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Autore: Gravidy    30/11/2007    6 recensioni
"È facilissimo. Sono solo due parole."
"Io… io lo farò, Malfoy. Non credere il contrario," lo minacciò, incerta.
Continuò ad arretrare finché le sbarre non la bloccarono; sussultò quando lui le si avvicinò tanto da avvertire la bacchetta contro il petto.
"Dillo," sussurrò. "Andiamo, Granger. Salvati." Le sue labbra si mossero, ma non ne fuoriuscì nessun suono.
"Avada…" mormorò Draco nel suo orecchio, accostandosi tanto da sentirla tremare, mentre con le proprie labbra le sfiorava la tempia, "Avada Kedavra."

[dark fic]
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti
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Disclaimer: Harry Potter & Co appartengono a JKRowling e a agli aventi diritto.

Note iniziali: Oneshot di Gravidy, una delle più note autrici Dramione inglesi. Potete leggere l'originale, scritto ben prima dell'uscita del Principe Mezzosangue, seguendo questo link.


A Emily Doe, che per prima ha capito *coso lupesco*,
A Merryluna, che, anche se non lo sa, è una persona speciale, un bacione ♥



The Crimson Jess


L’ultimo giorno d’estate risplendeva, soleggiato e fresco, nelle verdi campagne attorno alla Londra magica.

Era un giorno di festa. Un nuovo giorno di festa. E un’occasione solenne, sebbene molti dei presenti che si erano lì radunati non riuscivano a trattenere un sorriso, mentre respiravano la dolce aria pulita e mentre i loro occhi si riempivano di lacrime; erano felici di essere vivi, felici che la guerra fosse finalmente finita.

Pareva che si fosse lì riunita tutta Londra, magica e Babbana, vecchia e giovane. C’erano studenti di Hogwarts che orgogliosamente indossavano i colori della propria Casa e giovani ragazze che sfoggiavano allegre vesti floreali. C’erano vecchi che sedevano quieti all’ombra di vetusti alberi e si lamentavano di essere vivi, quando così tanti dei loro giovani erano periti. Tutti avevano perduto qualcuno. Nessuno escluso.

Il fine settimana precedente s’era tenuto un memoriale per ricordare i caduti della guerra. Ma la cerimonia di quel giorno era speciale, era dedicata a sole tre persone.

La comunità magica aspettò pazientemente, rispettando l’infinita coda che s’era formata, per poter deporre dei fiori e dei ninnoli su quei tre sepolcri speciali. Cantavano canzoni e ringraziavano i tre defunti per il loro sacrificio.

Tutta la Londra magica e gran parte di quella Babbana era presente quel giorno, eppure l’arrivo di un solo uomo propagò una scossa tra la folla raccolta. Si alzarono mormorii e sussurri, e occhi si voltarono a fissarlo, e bambini corsero ad annunciare la notizia agli amici.

“È qui!”

Neville Paciock si fece largo attraverso la folla ed avanzò incontro all’uomo, immobile e discosto dalla moltitudine. Aveva sentito quello che la gente stava mormorando, ma non riusciva a credere che quell’uomo si fosse presentato davvero.

“Non sono il benvenuto?” chiese Draco Malfoy, gli occhi grigi vuoti da ogni emozione mentre rimaneva lì fermo, con indosso i propri abiti migliori, i capelli biondi tanto lunghi da scalfirgli le spalle. Un enorme uccello dall’aspetto regale, con piume candide sporcate da macchie più scure – qualche specie di falco, pensò Neville – riposava, incappucciato ed immobile, sull’avambraccio di Malfoy.

Sembrava suo padre.

“Sono solo sorpreso,” disse Neville, cauto, quando recuperò l’uso della voce, “Non mi aspettavo che venissi. Nessuno se l’aspettava. Non oggi.”

“Ma ho ricevuto un invito,” replicò l’uomo biondo con tono pacato, estraendo dal suo mantello una lucente busta bianca, come se credesse fosse necessario mostrare delle prove.

“Sei il benvenuto, qui,” lo rassicurò Neville, con gentilezza. “Hai perso quanto tutti noi e ci hai aiutato, alla fine.”

Malfoy li aveva sorpresi davvero. Il suo supporto a Voldemort era sembrato essere ferreo fino all’ultimo, leale a quel mago pazzo anche dopo la morte di suo padre, di sua madre e di Piton. Ma nell’ultima battaglia, era stato Malfoy a condurre l’Esercito di Silente nel nascondiglio di Voldemort, a condurre Harry da Voldemort stesso, in quella stanza da cui nessuno di due aveva fatto ritorno.

“Non ti aspettavo comunque, qui,” non riuscì ad evitare di aggiungere Neville.

“Sono venuto a porgere i miei rispetti,” replicò il mago biondo, sostenuto.

Neville sbatté le palpebre, “Naturalmente.”

La folla si fendette per farli passare, due degli ultimi di quella che i libri di storia avrebbe chiamato La Generazione Perduta. Solo venti di coloro che si erano diplomati con Neville, su un totale di centocinque studenti suddivisi nelle quattro Case, erano sopravvissuti. Di quei venti, solo un Grifondoro e solo un Serpeverde. Neville e Draco.

Loro erano davvero quelli perduti.

Le tre tombe adornavano una collinetta, protetta da una splendida ringhiera in ferro, il cancello frontale ora aperto ai visitatori. Il terreno era un tappeto di fiori, foto, ninnoli e portafortuna.

Remus Lupin si alzò, mentre i due si avvicinavano, il volto scavato e tormentato, i capelli quasi completamente bianchi, una delle gambe deformata e incurabile. Sembrava essere invecchiato di cinquant’anni nel giro di pochi mesi.

I suoi occhi si scurirono e si riempirono di odio quando incrociarono quelli di Malfoy, il suo corpo si tese, come se avesse potuto scagliarsi contro il giovane da un momento all’altro. Il mago biondo si arrestò, incerto, in attesa di un qualunque segno, ma poi Lupin sembrò afflosciarsi, ripiegandosi su se stesso come un foglio raggrinzito. Non aveva la forza per supportare il proprio furore. Era vuoto.

