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Autore: Hunter of Demons    12/05/2013    0 recensioni
FF vincitrice del contest di settembre 2012
Autrice: Leela†
Il contest chiedeva di scrivere una storia calando il proprio pg in un mondo dove demoni e hunter non esistono, il morbo non ha mai invaso il mondo e l'umanità non è sull'orlo dell'estinzione.
Quale sarebbe stata la vita del proprio pg?
Una folle avventura tra sirene, prostitute, pirati, kraken... pronti ad avere a che fare con il temutissimo, famosissimo e fuori come un balcone capitano Jey?
Genere: Avventura, Comico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: Leela†
Personaggi: Jeyel 
Maya e Yoru


La nave scivolava leggera sull’acqua, il mare piatto come una tavola.
La foschia era calata ormai da due giorni, nascondendo agli occhi delle vedette possibili ostacoli.
Non un solo alito di vento spirava, né da ovest né da est, né da nord né da sud, ma l’imbarcazione avanzava veloce sfidando le correnti sottomarine.
La Fenice d’Ombra pareva essere dotata di una forza propria e al suo interno non v’erano schiavi ammassati in una stanza come porci a remare notte e giorno al ritmo di un tamburo.
La nave semplicemente viaggiava, sfruttando il suo peso pressoché nullo garantito da un materiale speciale con il quale era stata costruita. Solo il capitano conosceva il “segreto” di quella che, all’apparenza, poteva sembrare una mera stregoneria.
Proprio a causa di queste dicerie l’uomo aveva faticato a trovare una ciurma che potesse essere definita tale; fu costretto perciò a reclutare volontari nei bassifondi della società, raccogliendo la stessa feccia dalle strade.
Ma era proprio così che si era immaginato i suoi uomini: veri lupi di mare, sporchi, depravati, insulsi e bravi ad obbedire senza reclamare. Pronti a morire per il loro capo.
Al termine del suo peregrinare di porto in porto, Jeyel poteva ritenersi soddisfatto.
C’era Mastro Ringhio, un vecchio cuoco che riusciva a rendere commestibile persino la merda dei cavalli; il giovane Rickey, orfanello tanto abile nella corsa quanto nella rapina; poi ancora il Cieco che faceva da sentinella arrampicato sull’albero maestro come una scimmia nonostante avesse perso entrambi gli occhi, risucchiati a suo dire da un calamaro gigante; il timoniere Sputo che si nutriva unicamente di tabacco e tanti altri dannati, rigurgitati persino dall’Inferno stesso.
Erano ormai due mesi che non toccavano terra, a parte quelle volte in cui scendevano dalla nave per saccheggiare piccole cittadine e stuprare donne, tutto in un’ora, in di per cui non potevano essere considerate delle soste vere e proprie, ma solo un pretesto per arricchirsi e nutrirsi dato che a bordo le cibarie iniziavano a scarseggiare così come l’acqua.
Dannazione, erano circondati da un oceano e non potevano berne nemmeno una goccia!
Fu proprio durante una di quelle scorribande che i suoi uomini portarono con un loro un bottino molto più consistente ed appetitoso, ma per quanto Jeyel desiderasse per sé quel piccolo gioiello, aveva comunque una posizione di comando da difendere.
- Ebbene? – chiese il capitano con un sopracciglio alzato, fissando la puttanella che il Nubano, un armadio di due metri e venti dalla pelle nera, che la teneva ben stretta in vita. Certo, poteva capire il fatto di voler soddisfare le proprie voglie sessuali, ma addirittura portare una meretrice sulla nave gli sembrava alquanto eccessivo.
La donna aveva una veste bianca, colore che certamente non stava ad indicare la sua verginità, data la profonda scollatura sul petto che non lasciava spazio all’immaginazione.
- Capitano… -. La puttana si inchinò dinnanzi a Jey mentre quest’ultimo continuava a fissare la prigioniera con aria schifata.
- Sì, mi chiamano anche così – affermò il trentenne sistemandosi meglio la giacca.
- Ma non ancora per molto – proseguì la donna raddrizzandosi. Quindi, notando lo sguardo interrogativo del suo interlocutore, ella spiegò – Sono Medusa, una veggente e sono stata incaricata di metterti in guardia – fece una pausa – Jeyel, un mostro ti da la caccia per conto di… -. La prigioniera girava liberamente intorno all’uomo, lentamente, scandendo ogni parola in modo da assicurarsi che il suo avvertimento penetrasse per intero nella testa dell’aborigeno.
- Per conto di Barbanera – concluse la donna appoggiando da dietro una mano sulla spalla del capitano. Questo sussultò, voltandosi con uno scatto.
- Che fai, tocchi? Non si tocca! – la ammonì l’uomo con le mani davanti al viso, facendo ondeggiare le dita, la schiena leggermente inclinata.
Quella notte, Jey dormì un sonno disturbato, popolato da orrende creature marine e dal volto del suo acerrimo nemico: Barbanera.
I due avevano una questione in sospeso ormai da anni poiché Jeyel, inconsapevolmente, si era portato a letto l’amata del suo rivale e quest’ultimo, infervorato, aveva sgozzato sua moglie dato ch’ella si era perdutamente innamorata dell’allora ventottenne aborigeno.
Ma se da un lato Jeyel era felice di essersi “scollato di dosso” quella bavosa sanguisuga (che a dirla tutta non era nemmeno così brava), Barbanera non era dello stesso parere.
Ed ora, a detta di Medusa, l’uomo lo stava cercando per riprendesi ciò che era suo: la nave, la Fenice d’Ombra che Jeyel gli aveva rubato due anni prima dopo averlo mandato a quel paese dal ponte del galeone, il dito medio alzato e un’espressione da bambino ribelle dipinta sul viso.
Ma ora l’attuale capitano aveva altri piani, altre priorità come trovare la Fonte dell’Eterna Giovinezza, sennonché un ostacolo si era frapposto tra lui ed il suo obiettivo poiché se il suo dichiarato nemico era sulle sue tracce, allora l’aborigeno rischiava di condurre l’odiosissimo corsaro nella “tana del tesoro”. In ogni caso, non poteva rinunciare a tale bottino e nel peggiore dei casi, l’avrebbe sfidato…e ucciso.
Jeyel si svegliò di soprassalto, scosso da qualche forza motrice e non più cullato dal dolce rollio della barca e dallo scricchiolio delle assi di legno.
Sbracciandosi come uno che sta affogando, l’uomo cadde dalla branda e Filibustiere con lui dato che stava riposando sul petto del padrone.
- Dobbiamo salpare subito! – gli urlò in faccia Medusa, rimasta e bordo e adesso seduta a cavalcioni su di lui.
- Wow Madame! – esclamò il capitano con aria smaliziata, compiacendosi della vicinanza della puttanella.
La donna lo schiaffeggiò, alzandosi poi in piedi mentre la sua tunica si apriva su un vertiginoso spacco sulla sua gamba sinistra.
Completamente sveglio, il trentenne si ricompose calcandosi in testa il suo cappello a tre punte.
- Dobbiamo sbrigarci, il Cracken è vicino! – proferì intimorita la donna con lo sguardo perso nel vuoto, forse in balia di una visione. Jeyel rimase di sasso a quella notizia, ben conoscendo la natura di quella creatura.
- Svegliatevi, cani rognosi! – urlò il capitano facendo suonare una piccola campana tramite una cordicella.
Dopo qualche minuto la ciurma si schierò in una fila compatta dinnanzi al trentenne.
- Siete pronti a morire? – chiese loro Jey dopo averli scrutati con sguardo sufficiente, camminando a passo lento e studiando il volto di ogni suo uomo.
- Sì signore! – risposero in coro quelli come perfetti marinai.
- Allora andiamo a prendere questo dannato tesoro! – ringhiò l’aborigeno e proprio come una macchina ben oleata, tutti si misero nelle relative postazioni.
