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Autore: justin lo pinguy    09/05/2013    6 recensioni
Charlotte Smith, meglio conosciuta come Lottie, è una semplice ragazza di Roma. Lei ha lunghi capelli di un colore quasi sconosciuto e inesistente. I suoi occhi blu, certe volte, sono anche capaci di parlare. Il suo fisico magro e la sua carnagione diafana fanno invidia. Sta attraversando un brutto periodo. La madre muore e suo padre, preso dal lavoro e dagli impegni, la spedisce a Doncaster dai suoi zii e suo cugino. I genitori di suo cugino lavorano lontano da Doncaster e quindi la casa sarà tutta per Lottie e suo cugino. Ed è proprio quel fattore a determinare tutto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: “L’arrivo”


– Desidera qualcosa? – chiese per l’ennesima volta l’hostess.
– No, grazie – risposi secca per l’ennesima volta.
Appoggiai la mia testa al sedile e guardai fuori dalla piccola finestra. Il sole colpiva sulle punte dei miei capelli, creando delle sfumature di rosso. Le case erano piccolissime e attraversavamo le nuvole. Bello il panorama, ma non bastò a distrarmi. Odiavo volare, mi metteva tanta paura. Volare era un obbligo, in quel momento. Benché ormai fossi sola al mondo, dovevo pur trasferirmi. 
Dopo un volo durato ben due ore e mezzo, arrivai a destinazione: Doncaster. Popolazione: 67.977 abitanti, 67.978 più la sottoscritta. Grande città, tante persone, ma tra quelle ne conoscevo solo tre. 
Scesa dall’aereo, mi guardai intorno disorientata dalle mille persone presenti. Solo facce sconosciute vedevo. Ne riconobbi una, e insieme altre due. Sì, credevo fossero loro. Appena lui mi vide si alzò dalla poltroncina rossa e mi salutò con la mano. Mi avvicinai con un sorriso abbastanza imbarazzato. Posai il bagaglio a mano a terra e sorrisi. 
– Benvenuta! – disse mio cugino entusiasta abbracciandomi.
– Ciao – dissi io.
– Ciao, Charlotte – disse neutrale mia zia, abbracciandomi anch’essa.
– Ciao, zia Johannah – dissi sorridendo. – Ciao, zio Mark – continuai. 
– Come stai, piccola? – mi chiese zio Mark.
– Non male – e feci un finto sorriso.
– Menomale che sei arrivata – disse zia Johannah catturando la mia attenzione. – Louis non vedeva l’ora del tuo arrivo –
– Ehi, stai parlando della mia cugina preferita – disse lui.
“Certo” pensai sarcastica. Io e Louis non ci conoscevamo per niente. Io ero sempre vissuta a Roma con mio padre e mia madre, morta di recente. Lui era sempre vissuto a Doncaster con i suoi genitori. Ricordo che avevamo passato a stento un Natale insieme. 
– Lascia che ti prenda il bagaglio – si offrì Louis.
Lo lasciai fare, il bagaglio era leggero. Afferrò con decisione il bagaglio e tirò su con forza. Riuscì a strapparmi via un sorriso, perché le sue aspettative erano diverse. Il bagaglio era molto più leggero.
– Molto più leggero di quanto pensassi – disse sorridendomi.
Sorrisi e basta. In mano portavo un libro che avevo letto in aereo. Tutti e quattro ci dirigemmo all’ala est dell’aeroporto per prendere i miei bagagli. 
Non ero a Doncaster di passaggio, ma ci sarei stata in modo permanente. Mio padre era molto occupato con il lavoro e non voleva lasciarmi sola. Costringendomi ad andare a Doncaster, aveva solo peggiorato le cose. 
Zio Mark volle prendere i miei bagagli. Io presi solamente uno zainetto, dove avevo messo dentro cose senza senso. Uscimmo dall’aeroporto, io rimasi in silenzio e parlai solo quando qualcuno mi faceva una domanda. 
Non avevo molta voglia di parlare. La mancanza di mia madre si faceva molto sentire e m’impediva di esprimere la mia opinione. Ero spesso nei miei pensieri e non davo conto a nessuno. 
Zio caricò i bagagli in auto. Io mi limitavo ad osservare. Entrammo in auto. Mi sedetti il più possibile accanto al finestrino e presi aria. 
– Allora, Charlotte – disse zia.
– Lottie – precisai.
Sapeva così poche cose di me. Non sapevo come avrei fatto a convivere con chi non mi conosceva per niente.
