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Autore: addictedtokenji    14/05/2013    2 recensioni
'E se fosse stata l’occasione della mia vita? E se questi Linkin Park sono una totale fregatura?
Non potevo rischiare, ma non avevo niente da perdere.'
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, *si nasconde*, questa OS mi è venuta in mente oggi pomeriggio mentre ascoltavo per la seconda volta Hybrid Theory, e beh, sì, fa abbastanza pena, ma ho cercato di descrivere al meglio un incontro tra Chester e Mike. 
Per inciso, mi piace scrivere OS e ne ho moltissime nel mio pc, ma sono troppo timida nel pubblicarle, perciò non vi romperò le palle sempre, pubblicherò qualcosina solamente se uscirà fuori un testo accettabile.
Cooomunque, se avete letto fin qui, vuol dire che di pazienza ne avete, perciò perché non leggere tutto? Ah, dimenticavo, venerdì tutti sintonizzati su MTV per il World Stage dei LP, -anche se lo so a memoria-. Ok, adesso ho detto davvero tutto; vi auguro una buona lettura, bacioni. :*



Sono seduto qui da ore, un divano trasandato di pelle chiaro, posto in un piccolo soggiorno di un misero monolocale ad Agoura Hills. Non abito con nessuno, qui. Nessuno è mai entrato in questo mio spazio, nessuno. 

D’altronde, con i miei ho chiuso, con Phoenix ho chiuso, con tutti coloro che hanno contribuito a rendere la mia vita una merda, ho chiuso, e così sono qui, da solo, e sto correndo lontano da tutti, da tutto, per poter diventare qualcuno nella musica. In fondo, questi sono i generi di sogni che si pone un diciannovenne che giudica la scuola solo un mucchio di stronzate. Sono del parere che non si impari niente ascoltando quei quattro coglioni dei professori dietro la cattedra, essere interrogati, svolgere verifiche in classe, compiti per casa giorno dopo giorno… tutte stronzate; potresti studiare tutto da autodidatta, o imparare tutto dalla musica. 

La musica insegna tutto ciò che la scuola prova ad insegnarti, solamente in maniera molto più rilassante e piacevole. Sogno di diventare un cantante da quando ero un bambino, mio fratello mi faceva sempre ascoltare vari gruppi i quali prendevo come esempio e come ambizione. Dal momento che sentii la voce di un uomo in un microfono, impazzii: sarei diventato qualcuno, qualcuno di importante; qualcuno che quando passi per le strade californiane ti ferma urlando il tuo nome e chiedendo un tuo autografo; qualcuno che inciderà dischi e che sarà ricordato per sempre dai futuri fans, sì, lo sarei diventato. 
Ho una bella voce, mi alleno giornalmente e faticosamente, ed i risultati sono molto soddisfacenti; adoro cantare tonalità melodiche, ma anche urlare con forti scream che rovinano però le mie corde vocali, lo so, ma non me importa più di tanto. Quando non hai niente da perdere, beh, non hai niente da perdere, perciò.
Sono quasi le quattro del pomeriggio, e mi dirigo verso la porta della camera per poter scendere, andare a lavorare e prendere aria fresca; è primavera e adoro il suo tepore… ha quel sole che non ti scalda troppo, e quel venticello che non ti da fastidio. E’ l’atmosfera fantastica.
Prendo una giacchetta leggera assieme alle chiavi e scendo giù. Lavoro in un bar non troppo distante, non guadagno bene, ma per sfamarmi è sufficiente. Delle volte succede che posso rimanere in turno fino a sera, per tornare a casa con trenta, quaranta dollari in più rispetto al solito stipendio. Non amo molto il mio lavoro, specialmente per i clienti sgarbati e maleducati che trovi… uno la mattina è già scazzato di suo, ci si mettono anche le persone a sbuffare o rispondere a monosillabi alle tue domande. Odio la gente, le persone, tutto. Mi definisco paranoico, penso sempre a tutto ed osservo molto, rifletto e finisce che appunto tutto ciò in qualche quaderno per poter trarre, a fine giornata, qualche canzone. 
Di solito lavoro la mattina, ma oggi Nancy mi copriva, così sarei potuto entrare comodamente anche verso le cinque. Sono un tipo scontroso, e mi considero uno stronzo. Sono stato espulso da due scuole differenti a Phoenix, ed ora mi ritrovo in questo quartiere a causa della vita di merda che conducevo nella mia casa, nella casa in cui sono nato e cresciuto, purtroppo. 
Arrivo al bar, mi sfilo la felpa, ed indosso un grembiule orribile che mostra in alto a sinistra, sotto la spalla, il nome del bar: ‘David’s’. Che nome di merda; non ha neanche un significato, ma d’altronde, anche se lo avesse, non me ne importerebbe. Siedo su uno sgabello ed annoto qualche appunto così, fa abbastanza caldo e di clienti se ne vedono pochi, ne vengono circa sei o sette ogni mezz’ora. Di solito, d’estate, i tavoli sono sempre tutti occupati ed il locale è sempre pieno, ma è anche stressante poiché il caldo è allucinante, ed i nostri ritmi sono quasi incessanti.
Alla cassa c’è Elise, una mia conoscente, è alta, in carne, con un paio di occhiali con una montatura fine e delle labbra sottili… dietro al bancone c’è Mario, italiano, da Trieste, alto, magro, occhi azzurri e bocca ricoperta dalla sua barba nera… ed infine ci sono io, Chester, alto, magro, molto magro, occhi a mandorla, due fiamme tatuate sui polsi, dilatatori alle orecchie, labret e capelli tinti. A volte indosso anche un collare borchiato.
Al tavolo vicino all’entrata del bar, si siedono due ragazze, una bionda liscia, e l’altra riccia e castana. Mi avvicino così al loro tavolo per chiedere loro cosa vogliono ordinare. Una coca-cola ed un gelato alla frutta. Hanno circa sedici, diciassette anni; non di più. Quando mi dirigo verso Mario per riferire le ordinazioni, sento loro ridere e bisbigliare qualcosa. Non presto molta attenzione; mi giro però verso di loro che improvvisamente si guardano negli occhi smettendo di ridere. Stronze. Prendo dal bancone il gelato e la coca-cola e mi dirigo verso il tavolo di quelle ragazze.