Lupin, la stanchezza evidente, tese una mano tremante e Draco la strinse. Il movimento disturbò il falco, che emise un borbottio infastidito; Malfoy si affrettò a calmare la creatura.

“Vorrei incolpare te di tutto questo.” La voce del lupo mannaro era aspra mentre guardava il mago più giovane con occhi sfocati ed espressione affranta. “Vorrei incolpare me stesso, vorrei incolpare tutti.” Il tono si alzò, sulle ultime sillabe, diventando quasi stridulo quando la gola gli si chiuse per l’angoscia.

“Tutti quelli da incolpare sono morti,” affermò Draco, un tono fiero che si faceva sentire sotto la pacata considerazione.

“Lo so, e vorrei che fossero vivi per poterli dilaniare ed ammazzare di nuovo. Non riesco a sopportarlo. Mi sento così vecchio. Abbiamo perso tutti, i nostri vecchi e saggi e i nostri giovani ed innocenti. Silente, Minerva, Piton, Moody, Tonks, tutti i Weasley tranne Percy e, che sia dannato, scambierei lui con uno qualsiasi degli altri, maledetto codardo. Ed i bambini. Innumerevoli bambini. Non potrei nemmeno elencare tutti i loro nomi, sono troppi.” Lacrime amare gli striarono le guance e Lupin digrignò i denti, mentre tentava di riprendere il controllo.

“Ho inoltrato una richiesta al Ministero, chiedendo che questo cimitero diventi un monumento del mondo magico,” gli disse Malfoy a bassa voce, mentre carezzava il soffice petto del famiglio e veniva ringraziato del gesto con un fioco gorgoglio. “Sono certo che sarà approvata. Erigeranno un muro e vi scolpiranno sopra tutti i nomi di coloro che hanno perso la vita.”

“È una buona idea, Malfoy. Grazie.” Lupin trasse un sospiro e si asciugò il volto con un fazzoletto.

“Era l’unica cosa che potessi fare,” Malfoy sorrise, amaro, “Inutile che sia. Non posso fare a meno di pensare… che sarebbe stato meglio essere morto con loro.”

“È come mi sento anch’io,” mormorò Neville. “Vorrei essere morto con Ginny.”

Gli sguardi dei tre furono attratti irresistibilmente dai sepolcri e Malfoy si allontanò dagli altri due, avvicinandosi alla prima lapide.

Ronald Bilius Weasley. 1981-2003. Guerriero coraggioso, figlio amato. Ha donato senza remore la sua vita per garantire la sconfitta di Voldemort.” Malfoy si arrestò, poi proseguì con tono più delicato. “È morto nella galleria. Stava trattenendo i Mangiamorte. Li ha uccisi quasi tutti. È grazie a lui che Harry è riuscito ad arrivare a Voldemort.”

Lupin e Neville boccheggiarono. Nessuno dei due era arrivato così dentro l’eremo del Signore Oscuro. Solo una manciata di persone era sopravvissuta all’ultima battaglia, e, di tutte loro, Malfoy era colui che poteva raccontare meglio ciò che era successo negli ultimi istanti.

Draco si voltò verso la seconda lapide, quella nel mezzo. Esitò un secondo, poi iniziò a leggere. “Harry James Potter. 1981-2003. Il Bambino Sopravvissuto per diventare l’Uomo Che Ha Prevalso contro l’Oscurità. Grazie a te, l’oscurità è stata distrutta e la luce ha trionfato. Il tuo ricordo vivrà in tutti noi e sarà onorato per sempre.

“Hai visto quello che è successo a Harry?” chiese Lupin, la sua voce un sussurro, la disperazione udibile appena sotto la superficie. Aveva bisogno di sapere che cosa fosse accaduto all’ultimo membro di quella che aveva considerato la sua famiglia. L’ultimo legato dei Malandrini.

Malfoy scosse il capo lentamente, incapace di sostenere lo sguardo supplichevole di Lupin. “Lo condussi fino alla porta. Voldemort sapeva di aver perso. Stava scappando e Potter lo inseguì. Bloccò la porta con qualche fattura, perché non lo seguissi. Lo sentii urlare non appena entrò in quella stanza. Probabilmente Voldemort aveva maledetto quell’uscio. Non ho dubbi che il colpo mortale a Potter sia stato inferto nel momento in cui ha varcato quella porta. Il miracolo vero è stato il suo continuare a combattere. Si rifiutò di morire finché Voldemort fosse rimasto in vita. Se quello sciocco non avesse bloccato la porta… magari avrei potuto aiutarlo.” L’odio per se stesso era evidente in ogni tratto del giovane uomo.

“Ma forse… non voleva essere aiutato da nessuno,” lo confortò con voce dura Neville, appoggiandogli una mano su una spalla.

“Credo che tu abbia ragione,” concordò, con voce vuota, Malfoy, mentre lentamente si portava davanti all’ultima tomba. Fissò la lapide con espressione imperscrutabile, poi si inginocchiò, in modo da trovarsi alla sua stessa altezza. Il falco si dimenò per l’improvviso movimento e beccò i capelli di Malfoy, come punizione.

Lui ignorò il suo famiglio e iniziò a leggere ad alta voce.

Hermione Janel Granger. 1980-2003. Amata da tutti coloro che l’hanno conosciuta. Mai, un’altra anima così pura, coraggiosa e stupenda camminerà su questa terra. Saremmo stati persi senza di te.” Il tono della sua voce si ammorbidì sul finire, e lui estrasse una singola rosa dal suo mantello per posarla con le altre sul sepolcro. “Hermione… mi dispiace, piccola.”

Si alzò con un unico movimento elegante, la sua espressione amara. “Potter aveva intenzione di dichiararsi. Aveva l’anello con sé quando è morto. Quello stupido non avrebbe mai dovuto lasciarla combattere. Hermione era una strega potente, ma non sarebbe dovuta scendere in battaglia.” La voce di Malfoy grondava così tanto veleno che Neville alzò bruscamente il capo. Gli occhi grigi del mago biondo erano tanto duri da sembrare ghiaccio. “Era troppo pura. Potter sapeva che non avrebbe ucciso nemmeno per salvare la propria vita. Quella di qualcun altro, forse, ma era troppo innocente e candida per uccidere come difesa personale. Lo sapeva.”

