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Autore: WatashiwaBakaNeko    11/05/2013    1 recensioni
Il funerale di Madame Red è alle porte. Tutti sono riuniti all'interno della chiesa aspettando solo l'arrivo dell'ospite d'onore, Ciel Phantomhive. Egli solo avrebbe dovuto dare l'estremo saluto alla zia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Angelina Durless, Ciel Phantomhive, Lau Tare, Sebastian Michaelis, Undertaker
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le campane della chiesa risuonavano in un lontano pomeriggio di marzo. I loro rintocchi echeggiavano lontani in una cittadina minuscola poco distante dalla Londra Vittoriana. Era una piccola chiesetta circondata da un verde giardino rigoglioso dove spuntavano vivaci margherite e fiori variopinti in una distesa di prato smeraldino. Gli alti fili d'erba accarezzavano le ginocchia nude di alcuni bambini che giocavano a rincorrersi lì intorno, all'interno di un recinto. Il più grande prese a correre dietro ai due più piccoli ridendo e scherzando.

«Ahah, Anne! Sei troppo lenta! Ti ho presa un'altra volta!», urlò questo afferrandole il lungo vestito a fiori mentre si teneva stretto alla testa il suo cappello di tela con la forma di un basco francese per evitare che gli scivolasse dalla testa. La bambina sbuffò ed impuntò gli stivaletti sporcando le suole di fango.
«Uffa, non è giusto Terry!», fece gonfiando le guance in segno di disapprovazione mentre si grattava la punta del naso, «Vinci sempre tu solo perché sei più grande e più veloce!».

Le campane rintoccarono ancora una volta, più rumorose, attirando l'attenzione dei tre bambini.

«Che cosa sta succedendo oggi?», domandò il più piccolo, Almond, ai fratelli.

«Come 'cosa sta succedendo'?», rispose un uomo affacciandosi alla staccionata di legno e sghignazzando, «Oggi è un giorno speciale, molto speciale».

I tre bambini, intimoriti dalla figura ambigua indietreggiarono immediatamente mandando avanti Terry. «G-Giorno s-speciale?!», domandò questo boccheggiando impavidito. L'uomo, con il volto solcato da una lunga cicatrice e gli occhi coperti da dei lunghi capelli non curati e bianchi che toccavano il suolo, sorrise maliziosamente e sinistramente ed indicò con l'indice la piccola chiesa lasciando intravedere delle lunghissime unghie nere che spuntavano da sotto una manica lunga e trasandata di un abito che copriva l'intero corpo proprio come quello dei monaci. «Ihihih, esatto bambini», disse a fior di labbra con toni ancora più oscuri, «Oggi è la festa di una graziosa e giovane Madame...».

La gente era ancora radunata fuori dall'edificio. Uomini adulti con indosso completi neri e giacche a tre quarti tenevano sottobraccio donne con volti scuri coperti da dei veli neri semitrasparenti che, muovendo i ventagli avanti ed indietro facendosi aria in quel tramonto primaverile, bisbigliavano parole ai mariti esprimendo commenti inopportuni ed opioni per la maggior parte negative sulla donna defunta. Un uomo con gli occhi socchiusi a mandorla accompagnato da una giovane ragazza in abiti alquanto inadatti considerando l'estetica dell'epoca, si avvicinò lentamente verso il portone dell'edificio facendosi strada lungo il sentiero sterrato che vi conduceva. Questo posò dunque le sue scarpe di cuoio scuro su un tappeto rosso mentre i tacchi bassi di queste battevano in più ticchettii nel pavimento di marmo della chiesa echeggiando nel vuoto. Si inoltrò perciò con un mazzo di rose cremisi tra le mani mentre si avvicinava con passi cauti alla bara posizionata sopra alcune scale in un altare. Cominciarono, all'esterno dell'edificio, a piovere i commenti sui due arrivati.

«Ma li hai visti, Joanne?», domandò una donna con i capelli raccolti in un chignon e coperti da un velo nero nascondendo la carnosa bocca intrisa di rossetto cremisi scrutando con occhi taglienti i due, «Visto che scostumati?». La compare annuì con la testa meccanicamente accarezzandosi con i guanti di velluto neri il suo viso incartapecorito ed il suo mento pronunciato. «Che vergogna», ripeté questa sottovoce con toni di biasimo, «Che vergogna». La ragazza che si trovava presso l'altare con l'uomo voltò leggermente la testa scrutando le due donne con sguardo vuoto attraverso i suoi occhi dorati ricoperti di un pesante trucco vivace che accentuava in qualche misteriosa maniera le sue origini orientali. Il compagno le sorrise accarezzandole i capelli tagliati a caschetto. «Ran Mao, mi sembri distratta», le mormorò questo, «Che ne diresti di sederti in quella panca e lasciare me e Madame alla nostra ultima chiacchierata...?».

