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Autore: atassa    12/05/2013    2 recensioni
Siamo nel futuro. Cento anni avanti. La nostra società è stata sostituita dalla società delle città che si basa su dieci regole che non possono essere trasgredite. Chi le trasgredisce finisce su un'isola misteriosa con lo scopo di diventare un cittadino migliore, ma nessuno fa mai ritorno. Azzurra non ha mai trasgredito nessuna regola fino a quando dovrà scegliere tra l'amore e il suo futuro nella società. Indovinate cosa sceglierà?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNO.
Rilessi le regole, come ogni mattina eravamo tenuti a fare.
1.       Poni fine alla vita solo se un agente di primo o secondo grado ti dirà di farlo.
2.        Non interferire con l’ordinamento politico della città.
3.        Non uscire dopo il coprifuoco che è stato assegnato alla tua fascia di età.
4.       Non interferire con il lavoro degli agenti.
5.       Non manomettere il lavoro di altri cittadini.
6.       Esegui tutte le mansioni che i tuoi agenti ti chiedono di svolgere.
7.       Non disprezzare la tua città o gli agenti.
8.       Esegui con efficienza l’impiego che insieme al tuo agente di terzo grado ti è stato assegnato.
9.       Non disprezzare i tuoi cittadini.
10.   Non inquinare la città.
Avrebbero dovuto aggiungere anche: non pensare con la tua testa ma volevano lasciarci l’illusione di essere liberi. Già questo mio pensiero se detto ad alta voce avrebbe trasgredito la seconda regola e per me ci sarebbe stata una punizione. Se si trasgrediva la regola numero dieci il tuo impiego veniva scalato di livello per un tempo determinato a seconda della gravità della situazione. Se si trasgrediva la numero nove ti venivano assegnate un tot di ore con un assistente sociale che ti avrebbe aiutato a migliorare i rapporti con quel cittadino. Se si trasgrediva la otto le ore di lavoro, o di studio, ti venivano aumentate. Se trasgredivi alla sette o la sei venivi riclassificato a tempo interminato. Dalla cinque fino alla uno non si sapeva cosa ti succedeva, scomparivi e basta, gli agenti dicevano che ti portavano in un’isola di formazione e che quando saresti tornato ad essere un cittadino perfetto saresti potuto tornare nella tua città, ma nessuno mai ritornava. Al contrario delle regole dalla sei in giù che erano pubbliche, ossia il tuo errore era reso pubblico a tutti, le altre erano un mistero.
Io Azzurra Ricci non avevo mai trasgredito a nessuna regola, fino ad ora. Avevo sedici anni e nella prossima settimana mi sarebbe stato assegnato un funzionario di terzo grado che mi avrebbe aiutato a scegliere il mio impiego, i miei genitori credevano molto in me, loro erano a loro volta funzionari di secondo grado: il loro lavoro doveva rimanere un mistero, l’unica cosa che si sapeva era che loro punivano le sanzioni più leggere e approvavano se potevi fare o no una certa cosa, ad esempio erano loro che decidevano se una coppia poteva avere figli, a seconda se il loro DNA insieme non avrebbero fatto ereditare imperfezioni fisiche e mentali al bambino, ed erano anche loro a decidere quanti ne potevano avere. Entrambi i miei genitori si occupavano di quest’ultima cosa e speravano che un giorno anch’io potessi fare altrettanto o meglio. Uscii dalla porta dopo aver mangiato la colazione che la città “mi consigliava” di assumere. Fuori dalla porta Alessio, il mio attuale ragazzo di cui la città aveva approvato la nostra unione come sana, mi attendeva pensieroso. Lui aveva diciotto anni ed era all’ultimo anno di scuola, gli avevano già approvato l’impiego che avrebbe dovuto svolgere dopo e fra qualche giorno avrebbe dovuto tenere degli esami per verificare se il suo rendimento era ancora adatto all’impiego scelto. Lui sarebbe dovuto diventare un funzionario di primo grado.
“Ciao”. Mi salutò e mi baciò sulle labbra.
“Ciao”. Lo salutai anch’io sorridente. Andammo verso la sua macchina, anche questa della marca più consona a lui e alla sua salute. Salimmo in macchina in silenzio, tra di noi non era più imbarazzante. Ci conoscevamo da sempre e stavamo insieme da tre anni.
