2013    5 recensioni
“Quindi mi odi e neanche ci conosciamo”.
“Mi sei indifferente”
“L’indifferenza è un peccato”
“Non credo in Dio”
“E in cosa credi?”
“Combatto i miei mostri, dall’analista” Diceva Brianne, e lui si sentiva morire.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FIGHT YOUR MONSTERS.

 

 


" like you've been running for hours , and cant catch your breath, the demons are screaming so loud in your head"
carry you, union
j






Dedicata a Ed Sheeran, che canta più forte dei miei pensieri e combatte i miei mostri, con me.








La sveglia alle cinque del mattino era sempre stata un problema, così come l’acqua che diventava fredda durante la doccia o quel buco di monolocale che chiamava ‘casa’.
Al treno gremito di gente, all’ambulanza e all’odore della morfina ci si abituava, invece.
Ogni mattina da ormai qualche anno, i suoi passi pesanti echeggiavano per le scale della palazzina cadente, il portone scricchiolava al suo passaggio e il cane del coinquilino al primo piano, abbaiava.
Spesso correva sotto la pioggia o perdeva la coincidenza per l’ospedale.
La sera tornava tardi, anche a causa dei treni,  e spesso si addormentava sul letto ancora vestito.
C’erano notti in cui neanche cenava, altre in cui proprio non tornava.
La vita da pendolari facevo schifo, ed Edward lo sapeva bene.

Combatti i tuoi mostri.

A Brianne invece non dispiaceva, più che altro la preferiva a quella di prima.
Era costretta, e dopotutto non per colpa sua.
In fondo, il suo non era nemmeno un lavoro, ma aveva sempre pensato che sarebbe stata brava se solo lo fosse stato.
Si limitava a lasciarsi svegliare dall’abitudine e dai piccoli rumori dell’alba. Infilava le calze nere e, accompagnata dagli ACDC, portava il suo corpicino sul treno. Occupava sempre due sedili, poggiando la schiena sul finestrino e stendendo le gambe sul sedile accanto.
Le cuffiette pulsavano nelle sue orecchie puro rock, mentre buttava giù le parole troppo complicate di quei romanzi, che secondo sua madre erano parte del suo problema.
Lei era convinta non ci fosse causa a quel suo non-problema.
Per lei non lo era, aveva solo imparato a conviverci.
Brianne era abbastanza forte da essere felice nonostante tutto.

Combatti i tuoi mostri.

Era tardi e le luci spente, i negozi chiusi e l'aria fredda, una macchia grigia, Brighton. Era tardi e lei correva. Correva affannata, tra sospiri stanchi e palpitazioni di quel cuore nero. Con il giubbotto aperto e le calze rotte, Brianne correva e cercava di scacciare quel senso di paura che stava risalendo su per il petto. La ricacciava in un angolo del suo stomaco e la prendeva in tempo, prima che arrivasse alla testa e le facesse perdere il controllo. Minuti dopo smetteva di sentirlo, non urlava più e lei correva. I passi si facevano sempre più silenziosi e lei correva. Chiudeva le palpebre e quegli occhi incolore, lei, li vedeva ancora, allora correva. Si fermava senza fiato: la solita e logora fitta alle tempie le toglieva la vista. Strusciava la schiena contro il muro scritto di un palazzo e scivolava giù, con le mani piccole sul viso e quella voglia smodata di farla finita.
Si rialzava con lentezza, abbottonava il North Face nero, scioglieva i capelli e cercava di sembrare ubriaca.
Tornava a casa tranquilla, con l'iPod nelle orecchie e il sorriso vittorioso, perché ce l'aveva fatta. Ce la faceva sempre.
Era tardi e faceva freddo, Brianne non correva più.
Era tardi e, se c'era una cosa che lei aveva imparato da questo suo non-problema, era che la città non dorme mai.

Combatti i tuoi mostri.

