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Autore: Shainareth    11/05/2013    6 recensioni
Come tutti, anche la ragazza conosceva la fama del Cacciatore di Pirati e sapeva che nel suo mestiere quel tipo era dannatamente in gamba. Perché non ci aveva pensato prima?
Shot ambientata prima dell'inizio della storia e incentrata sui personaggi di Zoro e Nami. Non ha una vera e propria trama, si tratta soltanto di uno studio personale, una sorta di ripasso generale dopo anni di totale assenza da questo fandom.
Sia detto anche che la seconda parte della shot è ispirata una fanart (o forse a un breve fancomic, non ricordo) scovata in rete una decina di anni fa e della quale non saprei dirvi altro perché temo di averne smarrite le tracce.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PERDERSI




«Ti sei perso?» si sentì domandare mentre, gambe larghe, braccia conserte e sguardo accigliato e riflessivo fisso all’orizzonte, cercava di capire esattamente dove fosse finito. Perché sì, si era perso. Da un pezzo. Solo che, per il suo smisurato orgoglio, ammetterlo sarebbe stata una vergogna non da poco. «Se vuoi ti accompagno dalla tua mamma.»
   Un grugnito accompagnò l’occhiataccia che il giovane, senza muoversi dalla postura in cui rimaneva stoicamente come una statua da quindici minuti buoni, scoccò al proprio interlocutore: una bambina. Quanti anni poteva avere? Quattro? Cinque?
   «La mia mamma dice che se mi perdo devo chiedere aiuto a qualcuno e dire come mi chiamo, quanti anni ho e dove abito», continuava la piccola, non facendo caso né all’espressione dello sconosciuto né all’uso improprio della grammatica. Ed enumerando ciò che diceva sulla punta delle dita minute. Alzò le vispe iridi scure su di lui e sorrise. «Come ti chiami?»
   «Se qualcuno qui s’è perso», cominciò a quel punto l’altro, la cui pazienza cominciava a venir meno a causa della vergogna a cui lo sottoponeva l’altruistico spirito di quel soldo di cacio, attirando verso di loro l’attenzione divertita di molte tra le persone presenti, lì in mezzo alla piazza del mercato, «quello non sono certo io.» Non era vero, chiaramente. «Fila da tua madre, prima che qualcuno decida di rapirti e di usarti come cavia per esperimenti criminali», intimò, sperando così di spaventare la bambina e togliersela dai piedi.
   Ella però lo fissò a bocca aperta. «Cos’è una caria
   Lui aggrottò maggiormente la fronte. Quindi decise di giocare il tutto e per tutto e l’afferrò per la collottola come se fosse stata un leprotto. «Donne!» vociò. Così, tanto per mimetizzarsi a dovere con l’ambiente circostante, habitat naturale dei venditori di frutta e verdura. «Chi ha messo al mondo questa mocciosa?» pretese di sapere, mentre la piccola, sia pure sulle prime leggermente allarmata, adesso interpretava l’essere sollevata da terra come un gioco. Stuzzicando ulteriormente i suoi nervi. Giurò a se stesso che, appena se ne sarebbe presentata l’occasione, avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora al primo criminale – o idiota – che gli fosse capitato a tiro non appena fosse riuscito nuovamente a trovare una strada da seguire senza doverla smarrire in capo a dieci minuti.
   Qualcuno finalmente si mosse a pietà e subito accorse per riprendersi la figlioletta che si era allontanata furtivamente mentre la sua genitrice era intenta a contrattare il prezzo di quello che di lì a poche ore sarebbe stato il loro pranzo. «La ringrazio per averla ritrovata, gentile signore!» Il giovane si sentì in diritto di grugnire nuovamente, ma tacque. «Non ricordo di averla vista prima d’ora… È un forestiero? Posso fare qualcosa per lei? Darle qualche informazione?»
   Lui ci pensò un attimo su, grattandosi distrattamente la testa ricoperta di corti capelli dall’improbabile colore verde. «Da che parte è il porto?» si arrese a domandare.
   La signora strinse le labbra, perplessa. Quindi rivelò: «Non c’è porto, qui.»
