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Autore: j3nnif3r    29/11/2007    6 recensioni
Era solo un cane, lui, e certe cose non poteva capirle.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il cane e la bambina

Brown, in fondo, era un cane. La sua memoria era breve, non poteva ricordare chi l’aveva lasciato in quell’angolo sporco, nel capanno. Sapeva solo di avere freddo. Percepiva un odore di umido, un odore cattivo, di cui non ci si poteva fidare. Era confuso. Uscire da lì era la cosa più ovvia, più giusta, ma c’erano pareti, e pozzanghere, e strani rumori. Così aveva scelto di accucciarsi al buio e rimanere in attesa.
Certo, di sicuro prima o poi le cose sarebbero andate meglio. Magari sarebbe tornata quella luce che scaldava e rincuorava. Forse doveva proprio attendere tempi migliori.
Brown non sapeva cosa fosse la tristezza, eppure provava qualcosa di molto simile ad essa. E noia, forse. I cuccioli, anche se lui ne era all’oscuro, giocano e saltano tutto il giorno. Ne aveva voglia, quello sì. Ma c’erano i pericoli a ricordargli di rimanere fermo. Qualcosa che riusciva a percepire.
Era rimasto almeno un giorno intero lì, nel fango. Nessuno gli aveva insegnato cosa fare per mettere a tacere i morsi della fame, così aveva leccato un po’ in giro, d’istinto. Il sapore dell’acqua sudicia non era certo piacevole, ma sapeva di averne bisogno. Aveva bevuto, molto, sentendo le forze che si affievolivano e la voglia di correre sempre meno pressante. Doveva conservare le forze, la luce sarebbe tornata.
Ed era tornata, in effetti. All’improvviso.
Aveva sentito dei passi. Qualcosa stava correndo lì vicino. Aveva abbaiato, usando le ultime forze. La voce, scaraventata fuori dalla gola, che graffiava e bruciava. E quel qualcosa aveva spalancato la porta del capanno, in un modo così semplice che Brown era rimasto stupito. La barriera che per lui sembrava invalicabile, per quel qualcosa era un gioco da ragazzi.
E quel qualcosa era una bambina.
Brown non aveva mai conosciuto una bambina, prima. Imparò in fretta che una bambina è qualcosa di soffice, tiepido, avvolgente. La bambina l’aveva preso fra le mani e aveva sorriso, gli aveva fatto sentire la sua voce, in risposta ai guaiti di sollievo.
La sua salvatrice l’aveva riempito di carezze, di baci, nonostante il fango che lo ricopriva. Aveva slacciato il suo grembiule per avvolgerlo ed asciugarlo. Aveva spostato della legna per rendere il posto un po’ più accogliente. Si era data un gran da fare, continuando a parlare. Brown non riusciva a capire cosa dicesse, ma il tono era calmo e pacato. Quella bambina parlava a voce bassa, lentamente, scandendo le sillabe come se volesse davvero fagli comprendere. E sorrideva sempre.
Era bello, quel tepore.
Ma poi era andata via. Aveva richiuso la porta, e Brown si era affaticato a grattarla e morderla e graffiarla, perchè lui non voleva che lei andasse via. Aveva leccato ancora un po’ le pozzanghere e poi si era gettato sul panno, accucciandosi al meglio. Era riuscito ad addormentarsi solo dopo molto tempo.
Con suo enorme sgomento, aveva scoperto che la bambina non era scomparsa. C’era quindi un mondo, dietro quella porta. Un mondo dal quale lei veniva. Pieno di luce... e di cibo. Era tornata l’indomani, infatti, portando con se’ pezzi di pane, una brodaglia tutta da succhiare, acqua tiepida con cui l’aveva massaggiato per portar via le macchie di terra. Brown aveva morso e leccato, si era scaldato nell’acqua e si era lasciato asciugare docilmente. Aveva abbaiato con riconoscenza alla fine, sentendo la pancia piena ed un fantastico calore profumato intorno a lui.
La bambina, scoprì, si chiamava Jennifer. Lo ripeteva in continuazione, per insegnarglielo. E lui, da quel momento, sarebbe stato Brown. Gli piacevano quei suoni, scodinzolava felice mentre lei correva e gli urlava “Brown! Brown!” per incitarlo a seguirla.
La sua bambina era stupenda e la vita cominciava a sembrare divertente.
Brown non aveva mai visto altri esseri umani, prima. O almeno non ne ricordava. Quando Jennifer portò con se’ un’altra bambina, tenendola per mano e saltellando, Brown si spaventò un po’.