Erano passati anni, ma lui, quella notte, la viveva ancora. Lei viveva ancora, e lui la viveva, e non solo nella sua testa: sentiva le sue dita sulle corde della chitarra che Edward non suonava più da quella notte, e sentiva il suo odore troppo femminile per quel buco chiamato casa. Lei non c’era e lui lo sapeva, ed era frustrante: perché non le mancava, perché lui in qualche modo la sentiva ancora viva.
Ed era inadeguato in ospedale e lo aveva capito troppo tardi, perché lui salvava vite ogni giorno ma in realtà non era bravo.
Edward non ci viveva più, lei viveva per lui ed era frustrante.
Lui era frustrato e la mattina si alzava che la luce era ancora fioca e che anche in primavera faceva freddo. Il treno lo aspettava sempre alla stessa panchina e il suo lavoro era sempre uguale. In tutti i disgraziati sulla barella vedeva lei e nello stridio dell’ambulanza, Ed, sentiva i suoi urli disperati; così come in ogni mano che stringeva. L’aveva deciso per vendetta, per ripicca, mortificazione – per lei – quel posto da portantino ..ma non era mai stato bravo a salvare vite.
Il tempismo non era mai stato il suo forte e, sì, quel giorno lui era arrivato tardi.

Combatti i tuoi mostri.

Era presto e lei correva, sennò la metro la perdeva.
Calze maglione anfibi e occhi neri, rannicchiata su un solo sedie con la testa tra le ginocchia e niente musica. Brianne aveva bisogno del suo analista, seriamente.

Combatti i tuoi mostri.


Edward invece aveva servizio in infermeria e stava un po’ scomodo, le vite lì non si salvavano.
Spenta la sigaretta e fatto un respiro profondo, si dava un attimo per pensare a lei e poi l’ospedale lo travolgeva.

Combatti i tuoi mostri.

“Signorina non può stare qui” diceva sempre la segretaria dell’analista, ma lei non l’ascoltava mai. Bisognava anche fare la fila, quando si stava per esplodere?
La porta si apriva velocemente e la piccola ragazza mora era dentro quella bianca sala d’ospedale, a riversare fiumi di parole ad un dottore ancora confuso.
“Ci sono le nuvole e l’odore di sangue, la signora del quarto piano che piange ed i bambini corrono. Ci sono voci, ragazze interrotte, e gente morta da tempo e, sembra un film, ma c’è dolore ed io lo sento” affannava.
“Brianne si calmi, si metta comoda in sala d’attesa e” il camice bianco ricadeva stirato sulle spalle dell’uomo sulla cinquantina che  era in piedi di fronte a lei, invitandola ad abbandonare lo studio medico.
“Sala d’attesa un cazzo” colpiva il muro con tale forza che le nocche sanguinavano, e che il bambino rannicchiato su una delle sedie, piangeva e mordeva le unghie. In infermeria ci andava da sola, ma lì il turno lo rispettava. Perché non li sentiva più.
Il dottore era giovane, sapeva di fumo e Brianne si sentiva un po’ meglio.
Lui la guardava e poi preparava le garze, lei sedeva sulla brandina.
“Cosa?” sbottava lei, incazzata.
“Mi ricordi tanto una persona” medicava la sua mano, lei tremava. “Cosa hai combinato?”
“Ho picchiato il muro per non prendere a testate l’analista che voleva rispettassi il turno” Oh no, era completamente diversa dalla sua lei, Edward pensava.
“Oh bè quella fila è dura per tutti” e lui lo sapeva meglio di chiunque altro. “Perché ti serve l’analista?” Quella ragazza era tutt’altro che ‘a posto’.
“I cazzi tuoi, infermiere?” ringhiava.
La medicazione era terminata da un po’, ma se ne stavano lì a guardarsi.
“Quindi mi odi e neanche ci conosciamo”.
“Mi sei indifferente”
“L’indifferenza è un peccato”
“Non credo in Dio”
“E in cosa credi?”
“Combatto i miei mostri, dall’analista” Diceva Brianne, e lui si sentiva morire.
“Vado dall’analista perché ho le allucinazioni” sospirava lei. “Ci convivo da anni”.
“Io vado dall’analista perché il ricordo vivo di un lutto non mi lascia respirare. Faccio questo lavoro per sentirmi meno in colpa, perché lei quella notte non sono riuscita a salvarla. Gli anni passano e lei non mi manca perché la sento ancora e, cazzo, dovrei andarci anche io per combattere i miei mostri, dall’analista”.
Non era solo. 

Combatti i tuoi mostri.



 yay.

SONO UNA MATTA, LO SO. 
avevo detto che non postavo più ed invece eccomi qua lol 
è strana, non chiedetemi come mi sia venuta .. c'è e basta.
fatemi sapere e combattete i vostri mostri. 
martina :)


 

  
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