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Autore: Rivqah    09/05/2013    0 recensioni
Quando un apatico uomo di 35 anni conosce la sua futura coinquilina, la disdegna perchè porta su di sè l'unico appellativo che non avrebbe mai più voluto risentire.
Lui cercava una svolta e non si rendeva conto di averla davanti.
Lei cercava di fuggire da un passato burrascoso e forse ci riuscirà.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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#One.

Aveva appena aperto gli occhi e il ricordo di ieri ancora non l’aveva assalito.

Si dice che i primi cinque secondi dopo il risveglio, siano come una sorta di passaggio fra la quiete del sonno  e la frenesia di quello che ti aspetta.
In quel momento sentiva solamente il piumone bianco morbido a diretto contatto con la sua pelle, la pioggia sui vetri e il freddo che gli gelava il naso: gli bastava questo per avere un risveglio più che dolce.
Cinque secondi sono però veloci a passare e dopo di loro la mente comincia a lavorare e a ricordare. Nella sua mente si accavallavano liste della spesa e liste di eventi da dover ricordare: pane, pasta, convention, meeting, pomodori, Isabelle, cena per domani che è festa.
Sgranò gli occhi disgustato e si soffermò su quel nome che la mente gli aveva suggerito: Isabel.
Lo maledisse un paio di volte, poi maledisse se stesso e mandò a farsi fottere quei cinque secondi di pace spirituale che aveva appena avuto.

Scostò il piumone e si diresse in bagno. Lo sguardo che trovò riflesso di fronte a sé non gli piaceva più da molto tempo: si sentiva vuoto e spento. Nathan aveva la sensazione di aver perso la rotta e di non avere più punti fissi, sponde su cui attraccare e scogli a cui potersi aggrappare.
Rinnegava giorno dopo giorno la sua sensibilità, che chi lo conosceva meglio prendeva in giro e si impegnava a diventare un uomo tutto d’un pezzo, grigio e apatico: si convinceva che facendo così, la vita gli sarebbe risultata più facile e senza preoccupazioni.
Sciacquò via i pensieri con un getto d’acqua gelido e poi indossò la tuta: tutte le mattine faceva il giro dell’isolato per cinque o sei volte, fino a quando non sentiva la mente completamente sgombera.
Corsa, doccia, colazione, lavoro, corsa, doccia, cena: questa era la sua routine giornaliera.

Con la musica nelle orecchie i sei giri volarono e ritornò a testa bassa nel suo palazzo.
“Scusa!” una ragazza sua coetanea lo chiamava, ma non se ne accorse; ritentò. “Scusami!”, ma non ricevette nessuna risposta.
Nathan si sentì bussare violentemente sulla schiena e si girò con un volto scuro, pronto a sentire le lamentele della signora del terzo piano sul volume troppo alto della musica.
“Ho capito che non sono uno schianto, ma mi hai dato appuntamento qui! Perlomeno dovrebbe essere puntuale e cordiale, Mr. Giblion.” La sua voce era seccata e amareggiata.
“Ma cosa vuole? Se ne vada!”
“Se ne vada? Ho fatto i salti mortali per venire qui e mi caccia? La prossima volta che cerca una coinquilina, si compri un cane” Rachael girò su se stessa e fece per andarsene, ma venne richiamata quando lui si ricordò del giorno di ferie preso proprio in occasione dell’appuntamento stabilito con la donna.
“No, prego, mi scusi. Mi segua.”
Lo seguì in silenzio.

“Nathan, Nathan Giblion.” Si presentò con l’aria grigia e spenta, proprio come si era riproposto di fare.
“Rachael Isabelle Wood.” La donna strinse la mano con forza, tanta quanta ne metteva lui. Di certo lei non era una donna facile, di quelle che vogliono passare per il sesso debole.
Voleva dare l’impressione di essere una forte, combattiva, una leonessa.
Avrebbe giurato, lei, di vederlo irrigidire al sentire quel nome e avrebbe vinto. Lui si bloccò e mandò giù un groppo amaro e pesante.

“Deve essere una punizione divina – pensò. Isabelle. Fra tutte le Newyorkesi perché proprio una che si chiama Isabelle? Perché? Al diavolo, devo aver sentito male”.
“Scusami, mi può ripeterle il nome?” domandò”
“Rachael Isabelle Wood. Perché?”
Nathan si rese conto di non star facendo una bella figura, ma in quel momento gli interessava ben poco.
“Mi ricorda una conoscente” rispose a brutto muso.

Aveva un bisogno disperato di una coinquilina, tanto da dover sopportare anche lei. Strinse i pugni e andò avanti, facendole strada.

Giblion aveva un attico in un palazzo di Manhattan che poteva permettersi fino a quando suo padre lo manteneva: da quando aveva chiuso i rapporti con lui, era stato costretto a ricercare una coinquilina che fino ad adesso aveva sperato potesse diventare un amore.
Aveva cambiato idea al solo sentire del nome e si era convinto che sarebbe stata quella ragazza un’ombra nera che le avrebbe ricordato il suo amore sereno finito in burrasca.
Fermo sull’obiettivo che avrebbe dovuto raggiungere – arrivare a fine mese – si impegnò a mantenere quel minimo di autocontrollo che la situazione richiedeva. Alzò l’affitto di un 20% affinché fosse scoraggiata, ma fu irremovibile.

“Vuol dire che farò gli straordinari” replicò accettando.
“Lavora?”
“Si, in una tavola calda a dieci minuti da qui”.

Notò con piacere che la ragazza era solare e sentì un pezzo del muro grigio eretto per difesa crollare inerme. Si affrettò subito a ripararlo e a renderlo più forte del previsto.

“Bene. Sto andando a lavoro. Se ti piace il posto puoi trasferirti qui da domani, altrimenti da quando vuoi. Diamoci del tu. A domani.” E l'accompagnò fuori, fingendo di andare a lavoro. Appena fu scomparsa dalla sua vista tornò indietro e si tuffò nella doccia.

Rachael sapeva benissimo che fra di loro l’unico dialogo possibile sarebbe potuto essere riguardo la casa, ma soprassedé e accettò l’offerta di trasferirsi lì dall’indomani. Dalla sua parte lei aveva la caparbietà e la curiosità; il suo occhio vispo aveva capito che sotto quell’adulto di trentacinque anni ci sarebbe potuto essere  un uomo da scoprire.
Qualunque sembianza avrebbe avuto, si sarebbe impegnata a trovarlo.

Angolo'sR.

Dopo un periodo di silenzio, si torna a scrivere.
Spero piaccia, a presto,
R.

  
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