Lupin si voltò, le sue guance nuovamente bagnate di lacrime. “Non sarebbe mai rimasta nella retroguardia. Hermione avrebbe voluto combattere, non avrebbe dato peso al resto.”

“L’abbiamo persa nelle catacombe,” disse Neville, la voce delicata, i suoi occhi su quelli dell’altro mago, “quando sono andate a fuoco. Non abbiamo più trovato il suo corpo.” Si fermò, poi proseguì, cauto. “Ti importava di lei, Malfoy?”

Le labbra del mago biondo si strinsero in una linea sottile e lui si volse dall’altra parte. “Me ne vado. Credo di aver perso la voglia di assistere alle celebrazioni di oggi.”

Lupin e Neville si scambiarono uno sguardo perplesso, mentre Malfoy si allontanava senza voltarsi indietro; la folla che si scostava velocemente per fargli largo.

“Malfoy?” lo chiamò Neville, “Perché…?”

Per un solo istante, l’altro mago esitò, “Amata da tutti coloro che l’hanno conosciuta…” citò, la sua voce vuota e morta.

Neville fece due passi verso la sua direzione, il braccio teso, “L’amavi, Malfoy?” la sua voce era strozzata, nuove lacrime gli segnarono le guance, nonostante ne avesse sparse così tante nell’ultimo mese che non pensava ne avesse più in corpo. “Avrebbe voluto saperlo!” urlò, tra i singhiozzi. “Avresti dovuto dirglielo!”

Lupin mise una mano sulla spalla di Neville, “Lascialo andare.”

In quella fresca aria autunnale, la commemorazione di tre guerrieri coraggiosi continuò e sarebbe continuata finché le ferite non si fossero rimarginate ed i nomi del Trio d’Oro non sarebbero diventati altro che nomi senza senso scribacchiati da studenti di Hogwarts che studiavano la propria storia.

E tutto sarebbe stato dimenticato.

***



Il maniero di Malfoy era silente e vuoto. I freddi pavimenti in marmo e i mobili ricoperti da cineree lenzuola e da strati di polvere contribuivano a dare all’abitazione un’atmosfera abbandonata. E morta.

Draco avanzò imperiosamente - le labbra tirate - lungo la galleria principale, senza degnare di uno sguardo ciò che lo circondava. Odiava quell’enorme silenzio che gli rimbombava nelle orecchie. Odiava il vuoto che lo circondava, che gli faceva accapponare la pelle e soverchiava i suoi sensi costantemente alla ricerca per un solo movimento, un solo suono, una sola fonte di calore. Odiava quando si rendeva conto che una parte di lui aspettava speranzosa di sentire ancora sua madre suonare qualche brano di musica classica, o di sentire il tintinnare dei bicchieri che suo padre offriva nel suo studio agli amici. Odiava con tutto se stesso quel maniero.

Lo tormentava.

Aveva spostato le proprie stanze al secondo piano dell’ala sud dopo la morte dei genitori. Un’ala che, per quanto ne sapeva, non era stata occupata da oltre cinquant’anni. Il fuoco scoppiettava allegramente nel camino della sua piccola e confortevole camera, riscaldandola. Era piccola, minuscola quasi, ché aveva scoperto di non aver bisogno di una stanza gigantesca con così tanto vuoto attorno. Una bottiglia di brandy era appoggiata sul tavolino, di fianco ad una poltrona, un calice riposava lì accanto.

Si occupò per prima cosa del suo famiglio, liberandolo dal cappuccio e lasciandosi andare ad un lieve sorriso quando vide il girfalco arruffare le piume per il sollievo e sbattere velocemente le palpebre, per abituarsi alla luce. Lo fece accomodare sul trespolo vicino alla finestra, ignorando lo strano sguardo che questi gli rivolse. Quando si fu assicurato che gli Elfi Domestici avessero provveduto egregiamente al cibo e al beveraggio del suo famiglio, si diresse verso il letto, dove un altro capo di vestiti era ordinatamente posato sulle coperte.

L’uccello inclinò il capo e beccò il laccio rosso che gli cingeva la zampa destra.

“Smettila,” ordinò Draco, il tono secco mentre fermava per un attimo il gesto di togliersi le vesti.

L’animale si voltò di scatto per rivolgergli un’occhiata furente, poi si voltò, nascose il capo tra le proprie piume e si addormentò.
Draco lasciò cadere le proprie vesti sul pavimento e le rimpiazzò, grato, con quelle più comode che erano state tirate fuori per lui. Essere comodo era la sua prima prerogativa, al momento. Aveva passato troppo tempo a soffocare per la tensione e la paura, per la morte ed il terrore, sempre pronto a combattere o fuggire, sempre sveglio fino all’alba, consapevole che un momento di debolezza avrebbe potuto anche essere il suo ultimo istante di vita, consapevole che tutto poteva andare storto da un secondo all’altro, mentre aspettava per una qualsiasi novità e ogni giorno, alla luce della nuova alba, contava nuovi corpi da aggiungere al conto dei cadaveri.

Chiuse gli occhi e deglutì a fatica.

La guerra era durata troppo, troppo tempo.

Si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona vicino al fuoco, quasi crollando per la stanchezza.

Aveva deciso che se ne sarebbe andato, si era quasi convinto di vendere il maniero; ma no, avrebbe semplicemente impacchettato i pochi beni essenziali che gli servivano e si sarebbe ritirato in qualche paese straniero, su qualche proprietà che la sua famiglia possedeva in Italia, o negli Stati Uniti, o in Giappone. Sarebbe stato lontano dall’Inghilterra per qualche anno e quando sarebbe ritornato, magari, le ombre degli spettri che sembravano tormentarlo ad ogni angolo sarebbero, per lo meno, iniziate a svanire.

Dalla sua casa, dalla sua città, dalla sua mente.

