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Autore: LoveJulie    12/05/2013    6 recensioni
La vita di Catherine è ipoteticamente perfetta. A quasi trentanni ha un bel lavoro come giornalista, una casa a Londra centro. Ma dentro di lei non è felice. Si sente sola, non ha una vera e propria famiglia e vorrebbe un ragazzo al suo fianco. In più, le manca terribilmente quello che un tempo era il suo migliore amico: Zayn Malik.
E se potesse tornare indietro e sistemare la sua vita? E se questa possibilità le venisse data da Jas, quella che un tempo era la sua migliore amica? Cosa succederebbe?
Dal capitolo uno:
«E ti ricordi Jas, quando volevi fare la chiromante?»
«In realtà, io faccio la chiromante.» Ammise lei tranquilla. Io rimasi senza parole. Fu lei a riaprire bocca. «Diciamo che è un lavoro part-time. E sai un’altra cosa, Cathy? Sono riuscita a perfezionare la mia famosa formula.»
«Intendi quella per viaggiare indietro nel tempo?» Le chiesi curiosa.
«Esattamente. Non l’ho ancora testata, ma sono sicura che funzioni. Ho solamente bisogno di una “cavia”.»
Mi lasciai andare ad una risata scettica. «Lo sai vero, che è impossibile viaggiare indietro nel tempo? È fantascienza. Cose del genere si vedono solo nei film.»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo uno.
 
Quando anche quella dura giornata di lavoro finì, mi stiracchiai e tirai un respiro di sollievo. Quella giornata mi sembrò essere durata più del solito. Forse era perché, dalla mia scrivania, intravedevo i fiocchi di neve che scendevano dolcemente dal cielo grigio per poi posarsi sull’asfalto. Le fredde giornate di neve, mi mettevano solitamente di buon umore, poiché amavo la neve candida, e ancora di più mi piaceva pensare di tornare a casa, farmi una cioccolata calda e rimanere tutta la sera seduta sul divano a guardare i miei programmi preferiti in televisione.
Quel giorno però era tutto diverso. Avendo avuto una giornata piena d’impegni, il tempo sembrava essere rallentato. Il traffico londinese di solito molto intenso, era più lento e attenuato, e ovunque si respirava calma e tranquillità. Ovunque tranne che in ufficio. C’era sempre qualcuno che passava davanti al mio cubicolo, mi lasciava lavoro da portare a termine, articoli da scrivere e da rivedere.
Alle sei di sera, finalmente mi lasciarono tornare a casa. Sistemai velocemente la mia borsa,e presi dei documenti per lavorarci a casa. Mi alzai, sistemandomi la gonna che si era leggermente alzata, e dirigendomi velocemente verso l’ascensore. Attraversai a passo spedito il lungo corridoio dello studio, e raggiungo l’ascensore proprio quando le porte stavano per chiudersi. Come al solito era gremito di gente che non vedeva l’ora di tornare a casa, chi per un motivo, chi per l’altro.
Non appena attraversai le grandi porte a vetro dell’edificio, mi diressi verso la metropolitana, pronta a tornare a casa, a crogiolarmi nella mia solitudine. Vivevo da sola in un piccolo appartamento in centro.
Dopo venti minuti di metro, schiacciata tra un cinquantenne che puzzava come un capra e due ragazze adolescenti che non facevano altro che parlare di ragazzi e ridacchiare, arrivai finalmente a destinazione. Qualche metro e avrei finalmente rimesso piede in casa. Quando riaprii la porta d’ingresso, erano quasi le sette. Appoggiai la borsa sul piccolo mobiletto d’ingresso e iniziai a togliermi il cappotto. Come al solito, l’appartamento era silenzioso, se non per le macchine che sfrecciavano all’esterno. Tirai un sospiro, e arricciai il naso in uno smorfia mentre mi guardavo attorno.
Nonostante abbia da sempre voluto andare a vivere da sola, inizialmente avevo immaginato la mia vita un tantino diversa. Abitavo in questo appartamento da quasi cinque anni, cioè da quando, a ventitré anni, avevo finito l’università e avevo trovato lavoro in un importante quotidiano locale.
Non sono mai stata una ragazza che soffriva di solitudine, essendo cresciuta in una casa sempre silenziosa, con i genitori che lavoravano spesso; ma si arriva sempre ad un età in cui una ragazza desidera avere un uomo accanto, mettere su famiglia e vivere il proprio lieto fine.
 
«Io e te, Cathy, andremo a vivere insieme, un giorno.» Disse il ragazzo, carezzandole dolcemente la schiena, e schioccandole un bacio in fronte.
I due si trovavano in una piccola distesa d’erba, seduti sul prato a guardare le stelle, che stranamente quel giorno erano visibili.
«Non è quello che vuoi veramente, Brody.» Ribatté lei, ridacchiando. «Dite sempre così voi ragazzi, poi alla prima occasione scappate.»
«Be’, non so con quanti ragazzi tu sia stata, ma io sono diverso. Quante volte ti ho detto che ti amo, e che voglio passare tutta la mia vita con te?» La ragazza sorrise, in ricordo a tutti quei baci rubati, le dichiarazioni d’amore, e tutto il resto.
«Almeno un milione di volte.»
«Esatto. E non te l’ho detto così per dire, ma perché lo voglio davvero, chiaro?»
«Chiarissimo. Scusa per aver dubitato di te. E comunque, ti amo anche io, e voglio andare a vivere con te. In qualunque parte del mondo tu scelga. Che sia l’Africa Nera, la Thailandia o la foresta Amazzonica.»
 
