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Autore: _Frency_    10/05/2013    1 recensioni
Dal testo:
[...] Lei, la ragazza senza nome dallo sguardo assente, aveva dei meravigliosi occhi verdi speranza. Una speranza così forte e disarmante da palesarsi in tutta la sua meraviglia. E tutta la speranza che celava in fondo a quegli specchi smeraldini sembrava aver abbandonato il suo corpo, per andare a rifugiarsi solamente nei suoi occhi. [...]
Lei si chiama Nesta. Come il secondo nome del famoso Bob Marley. Non è nessuno e non cerca di diventare qualcuno. Agli occhi di molti è senza età, e ad altrettante tante persone appare molto più trasandata e provata dei suoi coetanei. Ha una famiglia numerosa, ma non ha genitori. Anzi sì, ci sono, però sono lontani. O forse è lei ad essere distante da loro. Patita del reggae, è una fumatrice incallita e odia ballare. Non è bella, almeno non a prima vista: è strana.
Quando i Tokio Hotel al gran completo fanno la sua conoscenza, è un caso: Bill e Nesta sono ricoverati nello stesso ospedale, ma per motivi ben differenti. Nesta non ha paura della morte, ma non per questo si definisce coraggiosa, no. Lei si definisce incosciente. Quando la sua vita si ritrova legata a quella di "quattro mocciosi ricchi sfondati" come li definisce lei, non è felice. Affatto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricami sul Cuore.'
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Capitolo 2: Do You Remember Us?

§

 

L’aveva squadrata sconvolto per una manciata di secondi. Lei aveva continuato ad ignorarlo, aspirando ed espirando fumo beata. Tom, per la prima volta dopo tempo, si era ritrovato incerto sul da farsi. Lui, ragazzo sicuro di sé come pochi, era indeciso su come agire. Lasciarla marcire con l’oggetto dei suoi desideri stretto tra le dita affusolate, tirarle un ceffone e urlarle di smettere di sputtanare la sua vita o aiutarla ad alzarsi e portarla nella clinica più vicina? Le prime due ipotesi le scartava a priori: lui non avrebbe mai permesso ad una persona – se era una giovane ragazza soprattutto – di buttare nel cesso la propria esistenza, e in secondo luogo lui non avrebbe mai alzato le mani su una donna. Ovvio, se non per certe cose, ma… Va beh, quello al momento non centrava e se ne rese conto immediatamente. Mordicchiandosi le labbra e torcendosi le mani nervoso, prese la sua decisione.

-Nesta- provò a chiamarla, sperando che non fosse eccessivamente fatta. Lei alzò lo sguardo vacuo verso di lui, che represse a fatica un istintivo ribrezzo per quelle pupille dilatate e quegli occhi arrossati.

-Nesta, mi senti?- continuò, inginocchiandosi davanti  a lei. La ragazza rimase un istante silenziosa, per poi scoppiare a ridere isterica; una risata vuota che feriva le orecchie di Tom.

-Ahahah, e tu chi saresti? Ahahah, che strano!- quasi gli urlò in faccia Nesta, facendo ciondolare il capo. Il ragazzo si diede del deficiente solo per aver sperato che lei interagisse con lui in maniera civile. Afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans, componendo svelto il numero di David Jost.

-David, ho un problema e non sapevo chi chiamare- disse, il tono grave della sua voce solitamente baldanzosa che fece incupire il sui interlocutore.

Due ore dopo, quando Nesta riprese coscienza, si ritrovò l’ormai nota stanza sconosciuta davanti agli occhi. Aveva un mal di testa tremendo, e un insopportabile formicolio che le intorpidiva tutti i muscoli. Avrebbe voluto vomitare, chiudere nuovamente gli occhi e sparire. Nesta avrebbe voluto letteralmente sparire. Cercò di mettere a fuoco l’ambiente che la circondava: una stanza piuttosto grande, luminosa e calda nonostante fuori fosse buio. Non fredda come le usuali camere d’ospedale, puzzolenti di disinfettante. Era una stanza in cui il calore della lampada accanto al comodino si diffondeva, e permetteva di scorgere le tenebre fuori dalla finestra. Le lenzuola erano profumate di bucato, di un bel giallo sole. Per il resto la stanza era abbastanza banale: un paio di quadri astratti alle pareti e un armadio a muro difronte al letto.
Quello che successe dopo, però, la lasciò abbastanza perplessa.