Si strofinò la punta del naso, gli occhi chiusi mentre, a tentoni, cercava di prendere la bottiglia di brandy. Per un attimo, sembrò volesse prendere anche il calice, ma poi, d’improvviso, abbandonò le maniere raffinate della sua educazione e bevve direttamente dal collo della bottiglia, in avide sorsate.

“Andiamo!” urlò Potter.

Il gruppo s’era inoltrato nel corridoio in pietra di gran carriera. Neville Paciock stava singhiozzando, Ginny era caduta nel primo scontro. Erano riusciti a superare le prime difese, grazie all’aiuto di Draco. Dove si trovavano, i corridoi erano quasi completamente vuoti. Ma non lo rimasero per molto.

“Dividiamoci!” ordinò Potter, con fermezza; anni di guerra gli avevano fatto imparare ad essere calmo anche in mezzo alla confusione, “Malfoy, da che parte per Voldemort?”

“Dritto, poi la prima a sinistra e scendi fino a che puoi. C’è una scala segreta sotto la seconda statua di centauro. La parola d’ordine è Uniphageous. Si sta nascondendo lì sotto.”

“Dove sono i prigionieri?” chiese.

“Per amor di Merlino, Potter! Ti aspetti davvero di trovarli vivi?” urlò di rimando.

“DOVE SONO I PRIGIONIERI?” Potter afferrò Draco per il colletto e lo scosse violentemente.

Per un momento, Draco pensò di urlargli di nuovo contro, ma poi sospirò, lasciando perdere, “Secondo corridoio da qui, si gira a destra, poi a destra ancora fino ad incrociare la quarta traversa. C’è una scala che scende. Granger, hai visto la mappa?”

La ragazza annuì.

“Credi di poter orientarti nelle catacombe?”

Annuì di nuovo.

“Va’ dall’altra parte, e prendi la terza porta sulla tua sinistra e poi scendi. C’è un sotterraneo. Se una delle altre due porte è aperta, vattene immediatamente.”

“Perfetto. Ho capito,” rispose. “Porterò Neville e Terry con me.” Si voltò all’improvviso e si lanciò tra le braccia di Potter.

Potter la baciò con tutta la passione che aveva, un bacio disperato: entrambi sapevano che poteva benissimo essere l’ultima volta che si sarebbero visti. Draco li osservò freddamente, cercando di non mostrare tracce di rabbia o gelosia sul suo volto. Hermione si scostò da Potter e gli carezzò una guancia, fissandolo negli occhi, seria, per un lungo momento. Abbracciò Weasley con trasporto e il rosso le baciò il capo, prima di lasciarla andare con riluttanza.

“Andiamo,” disse la Granger a Paciock e Steeval, ed i due annuirono.

D’improvviso scoccò un’occhiata imperscrutabile a Draco, sorprendendolo, il suo volto bellissimo che brillava alla luce delle torce. Non disse nulla. Potter si accorse dello scambio e si voltò per rivolgere a Draco uno sguardo perplesso.


Potter.

Potter e Weasley e la Granger e Voldemort e Lucius e Piton e…

Eroi e zeloti.

Chi aveva vinto alla fine?

Qualcuno aveva vinto?

La battaglia. La guerra.

Voldemort, pazzo Mezzosangue, né mago né Babbano, o forse troppo di entrambi. Per racimolare potere aveva dilaniato entrambe le parti. Aveva proclamato di voler decimare o schiavizzare i Babbani, eppure aveva ucciso molte più streghe e maghi nel processo. Draco sospettava fosse gelosia. Odiava i Purosangue con la stessa acrimonia che riservava ai Babbani. Ma anche quella era una menzogna.

La distruzione del mondo Babbano era solo una copertura, i Babbani i suoi capri espiatori. Non erano loro l’obiettivo di Voldemort. Potere e ingannare la morte, ecco cos’era la meta cercata.

Stavi invecchiando, vero, vecchio serpente? Vecchio e fragile e debole, e temevi la morte più di qualsiasi altra cosa. E il potere era un gradevole sovrappiù, no? Forse non ha mai riguardato i Babbani, ma solo l’essere in posizione di controllo. Forse sapevi che non potevi fermare il tempo, sapevi che saresti morto e hai solo deciso di portare tutti noi con te.

Ecco cosa si nascondeva dietro le quinte di una nobile causa.

Voldemort aveva perso.

Lui era morto e i Babbani vivevano ancora. Non aveva ottenuto nulla, se non, forse, la vendetta su Potter. Di quella ne aveva avuta fin troppa.

E Potter?

Se Voldemort aveva perso, significava che Potter aveva vinto, giusto?

Forse, da un punto di vista strettamente eroico, Potter poteva aver guadagnato qualcosa, ma alla fine era morto tanto quanto Voldemort, e aveva perso altrettanto, se non più, del suo nemico.

L’obiettivo di Potter era stato sconfiggere Voldemort e, almeno quello, l’aveva raggiunto, quindi erano pari sotto quell’aspetto. Ma valeva la morte di tutti i suoi amici, della famiglia Weasley che l’aveva adottato, di Silente – il suo mentore, e di quasi mezza Hogwarts?

Aveva fallito agli occhi di tutti quei morti. Non era un eroe. La vita di Voldemort non valeva le centinaia, forse le migliaia, di persone che non c’erano più.

Potter aveva forse donato maggior sicurezza ai Babbani? Erano ora maggiormente accettati dalla comunità magica? Sarebbe stato almeno un punto a suo vantaggio; ma neanche quell’obiettivo era stato raggiunto.

La situazione stava per precipitare, con la formazione di questi nuovi gruppi di giovani sobillatori d’odio, pronti a compattarsi contro i Babbani. Se non si fosse tornati presto al punto di partenza, tutto sarebbe stato vano. La pazzia di Voldemort veniva attribuita al suo sangue Babbano e la paura e l’acrimonia si sarebbero rinforzate a vicenda, sobbollendo una di fianco all’altra, pronte a erompere in getti letali con cui ammorbare l’intera comunità magica.

