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Autore: Cialy    28/11/2007    1 recensioni
Era un buco nero, Peter. Un buco nero che lo incuriosiva, lo stuzzicava; era un giocattolo – il migliore, il più bello – che continuava a restare sullo scaffale più alto e a sfuggirgli, senza nemmeno dargli la possibilità di esaminarlo.
[Future!Sylar/Future!Peter, Five Years Gone storyline]
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Matt Parkman, Peter Petrelli, Sylar
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi della storia non mi appartengono e vengono da me utilizzati non a scopo di lucro, ma semplicemente per divertimento.

 

Beta: IoSonoSara

 

Attenzione: Linguaggio e accenni ad una relazione tra fratelli (Nathan/Peter).

 

Note: Ambientata nella storyline di Five Years Gone (puntata 1x20), esattamente nel Febbraio 2009, la prima parte, e alla fine della medesima puntata, l’ultima parte.

Il titolo viene da Every You And Every Me dei Placebo (grazie a IoSonoSara, oh mia lovvata *_*).

Se qualcuno degli eventi accennati non vi torna, guardate questa timeline, HeroesWiki è l’amore puro!

 

 

 

Something borrowed, something blue

 

 

Essere perfettamente soddisfatto della propria situazione gli bastava. Non aveva importanza guardarsi allo specchio e vedere il viso di un altro, essersi dovuto adattare alla sua vita, ai suoi atteggiamenti. Riusciva persino ad ignorare il fatto che nessuno considerasse speciale lui, Gabriel Gray, occupati com’erano a srotolare la lingua per leccare il culo del Signor Presidente.

Doveva trattenere le risate, ogni volta. Ogni singola volta. Si concentrava sul piacere di vederli strisciare, crogiolandosi nel potere che possedeva, nella possibilità di decidere delle loro vite quasi fosse stato uno di quegli imperatori di Paesi inesistenti che si trovano nei libri per bambini.

Li leggeva anche lui, una volta, quei libri. E, come tutti i bambini, ci aveva creduto, con la speranza negli occhi, mentre sua madre gli diceva che un giorno anche lui avrebbe potuto essere un re.

Sei orgogliosa di me, ora, mamma? Sono il Presidente degli Stati Uniti, mamma.

A volte desiderava che fosse ancora viva solo per dirle questo.

 

Nemmeno vestire i panni di Nathan Petrelli fu troppo difficile. Lo aveva osservato a lungo, prima di agire, era stato accurato nello studiare ogni sua mossa; questa volta c’era troppo in ballo, non avrebbe potuto permettersi di mandare tutto all’aria per scarsa attenzione. No, era stato preciso, come un vero assassino. E poi si era insinuato nella sua vita come se gli fosse sempre appartenuta.

Principalmente, fu merito del potere: gli stava così bene, addosso.

 

Vivere in famiglia – avere una moglie, dei figli – era qualcosa che poteva anche gestire. Essere il Presidente degli Stati Uniti implica un sacco di doveri e responsabilità; tutti ottimi motivi per passare del tempo extra in ufficio o nelle sue stanze private quando non voleva moglie o bambini fra i piedi. Heidi, inoltre, era una donna piacevole. Sapeva rimanere al suo posto, non era necessariamente invadente; Sylar pensava che Nathan l’avesse istruita per bene.

 

L’unico buco nero della vita di Petrelli era rimasto suo fratello Peter.

Sylar sapeva com’erano andate le cose. Sapeva chi davvero esplose quella notte, al Kirby Plaza, e sapeva come Nathan aveva coperto le tracce alla perfezione, lasciando ricadere la colpa sul povero e innocente Gabriel Gray. E sapeva, anche, dell’incrinatura che, dopo l’otto novembre duemilasei, aveva intaccato definitivamente il rapporto dei due fratellini.

Certo, dopo tutti quegli anni, non aver ancora capito come esattamente Peter funzionasse lo irritava non poco. Aveva chiesto a Mohinder, si era fatto spiegare, ma non riusciva ancora a digerire il pensiero che quel ragazzo fosse in grado di fare esattamente tutto ciò che faceva lui. Tutto, senza eccezioni e senza la minima fatica, il minimo impegno – dopo che lui, al contrario, aveva dovuto macchiarsi le mani di sangue, uccidere persone su persone, per arrivare a quel punto.

