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Autore: Lisa_Pan    10/05/2013    3 recensioni
"Lo hanno lasciato lì per un bel po’, non so quanto di preciso, volevano dargli il tempo di salutarci tutti prima di andarsene. Ed è stato così, il tempo di dirgli ciao e la corrente è saltata, le tende son calate sul palco e Andy si è inchinato al pubblico strusciando i capelli biondi per terra e macchiando il legno di mascara sciolto."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crown of thorns

Che giorno è? Diciannove Marzo?

Sì, ecco, il diciannove Marzo non è un granché di giorno, all’epoca non potevo vantare nemmeno un rapporto decente con mio padre, c’era tanta di quella tensione che potevi suonare anche senza amplificazione. Però, ecco, in un certo senso mio padre mi ha tenuto legato a quel posto. Altrimenti avrei mollato. Dico, sarebbe stato semplice lasciare tutto e tornarmene a Big Sandy. Non mi sarebbe nemmeno dispiaciuto, lì per lì, all’epoca probabilmente ero pronto ad ammettere di esser nato per restarmene seduto accanto ad un piatto e passare le giornate insieme a Deedee e a mio zio. All’epoca ero convinto di molte cose. E quando sei convinto di avere in mano la situazione e poi, all’improvviso, tutto crolla che diavolo fai? Non c’era nessuno in quel cazzo di posto umido che ci avesse avvertito, che ci avesse detto “ehi, il vostro amico è fottuto”. Cazzo sarebbe stato diverso, no? Uno ci avrebbe cominciato a pensare, a quella possibilità, ci avrebbe pensato e magari sarebbe stato più facile.

Più facile capire in che cosa ci eravamo tirati dentro perché di farcene una ragione non ce n’era proprio la possibilità. Cazzo. Più ci penso e… cazzo. Dovevate vederlo, steso sul lettino dell’ospedale con la faccia bianca, bianca di morte e non di cipria; più di tutti mi facevano pena quelli che tentavano ancora di parlarci, di salutarlo, di trovargli un fottuto motivo che lo invogliasse a tornare indietro. C’ero anch’io tra quelli che ci provavano, era inevitabile. Il silenzio lo avevo nelle orecchie, perché aveva lasciato un bel vuoto la sua voce; davanti a quella consapevolezza era diventato quasi insopportabile riuscire a sostenere una conversazione con Stone. E allora parlavo con lui, con Andy.  Lo hanno lasciato lì per un bel po’, non so quanto di preciso, volevano dargli il tempo di salutarci tutti prima di andarsene. Ed è stato così, il tempo di dirgli ciao e la corrente è saltata, le tende son calate sul palco e Andy si è inchinato al pubblico strusciando i capelli biondi per terra e macchiando il legno di mascara sciolto. Sono tracce indelebili quelle, tracce che avrei voluto fotografare e sbattere in faccia ai tanti scolapasta che giravano da quelle parti all’epoca. So che è difficile sostenere tutta quella pressione, so anche che esiste qualcuno al mondo capace di controllare la dipendenza e il successo allo stesso tempo, capace di coniugare i due bisogni e renderli l’uno la risposta dell’altro, ma lui non era pronto. Lui si è fatto divorare, ha perso il controllo, si è lasciato portare via troppo presto, ancor prima che arrivasse quel successo tanto desiderato. Si è segato le gambe da solo, sostanzialmente.

E noi guardavamo. Succedeva così spesso che qualcuno iniziasse, il mondo era abituato a vedere gente crollare sul palco con il cuore in tachicardia, e noi non pensavamo minimamente che potesse succedere a qualcuno dei nostri, specialmente a lui. Simpatiche convinzioni che ti si portano via metà del cervello e ti amputano il cuore.

E’ tutto confuso, me ne rendo conto, ma è questo il punto. Eravamo totalmente impreparati e non ne avevamo la consapevolezza, credevamo di poter cavalcare un’onda più grande di noi, perché Andy aveva le capacità di cavalcarla per tutti. Eravamo dipendenti dalla sua voce, dal suo carisma, dal suo impatto devastante con il resto del mondo. Chiunque potrebbe dire lo stesso, sono proprio quelle cose da cui tutti erano irrimediabilmente attratti.