– Lottie – si corresse. – Come sta tuo padre? –
Trovai naturale la sua domanda. Mio padre era suo fratello. Entrambi si tenevano molto in contatto e per questo mio padre aveva deciso che dovevo andare da lei. Si fidava di lei e le era molto affezionata. 
– Papà sta benone… – risposi.
– Sta ancora male per tua madre, vero? – chiese ancora zia.
– E’ inevitabile starci male – dissi e abbassai la testa. Sentivo già le lacrime pronte a scendere. – Lei era sua moglie –
– Mi dispiace – 
Finito lì. Molto meglio di come immaginassi. Zia non parlò più e cadde il silenzio. Il vento che entrava dal finestrino mi scompigliava i capelli e quell’aria nuova mi piaceva. Dopo cinque minuti, arrivammo. Era una casa molto graziosa. Dapprima delle scale, e poi iniziava la grande casa. Il primo piano era dipinto a righe azzurre su sfondo bianco. La porta era dello stesso colore delle righe. Il secondo piano era interamente bianco, separato da qualche finestra, le cui tendine erano chiuse. Scesi dall’auto e avvistai la casa ancora meglio. Zio prese i bagagli e li portò in casa. La casa era molto moderna anche dall’interno. Si apriva in un grande salone bianco e azzurrino. 
– Louis, fai vedere la stanza a Char… Lottie – disse zia. 
Era evidente che voleva mettermi a proprio agio, ma era difficile per me. Era comunque un ambiente nuovo e sconosciuto. 
– Certo – rispose Louis. – Vieni –
Salii al piano di sopra assieme a lui. Arrivati ad una porta di legno chiaro, si fermò e l’aprì.La stanza era molto graziosa e grande. Alla mia sinistra e alla mia destra, le pareti erano dipinte di arancio; di fronte e dietro me, erano dipinte di un bianco panna. 
Sulla sinistra, c’era un letto con sfumature di arancio sulle coperte. Su di esso si estendeva un grande armadio color legno. C’erano altri arredamenti nella stanza, ma di poca importanza. 
– Ecco la tua camera – disse Louis. 
– Grazie – dissi scocciata. 
– Vado a prendere le valigie – disse per poi scomparire da dietro la porta. 
– Grazie – dissi lasciando la parola sospesa nell’aria. 
Mi sedetti sul letto. Era morbido. Cominciai a osservare la stanza. Dopo appena cinque minuti, comparve Louis dalla porta, intento a portare i miei bagagli. Era davvero ironico. Cercava di portare tre valigie contemporaneamente. Mi alzai dal letto e gli diedi una mano. 
– Grazie – dissi poi. 
– È l’unica parola inglese che conosci? – chiese ridendo.
Risi anch’io. – No, ne conosco molte altre, ma non ho voglia di parlare –
– Finalmente hai parlato! Credevo fossi analfabeta – esultò. 
– Esagerato! – dissi ridendo. 
– Comunque, tra poco è pronta la cena. Scendi, dai. Spero tu sia affamata! – disse dandomi una pacca sulla spalla. 
– Oh, non sai quanto. Il volo è stato faticoso – risposi sarcastica. 
– Ma tu non avevi paura di volare? –
– Guarda che sono stata obbligata! –
Rise. 
– Lou, Lottie, scendete. La cena è pronta – sentimmo dal piano di sotto. 
Io e Lou scendemmo di sotto a cenare. Lou era davvero simpatico.
– Lottie, tu sai che io e zio Mark lavoriamo lontano da Doncaster... – azzardò zia. 
Alzai la testa dal mio piatto e la guardai, aspettando che continuasse. 
– Noi stasera partiremo e resterete solo tu e Lou qui –
Vidi sfoggiare da parte di Lou un sorriso da ebete. 
“Fantastico” pensai tra me e me. 
– Ci divertiremo un mondo – disse Lou facendomi l'occhiolino.
– Lo spero – risposi. 
– No, Lou, niente feste. Qualunque cosa succeda, me la prenderò con te! Ricorda! – 
– Ma mamma... – si lamentò Lou. 
Quella scena riuscì a farmi ridere. Dopo cena, ci furono i saluti di zia Johannah e zio Mark. Loro andarono via, lasciando delle regole scritte su un foglio attaccato con una calamita al frigo. Quella sera, mi misi a sistemare le valigie. Ero in camera e avevo appena aperto la prima valigia. Sentii bussare e la porta si aprì. 
– Disturbo? – mi chiese Lou. 
– No, macché. Entra e fammi compagnia –
Conoscevo da poche ore quel ragazzo, e mi ero già innamorata della sua folle simpatia. 