   «Ah, no?» si stupì l’altro, perdendo finalmente la sua aria corrucciata. Strano… Eppure era certo di essere arrivato lì per mare.
   «No», confermò lei. «L’unica cittadina dell’isola che affaccia sul mare è a parecchie miglia di distanza da qui.»
   «Oh.»
   «Da lì può raggiungere facilmente Shelz Town.»
   «Esiste un posto con quel nome?»
   Quella domanda ne attirò immancabilmente un’altra. «Si è perso?»
   «Figurarsi», mentì abilmente il giovane, tornando a inalberare un cipiglio severo e a incrociare le braccia sull’ampio torace. «Stavo solo seguendo le tracce di alcuni criminali. Sono certo di essere sulla strada giusta.» In questo modo cercò anzitutto di persuadere se stesso. E forse ci riuscì. Stupidamente.
   Davanti a quella rivelazione, la donna abbassò lo sguardo alla cintola del salvatore di sua figlia e contò ben tre spade. Tre. Si portò entrambe le mani davanti alla bocca, trattenendo sonoramente il respiro prima di esclamare un nome e di far ammutolire l’intera piazza.

Sedette stancamente sullo sgabello di quella bettola di periferia, cercando al contempo di non far tintinnare troppo il sacchetto di monete che nascondeva nella scollatura della maglietta a mezze maniche. Lo aveva rubato all’ennesimo, sciocco masnadiere in cui si era imbattuta lungo la strada, e senza che quello se ne accorgesse. Normalmente ne sarebbe andata orgogliosa, visto il suo odio per certa gentaglia, ma quel giorno era piuttosto di malumore: il bottino che il furto le aveva fruttato era davvero misero. Quanto ci avrebbe messo a racimolare tutto il denaro che le serviva, se non le riusciva di trovare qualche facoltoso pollo da spennare? Che, possibilmente, fosse anche un malvivente. Perché, sul serio, non se la sentiva affatto di derubare la brava gente, sia pure per un fine superiore come quello che si era prefissata anni prima.
   Si passò una mano sul bel viso tirato e quando l’oste le domandò cosa potesse servirle, ordinò un semplice e poco costoso boccale di birra. Non poteva permettersi di spendere troppi soldi per un capriccio personale. A voler essere onesti, non ne spendeva neanche quando vi era una necessità, a meno che non fosse impellente. E, se l’occasione glielo consentiva, in qualche contorto modo cercava di trarne persino un ritorno economico vantaggioso per sé e per i propri scopi.
   Le dita affusolate, ma rovinate dalla dura vita a cui era costretta, scivolarono alla base del collo, fino alla nuca solleticata dai corti capelli rossicci. Fino a quando sarebbe durata, tutta quella faccenda? Si sarebbero mai liberati di loro?
   Innervosita da quello stato d’abbattimento che mal si conciliava con la sua indole, Nami batté con rabbia un pugno sul bancone a cui sedeva, attirando nuovamente lo sguardo dell’oste. «Ho detto che te la porto subito, la birra!» fece lui, seccato da tanta impazienza. Non lo vedeva, quella ragazza, che non era l’unica cliente?
   Lei fece per replicare, forse non proprio in maniera gentile, ma si azzittì nel momento esatto in cui la porta del locale fu spalancata con un tonfo, introducendo un omuncolo dall’aspetto scialbo e dal naso aquilino. «L’hanno arrestato!» annunciò con voce concitata e l’affanno dovuto alla corsa, non sapendo bene a chi rivolgere quella sconvolgente notizia.
   «Ma chi?» domandò giustamente qualcuno, non capendo.
   «Il Cacciatore di Pirati!» esclamò ancora l’ultimo arrivato, lasciando esterrefatti tutti gli avventori del bar. E a chi gli chiese immediatamente spiegazioni, cominciò a raccontare che: «Pare che ieri sia arrivato a Shelz Town e che abbia ucciso il lupo del figlio del Capitano Morgan!»
   «Il lupo di quel damerino?» stentò a crederci l’oste, dimentico di ciò che stava facendo.
