Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |       
Autore: RomanticaLuna    10/05/2013    1 recensioni
Il Distretto 2 è sempre stato splendido, allegro, pieno di bimbi spensierati che correvano per le viuzze, le voci dei vecchi che ricordavano i vecchi tempi e raccontavano antiche leggende ai giovani. Lo scalpiccio dei lavoratori, alle miniere, i giochi, i divertimenti, le risate. Tutto è svanito, oggi. La guerra ha portato via ogni cosa che amavo.
La storia di una ragazzina che, attraverso i suoi grandi occhi azzurri, vede delle persone che ama morire a causa di Capitol City.
Genere: Azione, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




“Uscite!” urla la voce di mia sorella Jane dall’esterno. Ascolto un attimo in silenzio prima di aprire la botola: i bombardamenti sono conclusi.
“Nicole! Uscite ho detto!“ urla ancora più forte.
Slego la catena di fretta, nel rifugio si soffoca dal caldo. Faccio uscire i miei fratelli, aiutandoli a salire gli alti scalini e passando i più piccoli a Jane.
Appena esco la vedo: la più completa distruzione! Le case sono squarciate, corpi dispersi per strada, mutilati, feriti, morti. I bambini escono tutti insieme dai rifugi anti-bombe, si guardano intorno smarriti, cercano i famigliari. Io faccio lo stesso. Guardo Jane negli occhi, ma lei distoglie lo sguardo. Non le sono mai piaciuta, forse perché dalla mia nascita sono considerata “la cocca di mamma”. Lei dice che sono diversa dai miei fratelli, che sono pura, e ha sempre cercato di conservare questa mia particolarità.
“Dove sono mamma e papà?” le chiedo. Ma lei non mi risponde. Alexandra, l’altra mia sorella maggiore, mi si avvicina e, piano, inizia a parlarmi.
“Tesoro…mamma e papà…” si mette a piangere. Capisco. Cerco in giro i loro corpi, ma è molto più probabile che troverei dei pezzi di loro se facessi un giro per la città. Erano in prima linea, alla prima bomba di Capitol City devono essere volati in aria.
“Prendo gli altri e vado a cercare qualcosa da mangiare” dico, la voce bassa. Sto cercando di non piangere, ma è difficile. Io non sono come Jane: cinica, insensibile…a volte sembra che non abbia un cuore. Prendo il coltello dalla vecchia cintura di papà e entro nel frutteto di famiglia. Un melo mostra le sue figlie più succulente, mature, rosse e grandi quanto un pugno. Lancio il coltello e stacco il primo frutto succoso. Recupero il coltello, lo rilancio. Continuo fino a che non ho 12 succosi frutti. Allargo la gonna e poso le mele, proteggendole meglio che posso. Passo la strada e torno nel rifugio. Nessuno dei miei fratelli è ancora tornato. Sistemo. I terremoti hanno rovesciato le credenze, i quadri si sono frantumati in mille pezzi, la piccola tv è capovolta, a terra. Sistemo meglio che posso, prendo un grosso piatto e ci verso le mele.
Quando ho pulito, esco a chiamare il resto della combriccola. Siamo 12 fratelli, 7 femmine e 5 maschi. Jane è la prima ad entrare, spoglia gli scarponi che ripone sotto la sedia, lancia la giacca impolverata e si specchia. Sarebbe una bella ragazza se permettesse ai suoi capelli rossi di crescere e non nascondesse la sua femminilità sotto magliette enormi. Lei ha 16 anni, è la terza nata in famiglia e la più propensa al combattimento. Alexandra entra con gli scarponi in mano, la tuta da infermiera coperta di sangue, terra e polvere, il bel viso scheggiato e graffiato. Lei è la più grande, la più bella, la più altruista. Ha 19 anni e lavora, anzi lavorava, come infermiera all’ospedale del Distretto 2.
“Brava tesoro, hai dato un contegno a questo posto!” dice prima di sedersi a tavola. Vede subito che il piatto e misero e sospira, ma cerca di non darlo a vedere.