Sputo però si avvicinò al capitano con l’intenzione di porgli una domanda pressante.
- Abbiamo una rotta Signore? – chiese il timoniere.
Jeyel controllò la sua bussola. L’ago, dopo che ebbe oscillato un poco nel quadrante, si diresse a sud. L’aborigeno si girò nel punto indicato dalla freccia e adocchiò una bottiglia di rum rovesciata, dalla quale cadevano alcune gocce di alcol sapientemente catturate dalla lunga lingua appiccicaticcia di Fil. L’uomo afferrò il recipiente di vetro ammonendo con lo sguardo il camaleonte, quindi, dopo aver tracannato un bel sorso del liquore, dette una seconda occhiatina alla bussola notando che il vettore era ora rivolto verso Oriente.
- Oh sì caro mio, si va ad est! – rispose finalmente il trentenne indicando invece con la bottiglia l’Occidente. Tuttavia, nonostante l’uomo fosse l’ambiguità fatta persona in fatto di direttive, Sputo aveva colto il concetto, abituato all’incoerenza del proprio superiore.
La destinazione del loro viaggio, però, non era “l’isola del tesoro”, o meglio, non ancora poiché Jeyel aveva intenzione di chiedere prima l’aiuto di un grande pirata: il famigerato e temutissimo Yoru Okite Iru.
Il capitano della Fenice d’Ombra era certo che, collaborando con quel corsaro, avrebbe avuto maggiori possibilità di raggiungere il luogo ove era custodita la Fonte dell’Eterna Giovinezza.
Ovviamente l’aborigeno non aveva detto nulla ai suoi uomini perché si diceva che la ciurma dell’Olandese Volante, la nave di Yoru, fosse stata maledetta e così anche il capitano, ma i Suoi avrebbero comunque scoperto presto le sue intenzioni.
Per la prima volta da molti mesi la Fenice d’Ombra navigava seguendo una rotta logica, racchiusa solo nella mente di Jeyel.
La loro prossima trappa sarebbe stato il Triangolo delle Bermuda, luogo noto come il covo dell’Olandese Volante.
Inutile dire che la presenza invisibile del Cracken assillava notte e giorno il trentenne che, ad orari improbabili, iniziava a correre da una parte all’altra del ponte urlando frasi sconnesse.
Chiunque a vederlo avrebbe pensato che Jey avesse perso la ragione a causa della paura, ma la sua ciurma si era accorta già da tempo che all’uomo mancava qualche rotella nel cervello.
Ma grazie a lui avevano razziato centinaia di città e di grandi imbarcazioni, indi per cui accoglievano con piacere la pazzia del capitano.
Il Triangolo delle Bermuda era un posto difficile da raggiungere e altrettanto complicato da attraversare indenni, se non quasi impossibile. A quella latitudine i venti erano improvvisi e violenti e si alternavano a giorni di piatte e ad altri di tempeste furiose che coglievano di sorpresa i navigatori.
Indescrivibile era il bottino affondato in quelle acque, ma sfortunatamente nessuno era in grado di recuperarlo a causa della profondità dei fondali.
Vi giunsero di notte e la Fenice d’Ombra avanzava silenziosa come per passare inosservata agli occhi di improbabili sentinelle.
La sua ciurma era affacciata ai bordi della nave, fissando il mare scuro come il petrolio. Tutti avevano capito dove fossero diretti e chi Jeyel volesse incontrare.
- Calatemi in acqua – ordinò il trentenne – E lei viene con me – decise l’uomo indicando Medusa.
Così i due salirono sulla scialuppa. A quel punto non restava altro che richiamare l’attenzione, ma non ci fu bisogno di fare tanto chiasso poiché appena la piccola imbarcazione toccò l’oceano, dagli abissi emerse un enorme nave con un boato.

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Senza proferire parola, Jey remò fino alla barca da cui vennero issati sopra.
Volti scuri, sporchi e bagnati li accolsero con fredda cordialità.
Qualcuno tossicchiò, attirando l’attenzione degli ospiti.
Un trono reale dalle bordature in oro massiccio e le imbottiture rose era sistemato poco più avanti del timone. La struttura era un vero “pugno nell’occhio” rispetto all’ “arredamento” dell’imbarcazione. Certamente era stato rubato da qualche reggia nobiliare impunemente saccheggiata.
Ma ancora più sorprendenti erano le due figure appollaiate su di esso.
Un uomo piuttosto giovane dai lunghi capelli neri era comodamente seduto sullo scranno, una gamba appoggiata sopra un bracciolo. Egli indossava una leggera camicetta con un profondo scollo a V che gli faceva risaltare i pettorali scolpiti; i pantaloni erano “gonfi” e scuri, infilati in un paio di stivali alti fino sotto il ginocchio ed un piccolo tacco.
Spostando invece lo sguardo leggermente più in alto, si poteva ammirare la parte più piacevole del quadretto. Una donna dal fisico prorompente era seduta sul bordo dello schienale in perfetto equilibrio, le gambe aperte che ricadevano sul davanti ai lati del compagno.
Era un concentrato di sensualità a cominciare dalle caviglie.
Vestiva con alti stivali di cuoio fin sopra le ginocchia dai quali spuntavano delle provocanti calze a rete; corti calzoncini verdi stretti in vita da una cintura marrone con una grossa fibbia alla quale erano appesi due coltelli da lancio; una camicia bianca dalle maniche a sbuffo legata con un nodo sul davanti; un corpetto nero il cui scopo era quello di coprire un sottile lembo di pelle poiché la pancia era scoperta e il seno fioriva prosperoso sul suo petto, in mezzo al quale si insinuava il ciondolo di una collana.
Un viso dai tratti lineari e semplici era incorniciato da un corto taglio di capelli corvini, rasato da una parte e poco più lungo dall’altra. In testa un cappello decisamente più grande rispetto alla sua taglia sul quale svettava una piuma blu.
I due si trovavano evidentemente in rapporti più che intimi a giudicare dalla mano dell’uomo attorcigliata intorno alla coscia sinistra della ragazza, mentre quest’ultima gli grattava teneramente il collo.
Tra il capitano dell’Olandese Volante e quello della Fenice d’Ombra ci fu un intenso scambio di sguardi. I due si studiavano a vicenda, i volti inespressivi, ma la cosa durò solo qualche secondo.
Aprendosi in una incalzante risata, i due si avvicinarono abbracciandosi e scambiandosi vicendevolmente delle amichevoli pacche sulle spalle.
- Allora pivello, come te la passi? – chiese l’uomo che doveva avere circa la stessa età dell’aborigeno.
- Non c’è male Yoru – rispose il trentenne, contento di poter rincontrare un vecchio amico.
I due, infatti, si conoscevano da quando erano ragazzi ed avevano intrapreso insieme i primi anni della loro “carriera” da pirata, ma poi si erano separati, richiamati a loro volta da altre strade e differenti rotte.
- Avanti Jey, vieni con me – lo invitò l’Okite Iru indicando con il capo una porticina di legno e i due entrarono a braccetto nella cabina del corsaro.
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Yoru si accomodò su una disagevole sedia di legno, appoggiando i talloni sopra un tavolo ricoperto di mappe, bussole, cannocchiali ed altri oggetti vari. La stanza era illuminata da una lanterna appesa al muro.
L’aborigeno iniziò a gironzolare, osservando gli attrezzi appesi alle pareti di legno, incontrando così una lunga sciabola che portava sulla lama il racconto di mille battaglie ed il sangue di altrettanti nemici.
Invece Fil, puntato un vassoio di mele, ne rosicchiava voracemente una, convinto di non essere notato dal capitano dell’Olandese Volante.
- Dove hai pescato quella pollastra?-domandò il trentenne sorridendo maliziosamente all’indirizzo dell’amico.