Dapprima era entrato un uomo dalla chioma brizzolata e il gli occhi celesti, così chiari da apparire biancastri. Indossava un camice bianco. Era entrato silenziosamente, pensando probabilmente che non si fosse ancora svegliata. Quando però incontrò il suo sguardo smeraldino le sorrise con calore e distacco allo stesso tempo. Si avvicinò nuovamente alla porta, sporgendo la testa fuori dall’uscio e facendo cenno a qualcuno di entrare. Era un uomo giovane, dallo sguardo agitato e i movimenti nervosi. Le aveva lanciato un’occhiataccia fugace, non esattamente amichevole. Solo astiosa e snob. Avevano confabulato per un paio di minuti, cercando di non farsi udire troppo da lei. Dal suo canto, lei era troppo stanca per preoccuparsi di quello che si stavano dicendo, anche se molto probabilmente la riguardava da vicino. Dopo un po’, l’uomo che intuì dovesse essere un medico le andò vicino, sedendosi al bordo del suo letto.

-Buonasera, signorina-

Signorina? Scherziamo?

-Come si sente? Io sono un medico, è in buone mani- aveva un voce che non le piaceva. Troppo falsamente apprensiva e accondiscendente. Troppo professionale. La voce di un medico. E lei odiava i medici.

-Ho passato momenti migliori- rispose sbuffando e cercando di tirarsi su, poggiando la schiena alla testiera del letto.

-Lei lo sa, vero, perché è stata… “ricoverata”- mimò un paio di virgolette quando pronunciò la parola ricoverata.

-Ancora? Boh, no, ad essere sincera non lo so-

-Uno dei miei ragazzi l’ha trovata che stava delirando in un parco. Stava fumando. Non erano sigarette- intervenne l’altro uomo, quello nevrotico.

Uno dei suoi ragazzi? Ma che caz…?

Ebbe come un flash: il parco, il ragazzo di cui non riusciva a mettere a fuoco il volto, poi tutto si era fatto nero.

-Ah, ci sarò andata un’altra volta un po’ troppo pesante- disse dopo qualche istante, per poi porre la domanda che le premeva di più.


-Dove sono?-

La sua era una specie di ossessione: odiava trovarsi in posti sconosciuti, odiava non sapere dov’era.

-È a casa mia- disse l’uomo –Vicino al parco dove è stata trovata-

Ecco, ora almeno sapeva che si trovava a parecchi minuti di strada da casa sua. Tutt’altra parte, decisamente. Pieno centro, quando lei invece abitava in periferia.

-Quando posso andarmene?- chiese, facendo oscillare lo sguardo da uno all’altro.

-Anche subito, per quanto mi riguarda- fece l’uomo, ma un’occhiataccia del medico lo fece desistere dall’andare avanti.

-Signorina, lei ha bisogno di riposo. È letteralmente uno straccio. E deve smettere di fumare, se ci tiene alla vita- ribatté il medico. Le labbra di Nesta si arricciarono in un sorriso amaro.

Se ci tieni alla vita.

Come poteva spiegare? Lei aveva un rapporto particolare con sé stessa. Lo disse ai due uomini, che rimasero alquanto sorpresi e stupiti.

-Ad ogni modo, David si preoccuperà di ricondurla a casa domattina stessa- disse, ma da come lo squadrò allibito quello che doveva chiamarsi David non ne avevano discusso precedentemente.

-Cosa?! Ho degli impegni con i ragazzi io domani, non posso certo saltarli per fare da taxista a questa donna- quasi urlò, e lei fece di tutto per sopprimere
un’espressione sofferente dovuta al mal di testa martellante.

-Non c’è problema, andrò a piedi- fece lei risoluta. Il medico avrebbe voluto ribattere, ma dall’espressione fredda di lei preferì lasciar perdere.

-Vuole avvertire i suoi genitori, magari? O qualcuno, un parente, un’amica…- disse semplicemente l’uomo brizzolato.

-Non ce n’è bisogno. Grazie- fece Nesta, smorzando qualsiasi altro tentativo di conversazione.

Poco dopo entrambi erano usciti, lasciandosi dietro una stanza buia e una ragazza silenziosa.

Vuole avvertire i suoi genitori, magari?