Questa, tenendo le labbra serrate come usava fare, annuì con la testa facendo tintinnare le campanelle dell'elastico che le raccoglieva i capelli in due cipolle ai lati della testa. Si diresse dunque verso la seduta indicata dall'uomo e rimase immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto e la testa sgombera da pensieri.

«Ho atteso tanto, Ann», mormorò questo sorridendo mentre si chinava sulla bara scrutando il volto della donna, «Ho atteso per tanto tempo il momento in cui ti avrei potuto consegnare un dono senza il timore che tu potessi in qualche maniera respingerlo con un 'no grazie'».

Così facendo posò il suo mazzo di fiori cremisi accanto uno spazio vuoto vicino alla testa della defunta dunque le accarezzò il volto sorridendo e socchiudendo gli occhi sognante. «Angelina, mi duole molto il fatto che non ti possa mai aver sussurrato parole dolci quando ancora eri tra noi e so' per certo che dirtele ora non avrebbe senso alcuno. Sarebbe come urlare in una stanza di una villa abbandonata. Urlare, sprecare il fiato e la voce senza che nessuno possa in qualche modo udirti. Sarebbe inutile». Così facendo cominciò a muovere la nuda mano tastando la delicatezza della pelle della donna che aveva lasciato il mondo dei vivi nel fiore dei suoi anni. D'un tratto si udirono alcuni passi tranquilli in avvicinamento. Un guanto nero di pelle si posò sulla spalla dell'uomo, chinato sulla bara e perso nei suoi pensieri, facendolo sussultare.

«Signor Lau», mormorò la ragazzina con sguardo spento ed adombrato, «Vi sentite bene?». Lau sorrise asciugandosi una goccia di sudore freddo che gli rigava lentamente la fronte e cercando di scacciare in qualche maniera la paura irrazionale che qualcuno come quella ragazza potesse averlo in qualche modo sentito nel pieno delle sue considerazioni. «Certamente, Lady Elizabeth», disse dunque sorridendo, «Sto benissimo». La giovane Lady aggrottò la fronte ed allungò la mano inguantata verso il corpo della Madame afferrando la sua. «Zia Ann era una così brava persona...», mormorò cercando invano di trattenere un singhiozzo mentre lasciava prontamente la mano della donna portandoselo alla bocca e coprendosela quasi per evitare che il suo pianto potesse essere udito da qualcuno. Si accasciò dunque sulle proprie ginocchia sporcando il suo lungo abito e posandosi una mano sul petto come se in quel preciso istante un profondo dolore la stesse logorando dentro, le stesse bruciando il cuore facendole sperimentare una sofferenza mai provata prima d'ora. «I-Io... vi prego di scusarmi signor Lau...», boccheggiò tra un singhiozzo e l'altro mentre il suo trucco andava rovinandosi, bagnato dalle innumerevoli lacrime, che scendevano come fiumi in piena, «Una tale vergogna, per una Lady come me... Piangere davanti a-». Lau le posò una mano sulla spalla cercando di rassicurarla.

«Lady Elizabeth», mormorò questo forzando un sorriso ed occultando le sue vere sensazioni, «Angelina Durless era sicuramente una delle persone più meravigliose che avessi mai incontrato in tutta la mia vita».

"Sì, era indubbiamente meravigliosa", si disse dentro di sé mentre il suo corpo veniva lentamente invasato da un calore inusuale, "La mia terra, la Cina, offriva numerosi fiori e piuttosto meravigliosi per delle farfalle esigenti come me. Eppure, nonostante io mi sia sempre dedicato ai piaceri della vita, alla lussuria ed all'oppio, Angelina aveva lasciato un segno dentro di me. Lei era una donna indimenticabile. I suoi capelli rispecchiavano il colore della liquirizia in fiore, così come i suoi occhi e le sue labbra che per troppo tempo avevo sempre bramato di toccare o sfiorare minimamente con le mie. Non desideravo il suo corpo, io volevo semplicemente lei. Così unica, così vivace. Eppure... era forse l'estetica dell'epoca che le aveva impedito di unirsi in matrimonio con me? No... lei non mi aveva mai amato. D'altronde mi aveva sempre reputato come una sorta di suo migliore amico. Mi aveva sempre confidato tutti i suoi più infimi segreti e forse, lo faceva proprio perché sapeva che di me, di questo scorretto commerciante di oppio, poteva certo fidarsi. Vivere con gli occhi chiusi mi ha tuttavia sempre salvato dall'affrontare i fatti più tragici della vita eppure, anche ora che te ne sei andata per i Campi Elisi, Angelina, sogno che un giorno possa raggiungerti per tenerti la mano e camminare con te, in un campo immenso di liquirizie".