 

Era un buco nero, Peter. Un buco nero che lo incuriosiva, lo stuzzicava; era un giocattolo – il migliore, il più bello – che continuava a restare sullo scaffale più alto e a sfuggirgli, senza nemmeno dargli la possibilità di esaminarlo.

Così, quando gli capitò l’occasione di avvicinarsi a lui, semplicemente, la colse al volo.

 

*

 

Parkman entrò nel suo ufficio con la solita espressione preoccupata, quella che si stampava sul suo viso ogni santissima volta che portava una brutta notizia.

“Che c’è questa volta, Parkman?” chiese, sollevando lo sguardo da alcuni documenti da firmare.

L’uomo respirò a fondo, per poi guardarlo fisso. “Abbiamo ricevuto una segnalazione. Si tratta di suo fratello, Presidente, è stato avvistato.”

Sylar posò la penna e decise in fretta. Si alzò, appoggiando i palmi delle mani sulla scrivania e sporgendosi verso il capo della Sicurezza Nazionale. “Dove si trova?”

“Presidente, stiamo parlando di un terrorista. Peter è ancora ricercato per l’assalto alla prigione…”

“Ti ho chiesto dove si trova, Parkman.”

“Presidente, devo insistere…”

“Parkman,” lo interruppe ancora, alzando la voce. “Si tratta di mio fratello. Voglio vederlo un’ultima volta prima che venga imprigionato a vita, o… peggio. Se è qualcosa che non puoi capire, non farlo. Dimmi solo dove cazzo si trova,” continuò, scandendo attentamente la richiesta con il suo miglior tono autoritario.

Matt deglutì. “Come vuole,” sussurrò e, dopo aver tirato fuori dal cappotto un foglio di carta, lo posò sulla scrivania. “Qui c’è l’indirizzo,” spiegò. “Le faccio preparare la scorta?”

“Credo di potermela cavare da solo, grazie,” rispose Sylar, in un tono che non ammetteva repliche.

L’altro annuì e, dopo un rapido gesto di saluto, lasciò l’ufficio.

 

*

 

Il quartiere era uno dei più malfamati di New York – non che fosse una cosa di cui stupirsi, chiaramente.

Sylar camminò con passo rapido, il viso affondato nella sciarpa di lana, pressoché celato alla vista altrui, e le mani ben al caldo nelle tasche del cappotto – dove, tra le altre cose, teneva una pistola –, e percorse in pochi attimi la strada che, dall’auto, lo separava dall’abitazione che gli era stata segnalata.

Parkman gli aveva imposto la scorta, alla fine, ma i suoi ordini, pochi attimi prima, erano stati ben chiari. “Osate avvicinarvi alla casa prima che io dia un qualche segnale e ve ne pentirete.”

 

Attese tre minuti buoni, prima che un piccolo spiraglio della porta si aprisse e, con tono rabbioso, una voce chiedesse: “Che vuoi?”.

Sylar guardò fisso nello spiraglio, intercettando lo sguardo di Peter. “Parlare,” disse solo.

L’altro rise nervosamente. “Certo, e dopo arrestarmi, magari?”

“No,” pausa. “Non oggi, almeno.”

Restarono a guardarsi per ancora qualche attimo, prima che il ragazzo più giovane diventasse invisibile e la porta si aprisse il necessario per farlo entrare.

Una volta dentro, non riuscì nemmeno a sentirla chiudersi perché venne scaraventato con forza contro una parete. Telecinesi, a volte la odiava davvero. Si trattenne, respirando a fondo, per non rispondere all’attacco.

 

“Cosa sei venuto a fare, Nathan?”

La voce di Peter provenne da un punto imprecisato della stanza; non solo il ragazzo continuava a tenersi invisibile, ma impediva all’altro uomo di voltare la testa, lasciandogli guardare solo il muro scrostato davanti a sé.

“Te l’ho detto, voglio parlarti,” ribatté, tentando di dominare l’irritazione e non lasciarla trapelare nemmeno nell’intonazione della voce.

“E gli altri? Ci sono delle guardie? Dubito che il Signor Presidente sia venuto fin qui tutto solo.”