Il ragazzo assunse un’aria sognante – L’ho trovata a Tortuga grazie a Segugio –iniziò il racconto, citando un suo uomo dall’olfatto sopraffino – Maya era una ladra su commissione e la prima volta che l’ho notata stava picchiando un tizio che non l’aveva pagata -.
- Mmh, cazzuta la tipa – commentò l’aborigeno con un’espressione sorpresa.
- Già e da quel momento capii che mi aveva rubato il cuore – dichiarò Yoru spostando lo scollo della sua camicia sulla sinistra del petto, in modo da mostrare una lunga cicatrice orizzontale subito sotto il pettorale.
Jeyel sospirò un “oh” incredulo – E quindi è la tua puttana? – concluse il capitano della Fenice d’Ombra cercando di “stringere” il discorso, stanco di udire frasi melense.
- In teoria sì, ma in pratica no – rispose il ragazzo, quindi, notando lo sguardo interrogativo del suo interlocutore, si spiegò meglio – Figura come la mia meretrice di fiducia, ma in realtà io e lei stiamo insieme -.
Jeyel per poco non cadde anche se si trovava ancora in piedi. Lo spietato Okite Iru aveva una fidanzata? Impossibile!
- Ti sei per caso rammollito?! – lo ammonì l’aborigeno ripresosi dallo shock della notizia.
Yoru scosse il capo in segno di diniego – Tu non capisci – fece una pausa crogiolandosi per un attimo nel ricordo di quell’incontro.
- Ma ritornando a noi…qual buon vento ti porta in queste acque? – chiese sempre il corsaro sistemando i piedi a terra, pronto ad ascoltare le parole dell’amico.
Quest’ultimo, dopo aver aperto una bottiglia di liquore ed averne bevuto un’abbondante sorsata, si sedette sopra una botte posizionata di fianco al suo interlocutore.
- Ho bisogno del tuo aiuto - incominciò Jeyel ondeggiando con il corpo, un po’ a causa della barca e un po’ per l’alcol.
- Sì, questo lo vedo – asserì Yoru raddrizzando l’amico, evitandogli così di sbattere la testa sul pavimento.
- No, non in quel senso…ho intenzione di impadronirmi della Fonte dell’Eterna Giovinezza – dichiarò l’aborigeno con voce sommessa, quasi qualcuno stesse origliando.
- Be’ caro mio, ti sei messo sulla mia stessa rotta – disse l’Okite Iru profondamente serio. Dal suo volto non si riusciva a capire se fosse adirato o meno.
- Ne ero certo – ghignò Jey, compiaciuto dell’aver immaginato correttamente la reazione dell’amico - Ed è proprio per questo che sono qui – proseguì il trentenne tracannando dell’altro whisky.
- Voglio chiedere la tua collaborazione, la tua alleanza in questa impresa – proferì il pirata fissando intensamente l’Okite Iru – Te lo chiedo in nome della nostra buona amicizia – insistette l’aborigeno, auspicando nel buon cuore del suo ascoltatore.
Il capitano dell’Olandese Volante si accarezzò il pizzetto, pensieroso.
- E come ci dividiamo il bottino? – chiese il corsaro, interessato a chiarire le questioni più spicce.
- Cinquanta e cinquanta – rispose secco l’amico, lo sguardo piantato sempre in quello del coetaneo
Nei loro occhi si leggeva la determinazione, il coraggio, la ferrea volontà e una peccaminosa cupidigia.
- Ci sto – rispose Yoru impassibile, mentre Jeyel si apriva in un largo sorriso.
- Dunque abbiamo un accordo? – domandò il trentenne, assicurandosi in quel modo la parola del corsaro poiché, anche se i due erano grandi conoscenti, lo spirito di pirata rimaneva in loro e ciò non poteva essere scalfito da alcun legame affettivo.
L’Okite Iru tentennò un po’, quindi, in un attimo afferrò un pugnale posato sul tavolo, si tagliò il palmo della mano destra e fece lo stesso trattenendo la sinistra dell’Holmes.
I loro plasmi si mischiarono, suggellando un legame che nessuno dei due avrebbe potuto infrangere.
- Patto di Sangue? – interrogò Jey il suo interlocutore, alzando un sopracciglio e non comprendendo la poca fiducia che quest’ultimo riponeva nei suoi confronti.
- Si tratta solo di precauzione - spiegò Yoru strappandosi un lembo della manica ed attorcigliandoselo intorno alla ferita.
Dopo aver battuto cordialmente la mano buona sulla spalla del capitano della Fenice d’Ombra, uscì dalla cabina. Il sorriso dipinto sul volto coperto dalla penombra della stanzetta.
Erano dentro da troppo tempo…cosa stavano facendo, una partita a cricket?
La ciurma cominciava a perdere la pazienza e il nervosismo cresceva anche perché quei due non avevano accennato l’argomento della loro discussione: cosa stavano tramando i due capi?
Medusa si era mantenuta in disparte a poppa, tenuta però sott’occhio da Maya che si trovava a prua.
Quando Distruttore sembrava sul punto di fare un disastro, i due finalmente uscirono: il loro capo sembrava soddisfatto delle trattative, come se fosse riuscito a fregare un altro pirata da quattro soldi.
Quindi si posizionò al centro della nave e con Jeyel cominciò a “fare luce sul mistero”.
- Uomini, io ed Holmes abbiamo fatto un accordo: collaboreremo per cercare la Fonte, per sconfiggere il Cracken e sbaragliare Barbanera! – disse Yoru, in volto un’espressione fiera.
I marinai esultarono a quelle parole, non tanto per congratularsi con le capacità diplomatiche del loro capitano, quanto perché era stato appena dato loro il permesso di spargere sangue a volontà.
- Partiremo domani, ma per adesso alziamo i boccali! – aggiunse Jey, convinto che un po’ di alcol potesse allietare ancora di più la serata.
Zenzì, lo chef francese che si era unito a loro per salvarsi dalla gogna dal momento che aveva cercato di friggere carne umana, portò dalla cucina i barili di rum facendoli rotolare in fila e boccali per tutti.
- Non pensavo che anche sull’Olandese Volante ci si comportasse come in qualsiasi altra nave di corsari –commentò l’aborigeno dopo essersi avvicinato al trono, un bicchiere stretto tra le dita.
- Che centra, anche se siamo cattivi non vuol dire che non possiamo divertirci come tutti gli altri…ciò però non significa che se non rispetti l’alleanza non verrai trattato come una donzella – proferì il ragazzo con tranquillità, senza l’ombra di una minaccia nella sua voce.
Stava solamente esponendo le conseguenze di un’azione sbagliata.
Il trentenne deglutì rumorosamente – Tuttavia ti ricordo che senza la mia testa ti mancherebbe una presenza importante, ma soprattutto due gambe forti in grado di andare sempre sulla terra – lo pizzicò l’Holmes con un sorrisetto compiaciuto.
- Ecco perché dovrete cercare di fare tutto in tre mesi, cioè quando scadrà il tuo arco di dieci anni consecutivi nei quali non hai toccato il suolo. Dovete stare necessariamente insieme, per aiutarvi a vicenda, altrimenti Barbanera avrà la Fonte…e le vostre vite – aggiunse Medusa avvicinatasi ai due con passo felpato.
- Stai forse pensando ad un piano d’attacco? – domandò Jeyel fissando Yoru, il quale aveva un’espressione molto ambigua e riflessiva.
- No, in realtà sto ammirando il fondoschiena di Maya mentre timona la barca – confessò con nonchalance il capitano. All’aborigeno caddero le braccia udendo quelle parole, mentre la veggente si colpì la fronte con un il palmo della mano.
Che branco di idioti pensò la donna rassegnata.
- Ma ti par questo il momento? – lo rimproverò il trentenne con aria bacchettona.
- E’ sempre il momento! E poi scusami, parli tu che ti sei portato la TUA di puttanella sulla MIA barca! – lo rimbeccò il capitano incrociando le braccia, quasi fosse un bambinone.