Ripensando a quel periodo della gioventù, mi venne un groppo alla gola, quasi insostenibile. Era stupido rivangare il passato, ma mi capitava sempre. Brody. Era da un sacco di tempo che non lo vedevo. Ci eravamo persi di vista, da quando mi aveva mentito, e lasciato.
Era ridicolo ripensare a persone che nella vita ti avevano fatto del male, e invece dimenticarsi le persone che ti erano state più vicino, nella tua vita. Gli amici, per esempio. La famiglia che si sceglie di avere. Non sono mai stata una persona molto socievole ai tempi del liceo, ma, grazie all’amicizia con una ragazza gentile, avevo incontrato quello che per anni fu il mio migliore amico. Era lui che mi consolava ogni volta che l’ennesimo ragazzo mi spezzava il cuore, o prendevo un brutto voto, o ancora litigavo con i miei genitori.
Se potessi tornare indietro, sarebbe una delle cose a cui non avrei mai rinunciato. Poi c’era Justine, detta Jas. Era stata lei a farmi conoscere Zayn. Era una ragazza fuori di testa, per quando ricordavo. Ripensare a lei mi vece inevitabilmente sorridere.
Passò tutto il liceo a dire che sarebbe diventata una chiromante,e che avrebbe inventato una formula per tornare indietro nel tempo ad aggiustare gli errori commessi, per rendere il futuro - o in questo caso il presente - migliore.
Ripensare al passato mi fece venire voglia di rintracciare Jas, e magari prenderci un caffè assieme, ricordando per l’appunto il passato.
Quindi, dopo cena, presi il computer portatile, e seduta nella poltrona in pelle del soggiorno, entrai su Google e digitai sulla tastiera il suo nome, pregando di riuscire a trovarla. Ovviamente mi uscirono migliaia di risultati, e altrettante foto. Trovai una Justine che viveva in Texas e faceva il torero (in realtà me la immaginavo proprio la mia amica, fare un lavoro del genere), ma guardando la foto vidi che non assomigliava alla Jas che avevo conosciuto durante la mia adolescenza.
Dopo una mezz’oretta di ricerca, finalmente la trovai. Stando ai risultati, lavorava in un’agenzia di incontri, con sede in Evershot Street. Ero sicura che nona avrebbe mai fatto qualcosa di scontato, la mia amica.
Così la chiamai, e dopo un primo momento di confusione, mi riconobbe e  assieme decidemmo che la settimana successiva ci saremmo incontrate.
 