Dalle variazioni che percepiva nella sua voce, poteva notare come l’altro si stesse spostando, presumibilmente per spiare fuori dalle finestre.

Peter non lo spaventava. Sapeva benissimo che, per nulla al mondo, avrebbe fatto del male al fratello. Era certo di poter essere sincero. “C’è un’auto con le mie guardie del corpo dietro il palazzo. Ho ordinato loro di non entrare, sta’ tranquillo. E ho una pistola, nella tasca sinistra del cappotto.”

Peter sbuffò, ricomparendo e avvicinandosi rapidamente. Con dei gesti bruschi, senza la minima accuratezza, frugò nel suo cappotto e tirò fuori l’arma. La guardò, quasi sorpreso, rigirandosela in una mano.

“Cristo, Nathan, cosa cazzo credevi di fare con questa?!”

“Non era per te,” sbuffò l’altro, in risposta. “I miei agenti non mi avrebbero mai lasciato arrivare da solo fino qua senza portarmi almeno quella dietro. Dove diamine vivi, Peter?!”

Lentamente, mentre il ragazzo indietreggiava, Sylar sentì allentarsi la pressione che lo teneva incollato al muro. Si girò verso il proprio interlocutore, rassettandosi il cappotto, e poi, come se fosse in quella casa per la chiacchierata più normale del mondo, si sedette sul divano logoro sistemato lì accanto.

 

Peter appoggiò la pistola su un mobiletto vicino alla porta d’ingresso. La stanza in cui si trovavano era piccola, davvero un buco, così che, anche stando a ridosso di due pareti opposte, finivano col distare solo un paio di metri.

Sylar restò ad osservare il ragazzo analizzando ogni suo movimento. Erano lenti e lui appariva nel complesso sicuro di sé, non più il ragazzino spaventato senza la pallida idea di cosa fare che aveva incontrato tre anni prima. Aveva davanti un uomo, e la cicatrice che segnava il suo volto, i capelli corti e la barba incolta di qualche giorno sembravano testimoniarlo.

Con un gesto del capo, indicò il posto accanto a sé sul divano. Peter lo guardò negli occhi ed ebbe un attimo di esitazione; Sylar poté sentire il suo cuore accelerare il battito, prima che, senza che il suo sguardo si spostasse, il ragazzo camminasse verso di lui e si lasciasse cadere al suo fianco.

 

“Te lo chiederò un’altra volta. Cosa vuoi, Nathan?”

Ogni suo senso era stato allertato, pronto ad avvertire il minimo pericolo e a sfoderare uno di quei meravigliosi poteri per difendersi. Sylar si chiese quanto la situazione si sarebbe risolta a proprio favore, se avesse avuto Peter accanto a sé fin dall’inizio. Le loro capacità sarebbero stata ineguagliabili, nessuno avrebbe potuto contrastarli, ma solo ammettere di avere di fronte le due creature più speciali del pianeta.

Era inevitabile che cominciasse a desiderarlo; pensò che, anche adesso, aveva bisogno di forze, che Peter gli sarebbe stato comunque utile – perché non si poteva mai sapere con certezza cosa gli riservasse il futuro – e poi, distintamente, che lo voleva.

Peter sollevò un sopracciglio, bagnandosi le labbra. Scivolò sul divano più vicino a lui e, senza dire una parola, lo afferrò per la nuca e lo baciò con insistenza. Forzò la sua bocca ad aprirsi e Sylar dovette dominare lo stupore e, semplicemente, rispondere al bacio. Evidentemente, c’era ancora qualcosa sui due fratelli che non conosceva.

Peter si staccò poco dopo. “Mi vuoi, Nathan? L’hai appena pensato. Sei forse venuto fin qui per scoparmi un’ultima volta?” sussurrò rabbiosamente sulle sue labbra, prima di afferrarlo per la gola e spingerlo disteso sul divano, come se volesse strozzarlo. “Che fratello amorevole…” continuò, aumentando la stretta.

Sylar maledisse il potere di Parkman e, a fatica, tentò di parlare. “Non hai sentito tutto,” riuscì a dire, respirando stentatamente. “Ti voglio accanto a me.”