Quindi capite come Big Sandy potesse risultarmi la giusta alternativa, in quel momento. Ricordo di una volta in cui ci chiesero che fine avrebbero fatto i Love Bone dopo Andy. Io me ne stavo seduto con la testa bassa, ogni tanto alzavo gli occhi giusto per controllare che fossero ancora lì tutti quanti o che ci fossi io. Ricordo che Stone aveva iniziato a rispondere dichiarando quanto fosse difficile anche solo parlarne, quando il giornalista lo ha bloccato nel bel mezzo del discorso per dirgli del microfono staccato. Era questo che mi faceva male più di tutto: il ritorno brusco alla realtà. Eravamo abituati ad aprirci a chiunque, mente e anima, fino a svuotarci anche di tutta la saliva o del sudore, non sapevamo ancora come il mondo avrebbe risposto. Avevamo un’idea del rispetto, ancora fresca ma abbastanza matura da capire lo stato devastante in cui ci aveva lasciati Wood e rispettarne le ferite e le cicatrici. Ricordo le nostre facce dopo che il tipo ci ha detto del microfono, giuro che è stata come una doccia gelata. Ho alzato gli occhi e non solo ho realizzato di essere lì fisicamente, ma anche di quanto me ne volessi andare, di quanto fossi fuori luogo e fuori dai miei principi.

Avevo provato così tante volte a fare musica, avevo creduto davvero di potercela fare, di poterci credere una volta per tutte. Ho raccontato di come le mie esperienze prima dei Pearl Jam fossero state devastanti, la barca veniva abbandonata sempre, ogni dannata volta, e io mi ritrovavo in mare a nuotare per miglia fino a quando un pezzo di legno non mi recuperava e mi portava a riva. Quella volta, invece, pensavo davvero che non ce l’avrei fatta, pensavo davvero di mollare tutto, di smettere di suonare, di smettere di provarci.

Ero stanco e devastato.

Ricordo di aver pensato che forse non fosse destino che io facessi musica. E’ una frase che anche adesso mi ripeto, per motivi diversi, per mantenere lucidità. Chris parlava di Andy come di un faro e in fondo ho sempre creduto che avesse ragione. Insomma, lo è ancora: la sua esperienza, tutta quella situazione, le macchine, il bip continuo, cazzo non eravamo più dei ragazzini e Andy ci aveva lasciati. Andy era morto. Eravamo finiti senza rendercene conto. Avevamo bisogno di un faro anche dopo di lui e l’unico adatto ad esserlo restava Andy.

Non ero pronto a rinunciare, anche se desideravo farlo, ogni volta che prendevo in mano il basso o la chitarra, qualcosa tornava a galla. E’ sempre stato bisogno, mentale e fisico. Suonare, dico, non è mai stato solo passione o solo divertimento, ne avevamo bisogno, soprattutto in quel momento, sapevamo che era il modo giusto di raccontare al mondo una realtà molto più cruda e tagliente di quella che ci stavano insegnando. Avevamo un ruolo in tutto quel casino. In fondo, forse, potevamo ancora farcela.

E quindi, il diciannove marzo non è un gran giorno, non lo è mai stato, anche per quella storia di mio padre. Un altro che aveva problemi col padre era Ed, un altro che capiva quel bisogno, un altro che lo condivideva. Un altro che come me, Stone e l’intera arena pensa a Wood in questo fottuto giorno.

“ Una volta ho scritto Andy e Ed su un foglio solo perché penso sempre ad Andy e, durante il processo creativo, penso a quanto sono fortunato a poter ancora scendere nel mio scantinato, prendere una chitarra, scrivere una canzone e poi magari presentarla agli altri e decidere con loro come inciderla e così via. Perché è questo che Andy desiderava: solo qualcuno che incidesse i suoi brani e un gruppo di ragazzi disposto a suonare quei brani con lui. Vorrei tanto poter tornare indietro nel tempo ed essere la band che desiderava.”

Jeff Ament

 

***

Andrew Wood non mi è mai stato tanto simpatico, avevo questa strana sensazione che fosse una specie di megalomane troppo convinto, ma sapeva fare musica, sapeva colpire le persone e sapeva farle innamorare. Ho sempre pensato che le prime impressioni son belle da ribaltare e io oggi dico semplicemente che Andy era una da ricordare.

Lis 

   
 
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