D'un tratto la gente cominciò a prendere posto nelle panche della chiesa. Lady Elizabeth si asciugò le sue ultime lacrime e si sedette ai primi posti. Lau le diede una mano a rialzarsi prima che qualcuno potesse accorgersi dell'accaduto e prese posto accanto alla giovane ragazza mentre le porgeva un fazzoletto per asciugarsi le lacrime.

«Non piangete», le mormorò dunque, «Una Lady come voi non può permettersi di piangere in pubblico, tanto meno davanti ad uomo che non è nemmeno vostro marito».

Questa annuì soffiandosi il naso, dunque ripiegò la stoffa infilandosela in una tasca del suo fastoso vestito. Il sacerdote non aveva ancora fatto la sua entrata nella stanza per cominciare la messa e la chiesa era animata da bisbigli e frasi mormorate a fior di labbra dietro ventagli regali. Si sentirono improvvisamente più nitriti accompagnati dallo sferragliare delle ruote di una carrozza. Due cavalli si impuntarono proprio vicino al sentiero sterrato dell'edificio ed un ragazzo dai capelli turchesi come l'acqua marina scese dal veicolo con sguardo opaco. L'uomo che dapprima era affacciato alla staccionata raggiunse questo salutandolo. «Sarà una meravigliosa festa, conte Phantomhive», mormorò questo sorridendogli sinistramente. Questo stava per ribattergli ma il suo maggiordomo gli porse un bastone.

«Non starò qui a discutere con te, Undertaker», borbottò il conte sospirando mentre prendeva il mano il legno.
«Piuttosto», disse dunque sistemandosi la benda che portava all'occhio destro, «Hai quello che ti ho chiesto?». Undertaker annuì sghignazzando divertito e, dopo essersi allontanato per qualche istante, fu di ritorno con, tra le mani, un mazzo di fiori di liquirizia di un rosso ardente.

«Conte Phantomhive, non dimentate che fare le cose per voi è sempre un vero piacere per me», mormorò ciondolandosi prima a destra e poi a sinistra con il busto divertito, «D'altronde l'esistenza di questo becchino sarebbe così monotona se non fosse per voi che, di tanto in tanto, mi venite a trovare sotto richiesta di Scotland Yard».
«Io non faccio le cose perché me lo ordina Scotland Yard», borbottò il conte puntando il bastone contro Undertaker, «Io opero solo sotto l'ordine della regina Victoria. Non c'è maniera che possa dare ascolto a quei cagnolini indifesi di Yard».
«Risulterei dunque inopportuno, conte, se vi mettessi in guardia sul continuare ad operare per la regina? D'altronde, immischiarsi troppo in queste faccende, che possono talvolta coinvolgere anche più società, come avrete ben visto, può rivelarsi quasi fatale», fece il becchino riprendendo il discorso.

Il conte Phantomhive sorrise innocentemente:
«La vita è un gioco. Se si perde è perché non si sa giocare».

Così dicendo afferrò il mazzo fiorito mentre, seguito dal suo maggiordomo, si diresse verso la carrozza dalla quale estrasse un fastoso vestito rosso.

«Non avete detto tutto, non è forse così, padroncino?», chiese la figura che seguiva il suo padrone quasi come fosse un'ombra. «Cosa intendi con ciò, Sebastian?», domandò il conte prima di entrare nella chiesa. «Nella vita non si perde solo perché non si sa giocare e questo, padroncino, non lo sapete forse bene anche voi?», fece con insistenza il suo maggiordomo.

«Madame Red è morta solamente perché quel giorno ha esitato», disse il conte Phantomhive increspando la fronte e fissando con occhi vuoti lo sguardo di Sebastian, «Se Madame non avesse esitato, e non si fosse lasciata cogliere dal lato sentimentale della vita... Se quella lama avesse colpito me come avrebbe effettivamente dovuto, al suo posto probabilmente ci sarei io, ora».

«Ma anche voi avete esitato... Non è forse così? », domandò il maggiordomo. Il conte sussultò all'udire di quelle parole accusando un colpo.
«Avete esitato quando mi avete ordinato di fermarmi e di non ucciderla nonostante eravate coscienti che avrebbe potuto ammazzarvi comunque», fece in toni bassi Sebastian rivolto al padrone.

«Ho esitato perché sapevo che non mi avrebbe ucciso, non ne avrebbe avuto il coraggio perché ero un suo parente», mormorò il conte volgendo lo sguardo verso l'interno della chiesa.

«Comunque, non sono interessato a sapere cosa ne sarebbe stato se fosse successo qualcos'altro», disse, perciò impuntò un piede e prese a camminare lentamentre verso l'altare.