“Hai da fare oggi?”. Gli chiesi mentre gli tenevo stretta la mano con la quale non guidava. Lui con il pollice mi accarezzò la mia.
“Devo tenermi libero durante questa settimana per gli esami, possono chiamarmi in qualsiasi momento”.
“Ah, certo, dimenticavo”. Dissi tristemente. Lui si voltò verso di me e mi sollevò il viso per farci incrociare lo sguardo.
“Posso venire comunque da te verso il pomeriggio ma se mi chiamano devo andare”. Il mio viso si illuminò.
“Ma non devi ripassare?”. Lui scosse la testa.
“Non serve, mi preparerò meglio stando con te piuttosto che con i libri”. Ci baciammo.
“Tu invece sei pronta per i test?”.
“Non mi sento pronta”. Mi strinse la mano.
“Chiedi troppo da te stessa, scommetto che da quando torni a casa fino a quando vai a dormire stai sui libri”.
“No, non è vero, ieri siamo stati insieme”.
“Ieri era un’eccezione”. Risi, aveva ragione.
“Oggi mi diranno quand’è l’esame”. Alessio annuì.
“Se vuoi posso aiutarti a prepararti”. Scossi la testa.
“No quando stiamo insieme voglio sfruttarlo al meglio il tempo”. Dissi e lui sorrise. Arrivammo a scuola dieci minuti prima che iniziassero le lezioni. Percorremmo mano nella mano i corridoi fino a quando le nostre strade non dovettero dividersi, allora lì ci baciammo e ognuno andò per la sua strada. Alessio aveva lezione di aritmetica di terzo livello, il più alto. Io dovevo andare a fare nuoto livello due, ero nella media. Entrata nella palestra trovai più trambusto del normale, le persone negli spogliatoi erano il doppio. C’erano ragazze dell’ultimo anno.
“Come mai state qui?”. Chiesi ad una di loro. Lei si girò verso di me.
“Stanno ristrutturando la piscina livello tre e ci hanno trasferito qui”. La piscina livello tre era molto più complessa delle altre, aveva delle onde naturali che per attraversarle dovevi nuotare con più tecnica e forza ed erano completamente assenti di sale, era come nuotare in un lago con delle onde. Se uno di livello uno vi entrava sarebbe affogato in pochi istanti, una come me avrebbe resistito annaspando l’arrivo dei soccorsi.
“Quanto rimanete?”.
“Il meno possibile”. Così i congedò e uscì dallo spogliatoio, io mi cambiai e indossai il costume con il nome della scuola e della città. Uscii insieme alle ultime e quando tutti fummo in piscina l’allenatore cominciò a spiegarci il piano di allenamento.
“Oggi siamo due classi e per questo vi dividerete in coppie senza mescolare i rispettivi livelli se possibile”. Ci contò.
“Siete dispari”. Constatò. Si girò verso il gruppo del terzo livello.
“Daniele”. Chiamò il migliore, lui aveva vinto ogni gara che aveva giocato, ma era anche tra chi trasgrediva di più le regole e questo rendeva incerto il suo futuro.
“Tu vai con Azzurra che non dovrebbe rallentarti più delle altre”. Guardai male l’allenatore, mi aveva offeso forse? Daniele mi si avvicinò, molti risero quando ci videro insieme.
“Fate prima riscaldamento seguendo quelli di terzo livello ma dimezzando le serie e poi vi dirò io cosa fare in acqua”. Daniele si girò verso di me.
“Di solito faccio venti giri di corsa intorno alla piscina”.
“Io cinque”.
“Ne faremo dieci allora”. Io annuì. Cominciammo a correre, lui scattò nel suo ritmo normale,ma vedendo me che facevo fatica a seguirlo diminuì l’andatura, e corremmo spalla contro spalla. Mi guardai in torno. Nessun’altro stava facendo la stessa cosa.
“Non sei obbligato a seguire il mio passo, altrimenti potresti perdere l’allenamento”. Non mi rispose subito, anzi, all’inizio credetti che non mi avesse sentita, ma poi mi rispose.
