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Autore: shimichan    11/05/2013    4 recensioni
Questa one shot è da considerarsi complementare e conclusiva a 'Il destino degli amanti'.
“Sai, una volta mia madre mi ha detto che il cuore è diviso in due perfette metà, in una ha sede l’amore, nell’altra il dolore. Se trovi la persona con cui condividere l’amore, allora esso alleggerirà la sua metà e sarai felice…”.
“…e se invece trovi a chi donare il tuo dolore?”.
“Non lo so, non me lo ha detto. Però…tu hai mai visto un cuore battere a metà?”.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La cosa giusta




Ti guardi attorno.
Osservi la tua casa, la casa che tu stessa hai arredato e che ora ti sembra diversa. Uguale e allo stesso tempo diversa.
Ma quelle che a te paiono sfumature, impercettibili cambiamenti cui non dai peso, agli occhi di un estraneo diventano tangibili prove di una convivenza, anche se nella targhetta fuori dalla porta e in quella giù all’ingresso, accanto al campanello, il nome che compare è solo uno. Il tuo.
Eppure lui c’è. C’è dappertutto.
“Te la regalo, sta meglio a te” aveva scherzato una mattina, parlando della maglietta eccessivamente ampia che indossavi. E tu gli avevi sorriso, accettando il suo bacio al caffè ed augurandogli buona giornata.
Una settimana dopo avevi dormito con la sua camicia e lui se n’era andato senza svegliarti.
Quell’inverno ti aveva prestato un paio di guanti, poi un maglione e la sciarpa e, quasi senza accorgertene, avevi finito col liberare un cassetto del tuo armadio.
Ma Shinichi Kudo non crea gli spazi, li riempie.
Così la tua ricca libreria ha preso ad ospitare un consunto volume de Il segno dei quattro, tre romanzi di Yusaku ed alcuni libri di giovani e promettenti scrittori, che, secondo lui, avrebbero avuto sicuro successo.
Il bagno ha accolto il suo spazzolino, il rasoio e il dopobarba spodestato i tuoi profumi.
La cucina conserva ancora la ferita inflittale dalla sbadataggine con cui una mattina aveva appoggiato la moka appena fatta sul ripiano del tavolo, dove, nonostante i tuoi continui richiami ad usare i sottobicchieri, compare sempre il segno di qualche tazza. Pile di giornali datati, aperti e piegati a metà sulle pagine di cronaca nera, ricoprono quelle patinate delle riviste di moda e sull’appendiabiti pende un cappellino degli Tokyo Spirits, sudicio di polvere vecchia un anno: te lo aveva regalato mal digerendo la tua simpatia per i Big Osaka.
Continui a guardarti attorno dalla sterile prospettiva che il divano ti concede.
Puoi vedere solo la metà delle cose che hai pensato, le altre sono nascoste in angoli che i tuoi occhi non possono raggiungere, ma sai che sono lì. Perché, nonostante la tua ostinazione a credere il contrario, non hai mai dato tanta importanza ai dettagli come nell’ultimo periodo, hai finto di accorgetene distrattamente, di non dar loro troppa importanza, quando, invece, non cambi nemmeno le lenzuola del letto se in esse avverti ancora tracce del suo profumo…
Esiste anche una foto, ve l’ha scattata a tradimento un fotografo durante la prima di un film, cui eravate stati invitati anche tu e Agasa.