La gente si voltò non appena udì i passi del conte.
Lady Elizabeth sgranò gli occhi mentre i petali cremisi della liquirizia entravano nella chiesa trasportati dal vento.
Il conte Phantomhive cominciò ad incamminarsi verso l'altare con tra le mani il vestito rosso dunque, una volta giunto, si chinò sulla bara posandolo sopra la reliquia della donna.

«Questo bianco che indossi, Madame», mormorò sorridendole, «Non ti dona per niente. Per questo ti ho portato il vestito con cui avresti dovuto sfilare in questo ultimo party. Ti ho portato lo stesso rosso...».

«Lo stesso rosso che vostro padre, conte Phantomhive, amava tanto di Angelina», sussurrò a fior di labbra Lau, dalla prima panca della chiesa.

Nessuno lo udì, nemmeno Lady Elizabeth, che affogava nuovamente tra le lacrime.
Lau spalancò leggermente gli occhi a mandorla e volse uno sguardo alla compagna Ran Mao sorridendo.

«Ran Mao, non pensi anche tu che quel Vincent Phantomhive sia stato un poco sciocco a rifiutare una donna meravigliosa come Madame Red?», domandò dunque alzando gli occhi al soffitto, dove vi era una vetrata simile ad una cappella dalla quale traspariva una luce arancione tipica del tramonto. «Ma forse che se non l'avesse rifiutata, io non sarei vissuto per tutti questi anni con la cieca speranza di poter avere quella donna e forse non mi sarei nemmeno reso conto di possedere un lato più umano... più...», mormorò pensieroso tendendo una mano verso la luce radiante. Ran Mao annuì e, Lau, quasi destato, sorrise.

Undertaker, rimasto fuori dall'edificio, si appoggiò allo stipite del portone della chiesa. «Umani... Sono tutti così fragili», disse a fior di labbra pensieroso.
Sebastian annuì: «Un attimo ci sono ed un attimo dopo... scompaiono».
«Ma anche tu, in fondo, sei come loro, non pensi anche tu, maggiordomo?», domandò il becchino curiosamente.
«No. Io posso sembrare uno di loro ma sono nettamente diverso», mormorò Sebastian posando gli occhi sul suo padrone, «Io sono una Luna, signor Undertaker. Posso sembrare essere presente e poi scomparire d'un tratto ma in realtà, sia di notte, sia di giorno, io sono sempre lassù ad osservare tutti con occhi cinici, noncurante di quello che avviene sulla Terra».

Il becchino sorrise portandosi le sue lunghe dita affusolate dalle unghie nere alla bocca pensieroso.

«Era una brava donna quella Madame Red», bisbigliò dunque divertito, «Ha rubato molti cuori. Non mi viene difficile credere che perfino uno Shinigami come quel Sutcliff possa esser caduto per un certo periodo di tempo ai piedi di quella signora».
«Quel Sutcliff», mormorò Sebastian, «Non è caduto ai piedi della donna bensì si è abbandonato alla passione sconvolgente del tingersi del suo colore preferito, il rosso. Non gli importava se si trattasse di sangue versato da umane o altro, lui amava il rosso e, con la violenza, si è preso ciò che desiderava».

Undertaker sorrise.

«E tu?», domandò dunque, «Anche tu ti prenderai con la violenza ciò che desideri...?».
Sebastian piegò le labbra in un compiaciuto ghigno: « Ho un contratto. Ho già tra le mie mani ciò che più desidero. In questo istante sto solamente assaporando lentamente il mio pasto attendendo la cena».

Undertaker sorrise mentre il conte Phantomhive ritornò dal funerale.

«Spero che tu ti sia divertito intrattenendoti con questo scellerato», mormorò questo scrutando il becchino con sguardo cinico.

Sebastian fissò il padrone seraficamente.

«Non c'è dubbio che mi sia divertito», disse dapprima, «Ma come anche voi ben saprete, il vero divertimento viene al calar della notte, nel letto della vostra camera, non pensate anche voi, padroncino...?».

Il conte arrossì in volto sdegnato ed era in procinto di mollare un ceffone al maggiordomo. Tuttavia, qualcosa dentro di sé lo frenò dal farlo.

«Smettila di fare l'idiota e torniamo a casa. Sono stanco», furono le uniche parole tuttavia che questo riuscì a pronunciare.

Sebastian sorrise in un ghigno.
Sì, in fondo, lui stava solamente assaporando il suo pasto prima di consumarlo.

E, proprio come uno chef che si rispetti, se la pietanza manca di qualcosa è giusto aggiungere delle spezie o dei condimenti a questa per migliorarne il sapore si trattino anche dei dolori o dei piaceri della vita.
  
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