“Meglio che conservi il fiato e comunque non mi preoccupo del mio allenamento”. Continuammo a fare il pre-allenamento in silenzio se non per qualche parola. Quando finimmo tutti il professore ci disse che dovevamo allenarci con il salvataggio, e fare una volta per uno, il gruppo di terzo grado aveva a disposizione la metà del nostro tempo.
“Sono negata con il salvataggio”. Dissi io senza pensare. Daniele si voltò a guardarmi e annuì.
“L’anno scorso avevo anch’io questo coach, non è molto paziente nell’insegnare”. Io annuii e cominciammo ad allenarci.
A fine allenamento ero stanca morta e faticavo a salire le scalette della piscina, Daniele mi tese la mano, io la strinsi e lui mi tirò su.
“Non sei male, perché non ti spostano nel terzo gruppo?”.
“Non sono portata”. Dissi d’un fiato con l’intenzione di cambiare argomento.
“Non è per questo”. Disse e mi scrutò con occhi indagatori, da agente. Nell’evitare il suo sguardo scorsi una ragazza del suo grado che ci fissava e scriveva un messaggio. Non le badai molto.
“Forse non ne voglio parlare”. Dissi irritata, lui strabuzzò gli occhi, non se lo aspettava. Lo lasciai da solo a rimuginare e mi andai a cambiare.
Alla seconda ora avevo storia di secondo livello, ora che avevo in comune con Laura, la mia migliore amica. Mi sedetti vicino a lei, e appena toccai la sedia lei cominciò a inondarmi di parole.
“Az sei impazzita? Dimmi che non fai sul serio? Sai cosa si è sentito da piani del quinto? Che ci stai provando con quel ribelle del quinto e che vuoi lasciare Alessio! Cavolo non puoi farlo proprio ora che tu e Alessio avete fatto il test del DNA per vedere se vi era consentito avere figli! Avete già le risposte? Sono negative e per questo hai deciso di lasciarlo?”. Non capii una parola.
“Calma Laura, dimmi una cosa per volta”. Gli chiesi lentamente come se stessi mercanteggiano con una scimmia.
“Jessica quella tinta stupida del quinto”.
“Si continua”.
“Ha visto te e il ribelle del quinto”.
“Daniele”.
“Ok, Daniele! Ha visto te e Daniele mentre eravate molto intimi dopo la lezione”. Si diffondevano in fretta le notizie sbagliate.
“Ok e allora?”. Laura spalancò gli occhi.
“Allora?! Tu sei fidanzata Azzurra!”. Io annuii.
“Perché ci provi con quello scansafatiche, ribelle, imbecille del quinto?”.
“Daniele”.
“Daniele!”.
“Perché io non ci stavo provando con lui e lui non ci stava provando con me, stavamo solamente parlando dopo un’intera ora passata ad allenarci insieme in silenzio!”.  Laura mi fissò pensierosa, cercando di formulare quello che avevo detto.
“Ok resta il fatto che ora tutta la scuola lo sa e crede che tu ti sia lasciata o vuoi lasciare Alessio e quindi tutte le ragazze stanno affilando gli artigli per averlo!”. Urlò e tutti si voltarono, morii di imbarazzo.
“Compresa me”. Aggiunse sottovoce. Io la folgorai con lo sguardo.
“Io amo Alessio!”. Urlai. Poi arrivò la professoressa e Laura non ebbe modo di rispondermi. Solo allora mi accorsi che un ragazzo in prima fila oggi non era venuto a lezione e quel ragazzo era il mio vicino di casa, gli avrei portato i compiti. La professoressa aprì il capitolo di storia con la parte che ci parlava dell’inizio della società delle città. Cominciò a spiegare la stessa solfa che sentivamo almeno ogni settimana al telegiornale.