Non ritrae nulla di compromettente, solo due amici che si scambiano un sorriso nell’atrio del hotel dove s’era svolto il rinfresco, tuttavia la tieni chiusa in un cassetto, lontano dagli occhi di chi potrebbe capire, intuire cosa cela la complicità dei vostri sguardi - troppo intima per due semplici amici, inspiegabilmente trattenuta per una coppia-, soffrire. Pensi subito al professore, al giorno in cui, raccogliendoti le mani tra le sue, ti ha consigliato di lasciarlo andare e l’inchiostro dei titoloni che annunciavano il ritorno di Shinichi Kudo era ancora fresco. Sul momento, ti eri chiusa a riccio, spaventata dalla facilità che aveva dimostrato nel leggerti dentro, poi il suo tono contrito e sincero e quelle parole -“…hanno aspettato tanto per stare insieme, rischieresti di allontanarlo e perdere un valido amico…”- avevano convinto la tua mente, ma non il tuo cuore.
Gli sarebbe servito solo tempo, tempo e una buona protezione dal mondo per dimenticarlo…invece Shinichi aveva reso tutto più complicato, pretendendo spiegazioni per il tuo improvviso distacco, per le chiamate senza risposta e gli inviti rifiutati.
E il tuo guscio si era sgretolato pian piano, mostrandogli quelle fragilità che il professore aveva biasimato e temuto. Per Ran.
Forse l’età l’aveva reso lungimirante anche sui sentimenti dei giovani che lo circondavano, forse era stato il primo a cogliere il lento affievolirsi di un amore infantile, a riconoscere nei silenzi di Ai l’infiammarsi di fuoco nuovo, a sperare che nessuno, oltre a lui, se ne accorgesse, -involontario spettatore di un tradimento che si era consumato davanti ai suoi occhi.
Perché Shinichi tradiva Ran quando le parlava con la voce di Conan, la ingannava chiamandola dalla stanza accanto e fingendo di essere un altro, ripudiava la sua fiducia continuamente, -disposto a perderla pur di non metterla in pericolo, perché un segreto non rivelato crea baratri invalicabili.
E Agasa….Agasa lo sosteneva, percepiva le sofferenze di quell’amore ostacolato dal destino e cercava di alleviarle, con parole che il tempo aveva consumato e reso vane, illusorie.
A te la fallacità di quei discorsi non è mai servita. Tu eri l’unica a capirlo, ad urlargli, schietta, in faccia come stavano le cose con quello spietato realismo che ti ha sempre caratterizzata, a venire insultata dal suo istinto, supplicata di perdonarlo dalla sua ragione, -disposto a metterti in pericolo pur di non perderti, perché condividere lo stesso segreto è ciò che di più intimo può esserci tra due persone.
Però, alla fine, Shinichi aveva scelto comunque Ran.
Ran che le foto le ha tutte incorniciate e disposte, con orgoglio e nostalgia, nel grande salone di villa Kudo. Ran che non ha avuto bisogno di svuotare un cassetto, perché ha un armadio tutto per lei. Ran che cambia le lenzuola quando vuole e riceve la posta al 22 di via Beika, ora che sulla cassetta delle lettere, accanto a ‘Shinichi Kudo, compare anche ‘Ran Mouri’.
E tu? Tu sei solo lo spazio bianco tra i loro nomi, lo sguardo di una ragazza impresso in una foto che nessuno vedrà mai ed esisterà sempre.
È un ricordo, e per quanto si cerchi di cancellarlo, di esso rimarrà ancora un’indelebile traccia, una cicatrice, l’angolo bruciacchiato del tavolo in cucina.
Un sospiro.
I tuoi occhi tornano una volta di più sui minuscoli caratteri gialli della confezione che stringi tra le dita senza leggerli realmente -potresti citarli a memoria ormai-, scivolano lungo il tuo polso e si fermano all’elegante orologio con il quarzo perlato ed i cinturini marroni. Sono quasi le otto e sei stanca, schiacciata dal peso di un’altra giornata di dubbi e attese fallite.