Poi c’è Jacob, 17 anni e la muscolatura di un adulto. Quando non va a scuola lavora nella miniera, papà lo incitava. Mi spettina i capelli con una mano e si mette a tavola. Sembra stanco.
Ricompongo i boccoli castani davanti allo specchio. Margaret e Rose, le gemelle di 14 anni, entrano in casa con un mazzo di fiori ciascuna, piangono e si tengono strette l’una all’altra.
Io vengo dopo di loro. 11 anni, anzi, il mese prossimo sono 12 ormai, una carriera scolastica ottima, donna di casa a tempo pieno e venditrice di fiori a tempo perso.
Mirko e Elinor entrano in casa saltellando. Loro hanno solo 8 anni e non credo abbiano capito completamente cosa sia successo là fuori.
“Che si mangia?” chiede Christian impertinente, i capelli rossicci sempre disordinati, gli occhi sgranati e delle freccette in mano. Nonostante abbia solo 5 anni si crede in grado di poter proteggere l’intera famiglia con il solo uso delle sue freccette a punta scheggiata.
“Tata!” dice invece Tito per farsi sentire dal resto di noi. Prendo il piccolo che mi aspetta all’entrata, è troppo basso per riuscire ad affrontare gli enormi gradini da solo.
“Vieni, la tua Tata è qui!” gli dico. Lui salta ed io lo prendo, gli faccio fare il volo dell’elicottero e lo rimetto a terra. Gli piace sempre. Come faccio a dire ad un bambino di soli 2 anni che mamma e papà non ci sono più? Mi metto a tavola e guardo i miei fratelli addentare le loro mele. Metto le mani giunte, chiudo gli occhi e prego.
“Non serve a niente pregare!” dice Jane, masticando “Dov’era il tuo Dio, in questo massacro?”
“Non c’entra Dio, in questo massacro.” apro gli occhi e mi alzo “Questo, l’abbiamo voluto noi, non Dio!” urlo indicando le macerie fuori dalle finestre.
“Tata urla” balbetta Tito che si mette a piangere.
“ Scusa, Tito. Non volevo spaventarti!” gli sussurro cullandolo. Jane si è zittita.
“ Nic! Nic, dove sei? “ dice la voce della signora Emerson.
“ Sono qui, signora. Che c’è? “ chiedo, preoccupata.
“Avete lasciato per strada alcuni componenti della famiglia!” vedo il passeggino dei miei fratellini più piccoli.
“O, grazie! Come faremmo senza di lei!” le dico prendendo i due bebè. Hanno solo 9 mesi, Karina e Jason. Così piccoli e già gli viene tolta la figura dei genitori. Li metto nel lettino gioco e torno a tavola. Le mele sono finite, ma non me ne faccio un dramma: non ho fame. Guardo la ciurma che forma la mia famiglia. Siamo 12 persone da dover mantenere, 12 bocche da sfamare, 12 corpi da vestire. I bimbi da controllare mentre i più grandi saranno costretti a lavorare. Dobbiamo ricostruire la casa, aspettarci il contrattacco di Capitol City, vincitrice di questa Rivolta ripiena di sangue e carneficina. Perché è iniziato tutto questo? Perché non possiamo vivere in pace, come dei popoli uniti come nei tempi passati? Perché Capitol City ci sfrutta? Come possono essere tanto subdoli e malefici?
Esco dal rifugio, il mio cervello è sconnesso, il cuore ricolmo di paura e dolore. Ma non posso ancora piangere. Non finché i piccoli sono svegli. Mi siedo su una pietra, appoggio la schiena al muro della nostra vecchia casa e guardo la città deserta, senza vita. Il Distretto 2 è sempre stato splendido, allegro, pieno di bimbi spensierati che correvano per le viuzze, le voci dei vecchi che ricordavano i vecchi tempi e raccontavano antiche leggende ai giovani. Lo scalpiccio dei lavoratori, alle miniere, i giochi, i divertimenti, le risate. Tutto è svanito, oggi. La guerra ha portato via ogni cosa che amavo. Ora piango. Non riesco a trattenere le lacrime che, salate, scendono a fiotti lungo le mie guance. Da oggi tutto cambierà, ne sono certa.
