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Autore: Channa    10/05/2013    0 recensioni
"La parola "divorzio" non aveva ancora un preciso significato nella mente della bambina, ma -secondo lei- doveva essere qualcosa riferito a quel giorno di quattro anni fa quando sua madre aveva cacciato il marito di casa."
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Un padre.

J enny uscì di casa saltellando felice nel suo nuovo vestitino blu, era felice di essere potuta finalmente uscire, ora che la nonna stava meglio. Sua nonna era una vecchietta fantastica, l'unica persona che le volesse davvero bene, secondo lei. Aveva dei lunghi capelli bianchi che teneva sciolti, raccolti in un cerchietto ogni volta di un colore diverso; indossava lunghe gonne colorate e camice a pois o a fiori, amava cucinare e insegnava a Jenny tutti i trucchi per diventare una bravissima cuoca. La bambina dal canto suo amava cucinare tutto ciò che le insegnava la nonna, anche le cose che non le piacevano come le verdure.
"Jenny, rimani vicina a me!" le ordinò l'anziana signora, Jenny non sapeva quanti anni avesse di preciso la nonna, ma credeva che ne avesse più di cento, e che avesse vissuto tutti quei periodi storici che lei studiava a scuola. Le due si assomigliavano molto, infatti nelle fotografie d'epoca della donna si vedeva chiaramente che all'età che aveva Jenny (sei anni e mezzo) anche lei aveva i capelli biondo cenere, le ossa grandi e quei dolcissimi occhi marroni che ammorbidivano il viso e tutti i suoi lineamenti.
"Sì, nonna, sto attenta. Ormai sono grande!" sbuffò la bambina facendo sbattendo le lunghe ciglia con fare testardo, lei era fatta così: ribelle e testarda, era il suo carattere fin da bambina.
"Va bene, ma non affrettare il passo" le raccomandò con un po' di fiatone. Così Jenny si fermò per qualche secondo a guardarsi la punta delle ballerine blu aspettando che la  nonna la raggiungesse, per poi continuare insieme.
Arrivata al parco Jenny lasciò la nonna seduta su una panchina, per dirigersi verso l'altalena. La bambina amava andare sull'altalena, e infatti ci si recò di corsa. Mentre faceva su e giù pensava a sua madre e suo padre: dov'erano ora?
Ah, sì, sua madre era al lavoro, come sempre; iniziava alle otto di mattina per staccare alle tre (sempre di mattina) e quindi non aveva tempo per una figlia.
Era rimasta incinta a ventuno anni, sposata da poco, un matrimonio destinato a fallire. La parola "divorzio" non aveva ancora un preciso significato nella mente della bambina, ma -secondo lei-  doveva essere qualcosa riferito a quel giorno di quattro anni fa quando sua madre aveva cacciato il marito di casa. Jenny ricordava chiaramente le urla, gli insulti, suo padre che raccoglieva le sue cose, la sua voglia di andare in camera e piange, ma voleva rimanere a guardare. Voleva capire. L'ultima cosa che ricordava era suo padre che si allontanava da casa loro con una valigia riempita in pochi minuti, e sua madre che continuava ad urlare.
Suo padre? Non lo sapeva, la madre non aveva più voluto dirle niente. Lei voleva sapere, ma non capiva, non capiva tante cose. Però capiva che le lacrime della mamma e della nonna erano colpa di suo padre, ed era sempre colpa di suo padre se lei non aveva una famiglia normale.
"Vivi con tua nonna?" le aveva chiesto una sua amichetta un giorno e lei, senza sapere con precisione il motivo, si vergognò nel dover annuire, ma si vergognò come mai udendo le risate delle sue amichette. Lei era la bambina cicciottella, mentre le altre erano secche come puntaspilli, tutte carine. Lei non si era mai vista "carina", ma era piccola e non le importava molto... A volte voleva che suo padre morisse "almeno soffrirei una volta sola" pensava con ingenuità, non capendo che non poteva realmente desiderare una cosa del genere. Dopo un po' si accorse che a pochi passi da lei c'era una bambina dai lughissimi capelli mori, aveva un vestito nero e delle scarpette nere in tinta, sembrava essere molto triste. Sedeva da sola su un dondolo di quelli sui quali si deve andare in due, non da soli, quelli dove uno scende e l'altro sale, Jenny non capiva perché la bambina ci stava da sola.
"Miaaaa, sicura di non voler giocare a calcio con noi?" le urlò una bambina dai capelli ricci tagliati molto corti, stava giocando a calcio con altri due bambini, tutti e tre erano sporchi di terra. L'altra ragazzina scosse la testa, lasciando che i lunghi capelli le ricoprissero il volto. Jenny provò un senso di incredibile pena, tant'è che decise di avvicinarsi.
"Ciao!" squittì la bionda, ottenendo come risposta un timido mugolio.
"Io sono Jenny, tu come ti chiami?" domandò gentile.
"Mia..." rispose fiocamente l'altra, come se lo stesse dicendo più a sé stessa che all'altra bambina.
"Oh, che strano nome! Sei la prima Mia che conosco!" cominciò felice "senti, mi domandavo, perché stai qui tutta sola? Ci si deve andare minimo in due!" le disse con un tono quasi materno, non le era mai capitato di "sgridare" qualcuno.
"Io non volevo giocare..." tentò di giustificarsi l'altra.
"Oh, be', perché non andiamo a sederci? Io sono un po' stanca..." disse indicando una panchina poco distante, l'altra annuì, alzando la testa per la prima volta. Jenny vide che aveva gli occhi iniettati di sangue, doveva aver pianto.
Mia e Jenny si sedettero sulla panchina e cominciarono a parlare naturalmente, come parlano tutti i bambini della loro età. Jenny venne a sapere che Mia aveva cinque anni e mezzo, ma ne avrebbe compiuti sei tra un mese, e che era un anno avanti con la scuola. La bionda la reputò molto intelligente, e l'altra smentì, spiegando che era stato suo padre a volerla mandare un anno avanti, incupendosi per un momento. Jenny oltretutto scoprì che la mora era un'incredibile chiacchierona, ma ispirava fiducia, quasi quasi la bambina aveva voglia di sfogarsi. E così fu, disse tutto ciò che la preoccupava, con la naturalezza tipica dei bambini. L'altra l'ascoltava paziente, senza dar segni di impazienza o nervosismo, ma una frase in particolare le fece perdere la calma.
"...Insomma..." continuava la bionda senza fermarsi, "a volte io vorrei che mio padre morisse, almeno soffriremmo una volta sola!" esclamò tutto d'un fiato.
Mia scattò in piedi. Si girò verso l'altra e urlò.
"Vorresti che morisse? Davvero? Tu non sai cosa si prova quando muore un papà, non puoi saperlo!" esclamò cominciando a piangere come una fontana. Jenny le si avvicinò, e dopo qualche minuto l'amica si calmò.
"Scusa..." le disse "lo so che non si deve urlare, la mamma me lo dice sempre, ma io... mio padre... è morto l'altro ieri" sussurrò serrando i pugni.
"Oh, io, non lo sapevo... Condompianze.. Ah, no, si dice... compitanze... no, era..." tentava di parlare la bionda, finché Mia non scoppiò a ridere.
"Condoglianze! Si dice condoglianze!" esclamò scuotendo la testa con fare rassegnato, non smettendo di ridere.
"Ehm, sì, condoglianze!" si corresse l'altra cominciando a sghignazzare a sua volta.
"Io... credo che la mia vita non sarà mai più la stessa senza il mio papà" sospirò Mia "la mamma piange, e ogni volta che piango anche io lei piange più forte...Mi sento in colpa" le confessò.
"Quindi cosa farai?"
"Smetterò di piangere... sarò forte, per la mia mamma" le rispose con un sorriso da bambina, come se non fosse successo niente.
"Mah, io non so se..." tentò di replicare l'altra, ma Mia non ammise repliche.
"Farò così e basta." tagliò corto lei "e ogni volta che desidererai la morte di tuo padre, pensami, e sentiti una stupida!" la ammonì ridendo.
"Okay, va bene, prometto!"
"Giurin giurello?" chiese Mia con occhi imploranti.
"Giurin giurello!" rispose l'altra ponendole il dito, Mia lo strinse con forza.
"Jennyyy" la chiamò la nonna "è ora di andare a casa!"
"Ma.. io..." tentò di protestare lei.
"Niente 'ma' la tua mamma è tornata a casa!" esclamò felice l'anziana donna e, senza neanche far caso a Mia, trascinò via la nipote.
"Tranquilla, ci rivedremo!" le urlò la mora con le lacrime agli occhi.