Al rintocco della pendola, decidi che farti un bagno prima di cena sia il modo migliore per scacciare i pensieri, così raggiungi la porta in fondo al corridoio, con la scatola di cartone ancora stretta in mano, ed apri l’acqua della vasca, ma il rumore della serratura all’ingresso ti costringe ad interrompere i preparativi.
Solo due persone vengono, di solito, a farti visita dopo il tramonto: il professore, che bussa sempre, annunciandosi a gran voce, e…
“Shiho, Shiho…ci sei?”.
Il richiamo di Shinichi ti scuote, accede un sorriso che per troppi giorni le tue labbra hanno dimenticato.
Lo trovi ancora sul pianerottolo, intento a passarsi una mano tra i capelli umidi, scrollandosi di dosso un po’ d’acqua e abbassandosi il bavero della giacca, chiuso fin sotto il mento.
“Piove molto?” gli chiedi, facendo la tua comparsa per allungargli un asciugamano.
Lui s’illumina all’improvviso. “Abbastanza…”.
Torni a sederti sul divano, osservandolo togliersi le scarpe e appendere il giubbino gocciolante accanto al berretto dei Tokyo Spirits, finché i vostri occhi non s’incrociano.
Sei maestra nel manipolare le emozioni per non far trasparire ciò che provi, ma con lui è tutto inutile. Percepisce sempre la tua inquietudine e te lo dimostra, sedendosi al tuo fianco, sollevando il volto che hai nascosto tra le ginocchia raccolte, carezzandoti amorevolmente la guancia, che senti umida, nonostante le lacrime che non riesci, non vuoi più versare.
“Cosa c’è che non va?”.
“Niente. Solo una giornata storta…”.
“Davvero?”.
“Davvero…” sospiri, eludendo i suoi occhi. “Hai cenato?”.
Ottima idea, cambiare discorso virando su argomento leggero che possa mascherare il tono impersonale della tua voce.
Ti alzi, dirigendoti in cucina, ed inizi a trafficare con il frigo.
“Preparo qualcosa. Intanto vai farti un bagno caldo, di sicuro starai gelando…”.
Sistemi il tagliere sullo scanso del lavandino, apri il rubinetto, sciacqui due pomodori, ripassi mentalmente quanto riso sia rimasto nella confezione aperta sulla mensola, dai retta all’impellente bisogno di sentirti occupata.
Ogni goffo tentativo di lasciarti i problemi alle spalle si rivela, però, assai misero, quando due mani ti cingono i fianchi ed un caldo respiro ti carezza la nuca.
“Pensavo che potresti farmi compagnia…” sussurra, marcando la presa.
“Te…te l’ho detto…preparo la cena…”.
Una risposta tanto roca e strozzata non può certo invogliarlo a desistere, così Shinichi prosegue posandoti un dolce bacio sul capo, incollando il petto alla tua schiena.
Da quanto le sue spalle sono diventate così larghe? Forse sei solo tu ad essere troppo piccola tra sue braccia.
“Non sei felice di vedermi…?”.
“Ti ricordo che non sono io, il tipo che si getta al collo delle persone con tanta facilità!”.
Brusca e crudele allusione alla spensieratezza di Ran.
Te ne penti subito quando lo avverti irrigidirsi e ammorbidire l’abbraccio e ti volti, osservando la trasparenza umida della sua camicia. L’hai ferito. Sai bene quanto lo laceri il fatto di non aver ancora trovato un finale diverso per voi ed il tuo comportamento, di certo, non aiuta.
“Scusa…”.
Lui denega la testa e torna a stringerti. “Non importa. Vedremo se questo weekend riuscirò a cancellare quel broncio…”.
Sollevi di colpo il capo, sprofondando nel blu dei suoi occhi. Hai sentito bene?
“Hai…hai detto weekend?”. Stavolta la tua voce esce spezzata di gioia.
Ti sorride, annuendo. “Si. Ran starà fuori città per il torneo di karate dei suoi allievi…fino a lunedì”.
 

