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Autore: RomanticaLuna    10/05/2013    0 recensioni
Avete mai avuto un libro preferito? O un cartone animato, un film, una serie televisiva che vi ispirasse particolarmente? Beh, io si, e questa storia è Harry Potter. Ho sempre adorato gli scritti di J.K.R., hanno accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza. Era il mio sogno segreto poter andare ad Hogwarts, poter fare magie e, beh si, anche conoscere i ragazzi particolarmente belli che la mia mente creava mentre leggevo le pagine della serie.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Mi sveglio con un enorme mal di testa, ho freddo e mi fanno male le ossa. Ogni minimo rumore sembra come un martello pneumatico e la luce che filtra dalle finestre è accecante. Non riesco ad alzarmi, a malapena a muovermi.
“Stai bene?” mi chiede Anastasia. Un gorgoglio significa no e lei sembra capirlo.
“Vado a chiamare la professoressa Parkinson!” dice prima di lasciare la stanza. Torna 5 minuti dopo con l’insegnante di Incantesimi, nonché nostra Direttrice. Mi mette la mano sulla fronte.
“Ma tu scotti! Sarà meglio portarti in infermeria. Riesci a muoverti?” mi domanda. Ha un atteggiamento materno, quasi protettivo. Scuoto la testa, piano. Sento come se il cervello sbattesse da ogni parte all’interno del mio cranio. Mi prende in braccio e saliamo verso l’infermeria, poi mi posa sul letto. La voce di un’altra donna si aggiunge nella stanza. Sento il mio braccio sollevarsi e un ago infilarsi sotto la pelle. La pressione di un liquido appena iniettato e poi più nulla. Sono sveglia o, per lo meno, sento le voci che mi circondano. Ma il dolore è sparito e non riesco ad aprire gli occhi. Pian piano, ricado nel mondo dei sogni.
Quando mi sveglio, è mattina. La professoressa Jemina Parkinson è accovacciata ai piedi del mio letto intenta nella lettura di un grosso volume. Perché è rimasta con me per tutto questo tempo? Non ha lezione oggi?
“Ti sei presa una bella influenza” dice senza guardarmi. La sua voce è dolce, rassicurante.
“A quanto pare!” concordo. Cerco di alzarmi, faccio fatica.
“Aspetta, ti aiuto!” esclama e, lasciato il suo libro sulla sedia, mi solleva delicatamente. Dolci boccoli le ricadono lungo la schiena, sono appuntati alla nuca con un piccolo fermaglio a cuore. È una donna molto graziosa e, nonostante sembri stanca, i suoi occhi sprizzano passione e voglia di fare.
“Perché è rimasta con me?” le chiedo, curiosa.
“Sei una mia studentessa, sei sotto la mia tutela. E poi, ogni ragazza anche ad Hogwarts deve sentirsi amata come a casa, dalla propria famiglia. Ho pensato che ti facesse piacere. Le nate babbane di solito preferiscono avere accanto una figura materna” risponde. Una figura materna… penso a mia madre, non l’avevo mai fatto prima. Ero molto piccola quando ci abbandonò, ma ricordo perfettamente i suoi occhi verdi pieni di lacrime, la sua voce roca e sempre incrinata dal pianto a causa dei litigi con papà. Ci lasciò con un solo biglietto: tornerò. Giuro che tornerò. Ho bisogno di ragionare
Ma non è più tornata. Mi ha lasciata sola con papà. Non era con me quando ho iniziato la scuola, non mi ha dato consigli su come fare per uscire dalla timidezza, non c’era quando, per la prima volta, ho avuto il ciclo e sono svenuta alla vista del sangue.
Guardo la professoressa Parkinson, il mio cuore le è grato per quello che sta facendo. Si sta sostituendo alla madre che, praticamente, non ho mai avuto. Mi stava dando quel tipo di amore che solo la donna che ti ha partorito e visto crescere può darti.
Per la prima volta, da quando sono nata, mi sento completa. Hogwarts mi ha aiutata a fare un grande passo che non sarei mai riuscita a compiere da sola, mi ha dato cose che non possedevo, mi ha aiutata a crescere.
“Questa era sul tuo comodino. Credo sia della tua famiglia!” dice l’insegnante “ti lascio sola, ti passo a trovare più tardi”. Detto ciò, chiude la porta alle sue spalle.
La lettera è da parte di mio padre. È la prima che ricevo da quando sono partita.
Cara Kate. So che sembra formale e, anzi, forse lo è. Non sono mai stato un padre modello, ne sono consapevole, ma ho sempre fatto il meglio che potevo e so che tu lo comprendi. Forse avrei potuto fare di più, lo capisco ora che tu sei lontana da me e ti giuro che se tornerai da me, ti darò tutto l’amore e l’affetto di cui necessiti. Mi manchi, mi manchi tantissimo. I tuoi libri sparsi per casa, il tuo dolce canto quando fai la doccia, le tue urla quando prendi un buon voto.
Sono passati alcuni dei tuoi amici, dicono che si sente la tua mancanza. Ci sono i tuoi zii. È passata anche tua madre. Vuole vederti, vedere i tuoi splendidi occhi color smeraldo brillare di nuovo, il tuo sorriso riaccendersi di fronte a lei. Ti prego, torna presto tra di noi.
Papà.
Chiudo la lettera. Non ho più pensato a mio padre e mi sorprendo a piangere per quelle poche righe. Mi manca, voglio rivedere il suo viso, sentirmi stringere tra le sue braccia forti, essere consolata come al solito dalla sua voce e richiamata dai suoi occhi smeraldini.
“Sei pronta!” mi dice la voce di Hugo.
“Pronta per cosa?” chiedo. È strano, sembra diverso.
“Per tornare indietro. Sei cresciuta, non hai più bisogno di noi”. È sempre più ambiguo, non riesco a capirlo.
Si siede vicino a me, mi prende la mano. Si avvicina al mio viso e mi bacia dolcemente.
“Torna dal tuo papà, ci rivediamo nei tuoi sogni” mi sussurra.
I miei occhi si chiudono, il cervello si svuota. L’unico che rimane completamente colmo di gioia e sicurezza è il cuore. Sembra che lui sappia cosa fare, mi dice di seguirlo. Così mi lascio andare e tutto quello che mi circonda sparisce. Il mio corpo perde sensibilità, rimango da sola in un limbo buio e silenzioso, vuoto ed infinito.
Una porta si apre ed una luce sottile cancella il nero. La seguo.

  
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