In effetti, non le sarebbe dispiaciuto risentirli. Ma era un desiderio tanto lieve quanto irrealizzabile. Chissà dove erano… Avrebbe di gran lunga preferito contattare sua sorella Jacqueline. O magari suo fratello Christian. Con lui c’era sempre stato un rapporto particolare, si erano sempre capiti al volo. Forse era perché erano nati a soli due anni di distanza, mentre Jacqueline era decisamente più matura di loro due. Voleva bene a quella strana famiglia che si ritrovava, dove tutti loro si aiutavano l’un l’altro, per il semplice motivo che non avevano nessun’altro… se non sé stessi. Non avevano colpe se erano nati in un mondo dove per quelli come loro non c’era spazio. Era semplicemente andata così. Le vennero in mente i sorrisi luminosi delle piccole gemelle, e immaginò le loro vocette squillanti mentre le domandavano come mai non era tornata quella sera, come mai non avevano ricevuto il loro bacio della buonanotte che dato da lei era ancor più speciali, secondo loro.
Avrebbe voluto appisolarsi, giusto per evitare di pensare e giungere così a conclusioni poco piacevoli. Aveva chiuso gli occhi da nemmeno dieci minuti, quando un bisbiglio concitato proveniente da dietro la porta della sua camera la fece svegliare. Sbuffò infastidita, sperando che non fossero nuovamente il dottore e l’uomo nevrotico. Non sapeva se c’era qualcun altro in quella casa. Rimase sorpresa, perciò, quando non una, ma ben quattro teste fecero capolino dalla porta. Sgranò gli occhi, riconoscendo in quei visi qualcosa di familiare.

-Nesta!-

L’esclamazione proveniva dal ragazzo che riconobbe avere la sua stessa capigliatura.

-Ci conosciamo?- chiese ironica, ben sapendo che in qualche maniera lei e quei quattro avevano già avuto modo di conoscersi.

-Non ricordi? Siamo i ragazzi dell’ospedale- fece allora Georg, rivolgendole un bellissimo sorriso, che però sembrò non sfiorarla nemmeno.

-Ah, quelli famosi… L’operato dov’è?- fece sarcastica.

La capigliatura voluminosa e corvina del cantante sbucò da dietro la spalla del fratello, con cui sembrava essersi voluto proteggere da chissà quale male. La salutò con un cenno della mano inanellata, stendendo le labbra in un sorriso stranamente timido per i suoi standard. Probabilmente non lo avrebbe mai ammesso, ma quella ragazza lo metteva in soggezione per il semplice fatto che non sapeva che cosa aspettarsi da lei. Era strana, particolare, bizzarra: non importava a quale aggettivo pensasse, alla fine gli unici tre che riusciva ad associare a lei erano quelli. Bill, poi, faceva una discreta fatica a guardarla negli occhi. Non riusciva a sentirsi a suo agio, lo metteva in soggezione con un’occhiata e lo faceva sentire piccolo e insignificante nonostante il metro e ottanta abbondante di statura. Era come se si sentisse soffocare ogni volta che cercava di osservare quegli occhi smeraldini: forse per il colore, forse per il taglio leggermente allungato che li facevano apparire più grandi, forse per la scintilla che li animava. Tom, invece, a contrario del gemello non riusciva a smettere di perdersi nel suo sguardo.

-Non parla ancora?- domandò, rivolgendosi a Georg.

-Teoricamente ormai potrebbe, ma preferiamo aspettare qualche altro giorno, vogliamo tutti essere sicuri che non gli succeda nulla: sarebbe una disgrazia- rispose il bassista, mentre gli altri annuivano con cenni del capo.

-Umm… Non è che mi spieghereste un po’ bene come mai mi trovo qui? E come mai anche voi ci siete? È casa vostra?- domandò ancora.

Gustav rispose per tutti e quattro, con la sua solita calma e perizia.

-Sì, questa è casa nostra, e tu sei qui perché…-  i ragazzi si scambiarono un’occhiata d’intesa, come se avessero già pensato a una possibile risposta da darle.

-Perché quando Tom ti ha trovata al parco non stavi bene per nulla. Avevi bevuto e fumato parecchio, a quanto dicono David e il medico- finì di spiegare il batterista, mostrando un espressione di disapprovazione. Come al solito, Nesta non ne parve assolutamente toccata.

-Ah, solita routine!- esclamò, in un forzato tentativo di sdrammatizzare.

-Nesta, tu non stai bene, lo sai?- provò Tom, un tono che andava tra l’insolitamente premuroso e il convincente.

Come quando parli con un bambino piccolo, e con voce flautata cerchi di convincerlo che tutto ciò che esce dalle tue labbra è la verità, e che deve fare esattamente come dici. Avrebbe funzionato, se solo Nesta non fosse stata una ragazza di quasi vent’anni particolarmente incline a fregarsene altamente di tutto ciò che gli altri le consigliavano. Figurarsi poi uno sconosciuto.