…perché il destino degli amanti si costruisce su momenti rubati alla vita degli altri…

 

 
No. Allontana quei funesti pensieri, lascia che il sole dipani le nubi.
Un weekend. Sono quattro giorni, tre notti per annusare il profumo dalla sua pelle, non dal cuscino.
Gli prendi le mani: sono calde e si adattano perfettamente alle tue. Sorridi.
Ci sono tanti, troppi motivi per cui tu e Shinichi non dovreste stare insieme, ma alla fine ascolti sempre quelli che ti spingono verso di lui.
Lo vuoi perché ti scuote, ti permette di vivere finalmente una vita, in ogni piccola emozione e nel più insignificante dei momenti, perché sbaglia, ma ha il coraggio di ammetterlo.
Lo ami perché lui è sempre stato con te quando nessun altro c'era, nei momenti più difficili, in quelli più bui, per aiutarti a raccogliere i pezzi di quanto rimaneva.
Ti ha insegnato che quasi mai nella vita la via più facile è anche la più giusta
.
 
“Vai a preparare l’acqua calda, arrivo subito…”.
 

§§§

 

Lo guardi dormire.
Ti è sempre piaciuto farlo per via di quella serenità che distende il suo volto: la bocca leggermente schiusa, le labbra piegate in un accenno di sorriso, il respiro regolare, nessun’ombra ad offuscarne i lineamenti, come se la notte vi poggiasse sopra il suo manto, confondendole con la sua oscurità.
Le tue ombre, invece, non si allontanano all’imbrunire, non basta essere circondata dal buio per fingere che non esistano. Senti sempre quello scricchiolio di fondo che ne rivela la presenza, l’eco lontano delle loro domande, la pretenziosità di avere risposte.
Ti interrogano sul futuro di un voi che non esisterà mai.
Lo sapevate entrambi, tu prima di lui, eppure hai preferito credere alla speranza che Shinichi t’infondeva quand’eri invasa dallo sconforto per la vostra situazione.
 