- E poi spiegami come fai a non guardarlo! – concluse l’Okite Iru stendendo le mani davanti a sé in direzione della sua compagna.
Jeyel si concentrò sul soggetto in discussione ed inclinando la testa…confermò. Sì sì ragazzi, quello era proprio un Signor Culo!
Yoru però lo afferrò subito per il colletto della camicia – Non devi mai fissare le chiappe della mia ragazza perché quella è proprietà privata, capito? – ringhiò l’uomo ad un palmo dal naso dal suo interlocutore.
- Ho af-afferrato i-il co-concetto – rispose balbettando il poverino, una palpebra che si apriva e si chiudeva a scatti dalla troppa vicinanza con l’iride sprizzante odio dell’amico.
- Molto bene, in questo caso credo proprio che andremo d’accordo – asserì il coetaneo dando una gioviale manata sulle spalle del capitano della Fenice d’Ombra, caricando volontariamente il colpo.
Indolenzito, Jey si dovette massaggiare la schiena per una buona mezz’ora, steso a terra come un moribondo.
- Domani inizieremo a dare un’occhiata alla mappa – proferì lui dopo aver tossito un poco.
- Buona idea, prima iniziamo e prima riusciamo a decifrarla. A proposito: come ne sei entrato in possesso? – chiese l’Okite Iru sistemandosi meglio sullo scranno, una gamba appoggiata come in precedenza sul bracciolo.
- Oh, è stato quando mi sono finto giudice per liberare un mio uomo. Alla fine ci sono riuscito, ma mi hanno preso lo stesso perché QUALCUNO non ha svolto bene il suo compito non avvertendomi del pericolo! – iniziò Jeyel, scivolando subito dopo in un rimprovero verso Filibustiere che cominciò a gesticolare per difendersi.
- No, non mi interessa se avevi fame e una mosca ti ha fatto perdere la concentrazione! – lo “zittiì” il padrone con sguardo lampeggiante. Quindi, l’aborigeno si schiarì la voce, calmandosi per continuare il racconto.
- Alchè mi hanno portato dal Re di Francia, incatenandomi ad un sedia al cospetto di Sua Maestà: trattasi di un trippone che puzzava di maiale arrosto con un retrogusto di torta di mele fatta in casa…fu in quell’occasione che incontrai Barbossa –
- Barbossa? Che ci faceva lì? – domandò Yoru, le orecchie dritte attentissime alla spiegazione.
- Come, non lo sai? E’ passato dalla parte dei buoni ed è diventato capitano della flotta francese! – rispose l’Holmes con fare scandalistico, proprio con l’intenzione di impressionare il suo interlocutore.
- Ma non mi dire! Proprio lui che ne raccontava di cotte e di crude contro quei marinai venduti! Che voltagabbana! – proferì l’Okite Iru sinceramente indignato dal comportamento del soggetto in questione.
A vederli, i due sembravano proprio due signore sulla sessantina che, sedute sulla veranda di casa, non avevano altro scopo al di fuori di spettegolare sul mondo intero.
- Comunque, ritornando a noi, come faremo a decifrarne i caratteri? – chiese Jeyel ritornando al discorso iniziale, facendo ovvero riferimento al complicato sistema criptico della mappa.
- Sono sicuro che Maya ci riuscirà, parla poco, ma è molto sveglia – assicurò il ragazzo annuendo con il capo.
- Allora, se va tutto secondo i piani, Barbanera non avrà speranze contro di noi! – affermò deciso Jeyel con un atteggiamento da vero duro.
Il giorno seguente iniziarono così a lavorare sodo nella loro ricerca.
Il primo obiettivo era dunque decriptare la carta nautica in loro possesso.
- E quindi? – sbottò l’aborigeno dopo che insieme al suo amico, furono stati chini sul marchingegno per ben più di mezz’ora senza però venire a capo di nulla.
La porta della cabina di Yoru si spalancò con un rumore secco e all’entrata apparve Maya che, spostando il peso su una gamba, appoggiò la spalla ad uno stipite portandosi le mani sui fianchi.
- Avete per caso bisogno di aiuto? – domandò loro la ragazza con un sopracciglio alzato, notando le espressioni disperate dei due compari.
- In effetti sì…sei in grado di capirci qualcosa? – gli chiese di rimando il capitano dell’Olandese Volante, indicando con il mento il congegno.
Lei si avvicinò per guardare meglio l’oggetto e senza staccare gli occhi da esso proferì – Datemi un quarto d’ora di tempo e saprò dirvi anche cosa vogliono dire le scritte -.
Yoru sorrise compiaciuto e lanciò un’occhiata a Jeyel, come se si stesse vantando di avere nella sua ciurma un elemento tanto valente.
- Brava la mia donna… - si congratulò il ragazzo all’orecchio della compagna, poco prima di uscire dalla stanzetta.
La mappa era più che altro un meccanismo di forma circolare composto da quattro anelli, tre dei quali mobili, ovvero potevano essere fatti ruotare in tutti i sensi attorno al centro che invece rimaneva fisso. Sui tasselli erano incise delle figure e sotto di esse delle lettere, probabilmente facevano parte di frasi frammentate costruite come indovinelli.
Dunque si dovevano posizionare le varie parti in modo da completare le scritte e i disegni, che poi andavano successivamente interpretate per riuscire a comprendere il percorso da seguire al fine di raggiungere la meta tanto agognata.
La corsara prese posto davanti al tavolo e incominciò a muovere i tre cerchi e, dopo pochi e veloci tentativi, riuscì a trovare la perfetta combinazione.
A quel punto Maya doveva concentrarsi per studiare le singole diciture.
- Dici che ce la farà? – si interrogò ad alta voce Jeyel, appoggiato ad un barile di rum aperto, il mento appoggiato sul bordo e il labbro inferiore arricciato verso il basso.
D’improvviso, davanti agli occhi si ritrovò un oggetto sconosciuto ed il capitano della Fenice d’Ombra balzò all’indietro, le pupille sgranate.
- Dalla sua espressione, direi di sì – rispose Yoru facendo notare all’amico il sorriso malizioso della compagna appena ricomparsa con l’aggeggio misterioso.
La ragazza, sempre con una certa allusività nelle sue movenze, sfilò dal suo corpetto un foglio arrotolato dove vi aveva trascritto l’interpretazione delle frasi sulla mappa.
- Se guardi bene, i pannelli possono ruotare e le immagini sono collegate tra loro attraverso un sottile filo rosso che indica la rotta – spiegò Maya seguendo con il dito il tragitto di una lunga linea colorata.
- Sì, c’è più di una corda e come facciamo a sapere qual è quella giusta? – domandò l’Holmes studiando con la fronte corrugata il risultato della pirata.
- Questo perché la mappa, ovviamente, non conduce solamente alla Fonte dell’Eterna Giovinezza e una volta comprese le scritte, queste ti indicheranno la via corretta da prendere – chiarì la sospetta meretrice schioccando le dita, sottolineando così la semplicità del ragionamento, che in realtà non appariva così lindo all’aborigeno.
Tuttavia, Fil annuiva con il capo avvalorando di non poco la tesi di Maya, cosa che fece tranquillizzare il padrone del pacato camaleonte.
- Il segreto di questa mappa è che funziona al contrario: prima cerchi la tua destinazione e poi studi il percorso andando a ritroso per capire dove ti trovi e come muoverti sul territorio. Ad esempio, la nostra prossima tappa sarà passare vicino alla “Terra della Solitudine”, cioè l’isola in cui, in tempi remoti, venivano abbandonati i pirati per lasciarli morire di fame. In seguito dobbiamo circumnavigare il “Passo del Non Ritorno” - 
- Dobbiamo tornare indietro? – intervenne Jeyel con un sopracciglio alzato.