   L’omuncolo annuì gravemente e tirò fuori dalla tasca della casacca un giornale arrotolato, spiegandolo sul bancone, proprio sotto al naso di Nami che invece ancora non aveva aperto bocca. «Guarda! L’hanno imprigionato ed esposto alla vergogna pubblica!»
   Come tutti, anche la ragazza conosceva la fama del Cacciatore di Pirati e sapeva che nel suo mestiere quel tipo era dannatamente in gamba. Perché non ci aveva pensato prima? Senza quasi rendersene conto, si umettò le labbra con fare incuriosito, mentre i suoi grandi occhi nocciola iniziavano a divorare la foto riportata sul giornale: ritraeva, seppur in lontananza, un uomo legato a una croce di legno. Che fosse un segno del destino? Shelz Town dopotutto era davvero vicina al posto in cui si trovava adesso. Quanto ci avrebbe messo a trovarlo? Poco, pochissimo, rifletteva con interesse sempre maggiore.
   «Ti spiace se lo prendo e lo appendo qui?» domandò l’oste all’omuncolo dal naso aquilino, pronto a strappare la pagina del giornale con l’articolo di cui stavano discutendo e ad affiggerlo alla parete vicino all’ingresso, così da attirare l’attenzione della gente che, sentendone parlare, si sarebbe di certo diretta verso il suo bar per conoscere i particolari di quella notizia bomba.
   Per tutta la durata dell’operazione, e anche quando quelli si allontanarono dal bancone e altri si avvicinarono al muro per leggere quanto riportato dal quotidiano, lo sguardo della ragazza rimase fisso su quella foto. Un cacciatore di taglie. Specializzato nel dare la caccia ai pirati, per di più. Avrebbe potuto aiutarlo, così che lui avrebbe potuto aiutare lei. Una mano lava l’altra, giusto?
   Si levò dallo sgabello e si fece largo fra la piccola folla, avanzando fino a ritrovarsi nuovamente l’articolo sotto al naso. Ancora, i suoi occhi sembravano incollati alla figura del giovane prigioniero. Strinse i pugni e poi, in uno scatto d’ira, colpì la parete con il palmo della mano, appiattendo ulteriormente la pagina di giornale contro di essa e facendo sobbalzare alcuni avventori, che la scrutarono con aria perplessa, incerti se rivolgerle o meno la parola. Tra le dita aperte Nami poteva ancora scorgere il ritratto del Cacciatore di Pirati. Era così terribile come dicevano in giro? Lo era davvero? Perché alle proprie spalle, adesso che lui era sulla bocca di tutti, continuava a sentire voci che si rincorrevano riguardo alla sua forza e alla sua abilità dell’usare le spade. Era lui la speranza?
   Serrò la presa attorno al foglio di carta, che si spiegazzò agonizzante sotto la sua mano. Ripensò alle numerose imprese del giovane e ripensò anche alle crudeltà assai più numerose compiute dai pirati che le avevano rovinato la vita. Chiuse gli occhi, si morse le labbra e con gli occhi della mente vide il sangue versato da quelle belve inumane. Le parve di sentire ancora una volta lo sparo, quell’unico, maledetto sparo che aveva devastato il suo cuore e ucciso sua madre.
   Rialzò le palpebre e la smise di torturare l’articolo. Perché mai avrebbe dovuto credere in quel giovane prigioniero che, forse, dall’ombra in cui era nascosto il suo volto nella foto, stava ricambiando il suo sguardo? Illusa. Non era lui la speranza che avrebbe potuto salvare lei e la sua gente dall’incubo. Un solo uomo non avrebbe fatto la differenza, non contro un’intera banda di feroci assassini come quelli.
   «Ehi, rossa!» chiamò l’oste dal fondo del locale. «La tua birra!»
   Nami fece scivolare nuovamente il braccio verso il basso, lasciandolo dondolare abbandonato lungo il fianco. «Non la voglio più», rispose atona. «Mi fa schifo, questo posto. Me ne vado», sentenziò senza alcun riguardo. E sorda ai richiami e alle proteste dell’altro, uscì in strada voltando le spalle a tutto ciò che era presente in quel locale. Soprattutto all’articolo che aveva giocato tanto crudelmente con il suo cuore.



  
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