Si sedette sul mio letto e cominciò ad osservare i miei movimenti. Notai subito il suo pigiama con dolci orsacchiotti blu. 
– Domani comincia la scuola – mi ricordò. 
– Magnifico direi – dissi. 
– Tu sei al quarto anno, giusto? –
– Esatto – risposi. 
Avevo sedici anni, mentre Lou diciassette e mezzo. 
– Sei felice di essere arrivata qui? – chiese d'improvviso. 
– Perché me lo chiedi? –
– Ti vedo un po’... scontrosa, ecco –
– Per ora non ne sono felice – risposi. – Poi chissà, potrei ricredermi –
– Oh... – rispose Lou. 
Quando finii di sistemare le mie valigie, erano le 10:30 p.m. 
– Ti va se... scendiamo a vedere la tv? – chiese Lou. 
– Certo, perché no. Io mi faccio una doccia e scendo. Intanto cerca qualcosa d’interessante – risposi sorridendo.
Lui sorrise. Io presi il mio pigiama rosa con i gattini. Andai in bagno a farmi una doccia. Annegai nell’acqua calda e cominciai a pensare. Il giorno seguente sarebbe stato duro, molto duro. 
Uscii dalla doccia. La mia pelle emanava completamente calore. Mi vestii e scesi di sotto. Lou era sul divano che mi aspettava. Mi buttai sul divano a capofitto. 
– Trovato qualcosa d’interessante? – chiesi. 
Lui, premuroso, mi mise il plaid addosso. 
– Un film horror... Oppure, c’è un documentario sui delfini – rispose. 
– Documentario! – proposi con finto entusiasmo. 
Scoppiò a ridere. – E tu credi che io veda un documentario sui delfini perché l’hai proposto tu? – rise ancora. – Sei fuori con la testa –
– Ma io ho paura degli horror – mi lamentai. 
– Mmh... – pensò. 
Si alzò dal divano. Prese un album di CD e l’aprì mettendosi di nuovo sul divano. 
– Mmh... C’è Titanic, Spiderman 3, Cattivissimo Me, Trasformat – 
– Spiderman 3 – proposi. 
– Vada per Spiderman 3 – rispose. 
Mise il CD. Il film iniziò. 
– Aspetta! – disse mettendo in pausa. 
– Cosa? – chiesi. 
Si alzò e andò via, lasciandomi sola. 
– Ma Lou... – lo chiamai. 
Tornò dopo cinque minuti con pop corn caldi, Monster, Red Bull e coca cola. 
– Spero tu beva alcolici – disse.
Risi. – Dammi il Monster – gli dissi. 
Lui lanciò la bibita. Spense la luce e si rimise sul divano. Cominciammo a mangiucchiare i pop corn e dimenticammo il film che scorreva. Parlammo, parlammo e parlammo per quasi tutta la notte.
Il mattino dopo, mi risvegliai nel mio letto. “Strano” pensai. Ero sicura che la sera precedente mi fossi addormentata sul divano. Oppure era tutto un sogno la magnifica serata passata con Lou? Ad ogni modo, mi alzai e andai in bagno a sciacquarmi il viso. Uscii dal bagno e aprii le tende della mia stanza, che prese subito luce. Spalancai subito la finestra e uscii fuori al balcone, respirando la buon’aria del mattino. Dopo poco, però, rientrai dentro e frugai nella mia borsa in cerca delle mie sigarette. Appena le trovai, ne accesi una e uscii di nuovo fuori. 
– Ehi, non inquinare la mia Doncaster con la tua sporca sigaretta – sentii una voce simpatica. 
Abbassai lo sguardo e giù c’era Lou.
– Buongiorno anche a te, Lou – dissi con un sorriso.
Lui spalancò la bocca mostrando un ampio sorriso.
– Ti conviene muoverti. Tra dieci minuti, dovremo essere a scuola – disse vedendo l’orologio che non aveva al polso. 
– Merda. Dici sul serio? – chiesi sporgendomi dal balcone. 
– No – rispose. – Ma devi fare comunque presto. Voglio presentarti i miei amici –
– Va bene – risposi. 
Rientrai. 
– Lottie – sentii Lou urlare da fuori. 
Mi affacciai di nuovo. 
– Ssh! Sveglierai i vicini – dissi facendogli cenno di tacere. 
– Ti aspetto in auto – disse sorridendo. 
Sorrisi anch’io e rientrai. Gettai la sigaretta e mi preparai velocemente. Dopo dieci minuti, uscii di casa e andai in auto da Lou. 