…perché il destino degli amanti è vivere una vita a metà…

 
Gli scosti piano un ciuffo ribelle dalla fronte e cerchi di ricordare da quanto la vostra relazione è diventata tanto esiziale. Certo, quel Natale…
Quel Natale, di due anni fa, Yukiko aveva organizzato una grande festa, invitando un ristretto circolo di amici e parenti, tra cui il professore, ed aveva insistito affinché lo accompagnassi, ignorando lo strazio che questo avrebbe comportato.
Vedere Ran e Shinichi, circondati dai loro cari, vedere i loro sorrisi, i loro abbracci, le risate davanti a qualche sciocca battuta avrebbe provocato un ulteriore strappo alla tua indulgenza, messa a dura prova solo pochi giorni prima da una terribile litigata.
Eri frustrata, logorata dalla vostra storia ed avevi minacciato a vuoto di porvi fine. Lui aveva capito, ma non accettato e, dopo aver tentato inutilmente di calmarti, se n’era andato sbattendo la porta con un “Hai bisogno di me!”, urlato tra gli insulti e le parole grosse che erano volate, sedimentandosi come polvere sul cuore.
No. Non avevi per niente voglia di vederlo, eppure, alla fine, avevi ceduto per mettere a tacere le invadenti allusioni di Agasa, che forse sapeva, ma non osava chieder conferma.
Così avevi indossato un abito nero, quasi a voler dimostrare quanto poco potessero coinvolgerti lo spirito natalizio ed i festeggiamenti, ed avevi seguito il professore, centellinando sorrisi e cercando inutilmente di crearti i tuoi spazi.
Hai sempre saputo di essere una donna attraente, di una bellezza graffiante dovuta in parte a quei lineamenti e a quei colori così poco orientali, però credevi di poter compensare il tuo aspetto fisico con un carattere chiuso e volutamente scontroso; invece, quella sera, i tuoi miseri tentativi di emarginarti, anziché scoraggiare possibili pretendenti, li aveva aizzati.
Verso mezzanotte, sulla mensola della biblioteca dove ti eri addossata, avevi contato ben sette bicchieri di champagne ancora colmi e ti eri detta che poteva bastare, dopotutto eri riuscita nel tuo intendo di evitare Shinichi, ma proprio mentre stavi per raggiungere la porta, eccolo spuntare tra gli ospiti.
Ti eri voltata, allora, fuggendo quasi nella direzione opposta, scontrandoti con un giovane avvocato -uno dei tanti che avevi rifiutato- e cogliendo l’occasione per chiedergli di accompagnarti a prendere una boccata d’aria nella speranza che Shinichi non ti seguisse.
Una volta arrivati nell’atrio, ti eri scusata per il tuo atteggiamento contrastante e l’avevi invitato a tornare ai festeggiamenti, ma lui si era opposto, adottando la giustificazione di non gradire troppo la confusione. Ne era nata una piccola discussione, terminata con la risata di entrambi.
Era giovane, belloccio, brillante, la sua compagnia inaspettatamente piacevole e per tutto il resto della nottata non avevate fatto altro che bere e parlare degli argomenti più disparati, senza cadere mai in osservazioni banali e scontate. Ricordi di aver pensato, guardandolo infervorarsi su un tema che gli stava particolarmente a cuore, che poteva davvero esistere un orizzonte senza Shinichi, che forse bastava appoggiarsi su altre persone per andare avanti.
Alla fine, avevi addirittura accettato il suo braccio e l’invito ad accompagnarti a casa e sotto il portone d’ingresso gli avevi sfiorato le labbra con un lieve bacio, quasi a voler ringraziarlo per la ritrovata fiducia riposta nel domani, lasciando aperta la possibilità di rivedervi.
E lo avresti fatto, saresti andata a letto con quella certezza, se solo il campanello non avesse suonato con insistenza, se non fossi corsa all’ingresso, se non avessi trovato Shinichi, con negli occhi una delusione furente, a torcersi le mani nelle tasche.
“Ti sei divertita?”.
Al suo tono d’accusa avevi risposto frettolosamente, cercando di ricomporre quella freddezza che, di fronte a lui, viene sempre a mancarti, e con voce altrettanto dura gli avevi fatto notare che Ran si sarebbe presto chiesta dove fosse finito, senza ottenere il ben che minimo cenno di resa.
“Non mi piace…” aveva mormorato “…ti ho visto con lui e non mi piace. Non voglio che tu veda altre persone”.
Il cuore ti si era contratto dolorosamente in petto a quelle parole, ma la ragione, scossa da un briciolo d’orgoglio dopo una lunga sudditanza, lo aveva messo a tacere.
“Non sei nelle condizioni di chiedermi questo, te ne rendi conto?”.
Fuori dal tuo appartamento lui aveva Ran, i suoi genitori, i suoi amici: forse non era la vita che aveva desiderato, ma era quella che aveva scelto.
Invece, tu, oltre i muri chiari, non esistevi.
Era rimasto in silenzio tutto il tempo, ascoltando il tuo sfogo ed alzando poi un pugno come se volesse colpirti, ma tutto quel che fece, fu gettarsi tra le tue braccia ed ammetterlo.
Ho bisogno di te”.
Ed avevate fatto l’amore, lì in salotto, con la porta semiaperta, curandovi solo del pressante bisogno di rimarcare la propria appartenenza all’altro.
Ed avevi imparato la sottile differenza tra tenere una mano ed incatenare un’anima.
 