Era stata una giornata dura: nel capanno si era intrufolato un topo, che Brown aveva accolto con una vaga isteria, ululando e correndo a nascondersi sotto i panni. Si era sporcato tutto, a rimanere tremante in mezzo al fango. Così, quando andando incontro alla sua bambina ne scoprì un’altra, non fu molto contento.
La nuova bambina somigliava molto a Jennifer, ma gli occhi erano diversi. Lo aveva guardato con disprezzo, e Brown non conosceva cosa fosse quell’atmosfera tesa.
“E’ questa, la sorpresa?” aveva detto la bambina nuova, indicandolo, con una strana smorfia. Jennifer aveva annuito con eccessiva allegria.
Non era un buon segno.
Brown aveva capito, però, che la sua bambina voleva molto bene a quell’altra, e così aveva tentato di avvicinarsi. Lei si era chinata per osservarlo, mantenendo un’espressione schifata.
“Puzza. Fa davvero ribrezzo.”
E dal tono Brown aveva capito che non erano parole d’affetto.
Quando Jennifer si era un attimo voltata, per risistemare i panni che l’intrusione del topo aveva trasformato in una pozzanghera sudicia, la nuova bambina lo aveva afferrato e aveva stretto forte. Troppo forte. Brown si era lasciato sfuggire un guaito, prima di svincolarsi e scappare al sicuro.
Quella bambina lo detestava. Ne era certo.
Nei giorni successivi, in cui Brown non la rivide più, ogni tanto gli tornò in mente quel suo odore forte, dolce, quasi eccessivo. Ben diverso da quello soffice di Jennifer.
Ma, a dirla tutta, non se ne preoccupava.
La sua bella bambina veniva a trovarlo tutti i giorni. Lo accudiva con gioia, gli parlava a lungo, lo grattava proprio nei punti giusti. Passarono mesi così. Mesi in cui per Brown la vita era facile ed allegra.
Poi, una mattina, la porta si aprì in modo diverso dal solito.
Brown si sollevò per sbirciare, un po’ insonnolito. Non era l’orario giusto. E quella non era Jennifer. Lo percepiva dai gesti, dalla voce, dall’odore. Gli odori.
Alla porta c’erano tante bambine, tutte diverse, che ridevano e parlavano fra loro sottovoce. In testa, la bambina nuova, quella che lo odiava, con un enorme sacco in mano.
Brown iniziò a ringhiare. Quella faccenda non gli piaceva.
“Uno sporco sacco per uno sporco cagnaccio!” gridò Wendy, e all’improvviso tutte le bambine gli furono addosso. Confuso, terrorizzato, Brown abbaiò e ululò e cercò di scappare, ma senza capire come si ritrovò nel sacco. Qualcuno lo chiuse. Era in trappola.
Brown, in fondo, era un cane e così venne preso dal panico. Se avesse mantenuto la calma avrebbe potuto lacerare la tela con i denti, ma non lo sapeva e così prese a muoversi, senza riflettere.
Il primo colpo venne così di sorpresa che non avvertì nemmeno dolore. Rimase immobile, a chiedersi cosa fosse stato.
Al secondo colpo iniziò a capire. Pericolo. Non importa perchè.
Fuori dal buio, risate e urletti stridenti. Ricominciò a muoversi.
Terzo colpo, e fece male. Sentiva qualcosa di viscido scivolare sul suo corpo. Ad occhi spalancati ficcò il muso verso l’uscita del sacco, senza riuscire ad aprirla.
Dopo il terzo, i colpi divennero troppi per essere distinti. Il dolore crebbe e crebbe, la sensazione di qualcosa di caldo che scivolava via. Brown iniziò a non poter più respirare. Continuò a spingere e grattare nonostante le fitte lo facessero sobbalzare ogni volta.
Poi un lampo, qualcosa di insopportabile. Guaì con tutta la forza rimasta, si fermò. Aveva capito. Era inutile. Non l’avrebbero lasciato uscire.
Qualsiasi fosse il motivo, quella bambina aveva deciso di ucciderlo. Questo riusciva a capirlo, anche se era solo uno stupido cane.
Si abbandonò, strinse la tela con i denti per sfogare il male che provava, e dopo un sospiro profondo il dolore sembrò andar via, le risate si fecero lontane, l’odore del suo sangue coprì tutto.
Solo in quel momento, mentre moriva, mentre Wendy si chinava per controllare che fosse davvero morto, la sua stretta lacerò la tela strappando un lato del sacco e riempendolo con la luce tiepida del giorno.

   
 
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