Peter aggrottò le sopracciglia, allontanandosi di scatto e rimettendosi in piedi, lasciando finalmente l’altro libero di riprendere fiato.

“Cosa significa questo? Vuoi propormi qualche incarico governativo per tenermi sotto controllo?!”

Allentandosi il colletto della camicia, Sylar si rimise a sedere sul divano. “Voglio che mio fratello ne esca vivo, ti sto solo offrendo una possibilità di farlo. Alleati con me, Peter, è l’unico modo.”

“Cristo, ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? Allearmi con chi ha approvato la cazzo di Legge Linderman?! Con chi ci sta rendendo la vita un inferno?!”

“Avresti salva la vita. E la tua meravigliosa abilità non andrebbe sprecata.”

Peter strinse i pugni, il tono di voce distorto dalla collera. “La mia?! E quella di tutti gli altri, Nathan? E il resto della gente come noi? Loro possono morire e tanti saluti?!” urlò. Poi, con voce più calma, strozzata quasi, aggiunse: “Io non posso essere così egoista. Non posso essere come te.”

Sylar si alzò in piedi e gli andò incontro. Gli girò intorno, posizionandosi dietro di lui e appoggiando le mani sulle sue spalle. “Peter, sei ancora così ingenuo, nonostante tutto,” sussurrò, vicino al suo orecchio. “Tu sei già come me. Te ne vai in giro a fare attentati insieme a Nakamura per mostrare a tutti quanto sei buono e bravo e che le tue abilità sono positive, uccidendo la gente per farlo. Hai le mani macchiate di sangue esattamente come me, e per il mio medesimo motivo: far vedere a tutti quanto sei speciale.”

Si interruppe per accarezzargli una guancia con il dorso della mano, mentre il ragazzo sembrava irrigidirsi ogni secondo di più.

“È per questo che insieme saremmo perfetti,” continuò. “Ma se non vuoi, allora non mi resta che dirti addio, Peter,” si sporse verso di lui e gli appoggiò, lentamente, le labbra sulla guancia. “Perché la prossima volta che ci incontreremo, probabilmente, dovrò ucciderti.”

E sarò io a farlo, perché sono l’unico a poterlo fare, pensò distintamente, sperando che il ragazzo gli leggesse la mente, mentre si allontanava di qualche passo.

Si voltò, raccolse la pistola dal mobiletto e la sistemò di nuovo nella tasca del cappotto, preparandosi ad uscire da quella casa, sotto lo sguardo stranito di Peter, che, ancora, non era riuscito a dire nulla.

“Addio,” fu l’ultima parola che sussurrò, prima di aprire la porta e uscire di nuovo in strada, nel freddo di febbraio.

 

 

 

***

 

 

 

Quando, due anni dopo, si incontrarono nuovamente, Sylar non aveva dubbi su quello che c’era da fare. Mostrargli chi era davvero, rivelargli di aver ucciso Nathan molto tempo prima, ricordargli che non l’aveva nemmeno salutato, che lo aveva odiato per tutto quel tempo, avevano indebolito Peter molto più di quanto avessero fatto i propri poteri. Lo vide piegarsi sempre di più ad ogni parola, mentre la furia montava e gli annebbiava la mente, lasciando che sbagliasse uno, due, tre colpi.

Il ragazzo diventò invisibile – segno che, davvero, era disperato –, ma fu una mossa inutile, perché Sylar poteva sentire il battito del suo cuore aumentare, individuandolo ovunque tentasse di nascondersi.

“Te l’avevo detto, saremmo stati perfetti se ti fossi unito a me. Ma adesso…” ghignò. “Adesso è troppo tardi e non puoi più essere il mio giocattolo. Adesso morirai.”

 

Peter riapparve e, affannato, lo fissò; di nuovo, lesse quel pensiero nella sua mente: E io sono l’unico a poterti uccidere.

Chiuse gli occhi, respirò a fondo e riconobbe che aveva ragione, che era proprio così.

 

Dall’altra parte della stanza, Sylar pensò che era vero anche il contrario, che Peter, allo stesso modo, era l’unico a poterlo uccidere, ma, per quella volta, non gliel’avrebbe lasciato scoprire. Affilò una lama di ghiaccio e avanzò verso di lui – sapeva esattamente dove colpire.

  
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