Umf…sei sveglia?”.
La sua voce impastata dal sonno ti ridesta.
“Già…stavo pensando”.
Lo vedi aggrottare la fronte, sollevare le palpebre ed indossare un’espressione poco convinta.
“A cosa?”.
A noi”.
Argomento dolente per entrambi.
“Cosa ci differisce, Shinichi? Cos’ha che io non ho? Cosa cerchi in me, che in lei non hai trovato?”.
Si solleva, fuggendo dal caldo ristoro delle coperte e ti fissa sgomento negli occhi, cercando tra le striature dorate, l’ombra di un dubbio, di un’esitazione che non c’è: hai bisogno di sapere, di capire come si possano amare tanto intensamente due donne diverse.
“Non è una questione di sfumature, ma di natura” sospira, affondando la testa nel cuscino. “Di Ran amo i sorrisi che ti scaldano, la dolcezza, l’altruismo, la fermezza, quell’immancabile punta d’ingenuità che le fa vedere sempre il lato buono delle persone…”.
“Queste sono sfumature…” gli fai notare, aggrappandoti al suo petto.
“No. È un modo di essere, che amo. Non posso immaginare la mia vita senza di lei, sarebbe come pensare ad un giorno senza il sole…”.
“Ed io? Cosa sono io per te, Shinichi?”.
Tu sei il mio dolore…”.
Te lo avevo detto, ricordi?Sorridi amara.
“Ogni uomo nasce col dolore, grande o piccolo che sia, nel proprio destino. È una parte imprescindibile di lui. Con quale arroganza potrei, io, immaginare me stesso senza il mio dolore? Non posso, non posso proprio, davvero…”.
Stavolta sei tu a ricercare il suo sguardo. Lo trovi calmo, fermo. “Shinichi, io…”.
“No…” ti zittisce, lasciandoti una carezza sulla guancia. “Sai, una volta mia madre mi ha detto che il cuore è diviso in due perfette metà, in una ha sede l’amore, nell’altra il dolore. Se trovi la persona con cui condividere l’amore, allora esso alleggerirà la sua metà e sarai felice…”.
“…e se invece trovi a chi donare il tuo dolore?”.
“Non lo so, non me lo ha detto. Però…tu hai mai visto un cuore battere a metà?”.
“Mi sembra strano…desiderare il dolore…”.
“Infatti. Nessuno lo cerca...si cerca il sole, ma i suoi raggi non riescono mai a bucare il punto più profondo di noi stessi. E così Ran illumina solo una parte di me, quella più superficiale e visibile a chiunque”.
“Ma il dolore…il dolore nasce con noi, chiuso in luogo segreto. Tu eri parte di me, prima ancora che c’incontrassimo…”.
E allora capisci. Le tue più grandi sofferenze in questo mondo sono state quelle di Shinichi, e le hai viste e vissute tutte fin dal principio; il tuo pensiero principale nella vita è lui. Se tutto il resto morisse, e lui rimanesse, tu continueresti ad esistere; e se tutto il resto continuasse ad esistere e lui fosse annientato, l'universo si trasformerebbe in un completo estraneo*.
“E non c’è modo di sradicare il dolore da se stessi?” chiedi, con voce rotta dalla commozione.
“Forse…forse bisognerebbe smettere di amarlo tanto…”.
“…o forse basterebbe dare più amore al sole…”.
“Non credo. Il problema non è la quantità d’amore, ma l’intensità. Il mio amore per Ran è come il fogliame nei boschi: il tempo lo cambierà, ne sono consapevole, come l'inverno cambia gli alberi. Lo so, è già successo. Un giorno mi sveglierò e mi renderò conto di averlo consumato a tal punto da renderlo affetto. Ma…”-due dita cominciano ad attorcigliarti una ciocca per poi sistemarla dietro all’orecchio- “…al mio amore per te non accadrà. Esso somiglia alle rocce eterne che stanno sotto quegli alberi: una fonte di piacere ben poco visibile, ma necessaria*”.
Ti senti avvampare di fronte alla naturalezza della sua confessione e un po’ ti vergogni: hai sempre pensato che la clandestinità della vostra storia fosse figlia dell’arrendevolezza, della rinuncia a trovare risposte, solo ora ti accorgi che Shinichi, quelle risposte, le ha sempre avute.
E taciute.
Si era rifugiato in un sogno, in una speranza -“Sono o non sono il figlio di uno scrittore? Posso cambiare il finale…”-, perché la realtà era troppo devastante da affrontare. Anche in due.
 