Potter aveva fallito miseramente, e Draco scoprì che avrebbe potuto odiarlo ora più di quanto non avesse mai fatto in passato.

E lui sarebbe dovuto essere l’eroe.

C’era qualcuno che aveva veramente vinto in quella terribile vicenda? Doveva essere una rivoluzione, per entrambe le fazioni. Purificare il mondo magico da una parte, creare un mondo di tolleranza dall’altra. E nessuna delle due aveva ottenuto nulla. L’unico risultato della guerra era stato quello di demolire e distruggere chiunque e qualunque cosa con cui fosse venuta in contatto.

“Tiger, Goyle!” Non poté evitare di fermarsi bruscamente, sorpreso.

Potter e Weasley erano alle sue spalle, bacchette pronte, e sapeva che non avrebbero esitato un istante ad uccidere i suoi amici d’infanzia.

I due robusti maghi si bloccarono, le bacchette mezze sollevate mentre rivolgevano a Draco occhiate dubbiose.

“Non possiamo lasciarti passare,” disse Goyle, ma non sembrava felice.

Draco fece un passo verso di loro, “Sto portando Potter da Voldemort. Fatevi da parte.”

I due si scambiarono uno sguardo, ma poi Goyle rafforzò la presa sulla bacchetta, mentre i suoi occhi si indurivano di determinazione, “Hanno detto che non avremmo dovuto lasciarti passare. Ci hai tradito, Draco.”

“NO!” urlò, “Voldemort ci ha traditi! Ha ucciso i nostri genitori. Non è stato Potter, né Silente. Sono stati i Mangiamorte.”

Nessuno dei due diede segno di essere scosso dal suo discorso. I loro volti rimasero impassibili come pietra.

“Dannazione, statemi a sentire!”

“Mi dispiace, Draco.” Tiger alzò la bacchetta, ma Draco fu più veloce.

“Avada Dikedavra.” Un getto di luce verde si spaccò in due, a mezz’aria, e poi i suoi due migliori amici erano morti, accasciati sul pavimento, gli occhi accusatori ancora fissi su di lui.

Poteva sentire gli sguardi di Potter e Weasley su di sé, sentire la loro compassione, che mai avrebbero espresso a voce.

“Dispiace anche a me.”

Forse i vincitori erano i sopravvissuti? Paciock e Lupin. Codardi e deboli. Avevano perso tutto e non avevano guadagnato nulla, se non le loro inutili vite.

Draco sentì le proprie labbra arricciarsi dal disgusto e prese un altro sorso dalla bottiglia, ripulendosi poi la bocca con il dorso della mano.

Grazie a te, l’oscurità è stata distrutta e la luce ha trionfato,” citò, il tono basso.

Il girfalco, addormentato sul trespolo accanto alle tende pesanti della finestra, aprì un occhio.

“La luce ha trionfato?” chiese all’uccello, “La bontà e la giustizia hanno prevalso?”

L’uccello alzò il capo e gli soffiò contro.

“Potremmo andarcene stanotte. Andarcene e non guardare più indietro,” mimò con le labbra, poi scosse il capo, “ma ci sono ancora dei nodi da stringere.”

Come se quell’ultima affermazione fosse stata una parola d’ordine, qualcuno bussò alla pesante porta di quercia.

“Avanti,” comandò Draco con tono rassegnato, senza alzare lo sguardo.

La porta si spalancò e rivelò le figure di un elfo domestico ingobbito e di un mago attempato, palesemente nervoso.

“Desideravate vedermi?” chiese quest’ultimo, gli occhi bassi sugli stivali macchiati di fango, la voce quasi petulante nel pronunciare quelle parole con estrema cortesia.

“Sono dietro di noi, amico!” biascicò Weasley, gettando uno sguardo alle proprie spalle.

Sentendo i passi cadenzati e le urla, Draco non riuscì a trattenere una smorfia. Non erano ancora abbastanza vicini da poter iniziare a lanciare degli incantesimi, mancava poco, però. “Potter, va’ avanti. Dritto fino alla statua del centauro, come ti ho spiegato. Ci incontreremo lì.”

“Okay!” Potter non esitò e allungò il passo.

Weasley si voltò verso Draco, “Li dobbiamo trattenere?”

Lui annuì. “Più a lungo che possiamo.”

Weasley ghignò. Un sorriso duro, assetato di sangue, “Pronto a farli neri?”

I due si voltarono contemporaneamente per fronteggiare il nemico.

I Mangiamorte rallentarono il passo, mentre continuavano a sputare insulti e minacce, le bacchette alzate.

Weasley si irrigidì, improvvisamente, gli occhi si sbarrarono per lo stupore. “Malfoy?”

“Signore? Signor Malfoy?”

Draco annuì, lentamente, mentre contemplava la bottiglia. “Remus Lupin, Neville Paciock. Li voglio morti entro la fine di domani. Fallo sembrare un suicidio. Sul tavolo ci sono una nota d’addio per Lupin e una foto di Ginny Weasley per Paciock."

“Malfoy?” Weasley fissò stranito la bacchetta puntata contro di lui.

“Avada Kedavra.” I grigi occhi di Draco erano sereni e vuoti come l’immacolato cielo azzurro.

Ron sembrò fissarlo per lungo tempo prima di accartocciarsi lentamente in terra.

I Mangiamorte ridacchiarono.

“Era l’ultimo, vero?” si beò Nott, “L’ultimo Weasley?”

Draco volse il proprio sguardo vuoto su di loro, che si quietarono all’istante, muovendosi a disagio. Estrasse qualcosa dal suo mantello, un globo perfettamente sferico, del fumo grigio si dimenava al suo interno; lo studiò per un momento, poi lo buttò con nonchalance in mezzo al gruppo.

La sfera si ruppe e un vento impetuoso si liberò accompagnato da rumori di legni spezzati: un verde tornado. In quello stesso istante, i Mangiamorte urlarono e si dimenarono, mentre spessi viticci cingevano i loro colli e la loro vita, strattonando e stringendo finché i loro corpi non furono piegati e costretti in pose innaturali.