- No zucca vuota! Si tratta semplicemente di un arco fatto di roccia dove gli inglesi vi appendevano i pirati che non avevano molte opportunità di vita dato che, o morivano di fame, o perivano scappando poiché è risaputo che in quella zona gli scogli spuntano dal mare come gli aculei di un istrice – rispose Maya snocciolando una spiegazione dettagliata del luogo.
- E che mi dici invece della “Terra primitiva”? – si inserì Yoru che studiava la mappa con aria riflessiva.
- La conosco quella zona! E’ una foresta – l’Holmes fece una pausa, probabilmente travolto dall’ondata di mementi legati a quell’area – Una volta hanno cercato di arrostirmi da quelle parti se non erro – pensò ad alta voce l’aborigeno, il mento sorretto da una mano e lo sguardo perso nel vuoto.
- Sì sì, d’accordo – chiuse la discussione la ragazza facendo un gesto con la mano, quindi continuò – Comunque, è proprio qui che incontriamo il primo vero ostacolo perché questo posto non è stato disboscato e quindi non è percorso da alcun sentiero, inoltre la giungla è abitata da tribù indigene che non sappiamo quanto possano essere violente. In ogni caso, dobbiamo attraversarla per arrivare al “Salto nell’Ignoto” … -
- Che sono entrambi sulla terra ferma – commentò l’Okite Iru, che cercava di non mostrare la sua preoccupazione al riguardo del problema, ma invano.
- Ed ecco perché tu, per risparmiare tempo, andrai in fondo al mare a recuperare i calici nel relitto di Jorg…ricordi? – disse Maya cercando di rammentare al compagno i precedenti mesi di ricerche per individuare ogni singolo componente utile alla riuscita del loro piano.
- Inoltre, dovrai impossessarti della lacrima di una sirena. Praticamente faremo due viaggi differenti in contemporanea per poi ritrovarci nel medesimo luogo, cioè quello della Fonte. Lei, capitano al contrario nostro, dovrà seguire quest’altro percorso – procedette la pirata indicando con un dito un secondo filo rosso – e se non si troverà lì all’ora prestabilita, mi arrabbierò molto. Siamo intesi? – concluse la finta meretrice con ironia.
Yoru annuì con un sorriso divertito – Molto bene! Allora io prendo con me Topo di fogna e Distruttore e con l’Olandese andremo in questa dannata carcassa sottomarina, mentre voi, a bordo della Fenice d’Ombra, vi avvierete verso la Fonte – riepilogò l’Okite Iru rivolgendosi all’amico.
- Buona fortuna – augurò loro il ragazzo.
- Ma tu Maya non vai con lui? – chiese l’aborigeno con un’espressione inebetita.
- No! Come farebbe a lasciare al comando dell’impresa un imbecille come te?! – intervenne Medusa, appoggiata con la schiena alla parete da chi sa quanto.
- La pianti di comparire così all’improvviso? – le sbraitò contro il trentenne.
- E tu mi spieghi come fai a definirti un corsaro? Persino il tuo camaleonte è più intelligente di te! – lo insultò la donna ed entrambi spostarono lo sguardo verso Fil, intento a mordersi la coda.
Nel frattempo, la tenebrosa coppietta si era appartata in un angolo della cabina scambiandosi gli ultimi saluti di rito.
- Mi raccomando, non affondare la nave – la ammonì Yoru.
- E tu non provarci con le sirene – rispose lei incrociando le braccia. Tra i due ci fu qualche secondo di silenzio, ma gli sguardi carichi di passione che si scambiarono valevano più di mille parole, magari anche pronunciate con una scorretta intonazione.
L’Okite sorrise nuovamente per poi voltarsi verso l’Holmes che stava ancora bisticciando con la sua puttanella.
- Hey, stoccafisso andato a male, se hai finito di urlare come un adolescente esaltata possiamo anche partire…che dici? – suggerì l’amico.
Da quel momento in poi si separarono, ma le ferite che si erano inferti i due capitani continuavano a bruciare intensamente come nel momento in cui se le erano procurate, quasi a voler ricordare loro il divieto di infrangere quel patto.
E così l’Olandese Volante si inabissò sotto gli occhi dei presenti.
- Donde vamos, capitano? – chiese Topo di Fogna appena superati i primi metri della superficie.
- Andiamo a visitare lo scheletro di Jorg…lo rimembri? – chiese di rimando lui.
- Claro che me recuerdo de lui! – rispose lui ridendo di gusto. In effetti la storia del soggetto in questione era alquanto divertente, se con “divertente” si intende “atroce”.
- Cosa dobbiamo prendere? – si interrogò invece l’altro pirata, Distruttore.
Lui, al contrario del suo compagno, aveva origini africane e quindi aveva la pelle scura. L’uomo era entrato nella ciurma perché costretto a fuggire dalle autorità: a quanto pare massacrare qualcuno non era legale.
- Il nostro bottino saranno due calici che ci serviranno poi per attingervi l’acqua della Fonte – spiegò il corsaro delucidando i suoi due uomini del loro geniale piano.
Navigavano sott’acqua ad una velocità impressionante, decisamente più elevata rispetto a quella raggiunta in superficie, riuscendo ad usufruire meglio delle correnti. Inoltre, avevano imposto alla barca un certo regime dato che il luogo che dovevano raggiungere era parecchio lontano e dovevano coprire una distanza piuttosto estesa nel più breve tempo possibile e ritrovarsi poi alla sorgente nel giorno e nell’orario prestabiliti.
Dopo ore ed ore di viaggio giunsero finalmente al relitto: era una grossa imbarcazione per un capitano altrettanto grasso, non a caso soprannominato Palla di cannone. In realtà la carcassa non era ridotta poi tanto male, a parte quei quattro o cinque buchi che costellavano ciascuna fiancata.
Mentre nuotavano, o meglio, camminavano amabilmente sul fondo del mare, Okite ripensava al giorno in cui aveva fatto affondare quella gloriosa nave e ucciso Jorg. I suoi occhi rividero scenari di morte e distruzioni, lame e proiettili, ma nulla l’aveva appagato tanto quanto l’aver ammazzato quell’avanzo di essere umano senza più un briciolo di ragionevolezza.
Cercarono in lungo e in largo, perlustrando ogni anfratto di quel relitto, ma trovando soltanto gioielli in quantità: gli unici oggetti sopravvissuti dell’immensa raccolta di beni preziosi appartenente al capitano.
Yoru stava iniziando a perdere la pazienza, ma comunque provava a mantenere la calma e a concentrarsi sul suo obiettivo. Ma quando Topo di Fogna attirò la sua attenzione per l’ennesima volta al fine di mostrargli un collare tempestato di pietre preziose, l’uomo non ci vide più e tirò un pugno ad una parete, imprecando. Quella crollò immediatamente sotto il suo tocco, rivelando così una stanza.
Il ragazzo corrugò la fronte: non aveva mementi al riguardo di quella sala.
Guardandosi intorno, egli entrò attraverso la fessura e subito capì di trovarsi all’interno della cabina del suo rivale ormai disabitata.
Al capitano luccicarono gli occhi poiché nella sua memoria riaffiorò la splendida visione del suo ultimo abbordaggio su quella barca e, più in particolare, in quella medesima stanza ove, ora se lo ricordava, vi avevano trovato innumerevoli scrigni.
Il capitano dell’Olandese Volante chiamò a raccolta i suoi due “scagnozzi” ed ordinò loro di mettere tutto sotto sopra.
Alla fine rinvennero una cassa di legno, subito sotto la branda posizionata sulla destra. Essa aveva gli angoli rifiniti in metallo e si apriva tramite un bottone.
Al suo interno, perfettamente mantenuti, c’erano i due calici avvolti in un tessuto di raso rosso.
- Bingo – esclamarono in coro i tre, ghignando soddisfatti.