 

§§§

 

Shinichi se n’è andato da meno di un’ora e già ti manca.
Per fortuna, dopo ogni notte che passa con te, la sua presenza si avverte ancora dalla scia di disordine che si lascia appresso e tu, per quanto meticolosamente ordinata, gliene sei grata, perché il segno della tazza sul tavolino del salotto, la camicia dimenticata sulla poltrona e gli asciugamani appallottolati in bagno danno al tuo appartamento il caldo tocco di vissuto, che tu non riesci ad imprimergli.
E poi riordinare ti tiene occupata. Così lavi le tazze accumulate nel lavandino, ripulisci il salone, pieghi gli asciugamani, accatastandoli in pile perfette che riponi sul mobiletto bianco in bagno e la vedi.
Una confezione di cartone azzurra, vergata da minuscoli caratteri gialli.
L’afferri rigirandotela tra le dita e studiandola come appartenesse ad un passato lontanissimo, poi, certa della sua effettiva concretezza, la pieghi con delicatezza verso il lato già strappato ed estrai il contenuto.
Lì il mondo si svuota.
Un colpo al cuore, una morsa allo stomaco, un’ondata di gelido terrore.
 

§§§


 
Mercoledì è il giorno della settimana che odi di più: troppo distante dal weekend passato, perché se ne possano avvertire ancora i benefici, troppo lontano da quello futuro, perché valga la pena iniziare ad attenderlo.
Cammini, ansante, tra le vie della città, sotto un cielo d’acciaio che preannuncia l’imminente temporale. Cammini, stringendoti forte il bavero del sottile soprabito che indossi, cercando di vincere la spossatezza e le vertigini che il medico ha detto essere normali.
Cammini, veloce, con un passo incespicante che attira l’attenzione –una donna ti lancia uno sguardo velato di preoccupazione, quando per sbaglio la urti: devi avere un aspetto orribile.
Profonde occhiaie, frutto di notti insonni, adornano i tuoi occhi arrossati e risaltano nell’incarnato pallido del tuo volto.
Tremi, un tremore febbrile che ti accompagna fino alla porta d’ingresso del tuo appartamento, dove noti, stranamente, una luce accesa.
Pensi ad una sciocca dimenticanza, infilando la chiave nella toppa, ma la realtà è ben diversa.
Seduto sulla poltrona, con le braccia appoggiate alle ginocchia, trovi Shinichi.
I suoi occhi -quegli occhi che seguono ogni tuo movimento- sono spenti e accesi di qualcosa allo stesso tempo. E prima che tu possa anche solo ipotizzare al motivo di quella stranezza, vedi la confezione di cartone azzurra, vergata da minuscoli caratteri gialli, sul tavolino e lo stick bianco chiuso dalle sue dita.
“Sei…sei…”. La voce tradisce una certa emozione. “…incinta?”.
Gli volti le spalle, appendendo il cappotto e la borsa, negandogli la vista del tuo viso sciupato.
“No”. Il tempo si ferma risucchiato dal respiro che trattieni. “Lo ero”.
Dallo sguardo che ti restituisce intuisci quanto sia stravolto, agonizzante come chi ha solo sfiorato la bellezza della felicità può essere.
Perché, perché, perché usi il passato? È questo che ti urla nel silenzio, mentre chini il capo, confessando il crimine più grande.
“Cosa…cosa hai fatto?”.
È un dolore palpabile il suo, va a colmare il vuoto lasciato da un affetto che non potrà mai riversare. Perché lo conosci, conosci la sua totale incapacità ad accettare le difficoltà e sai su quale futuro ha fantasticato: un ventre che cresceva, allargandosi sotto le sue mani, le dispute allegre sui nomi, il primo vagito, i primi passi, la gioia di udire il proprio nome consumato dalla voce stridula di un bambino.
Shinichi ha visto tutto quello che avrebbe potuto essere, tu tutto quello che non ci sarebbe mai stato: una risposta alla domanda “Chi è il mio papà?”, un alleato per combattere gli incubi, una presa sicura che sorreggesse i primi passi, un degno compagno di giochi.
“La cosa migliore”.
“La più facile!” urla e piange come mai aveva fatto prima.
Quella più giusta! vorresti ribattere, ma ti è impossibile articolare altre parole a causa del nodo che ti serra la gola.
“Tu…” avanza furioso, scrollandoti per le spalle. “…hai ucciso mio figlio!”.
Ringrazi che sia lui involontariamente a sorreggerti, perché le tue gambe all’improvviso pesanti non avrebbero garantito lo stesso sostegno.
“Non sarebbe mai stato tuo. Guarda in faccia la realtà per una volta! Che futuro avresti potuto offrirgli? Vai e vieni. Non so mai quando e…e se ritornerai!”.
Ti lascia, scosso, ferito, incredulo e se ne va, sbattendo per l’ultima volta la porta.
 