Draco rimase immobile, i capelli che gli mulinavano sul volto; osservò tranquillo il massacro finché il corridoio non tornò calmo e silente.

Poi si voltò e si diresse verso le catacombe, lì appiccò il fuoco.

Il mago annuì velocemente, senza alzare lo sguardo, e si allungò per prendere gli oggetti sul tavolino ma, prima che potesse afferrarli, il girfalco si levò in aria, emise un verso acuto ed attaccò. Il suo corpo massiccio colpì l’uomo mentre becco ed artigli infliggevano profondi squarci. Il mago urlò, mentre l’uccello puntava al suo viso, e mulinò le braccia per proteggersi. Draco scattò in piedi, l’altro uomo aveva colpito con una frustata il girfalco, ora a terra.

“Figlio di puttana!” gridò Draco, colpendo l’uomo con tutta la propria forza.

Il vecchio fu sbattuto contro il muro e cadde sul tavolo, il calice si distrusse in mille pezzi di cristallo ed i pesanti libri si rovesciarono sul pavimento.

Draco voltò le spalle al mago e si diresse verso il girfalco, che stava ora saltellando incerto, il dolore evidente nei suoi flebili versi. Con tenerezza carezzò la creatura, lisciando le penne seriche e coprendole il capo con un cappuccio. I falchi erano molto più tranquilli quando non potevano vedere nulla di cui avere paura o contro cui scatenare la loro aggressività. Raccolse il laccio blu che pendeva dalla caviglia sinistra dell’uccello e se lo cinse attorno al braccio.

Si alzò, il falco avvinghiato all’arto, e scoccò un’occhiata assassina all’uomo che, ancora stordito, era sul pavimento e si tastava il volto sanguinante. “Sei fortunato che è illesa. Ti avrei ucciso, se così non fosse stato.”

L’uomo annuì, non osando parlare.

“Vattene.”

Il mago si affrettò ad ubbidire; una scia di sangue rimase impressa sul muro mentre, facendosi forza, si rimetteva in piedi. Draco lo guardò andarsene, sentiva il battito accelerato del suo falco contro il petto. Ignorò il disastro sul pavimento e si rimise seduto, aspettando che il suo famiglio si calmasse.

Le catacombe stavano bruciando.

Terry Steeval era morto, mentre Paciock era riuscito in qualche modo a mettersi in salvo. Hermione Granger non era consapevole né dell’una né dell’altra cosa. Stava lottando per farsi strada in quell’inferno di fiamme, tossendo e urlando il nome dei suoi amici. Continuava ad agitare la propria bacchetta davanti a sé, per ripulire l’aria e proteggersi dal fumo e dalle macerie, ma i suoi sforzi si stavano rivelando inutili.

Alcune lacrime le striarono le gote ricoperte di fuliggine.

Era dilaniata tra la decisione di cercare una via d’uscita e continuare la ricerca dei suoi amici. Non poteva abbandonarli, non poteva e basta, ma non avrebbe resistito ancora a lungo in quell’inferno.

Parte del soffitto cadde e lei balzò indietro con un grido. Istintivamente tentò di Smaterializzarsi, solo per ricordare, un momento più tardi, che l’intero nascondiglio era protetto contro la Materializzazione. Arrancò lungo la via per cui era venuta, ritornando verso la prigione.

La prigione vuota.

Cosa era successo ai detenuti in quelle celle era una domanda che forse era meglio rimanesse senza risposta. Non c’era traccia di una loro fuga. La prigione era pesantemente schermata, e costruita nella pietra. Era certa che lì sarebbe stata al sicuro dal fuoco.

E lì fu dove la trovò Draco, mentre lottava per aprire la massiccia porta della prigione. Lei sussultò quando scorse la sua figura tra le fiamme.

“Terry? Neville?” alzò debolmente la propria bacchetta.

“Sono morti, Granger.”

“Malfoy!” annaspò, i suoi occhi che si spalancavano.

Non abbassò la bacchetta e Draco capì che non si fidava di lui. Probabilmente non si era mai fidata. Si avvicinò con cautela, la bacchetta pronta, ma non puntata.

“Sono riusciti a trovare una via d’uscita,” le disse lentamente, “ ma sono caduti in un’imboscata in cima alle scale.” Fece un altro passo avanti, attento, la sua espressione serena, mentre valutava la reazione di lei.

“Imboscata?” la sua voce era inferma e le nocche le si sbiancarono quando strinse con maggior forza la propria bacchetta.

“Mangiamorte,” le disse a voce bassa, gli occhi fissi sul suo volto.

Lei si inumidì le labbra e arretrò, entrando nella prigione. Il calore si dileguò nel momento stesso in cui varcarono la soglia di pietra, fuoco e fumo banditi da quel luogo. Lui continuò ad avanzare e lei gli puntò contro la bacchetta con maggior determinazione.

“Dillo,” le ordinò.

Il labbro inferiore le tremava.

“È facilissimo. Sono solo due parole.”

“Io… io lo farò, Malfoy. Non credere il contrario,” lo minacciò, incerta.

Continuò ad arretrare finché le sbarre non la bloccarono; sussultò quando lui le si avvicinò tanto da avvertire la bacchetta contro il petto.

"Dillo," sussurrò. "Andiamo, Granger. Salvati." Le sue labbra si mossero, ma non ne fuoriuscì nessun suono.

"Avada…" mormorò Draco nel suo orecchio, accostandosi tanto da sentirla tremare, mentre con le proprie labbra le sfiorava la tempia, "Avada Kedavra."


Una volta che Paciock e Lupin fossero morti, MacNair sarebbe stato l’ultimo nodo da recidere. Si sarebbe divertito, Draco, ad uccidere quel vecchio sciocco, e poi se ne sarebbe andato. Aveva già pronto tutto. Una notte ancora e sarebbe giunto il momento di andarsene; magari, quando sarebbe tornato, la situazione sarebbe stata più calma.