– Ce l’ho fatta! – dissi appena entrata. 
Scoppiò a ridere.
– I tuoi capelli – disse ridendo.
Mi guardai nello specchietto. I miei capelli erano un disastro. Mi voltai verso Lou, pronta per chiedergli altri cinque minuti, ma lui m’interruppe prima che parlassi. 
– Vai – mi disse. 
– Grazie – dissi sorridendo. 
Uscii dall'auto. 
– Ehi, Lottie... – mi chiamò Lou. 
Mi sporsi in auto. 
– Chiudi la porta quando esci – e mi porse le chiavi di casa. 
– Va bene... ma tu non andartene, eh – risposi. 
– Non preoccuparti – 
Entrai di nuovo in casa e corsi in bagno ad aggiustarmi i capelli. Mi feci una coda di cavallo e uscii, chiudendo la porta. Dimenticai lo zaino in casa, così entrai di nuovo. 
Quando entrai in auto, Lou rideva come un pazzo. 
– Non ridere delle mie sventure! – mi lamentai. 
Rise ancora. Partì e arrivammo a scuola dopo cinque minuti. Uscii dall’auto e osservai quel grande edificio. Era un posto popolato, diverso dalla mia scuola di Roma. 
– Saranno cinquemila studenti – borbottai. 
– Cosa? – chiese Lou. 
– Nulla. Borbottavo tra me e me – risposi.
– Oh, ecco i miei amici – disse, poi mi prese la mano. 
Non davo peso a quel gesto, ma il mio cuore cominciò a battere al suo solo tocco. 
Ci fermammo davanti a quattro ragazzi che parlavano tra loro. 
– Ehi, ciao, Louis! – disse il moro. 
– Ciao, ragazzi – rispose Lou. – Lei è Lottie, mia cugina. È arrivata ieri – mi presentò. – Lottie, loro sono Zayn, Harry, Liam e Niall – mi presentò i ragazzi. 
– Ciao, bella! – disse Harry. 
– Ciao – dissi sottovoce imbarazzata. 
– Benvenuta – mi disse sorridendo Niall. 
– Grazie –
– Se vuoi fare un giro della scuola, io sono sempre disponibile – disse Harry e poi mi fece l’occhiolino. 
– Se ne avrò bisogno, lo chiederò a Lou – risposi maliziosa. 
Liam scoppiò a ridere. 
– Questa volta, hai avuto i pali in fronte – disse Liam ancora ridendo. 
Harry mi guardò con malizia e rabbia allo stesso tempo.
Suonò la campanella. 
– Cazzo. Già è suonata? – chiese Lou. 
– Hai anche tu le orecchie, no? E poi tu sei arrivato tardi – disse Niall. 
– Colpa sua – m’incalzò Lou. 
– Ehm... Sì, colpa mia – dissi imbarazzata. 
– Allora siete perdonati – disse Zayn. 
Io e Lou sorridemmo e basta. Entrammo in quella scuola. Lou mi accompagnò in segreteria, dove avrei dovuto prendere i miei “effetti personali”. Le prime cinque ore passarono. I professori erano molto simpatici, eccetto uno. La professoressa Freak. Solo una cosa: il suo cognome stava per “mostro”. Mi bastò un’ora per cominciare a odiarla. All’ultima ora, Lou mi attendeva fuori dalla classe della Coleman, l’insegnante di spagnolo. Insieme, andammo alla mensa, il posto più grande di tutto l’istituto. Era completamente bianca e i tavoli blu. Io e Lou prendemmo un po’ di roba e andammo a sederci nel tavolo del suo gruppetto. Al tavolo, oltre ai suoi amici, c’erano aggiunte due ragazze. 
– Lottie, loro sono Eleanor e Perrie. Eleanor e Perrie, Lottie – disse Lou. 
– Ciao! – disse simpatica Perrie.
– Ciao – dissi imbarazzata.
Eleanor, invece, non mi degnò di uno sguardo e continuò a mangiare. Non ci diedi peso, e cominciai a parlare con i ragazzi attorno. 
– Non mangi i broccoli? – mi chiese Harry notando che li avevo lasciati.
– Non mi piacciono tanto – dissi arricciando il naso.
– Fantastico. Ti chiamerò Broccolo Sexy. È il miglior soprannome che io abbia mai dato. E poi, tu sei anche sexy – mi fece l’occhiolino.
Dopo un po’ suonò di nuovo la campanella. Harry mi dava un po’ su i nervi. Sembrava uno di quei ragazzi che se la tirano tanto. Ne ebbi la conferma quando.

 

  
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