“Nel 2015 la civiltà era agli sgoccioli, l’effetto serra rendeva la vita invivibile, il riscaldamento globale causava cataclismi e cambiamenti climatici. Questo perché a nessuno importava del futuro o non era capace di pensare ad un futuro. Le scuole erano differenziate per indirizzi ma non per capacità, ogni alunno doveva svolgere lo stesso programma scolastico, le nascite non erano controllate e la popolazione scarseggiava in alcuni luoghi e sovrappopolava in altri. Le nascite erano un’incognita, molti nascevano con malattie ereditarie perché due persone si erano unite senza sapere se giusto o no. Gran parte della popolazione aveva problemi alimentari, chi soffriva di anoressia, chi di obesità, chi era anemico e altro. Nessuno diceva cosa era meglio mangiare per far lavorare al meglio l’organismo. Non vigeva nessuna regola. Poi Huge Hasting, un uomo che aveva conquistato la fiducia del suo continente, un politico, un ecologista che sapeva cosa fare propose la società della città: la nostra società. Lui diminuì al minimo i livelli di anidride carbonica, rese il pianeta un posto più vivibile. Differenziò l’istruzione senza renderla privata, ma rendendola personalizzata al singolo individuo, l’alfabetizzazione crebbe in tutti i continenti, in Africa costruirono le prime scuole e in altre parti del mondo che erano incivilizzate. Le nascite furono controllate, posto un limite dato dai nostri agenti. Prima di avere il consenso a poter procreare i genitori dovevano sottoporsi ad un controllo del DNA per poter finalmente eliminare le malattie genetiche. La mortalità diminuì e il tenore di vita crebbe. La società cominciò anche a consigliare quante calorie assumere giornalmente ad ogni singolo cittadino e cosa era meglio assumere, i problemi alimentari diminuirono fino a scomparire. Il cibo non mancava più ai popoli in via di sviluppo perché ora era diviso equamente per tutto il pianeta. Vennero imposte dieci regole necessarie per poter vivere nel benessere:
1.       Poni fine alla vita solo se un agente di primo o secondo grado ti dirà di farlo.
2.       Non interferire con l’ordinamento politico della città.
3.       Non uscire dopo il coprifuoco che è stato assegnato alla tua fascia di età.
4.       Non interferire con il lavoro degli agenti.
5.       Non manomettere il lavoro di altri cittadini.
6.       Esegui tutte le mansioni che i tuoi agenti ti chiedono di svolgere.
7.       Non disprezzare la tua città o gli agenti.
8.       Esegui con efficienza l’impiego che insieme al tuo agente di terzo grado ti è stato assegnato.
9.       Non disprezzare i tuoi cittadini.
10.   Non inquinare la città.
Queste regole dovevano essere eseguite senza vincoli, chi le disobbediva veniva punito nei limiti concessi dall’umanità.  Dalla quinta regola in su chi la trasgrediva veniva mandato in un campo dove ti avrebbero aiutato a migliorare il tuo rapporto con la società delle città in un tempo deciso dall’agente di primo grado incaricato. Tutt’ora vigono queste regole che dobbiamo ripetere alla mattina per non dimenticarle”. La professoressa prese fiato.
“Ci sono domande?”. Chiese. Una ragazza alzò la mano. Se avrebbe fatto la domanda sbagliata sarebbe potuta essere punita per aver trasgredito alla seconda regola, se avesse criticato ciò che la professoressa aveva detto sarebbe finita nell’isola. Trattenni il fiato in ansia per lei, che nemmeno conoscevo.
“Per le lingue invece?”. La professoressa sorrise.
“Le lingue erano diverse e molti erano limitati da ciò, per questo venne fatto un sondaggio, si votò per qual’era la lingua che sarebbe stato meglio avere come unitaria, secondo alcuni criteri: la facilità nell’impararla, quanto era già parlata e quanto era comprensibile. Votarono l’inglese poiché era il più parlato, secondo arrivò l’italiano perché il più facile da imparare. Il cinese fu molto votato dai cinesi, ma gli abitanti di altri luoghi decretarono quella lingua come: difficile”. La campanella suonò.
“Studiatevi tutti i capitoli nove e dieci, chi vuole fare richiesta di essere spostato di grado nel prossimo anno deve studiare fino all’ultimo capitolo, il quindici, e portare un riassunto di tutto il libro entro un mese, le domande di promozione sono in segreteria”. Guardai istintivamente Laura, per chiederle con uno sguardo se mi accompagnava a prenderle e lei fece lo stesso. Poi ci ricordammo di cosa stavamo parlando prima e a malapena ci salutammo prima di cambiare aula per l’ora seguente.
 
  
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