In quel momento tutto era troppo in fermento per potergli permettere di fare dei progressi. Aveva già donato una somma considerevole per la ricostruzione del mondo magico. Se avesse continuato ad elargire quelle generose donazioni anche durante la sua assenza, nel giro di un paio d’anni tutte le parti coinvolte si sarebbero ritrovate a dipendere dal suo supporto monetario; abbastanza, per lo meno, da renderle più malleabili alla sua volontà.

Quello era il problema con le guerre civili; lasciava la popolazione, generalmente docile, troppo agitata per poterla controllare con fermezza.

Per sua fortuna, lui sapeva essere discreto. Al contrario di Potter o di Voldemort o persino di suo padre, aveva la diplomazia e le connessioni politiche necessarie per continuare i propri affari ed inseguire i propri obiettivi senza venir sospettato di nulla.

Nessuno aveva mai sospettato.

Quello era stato l’errore e la fine di Potter e Voldemort. Avevano perso perché nessuno di loro aveva colto la verità. Troppo concentrati l’uno sull’altro, non avevano capito chi fosse il loro vero nemico.

“Potter! Potter, dove sei?”

Potter fuoriuscì dalle ombre che avvolgevano un centauro marmoreo.

“Dov’è Ron?” chiese, brusco.

Draco avvertì le proprie labbra tendersi. Scosse la testa, un cenno veloce.

Potter non sbatté nemmeno le ciglia. Non poteva. Lui e gli altri avevano imparato presto a sopprimere tutte le emozioni, sul campo di battaglia. Se così non fosse stato, sarebbero stati distrutti molto tempo prima.

“Nemmeno Hermione, Neville e Terry sono tornati,” disse Potter.

“Le catacombe stanno andando a fuoco,” lo informò Draco.

Potter si voltò di scatto, “Andiamo. Andiamo a finire questa storia.”

Draco aprì il pozzo delle scale ed i due si inoltrarono frettolosamente nella cripta scarsamente illuminata. Il pavimento al termine delle scale era in terra e non di pietra, le pareti umide e viscide, ed i ratti si dileguavano al loro passaggio. Non c’erano Mangiamorte, lì, nessuna ultima difesa.

Solo un’unica porta.

Potter aprì violentemente l’uscio, permettendo così alla fioca luce di penetrare nell’oscurità della stanza e di illuminare un evidente cumulo di arti deteriorati e vesti ammuffite che giaceva nel mezzo del pavimento.

“Che…?” Potter fece un passo all’interno, Draco tenne la porta aperta, “È Voldemort!” disse, sotto shock, avvicinandosi ancora al mago, cinereo ed immobile sull’umida terra.

Gli occhi del Signore Oscuro erano vuoti, spalancati, fissi. La sua bocca era aperta,un’espressione sorpresa, a rivelare denti ingialliti dall’età.

“È morto,” disse Potter, incredulo. “Che sta succedendo, Malfoy?”

Si girò, mentre la porta iniziava a stridere chiudendosi, tagliando fuori la luce, mentre Draco entrava nella stanza.

Harry Potter vide gli occhi di Draco Malfoy brillare in un ultimo lampo di luce argento, l’ultima luce che avrebbe mai visto.


Raccogliere i benefici che poteva dalle loro battaglie, questo era stato l’unico obiettivo di Draco. Colpire quando erano deboli, conquistare tutto il possibile. Aveva condotto Voldemort da Silente ed all’Ordine. Aveva ucciso da sé Lucius, e Piton, e Narcissa. Era stato tutto troppo semplice. Giocare entrambe le fazioni mentre si annientavano l’un l’altra, fino a quando di zeloti ed eroi erano rimasti solo i cadaveri e lui l’unico ancora vivo.

Che i libri di storia chiamassero pure Potter l’eroe, l’unico vincitore a trionfare contro il male. Draco sapeva la verità.

Potter era morto e c’era un solo vero vincitore tra tutti coloro che avevano combattuto.

“E entrambi noi sappiamo chi è, vero, mia bellezza?” I suoi occhi si addolcirono al posarsi sul girfalco, appoggiato contro il suo petto.

Con un abile gesto, afferrò il laccio rosso legato alla zampa destra dell’uccello, e lo lasciò cadere. Ci fu uno svolazzare di vesti e calore e piume, e poi l’uccello sparì e una giovane, adorabile, donna si lasciò cadere contro di lui, stremata. Era nuda, a parte per un cappuccio sugli occhi e tre adorni lacci blu ancorati ad una caviglia e ad entrambi i polsi.

Tremante e confusa, lei si aggrappò al suo corpo, e lui le cinse delicatamente un braccio intorno alla vita, mentre, lentamente, le sollevava il cappuccio, liberando i capelli scarmigliati. Hermione Granger lo fissò con occhi vuoti e confusi, le labbra che si lasciavano sfuggire ansanti sospiri. L’aveva tenuta nella sua forma di animagus così a lungo che s’era quasi dimenticata come parlare.

“Non temere, tornerà tutto normale,” la confortò con tenerezza, accarezzandole una guancia, “E una volta lasciata Londra, ti farò rimanere più spesso nella tua forma umana.”

“Avada Kedavra.”

Hermione sussultò, senza riuscire a trattenere un flebile, stridulo, urlo; il suo corpo s’era irrigidito al sentirlo pronunciare quelle parole, i suoi occhi s’erano sbarrati, mentre lei si preparava a morire. Ma l’incantesimo non era scoccato.

Draco schioccò la lingua, in un certo qual modo, deluso.

Quando lei si rese conto di essere ancora viva, sollevò lo sguardo su di lui, i propri occhi spalancati, e confusi.

“Non riesci a farlo, vero?” mormorò lui, facendole scorrere le nocche di una mano su una gota, “Nemmeno per salvarti la tua stessa vita. Sei troppo buona. Troppo pura. Potter, che sia dannato, non avrebbe mai dovuto lasciarti sola.”

La sua mano scivolò giù dalla guancia di lei, e le coprì un seno. Hermione sussultò e, senza volerlo, si spinse ancor più contro il suo palmo. Lui le catturò le labbra prima che potesse dar voce al suo sdegno, zittendo la piccata protesta. Continuando ad accarezzarle un seno con una mano, con l’altra la teneva stretta contro di sé, impedendole di divincolarsi.