Quindi, dopo essersi sistemato il forziere sottobraccio, l’Okite disse ai suoi di distruggere ogni resto di quella costruzione e di rubare quanto di prezioso c’era a bordo.
- Se a Barbanera verrà in mente di passare di qua, dovrà credere che della nave di Palla di cannone non siano rimaste che le briciole – specificò l’uomo in modo che i marinai capissero bene ciò che dovevano fare.
I due pirati si guardarono e allunisono asserirono – Sì signore! -.
Quando furono di ritorno, il relitto costituiva solo un loro ricordo.
- Topo di Fogna, sai dove si trovano le Sirene? – lo interrogò Yoru timonando la nave.
- Dalla parte opposta di Tortuga - rispose lui mettendosi sull’ “attenti”, seguito da uno sbuffo del capitano che, con uno scatto, fece virare la nave in direzione della famosa località.
Anche in questo caso il tragitto fu ancora più lungo e noioso dal momento che non potevano più viaggiare sott’acqua per evitare di farsi scoprire dalle suddette creature marine.
La ciurma ormeggiò la barca dietro ad una grossa scogliera che disegnava una mezzaluna vicino alle sponde dell’isola.
Tuttavia, nonostante la loro precedente “botta di fortuna”, questa volta si trovarono un tantino in difficoltà dato che quelle bestie squamate non si degnavano di sfiorare la superficie, impedendo così agli umani di venire localizzate.
Tante furono le ipotesi che i marinai espressero per spiegare la ragione per la quale le Sirene avevano preferito restare nascoste rinunciando così al cibo, e quella più accreditata riguardava Barbanera: probabilmente il corsaro li aveva preceduti nella cattura della lacrima diffondendo terrore ed insicurezza nel popolo marino.
Attesero una luna, ovvero un mese intero prima di poter avvistare una coda guizzare tra le onde e finalmente capirono che la fame aveva vinto sulla paura.
- Capitano, stanno uscendo! – lo avvertì Topo di Fogna proteso sul bordo della nave, intento a scrutare l’oceano con occhi stretti a fessura.
- Bene, io vado e al mio segnale venite a recuperarmi – proferì Yoru indossando un lungo mantello nero e calandosi sul volto il cappuccio.
Era arrivato il momento di attaccare, ma comunque con prudenza ed intelligenza.
Il capitano venne calato su una scialuppa e remò tranquillo fino ad un punto da lui designato come il migliore per ciò che aveva in mente.
Dopo essersi schiarito la voce, l’uomo iniziò a cantare. La sua era una melodia lenta, triste e frutto di un’antica leggenda.
Ovviamente la cosa aveva un suo fine, ovvero quello di attirare le sirene, estremamente attratte dai suoni armoniosi e musicali.
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In pochi minuti, una bellissima fanciulla si avvicinò alla piccola imbarcazione.
Ella aveva capelli biondi ed occhi del medesimo colore dell’acqua; la sua bellezza era impareggiabile e la sua voce era delicata, soffice come cotone.
- Mi piacciono gli uomini come te, liberi e vivaci, proprio come questa melodia – sospirò lei sbattendo le sue lunghe ciglia e mettendo ancora di più in risalto le sue iridi cristalline.
- E a me piacciono le Sirene belle come te – rispose lui carezzandole una guancia incredibilmente morbida e liscia.
- Allora vieni con me e staremo insieme per sempre – lo invitò lei stringendogli le dita intorno al suo palmo in un tocco gentile, ma forte al contempo mentre lentamente trascinava Yoru verso il mare, cantando versi sconosciuti ed ipnotici.
Chiunque non sarebbe riuscito a sfuggire dalla bellezza impareggiabile di quella donna, ma non l’incubo dei mari.
Quando fu abbastanza vicino, l’uomo si tolse il cappuccio svelando così la sua identità e, prima che la Sirena potesse darsi alla fuga, l’afferro per la gola tenendola ben salda.
- O-Okite Iru? – balbettò lei spaventata, le pupille sgranate e le carnose labbra tremolanti.
- Felice di sapere che ho dei fan – ironizzò il capitano, ma subito ritornò serio.
- Ci tieni alla vita? – domandò lui con voce impassibile.
La ragazza-pesce annuì, sempre più in soggezione da quell’individuo. D’altronde, chi non aveva paura della ciurma dell’Olandese Volante? Loro erano gli unici ad essere in grado di invadere i loro territori e sterminarli.
- Allora, se vuoi continuare la tua insulsa esistenza, non mi negherai una delle tue preziosissime lacrime, vero? – continuò l’uomo, digrignando i denti in quello che doveva essere un sorriso, ma che in realtà assomigliava più ad un ghigno sadico.

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La creatura venne dunque affidata a Topo di fogna e Distruttore, i quali, una volta che il capitano fece ritorno, la legarono ben stretta.
La ragazza, che ormai aveva assunto sembianze umane e quindi le erano comparse due gambe al posto della lunga coda squamata, era stata immobilizzata contro l’albero maestro e guardava in cagnesco ogni marinaio. Ma era troppo debole per opporsi psicologicamente e fisicamente a causa della mancanza dell’acqua, così iniziò a piangere, sapendo che era proprio quello che i suoi rapitori volevano.
Il pirata spagnolo le si avvicinò con cautela, raccogliendo una lacrima all’interno di una fiala.
Una volta eseguito il compito, il capitano si andò a sedere sul proprio trono.
- Uccidetela – proferì l’uomo senza l’ombra di pietà nel tono.
- Capitano, siete sempre così cattivo – gli fece notare Distruttore, ma subito dopo tutta la ciurma scoppiò in una grassa risata.
Pochi minuti dopo un sacco nero volò da oltre il bordo della nave, cadendo con inaudita violenza su un mare di scogli.
Dall’altra parte degli oceani, la Fenice d’Ombra stava seguendo la rotta ricavata dalla mappa.
Al timone c’era Maya, dato che era l’unica a saper seguire quella dannatissima carta senza perdersi come un bambino nell’intricato ordito di fili rossi.
- Solo perché è la puttanella di Yoru questo non significhi che abbia il diritto di guidare la MIA barca – si lamentò Jeyel incrociando le braccia e mettendo il broncio come un infante a cui hanno appena detto di no.
- Ti conviene ritirare subito quello che hai detto se non vuoi ritrovarti una lama affilata in posti delicati – lo minacciò la ragazza che aveva udito tutto dal momento che il vero capitano dell’imbarcazione era a pochi centimetri di distanza da lei.
- Allora preferisci madamigella? E quindi Miss Iru, stiamo navigando a vuoto da non so quanto e quindi la domanda mi sorge spontanea…ci siamo persi o vuoi solo farci fare un giro turistico della zona? – rispose l’Holmes con un’ironia veramente poco fine ed appoggiò le bracca sui fianchi, attendendo di udire le argomentazioni della sua sfrontata interlocutrice.
La donna fece per aprir bocca, ma un rombo proveniente dal mare, seguito da un forte sballottamento della barca, le fecero ingoiare la battuta pronta che aveva sulla punta della lingua da sputare addosso al trentenne, ma ormai non c’era tempo per simili battibecchi.
- Merda – proferì la pirata sgranando gli occhi, tentando di tenere fermo il timone tra le sue mani.
- Il Cracken – pronunciò ella come se solo il suono di quel nome potesse attirare le peggiori sciagure.
- Ordina ai tuoi uomini di armarsi fino ai denti – proseguì Maya, tornando vigile e rigorosa come sempre.
L’aborigeno annuì e portandosi le mani intorno alla bocca simulando un megafono urlò – Cani rognosi, a me! Preparatevi ad una bella insalata di polipo! – li caricò il capitano digrignando i denti, assaporando già metaforicamente il sapore dei tentacoli della bestia sotto i denti.
La bestia marina si era avvicinata alla nave, scuotendola con i suoi enormi e muscolosissimi arti.