Il sabato successivo, dopo la mattinata passata al lavoro, a scrivere un articolo di cronaca rosa, presi la metropolitana e mi diressi verso Hyde Park. Nonostante la stagione fredda e nevosa, la metro pullulava di turisti, soprattutto giapponesi, che ridevano e scherzavano, nella loro lingua incomprensibile, e ovviamente con la voce alzata di parecchi noti rispetto al normale. Quando scesi alla mia fermata tirai un sospiro di sollievo e  mi diressi a passi spediti verso la caffetteria, stringendomi ancora di più nel caldo cappotto invernale.
Non appena entrai mi guardai attorno. Per un momento ebbi paura di non riconoscerla, ma quando notai una donna della mia età in un piccolo tavolino accanto alla finestra, capii subito che era lei. Non era cambiata di una virgola, constatai guardandola incuriosita. Aveva ancora i capelli lunghi, riccissimi e rossicci, che teneva ovviamente sciolti. Non appena la raggiunsi, si alzò e mi abbracciò teneramente.
«È da una vita che non ci vediamo, Cat!» Esclamò dopo aver sciolto l’abbraccio. Annuii e mi sedetti davanti a lei.
«Ed era da un sacco di tempo che nessuno mi chiamava in questo modo.» Ammisi, togliendo la sciarpa e appoggiandola sulle gambe. «Mi sembra quasi di tornare al liceo, a quei momenti passati assieme agli amici. Soprattutto tu e Zayn. A proposito, lo hai più sentito?» Le chiesi, con finta indifferenza e in modo casuale.
«Purtroppo no. Dopo il liceo non ho più sentito nessuno dei vecchi amici, e ora sono contenta che tu ti sia fatta sentire, Catherine. Ne abbiamo passati di momenti assieme, noi due. Anzi, noi tre.»
Le sue parole mi riportarono indietro, al tempo della mia adolescenza. Quando l’unica cosa a cui dovevi pensare era studiare e fare i compiti. Dove capitava sempre di litigare con gli amici, prendersi una cotta e fare cose sconsiderate, come ubriacarsi senza ritegno. Inevitabilmente, un sorriso si insinuò sulle mie labbra.
Anche mentre aspettavamo la nostra ordinazione, ripensammo al liceo, raccontando aneddoti divertenti.
«E ti ricordi Jas, quando volevi fare la chiromante? Ti eri messa in testa quella professione, e per un po’ d’anni nessuno era riuscito a farti cambiare idea.» Le dissi, tra un sorso di cappuccino e una risata coinvolgente.
«In realtà, io faccio la chiromante.» Ammise lei tranquilla. Io rimasi senza parole. Fu lei a riaprire bocca. «Diciamo che è un lavoro part-time. E sai un’altra cosa, Cathy? Sono riuscita a perfezionare la mia famosa formula.»
«Intendi quella per viaggiare indietro nel tempo?» Le chiesi curiosa.
«Esattamente. Non l’ho ancora testata, ma sono sicura che funzioni. Ho solamente bisogno di una “cavia”.»
Mi lasciai scappare una risata scettica. «Lo sai vero, che è impossibile viaggiare indietro nel tempo? È fantascienza. Cose del genere si vedono solo nei film.»
«Non è fantascienza, mia cara. È magia.» Ribatté, ostentando sicurezza nella voce. «E se non ci credi, perché non ci proviamo? Avevo bisogno di una persona che desidera tornare indietro e cambiare qualcosa, e credo proprio di averla trovata.» Alle sue parole seguì un mio lungo silenzio. Era ovvio che non ci credevo, ma volevo provarci. «Allora?» Chiese lei, terminando il cornetto che avevo ordinato.
«Be’, si potrebbe provare. Però se non funziona, mi offri una cena in un ristorante di lusso.» Le proposi, pensando al ristorante che aveva da poco aperto a Londra, maledettamente caro ma con una sublime cucina. Lei accettò senza esitazioni e mi strinse la mano, come per rendere il nostro patto ancora più solenne.
Così, la sera del giorno successivo, alle sette, aprii la porta alla mia amica. Indossava un turbante dorato, con un enorme pietra color smeraldo al centro e un paio di voluminosi orecchini a forma di luna. Mi trattenni dal riderle in faccia per non apparire maleducata e la feci accomodare.
«Prima di passare alla magia però, dobbiamo mangiare. È pericoloso fare qualunque cosa se non mi sono prima riempita la pancia.» Dichiarò Jas, sistemando la sua enorme tracolla sul divano.
«Non ti preoccupare, ci avevo già pensato. Ho ordinato indiano. Ti piace?» Le risposi, raggiungendola sul divano.
«Non potevo chiedere di meglio.» Ammise lei, con gli occhi chiari che le brillavano dalla felicità.
Quasi un’ora più tardi, dopo un’abbondante cena e una birra, sgomberammo il tavolino da caffè posto davanti al divano, e Jas vi posizionò una sfera di cristallo. Più passavano i minuti, più ero scettica e sicura che non avrebbe mai funzionato.
«Lo ammetto, la sfera di cristallo l’ho portata per fare scena.» Disse Jas, notando la mia espressione dubbiosa. Io risi, scuotendo la testa. Era rimasta sempre la stessa, ed era proprio questo che mi rese ancora più felice.
Dopo i vari preparativi, ci sedemmo a gambe incrociate davanti alla sfera. Jas mi ordinò anche di spegnere la luce. Immaginai che anche questo dettaglio facesse parte delle scena.
La mia amica passò i primi minuti a muovere freneticamente le mani attorno alla sfera - che nel frattempo si era addirittura illuminata - (ovviamente doveva essere una lampadina) e dicendo parole incomprensibili. Quando tentai di farmi dare una spiegazione, mi impose il silenzio.
«Dimmi, Catherine Brooks, a che età precisa vorresti tornare, e per quale motivo?» Chiede Jas, continuando a guardare la grande sfera di cristallo, e a muovere le mani.
Inizialmente rimasi spiazzata dalle sue domande, e mi ci volle un po’ per pensarci.
«Vorrei tornare ai sedici anni. Perché... vorrei che tra me e Zayn tornasse tutto come una volta. Vorrei di nuovo averlo come amico.» Dopo queste parole, chiusi gli occhi e continuai. «E vorrei non dover passare tutta la mia vita a rimpiangere il mio passato e presente.»
Jas mi guardò per un attimo negli occhi, dopodiché annuì impercettibilmente e tornò a guardare la sua sfera di cristallo. Passarono altri minuti, e se all’inizio per un attimo pensai che sarebbe potuto davvero succedere, dopo quell’attesa mi ricredetti.
Improvvisamente, tutto l’appartamento si illuminò. Ma non era una luce normale, sembrava quasi eterea, surreale. Era una luce accecante. Portai gli occhi a fessura per proteggerli dalla luce abbagliante, ma dopo un attimo iniziai a sentirmi strana. Sentivo che le forze mi abbandonavano lentamente, come se stessi per svenire. Stavo per chiedere a Jas cosa stesse succedendo, ma non ci riuscii.
Sentii la mia amica che esclamava un’ultima incomprensibile parola.
Dopodiché, il buio.  
  
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