Ormai Jenny ha cinquant’anni, è sposata con un bambino, ma ha perso ogni contatto con suo padre, finché non le arriva una chiamata, la informano che suo padre è morto di arresto cardiaco. Il cuore si ferma. Tre giorni dopo c'è il funerale, ci sono molte persone che Jenny non conosce, ma non le importa, non vede. Si reca davanti alla lapide, e piange, piange nel suo tubino nero, finché tutti non se ne vanno. E lei rimane sola.
"Ciao, Papà" dice spostandosi una ciocca di capelli biondi dalla fronte "sono Jenny, ti ricordi di me? Sono tua figlia... Be', da tanti anni volevo dirti che, non sei stato un buon padre, ma neanche io una buona figlia... Tu, non c'eri mai, non volevi vedermi, compravi il mio affetto, e a me non stava bene! Facevo di tutto: urlavo, piangevo, mi comportavo male, andavo male a scuola, ma non facevo l'unica cosa che avrei dovuto davvero fare: parlarti. E, ora è troppo tardi, ma non aver paura, porterò tuo nipote James, è così carino.. credo abbia i tuoi occhi verdi, non la trovi una cosa adorabile? Be', papà, non voglio annoiarti, lo farò in altre occasioni, solo che... Ti voglio bene, ciao papi." e dopo aver detto questo se ne va, lasciando una rosa bianca sulla tomba.
Mentre pensa a quella bambina che non aveva più rivisto, finché qualcosa non cattura la sua attenzione: una lapide.
"Mia Ronati, 31-03-00 25-04-18 morta suicida. Le sue ultime parole:
Ora potrò stare per sempre con te, Papà."
Jenny spalanca gli occhi, la foto mostra una ragazzina di diciotto o diciassette anni dai folti capelli scuri, i grandi occhi tristi, la bocca curvata in un sorriso non naturale.
La guarda e poi si piega, fino a sfiorarla.
"Ehi, Mia" la saluta "sai che in quarant’anni non ho ancora trovato nessun'altro con il tuo nome?"

  
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