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I suoi “artigli” spuntarono dal mare, imponenti ed invincibili: un solo colpo da parte di quei “cosi” sarebbe bastato per affondare la Fenice d’Ombra.
Mrs Iru sbraitava ordini a destra e a manca, evidentemente abituata a combattere contro quel genere di creature, molto più rispetto a Jeyel che invece si scontrava più frequentemente con armate mercantili dotate di cannoni e altre armi da fuoco avanzate.
La ciurma dell’Holmes ubbidiva senza discutere, da una parte messa in soggezione dall’alterigia della donna, dall’altra consapevoli che, qualunque fosse stato il metodo, non avevano certo intenzione di crepare nelle viscere di quell’animale rivoltante.
Legate corde e funi all’else di spade e lance, gli uomini lanciarono le armi contro il Cracken e trafiggendone le carni.
Nel frattempo, Maya lanciava pugnali aggrappata all’albero maestro in modo da attirare il mostro più vicino, sempre più vicino…era ovvio che aveva in mente un piano, ma gli uomini non erano propriamente convinti di ciò.
La bestia, infuriata ed innervosita, spezzò in un sol colpo l’albero maestro, facendo fare un volo di metri e metri alla corsara. La sua caduta si sarebbe conclusa con un rovinoso impatto contro l’oceano, ma Jey le lanciò una fune a cui ella si aggrappò con agilità.
- Grazie – disse lei una volta raggiunto il ragazzo.
- Figurati! Ora pensavo di riscaldare un po’ la scena accendendo i cannoni…che te ne pare? – le chiese consiglio l’aborigeno, esprimendosi sempre con termini legati al campo semantico dello spettacolo.
In effetti il trentenne si stava realmente divertendo perché tutta quell’azione lo faceva caricare di adrenalina.
- Mi sembra un’ottima idea! – affermò la ragazza seguendo quindi il capitano nella stiva ove erano riposti i suddetti armamenti.
I due non persero ulteriori minuti ed iniziarono a caricare le bocche dei cannoni con enorme palle di ferro cercando di battere sul tempo quel terribile mostro, prima che quello li riducesse in poltiglia accartocciandoli come un sacchetto di ciambelle vuoto.
Nel frattempo, gli uomini si erano attrezzati di lame infuocate e travi incendiate…l’ultima sponda per cercare di vincere contro quel nemico decisamente superiore a loro.
Quando però la bestia venne colpita, questa emise un suono terribile e cominciò inevitabilmente a dimenarsi, rotolando su sé stessa per il dolore dei mille fuochi incrociati.
E finalmente il Cracken cedette, provato per gli attacchi e fondamentalmente poco motivato per quel compito: dopotutto quale sarebbe stato l’introito per le sue tasche?
- Ammainate le vele, muovetevi prima che ci chieda di prendere un tè assieme! – urlò Jey rivolto alla propria ciurma, i quali, seppur stanchi e feriti, si dettero comunque da fare per permettere alla Fenice d’Ombra di scivolare tranquilla e rapida fuori dal raggio d’azione della creatura marina.
Una volta ripreso il viaggio, cercarono di accelerare ancora di più i tempi, dato che avevano perso un giorno quasi intero per combattere contro un nemico che sì, era previsto, ma non in quel momento.
- Siamo ancora lontani? – domandò l’Holmes quando tutti si furono ripresi dalla lotta.
Maya scrutò per un attimo l’orizzonte, le labbra arricciate.
- Non molto in realtà, circa due giorni… - rispose la Signora Iru – certo però che con l’Olandese Volante ci avremmo messo molto di meno! – sbuffò in seguito abbandonando per un attimo le mani dal timone in segno di resa.
- Hey, anche la mia “bambina” è molto veloce e ricordati che stai parlando di una nave che tutti cercano e che tutti vogliono, ma è MIA, capito? Questo gioiellino appartiene al re del mare! – ribattè l’aborigeno, colto sul personale perché aveva avvertito una sorta di critica nel tono della donna nei confronti della sua imbarcazione.
La donzella lo ignorò palesemente, rivolgendo invece a Medusa uno sguardo sarcastico.
Finalmente, dopo 48 ore di navigazione senza sosta, arrivarono a quella benedetta foresta.
La distesa verde cominciava subito ad una ventina di metri dalla riva ed ormeggiarono la barca proprio sulla spiaggia, ancorandola alla sabbia per poi addentrarsi nella cosiddetta “Terra Primitiva”.
- Segugio, dove sono gli Indigeni? – chiese la pirata guardandosi intorno curiosa, studiando le felci circostanti.
Il corsaro che avanzava a quattro zampe in testa al gruppo, annusò un po’ l’aria con fare critico e sapiente.
- Qui non c’è alcun odore che mi rimandi a quei selvaggi, molto probabilmente sono lontani molte miglia da qui – concluse l’uomo portandosi due dita in bocca, assaporando poi il gusto del terriccio per avere una seconda conferma della propria teoria che, ovviamente, si rivelò ancora una volta corretta.
- Bene, questo semplificherà le cose. Dicono che non sono molto socievoli – commentò Maya tagliando qualche ramo che le intralciava il passo.
In effetti, la giungla era veramente vasta e talmente intricata che bastava un attimo di disattenzione per perdersi…quasi fossero gli stessi alberi a muoversi e a modificare così i sentieri.
Ovviamente erano nate cento e più leggende su quel luogo che riguardavano per lo più le pratiche cannibalistiche degli abitanti, che si cibavano dei turisti sprovveduti che non ritrovavano più la strada maestra.
Tuttavia, grazie ad una buona dose di fortuna e non certo alle capacità dell’Holmes di leggere una cartina, giunsero al Salto dell’Ignoto.

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Si trattava di uno strapiombo, una gola talmente profonda la cui fine era invisibile all’occhio umano, ridotta ad un puntino sotto di loro. Inoltre, dalla roccia sgorgava una potente cascata la cui forza travolgente smuoveva persino l’aria.
Mrs Okite Iru si sporse un po’ dal dirupo, valutando l’altezza e la distanza dalla parete antistante.
- Al, passami le corde – proferì la pirata allungando un braccio dietro di sé, senza però staccare lo sguardo dal precipizio.
L’uomo obbedì porgendo alla donna una lunga e robusta fune arrotolata su sé stessa.
Veloce e pratica, Maya legò alle estremità dei propri pugnali la fune per poi lanciarli rispettivamente nel punto in cui si trovavano attualmente e gli altri sulla parete opposta in modo da formare una sorta di scivolo.
- Avanti, calatevi giù uno alla volta – incitò gli altri la donzella, che superati i primi attimi di puro terrore e vertigini, strinsero le mani intorno alla cima e scivolarono in basso.
Il primo della fila si preoccupava di sganciare ogni pugnale che incontrava e di fissarlo nel punto successivo, mentre Maya, chiudi linea, staccava le lame e le riagganciava al fine di proseguire con la discesa in maniera continua, seppur irta di pericoli ed incidenti di percorso.
Inutile descrivere la performance di Jeyel che, appeso a quelle corde, sembrava più una scimmia tra le liane, mentre Filibustiere sfruttava la forza di gravità come se stesse cavalcando le onde a bordo di un surf.
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La combriccola giunse sana e salva a terra, a metri e metri di distanza da dove si trovavano prima e, mano alla mappa, continuarono il loro percorso giungendo ad una grotta tetra e piuttosto spaziosa a giudicare dall’entrata rettangolare che assomigliava più a quella di una sorta di tempio. Certamente era l’unico luogo dove quegli uomini, seppur grandi e grossi, avrebbero voluto avventurarsi e ancora di più furono convinti della loro presa di posizione quando, dal fono della caverna, iniziarono a provenire rumore di passi strascicati.
I marinai indietreggiarono uno alla volta, mentre altri si abbracciavano tra di loro mangiandosi le unghie a vicenda.
