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Autore: Words    11/05/2013    1 recensioni
E' la storia di un ragazzo, un ragazzo qualunque, senza genitori e senza speranza, ma che con l'aiuto di una nuova ed ennesima famiglia affidataria cerca di rifarsi una vita.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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PRIMO CAPITOLO

Ero di nuovo seduto lì, su una di quelle fredde e scomode sedie grigie, dentro quei noiosi uffici, di fronte al solito assistente sociale, che era capace di far tutto, tranne che aiutare la gente.
Sono Mattia, ho 16 anni, mi piacerebbe dirvi anche di dove sono, ma non ne sono sicuro, 6 mesi fa abitavo un paesino in provincia di Bari, poi per tre mesi fui a Milano e fino all’altro ieri a Roma. Ho frequentato così tante e diverse scuole che ad elencarvele tutte ci metterei una vita, ho vissuto con coppie che volevano che io li chiamassi genitori, ma io di padre e madre ne ho avuti due soltanto; mio padre morì quando avevo poco più che sette mesi, così, all’improvviso, senza che il destino mi abbia dato nemmeno il tempo di imparare a dire ‘ti voglio bene’. Mia madre, invece sei anni fa si ammalò di cancro e se ne andò durante una calda giornata di Maggio, non scorderò mai quel momento, il sole brillava cercando di darmi conforto, ma il mio cuore era cupo come non lo è mai stato, avrei voluto andarmene con lei quel giorno, non mi restava più nulla, lei era la mia vita, e la mia vita finì quel giorno stesso. Da allora fui sballottato di continuo da una famiglia all’altra, senza tregua, senza che nessuno mi abbia mai chiesto se davvero io avessi voluto avere un’altra famiglia. Io in realtà una famiglia la volevo, ma non una di quelle che prendono un ragazzo solo perché non ne possono avere uno proprio, io non sono la ruota di scorta di nessuno. Allora ho imparato a cavarmela da solo, con la foto di mia madre in tasca ho superato la qualunque, i bulli, la tristezza, la rabbia e la delusione, conosco più assistenti sociali di quanto voi possiate immaginare.
Adesso sono qui, di nuovo, in un ufficio, con degli estranei che pretendono che io li consideri la mia famiglia. Avevano intenzione di portarmi a casa loro, ma io non sapevo nemmeno dove abitassero, avrei voluto spaccare tutto in quel momento e mettermi ad urlare, ma poi pensai che mancano solo due anni e avrò raggiunto la maggiore età, poi sarò libero, libero di trovarmi un lavoro, di crearmi una vera famiglia e di far ciò che mi pare.

Arrivammo nel tardo pomeriggio in una grande casa gialla, aveva un giardino davanti e persino una piscina nel retro, pensai che se avessi avuto degli amici ci saremmo divertiti, ma io in realtà degli amici non li ho, ogni volta che conosco qualcuno poi sono costretto a dirgli addio, il destino è crudele con me, credo mi odi, probabilmente ci prova gusto a farmi soffrire. I miei nuovi affidatari erano ricchi, una nota positiva tra le tante buie, almeno me la sarei spassata un po’.
Mi chiesero cosa avrei preferito mangiare per cena, e io risposi che mi andava bene qualsiasi cosa, ero accecato dalla fame. Si fecero le otto e trenta e ci sedemmo attorno ad un grande tavolo di vetro, di fronte a me una fetta di carne che diceva tutto della mia vita: asciutta. Sì, esatto, perché la mia vita era asciutta, priva di affetto e di serenità, ma questi due non sembravano male, me li potevo lavorare.
Si chiamavano Alex e Simona, mi raccontarono che erano sposati da poco più di tre anni, e sottolinearono il fatto che non avevano ancora provato ad avere figli, ma essendo entrambi molto religiosi avevano deciso di adottarne uno, magari per salvarlo da una vita in rovina, li guardai con gli occhi lucidi, strinsi tra le mani la foto della mamma e chinai il capo, fra tre giorni sarebbe stato il suo compleanno, ma forse, il regalo lo stava per fare lei a me. 
   
 
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