-E tu sai che nemmeno ti conosco? Chi sei per fare certe insinuazioni?- sputò velenosa, facendolo stringere i pugni rabbioso per l’affronto. Lui, che aveva anche cercato di essere gentile con lei!

-Dovresti ringraziarmi, visto che potresti essere in coma etilico a quest’ora, o magari di nuovo in clinica per intossicazione!- ringhiò, avvicinandosele. Bill cercò invano di afferrarlo per un lembo della t-shirt.

-Oh, vuoi anche che mi prostri ai tuoi piedi, umm? Non te l’ho chiesto io di pararmi il culo così spudoratamente! Sei anche un ingenuo, avrei potuto essere una pazza psicotica che ti avrebbe picchiato fino a farti divenire irriconoscibile quell’odioso faccino che ti ritrovi!- ribatté lei, facendo allarmare gli altri tre per la foga che aveva messo in quel discorso.

-Avresti potuto essere una pazza psicotica? Tu sei una pazza nevrotica, e per giunta cannata di brutto!-

Lei assottigliò paurosamente gli occhi, riducendoli a due lame verdi che, se avessero potuto lanciare fiamme, avrebbero arrostito il ragazzo che le stava di fronte. La scena, vista dagli occhi di Georg, Gustav o Bill, era stranamente divertente e agghiacciante allo stesso tempo: Nesta, le braccia incrociate sotto il seno e le gambe incrociate sotto le coperte, mentre tentava invano di trattenere la sua furia omicida verso il chitarrista. Quest’ultimo, invece, stava in piedi vicino ai piedi del letto, le braccia tese lungo i fianchi e i pugni chiusi. Non avevano interrotto nemmeno per un istante il gioco di sguardi che era iniziato con il litigio. Nesta avrebbe palesemente ribattuto in maniera altrettanto tagliente, quando la voce di Georg li interruppe, riportando un minimo di calma.

-Ehi, ehi, frenate i bollenti spiriti. Nesta, nemmeno sai come si chiama lui! Non pretendertela troppo, è un bravo ragazzo, e noi anche. Ha semplicemente pensato che aiutarti potesse essere un gesto…carino- fece, sorridendo convincente.

Nesta non parve del tutto convinta ma, dopo un sonoro sbuffo, smise di cercare di ammazzare Tom con la sua furia. Non balbettò nemmeno mezza scusa, e lui non fu da meno.

-Bene, nel caso dovesse interessarti, il mio nome è Tom. Lui è il mio gemello Bill, e loro sono Gustav e Georg. Così sai chi ringraziare se non ti ammazzo seduta stante- sbottò il chitarrista, per poi uscire furioso dalla stanza, sbattendo la porta.

I tre si fissarono, leggermente stupiti.

-Certo che è fuori il vostro amico!- esclamò, rimettendosi comoda e passandosi una mano tra l'assurda capigliatura.

-Beh, devi ammettere che però nemmeno tu ci sei andata leggera- fece Georg, mentre Bill annuiva, difendendo a spada tratta il fratello nonostante l’impossibilità di sfoggiare la famosa parlantina.

-Ompf, non è il genere di situazioni a cui sono abituata. Anche se ormai non mi stupisco di nulla, se non della stupidità umana- fece lei, lasciandoli alquanto sorpresi.

Come poteva una ragazza del genere passare da certe perle di saggezza a parlare in una maniera volgarissima? Era estremamente contradditoria.
Qualche minuto dopo i tre levarono le tende, augurandole un buon riposo. Lei non ricambiò, ma un po’ se lo aspettarono. Si limitò ad un cenno del capo, che i tre considerarono un valido augurio di sonni tranquilli, soprattutto se fatto da una ragazza come lei. 










My Space:

Ciao gente! :)

Eccomi con il 2° capitolo, che spero sia stato di vostro gradimento. Ecco che si fa luce su un lato di Nesta: il suo carattere scorbutico e la sua insolenza. Bel caratterino la ragazza, eh? ;)

Chissà, si perderanno presto di vista senza nemmeno riappacificarsi oppure succederà qualcosa che li farà incontare nuovamente? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!

Un grazie a tutti i lettori e a tutte le lettrici, un grazie a chi ha aggiunto la storia tra le Seguite/Preferite/Ricordate. Grazie mille a 
machan per la recensione.

Alla prossima!


   
 
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