- Vi sono mancato? – esordì un ragazzo dai capelli neri, sbucando dal buio dell’antro.
Yoru era tornato, subito seguito da Topo di Fogna e Distruttore e, a giudicare dai loro sorrisi, erano riusciti nella loro impresa.
- Non preoccuparti, non ha combinato pazzie –disse quest’ultimo avvicinandosi a Maya e parlando a bassa voce, ma in modo che potesse udire la frase anche il capitano dell’Olandese Volante.
- Sentito? Ho fatto il bravo! – esclamò l’Okite Iru, perdendosi nel volto della sua amata che trasudava felicità da ogni poro per il suo ritorno.
La coppietta si prese così per mano, appartandosi in un angolo…avevano vicendevolmente sentito molto la mancanza dell’altro e dovevano pur recuperare il tempo, no?
Ma proprio quando Jeyel si iniziò a chiedere se i due fossero stati rapiti, la pirata e il corsaro rispuntarono da dietro i cespugli, i capelli scompigliati e i vestiti un po’ slacciati.
- Bene, ora possiamo andare – ordinò Yoru, senza ovviamente aspettarsi che qualcuno esprimesse un proprio commento al riguardo.
- Invece io dico di no -.
Una voce roca, segnata dall’età si fece strada intorno a loro.
Barbanera li aveva raggiunti.
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Il bucaniere stava eretto, appoggiato alla sua gamba di legno, circondato da una masnada di banditi puzzolenti e armati alla bell’è peggio.
- Okite Iru, non dirmi che ti sei unito a quel pirata da quattro soldi qual è Holmes? – domandò l’uomo con un’espressione schifata in direzione dell’aborigeno.
- Non preoccuparti, io scelgo con cura i miei alleati – disse Yoru e, dopo essersi scrutati negli occhi per una manciata di secondi, fu la lotta.
Gli uomini si scannavano a vicenda, lame contro lame, pugni contro mascelle e colpi bassi in una corsa verso l’eternità, verso ciò che attendevano ormai da mesi e che non si sarebbero lasciati sfuggire per così poco.
Ma come già detto precedentemente, l’armata di Barbanera era alquanto svantaggiata rispetto alle ciurma comandata dai capitani della Fenice d’Ombra e dell’Olandese Volante, che sbaragliarono dunque gli avversari, decapitandoli uno ad uno tranne il loro primo rivale.
- Avete fatto fuori tutti i miei uomini eccetto me…voi non siete uomini, siete dei… - ansimò il corsaro steso per terra, una gamba sanguinante e il respiro affannato.
Il ragazzo dai capelli neri si avvicinò al moribondo piegando le ginocchia fino a raggiungere il suo volto.
- Hai ragione, siamo l’incubo di tutti i mari – ghignò Yoru riprendendosi con uno scatto la sua spada, piantata fino all’osso nel polpaccio dell’avversario.
Il manipolo di corsari, appesantiti da un fardello in più costituito dal corpo azzoppato di Barbanera, entrarono finalmente dentro la grotta le cui pareti erano percorse da sottili rivoli d’acqua che sfidavano la forza di gravità.
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La cavità assomigliava ad un’enorme serra tanta era la quantità di arbusti e piante che popolavano quel luogo, la cui presenza era resa possibile grazie a cinque cascatelle che riversavano il loro carico senza però sommergere la stanza poiché la corrente spingeva l’acqua fuori da alcune aperture della roccia.
Ed infine, maestosa, rigida ed indistruttibile era la Fonte posizionata su un isolotto in mezzo a quello che poteva sembrare un lago.
- Jey, ci siamo – sussurrò Yoru afferrando il braccio dell’amico.
Inutile descrivere le loro emozioni: eccitazione, stanchezza, nervosismo, esultanza, meraviglia.
Avrebbero voluto correre ed abbeverarsi come se non fossero mai stati dissetati, avrebbero voluto godere di quel premio senza condividerlo con gli altri, ma per loro valeva il detto “chi va piano va sano e lontano”.
Perciò avanzarono tranquillamente, senza fretta nell’acqua che gli lambiva le cosce mentre Gancio portava in spalla Barbanera, ormai arresosi al suo destino di agnello sacrificale.
L’aborigeno prese un calice e lo intinse nell’acqua le cui potenzialità potevano essere paragonate a quelle dell’acqua santa, vi aggiunse la lacrima della sirena che l’Okite Iru gli aveva ceduto in precedenza e fece per avvicinarsi il recipiente alla labbra, ma un dubbio lo frenò.
- Aspetta, ma tu non sei già immortale? –chiese il trentenne interrogando il coetaneo con un sopracciglio alzato.
Il ragazzo sembrò riflettere sulla questione a giudicare dalla sua espressione persa nel vuoto.
- E’ vero, hai perfettamente ragione! –annuì Yoru schioccando le dita, come se si fosse riappropriato di un ricordo ormai smarrito nella memoria.
- Ok, un momento! – esordì Medusa avvicinandosi ai due compari.
La donna attraversò il fossato a grandi falcate tirandosi su il vestito nonostante fosse già zuppo.
- Tu – cominciò la veggente indicando Jeyel – hai chiesto aiuto a lui – proseguì voltandosi ora verso il ragazzo dai capelli neri– perché credevi che essendo immortale avrebbe potuto uccidere più facilmente Barbanera? – domandò ella, cercando di inquadrarsi mentalmente la situazione che quei casinari avevano creato di loro mano.
- No, pensavo che anche lui fosse interessato all’Eterna Giovinezza e ho chiesto il suo appoggio per velocizzare la ricerca – spiegò il trentenne facendo spallucce come a sottolineare la semplicità e la linearità della cosa.
- E tu per quale motivo la stavi cercando? – continuò Medusa verso il coetaneo dell’Holmes, gli occhi ridotti a due fessure.
- Nulla di particolare, volevo solo vedere dove si trovava… - .
Silenzio. L’incredulità si era impossessata dei tre e li aveva privati dell’utilizzo delle parole, non consentendo loro di esprimere commenti al riguardo del più grosso fraintendimento delle loro vite.
Ma c’era forse bisogno di sindacare su simili quisquilie quando tra le mani si ha il potere, l’Eterna Giovinezza?
Jeyel se ne infischiò altamente di tutta quella farsa e bevve avido dal proprio bicchiere, per poi forzare a fare lo stesso Barbanera nel secondo calice, quello dove non era stata versata la lacrima della Sirena, goccia di fortuna.
L’ormai vecchio corsaro non oppose resistenza, forse consapevole di dover cedere il passo ai giovani, o forse convinto che, in futuro, avrebbe avuto la possibilità di vendicarsi sui suoi uccisori.
Fatto sta che il suo corpo venne circondato da un turbine d’acqua la cui forza era insostenibile persino a coloro che si trovavano nelle più prossime vicinanze, tanto che Jey, Yoru e Medusa dovettero aggrapparsi a delle rocce pur di non venire risucchiati.
La carne si staccò dal corpo come fumo e una mano scheletrica si protese in avanti con l’intento di afferrare i suoi uccisori, con l’intenzione di chieder aiuto, ma le ossa si dissolsero nell’aria come polvere. E di Barbanera non ci fu più nessuna traccia.
Producendo un suono schioccante con la lingua a segnalare il fatto di essersi dissetato, l’aborigeno gettò a terra il recipiente dorato e afferrò per un polso la sua donna, rimasta a fissare la scena con il fiato sospeso.
Quindi, senza chiederne il consenso, l’Holmes appoggiò le sue labbra contro quelle della veggente, baciandola lungamente ed appassionatamente. La loro foga era tale che non si distingueva più qual’era la lingua di chi, ma andava bene così poiché i due, finalmente avevano trovato l’uno nell’altro l’anima gemella con cui condividere la vita e forse molto di più.

  
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