“Hai ragione, sai? È colpa nostra questo macello!” dice Jane, accendendosi una sigaretta “Siamo stati degli stupidi. Dovevamo metterci dalla parte di Capitol City, chinare la testa e lavorare per loro, dire di no agli altri Distretti”.
La guardo. Come può dire queste cose? Non ha capito la vera ragione della Rivolta?
“Sei solo una stupida! Sei come quelli di Capitol City, la stessa mentalità chiusa. Pensi che tutto ti sia dovuto. Ma non hai visto che la situazione stava peggiorando? Per tutti i Distretti, noi compresi! Capitol City chiedeva sempre di più, non si accontentava. È per questo che è nata la Rivolta. Per riottenere la nostra libertà!” esclamo, sicura di me. Lei mi afferra per i capelli, mi fa alzare in piedi e mi tira uno schiaffo.
“Non osare darmi della stupida, sono tua sorella maggiore, ricordatelo!” mi urla in faccia, il suo alito intriso del fumo della sigaretta. Mi molla i capelli, tira un calcio ad un sasso e si allontana.
“Lo sai che in fondo ti vuole bene!”. Alzo lo sguardo e vedo Jacob. Io e lui siamo particolarmente legati, mi protegge ed io lo aiuto a risolvere ogni problemi. Io la mente e lui il braccio.
“Credo non sappia nemmeno cosa voglia dire “voler bene”” controbatto.
“Se non ci volesse bene se ne andrebbe, non credi!” dice.
“No. Non ha un posto dove andare. Non ha una famiglia oltre a noi. Anche se non sa amare, sa di essere amata, è per quello che torna sempre da noi!” esclamo, seria.
Si siede accanto a me, prima di chiedermi “Perché il tuo Dio non ha fermato tutto questo?”
“Dio ha creato gli uomini. Ha dato loro un’intelligenza, uno spazio in cui vivere, una coscienza. Stava a loro sfruttare tutti questi doni. Ma gli uomini li hanno usati male. L’intelligenza è diventata furbizia, la coscienza è stata eliminata, lo spazio che li circondava è stato usato per cose malvagie. Dio ci guarda da lassù, non può intervenire. Non è un mago o un grande stregone, è solo un Padre che guarda i suoi figli sbagliare, vedere l’errore e sbagliare ancora. Magari si chiede dove ha sbagliato, come diceva mamma quando guardava Jane tirare i coltelli. Magari spera in un nostro cambiamento, che ci ricordiamo di avere delle coscienze ed iniziamo ad usarle” dico.
“Perché preghi un Entità che non può aiutarti?” chiede ancora
“Perché lui ci guarda da lassù e io gli chiedo di perdonare le azioni cattive che gli uomini compiono, perché loro usano la ragione nel modo sbagliato e non ascoltano il loro cuore. E poi prego perché protegga i nostri cari morti, che vanno a sedersi nel Regno dei Cieli e, come lui, sperano che i loro figli non facciano i loro stessi errori”. Mamma diceva sempre che per avere solo 11 anni sono molto sveglia ed intelligente. Papà che sono testarda e faccio sempre di testa mia. Unito ad una buona dose di autocontrollo e senso del dovere, viene fuori il mio carattere.
“Questo l’abbiamo voluto noi uomini, non loro, lo sai?” domando. Lo guardo negli occhi. Quei suoi occhi dello stesso colore dello smeraldo che porta appeso al collo. Di quel verde acceso che significa “speranza”. Azzeccato, in momenti come questi. Lui è la mia speranza per poter sfamare i piccoli e mantenere unita la famiglia, la mia speranza per arrivare a domani senza impazzire. Non credo lo sappia, mamma non gliel’ha mai detto, ma è grazie a lui se non sono morta la notte in cui sono nata. Lui è la mia speranza per continuare a vivere.




****
Scusate, ho fatto un casino con le storie! =)

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: RomanticaLuna