Poi, la mano che fino ad un secondo prima languiva sul suo petto le tolse di forza la bacchetta, gettandola senza grazia a terra. Lei emise un gemito irato contro le sue labbra, cercando inutilmente di recuperare lo strumento perduto e, poi, tentando di colpirlo al petto, con i propri piccoli pugni.

Le ravvivò i capelli dal volto, scostandosi leggermente, “Tornerò per te,” sussurrò sulla sua bocca, “Obdormio.”

Con un sordo ed esile gemito, lei cadde a peso morto contro di lui, profondamente addormentata. La sollevò, come fosse una sposa, e la portò in una delle celle della prigione, sdraiandola su una brandina e chiudendola dentro, al sicuro. Serrò la prigione stessa, quando ne uscì.

Ritornò da lei dopo aver lasciato il cadavere di Potter in quella tomba condivisa con Voldemort. E nessuno scoprì mai che ne fosse stato di lei.


Le sue labbra si mossero. Tentava di pronunciare delle parole, la sua voce debole e ansante, “…uss… emuss.”

Remus. Ecco quello che stava tentando di dire.

“Morirà,” le disse con dolcezza, facendole appoggiare il capo contro una spalla, “È troppo tardi, in ogni caso. S’è già rassegnato ad averti perso. Nessuno ti sta più cercando. Credono tutti che tu sia morta.”

Lei singhiozzò debolmente, una lacrima le rigò il volto; i suoi occhi resi splendidi dalla disperazione.

“Andremo via, da qualche parte, lontano; solo tu ed io. E quando torneremo, non ci sarà più nessuno che si ricorderà di te.”

Con il pollice le spazzò via le lacrime, mentre la stringeva contro il proprio petto e la sollevava tra le proprie braccia. Non si ribellò quando la fece sdraiare sul letto, ma voltò il capo, stringendo forte le palpebre e tentando di farsi forza, mentre lui slacciava e si toglieva i propri vestiti, per poi arrampicarsi sul letto e coprirla con il proprio corpo.

Era calda e morbida e perfetta sotto di lui.

Baciò le sue labbra tremanti con tutta quella tenerezza che sentiva e riservava a lei sola, mentre faceva scorrere le sue mani affamate sul suo corpo, scostando le braccia con cui lei s’era nervosamente coperta il seno, per allungarle lungo i fianchi.

“Sappiamo entrambi chi è il vero vincitore, giusto?” ripeté, facendole inclinare il mento in modo che lo guardasse e perdendosi in quegli innocenti occhi scuri, “Ho fatto dei sacrifici, certo, ma ora guarda a quello che ho ottenuto: il mondo magico è pronto a strisciare ai miei piedi in cerca di protezione, il mondo Babbano aspetta solo che lo sfrutti, le proprietà della mia famiglia, i segreti di Voldemort, il suo potere, le sue ricchezze ed i suoi seguaci. E te.” Le sorrise, compiaciuto, mentre si spingeva senza incontrare resistenza contro le sue cosce seriche, “Tutta mia.” Le baciò la bocca, assaporandola. “Magari farò anch’io tutta quella sceneggiata da Signore Oscuro. Che ne pensi del nome Lord Draconis?”

Rise al suono orripilato che lei non riuscì a sopprimere, mentre voltava di nuovo il capo e cercava di spingerlo via. Domò la sua debole lotta grazie alla propria maggiore forza, e unì i loro corpi con una gentile spinta, gemendo per l’estasi. Lei annaspò, perduta, sulla sua bocca, mentre lui si muoveva in lei, dolci sospiri sulle gote di lui.

Il suo premio, la sua vittoria, le sue spoglie di guerra.

Draco affondò il proprio volto contro il collo di lei, sorrideva mentre, sognante, ascoltava i suoi gemiti.

Chi vince prende tutto.


Fine




Note varie: Ehm, salutate Draco lo psicopatico.

Il girfalco o girifalco (o Falco rusticolus) è uno dei falchi più diffusi sul pianeta. È una specie artica e ha un’apertura alare di circa 160 cm. Le sue penne possono essere sia scure che bianche o grige. I girifalchi bianchi sono i più ricercati. Sono noti per la loro fiera determinazione e per la capacità di inseguire la propria preda per miglia. Maggiori informazioni si possono trovare su wikipedia.^^

In accordo con l’autrice ho cambiato i secondi nomi di Hermione e Ron per renderli conformi alle dichiarazioni della Rowling rilasciate ben dopo la stesura di questa shot.
~o0o~


E con questa si chiude il cerchio.

Un mese fa, circa, ho preso una decisione piuttosto impulsiva, spinta sopratutto dai sentimenti e dalle emozioni di quel momento che non dal cervello e dal raziocinio. Ad un mese di distanza mi sento di dire che è stata una decisione giusta, l'unica che potesse smuovere davvero le acque.
E quindi sono di nuovo qui, a dirvi di nuovo arrivederci a tra non so quanto tempo. Per un po', forse per sempre, non pubblicherò più nulla su EFP o su altri archivi pubblici. Si arriva ad un certo punto in cui si ha voglia di gridare basta, dove la stanchezza di una situazione stagnante si fa sentire, e io quel punto probabilmente l'avevo già superato tempo fa.
Non sono una traduttrice - non di professione né di formazione - e quando ho ripensato al perché avevo deciso di iniziato a tradurre fanfiction e al perché non avessi più lo stesso entusiasmo di un tempo, mi sono accorta che uno di quei perché era stato, se non completamente disatteso, reso privo di significato. E da qui la decisione di cambiare pagina.

Mi sembrava comunque giusto dare a tutti voi un saluto migliore che due mezze righe sul mio profilo o alla fine di The One Who Knows, ed ecco qui, quindi, questa ultima shot.

Indecisa perenne, ho pensato a lungo su cosa pubblicare stavolta; infine ho optato per una dark!fic, per chiudere il cerchio dei generi, ché credo fosse l'unico che mi mancasse.

Un saluto e un grazie a tutti,
Kit05
   
 
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