“L’avrei amato…”.
“…ma non sarebbe bastato”.
 

…perché il destino degli amanti è sempre tragico…

 

§§§

 

Cinque anni dopo…
 

Una bambina rincorre una palla nel parco di Beika e sorride ad una signora dai lunghi capelli mori che gliela porge.
 

Cinque anni prima, avevi capito di volere Shinichi perché ti scuoteva, ti permetteva di vivere finalmente una vita, ma non la tua, perché sbagliava, aveva il coraggio di ammetterlo, ma non la forza di evitarlo.
Lo amavi perché lui era sempre stato con te quando nessun altro c'era, nei momenti più difficili, in quelli più bui, per aiutarti a raccogliere i pezzi di quanto rimaneva, ma non per rimetterli insieme.
Ti aveva insegnato che quasi mai nella vita la via più facile è anche la più giusta, eppure non aveva accettato la reale difficoltà della tua scelta
.
 
Con troppi 'ma' non si va da nessuna parte.


Ha i capelli neri, la pelle di pesca, due occhi grandi e blu, una parlantina spigliata con cui saluta la donna ed il signore spuntato alle sue spalle, per poi correre nella direzione opposta, verso una panchina, dove due mani sono pronte ad accoglierla in un tenero abbraccio.
 

Cinque anni prima, avevi capito che una domanda per la quale non esiste risposta è una barriera oltre la quale non è possibile andare, ma avevi deciso che valeva comunque la pena di tentare, che non ci sarebbe mai stato un alleato per combattere gli incubi, ma una madre che aveva sconfitto i propri, che la tua presa, forse, non sarebbe stata sicura come quella di un padre, ma non avresti mai permesso all’incertezza dei primi passi di farla cadere, che un compagno di giochi è degno di esser considerato tale solo se sempre presente.
 
Con i 'ma' giusti si può costruire qualcosa.


“Ran, chi era la tua giovane amica?”.


Cinque anni prima, Shinichi ti aveva confessato che il suo amore per te era immune ai segni del tempo, al contrario di quello che nutriva per Ran.
E tu gli avevi creduto e gli credi ancora -lo vedi riflesso negli occhi di tua figlia
, ma il suo cuore era troppo affollato perchè quell'amore potesse bastare.
 

“Quella bambina intendi? Si chiama Akemi…”.
 
 

…ma tu hai trovato il tuo lieto fine…

 


(*) citazioni rimaneggiate dal libro "Cime Tempestose" di E. Bronte







***spazio autrice***
Si lo so, lo sono in ritardo con l'altra fanfic (..non è una novità...) ma riguardando questa (nda: Il destino degli amanti) ho pensato, seguendo anche il consiglio di qualcuno, che ci manchasse qualcosa....un epilogo...un punto fisso. Così, riprendendo dei pezzi che avevo scartato per l'altra, è nata questa: spero vi sia piaciuta!
Bye Bye

  
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