‘Grazie.’ Mi fa la riccia sorridendomi. Le annuisco e me ne torno sullo sgabello. 

E’ turno di servire una mamma con un bambino. E’ un bambino felice ed ha chiesto il gelato con i supereroi. Mi ricorda tanto me. Anche io ero un bambino spensierato e felice. Ma basta. Devo smetterla di ricordare il passato… passato è passato. Devo pensare al presente.
La mamma è cordiale e carina, mi ringrazia affettuosamente sotto gli occhi del bimbo che mi fissa stralunato. 

‘Perché tu sei strano?’ Mi chiede il bimbo. La mamma lo rimprovera, ma io sorrido. 

‘Mi scusi.’ Balbetta la madre.

‘Non si preoccupi.’ Finisco per dire dopo aver teso il gelato al bimbo che lo guardava elettrizzato. Mi dirigo nuovamente verso il famoso sgabello quando mi giro verso il bambino. 

‘La vita normale è noiosa. A volte essere strani è la cosa migliore.’ Rivelo al bimbo tornando poi, verso il bancone.

Sono  le sette e mezza, tra un’ora avremmo chiuso, fortunatamente. La sera, spesso, c’è vento, così mi siedo su uno dei tre tavoli fuori il locale. Uno è occupato da una donna che legge un libro, nell’altro ci sono io, e nell’ultimo c’è un ragazzo, mio coetaneo o più giovane che scarabocchia agitato su un foglio.

‘Ordina qualcosa?’ Chiedo.

‘Cosa? Ehm, no. Grazie lo stesso.’ Balbetta.

Prendo così il taccuino ed inizio a vedere le ordinazioni di oggi. Ripenso alle ragazze, a quel bimbo, a questa donna che legge, e questo ragazzo agitato.
Il nostro bar è affacciato ad una via spesso molto affollata, piena di motorini e macchine, che circonda un parco. La vista è abbastanza rilassante, ci sono due o tre pini in primo piano con delle panchine in lontananza.

‘Scusi…’ Mi sento chiamare. Alzo lo sguardo dal foglio e guardo il ragazzo di prima.

‘Vorrei ordinare un bicchiere d’acqua.’ Mi sorride.

‘Sì.’ Annuisco stanco alzandomi dal tavolo per sparire nel bar. Ritorno dopo pochi secondi con una bottiglia e due bicchieri.

Elise era andata via, e mi aveva affidato le chiavi del bar. Mario era ancora dietro al bancone intento a risolvere le parole
crociate.

‘Grazie.’ Mi dice il ragazzo senza neanche alzare lo sguardo dal foglio pieno di scritte.

‘Niente.’ Rispondo cercando di capire cosa stesse raffigurando.

‘Oh, no, c’è… questo, beh, in teoria starei cercando un logo per un gruppo musicale.’ Mi confessa. Che mi avesse letto nel pensiero? 

‘Sei un designer, o cose del genere?’ Domando.

‘Beh…non proprio, studio all’accademia, sì, ma sono un tastierista e chitarrista. Rapper, anche.’ Rivela.

Nient’altro? Disegna, canta e suona.

‘Che gruppo è?’ domando.

‘Ehm, il mio gruppo. Prima ci chiamavamo SuperXero, poi Xero, dopo Hybrid Theory ed ora avevo pensato ad un nome più complesso… Linkin Park.’ 

‘I primi nomi erano davvero orribili.’ Confesso sorridendo. ‘Hybrid Theory è bello. Magari potreste usarlo per qualche album.’ Aggiungo.

‘E’ la stessa cosa che penso anche io ogni fottuto giorno, ma a Brad non affascina molto quest’idea.’ Mi dice.
Brad… annuisco.

‘Oh, beh, lui è il chitarrista, io suono la tastiera e pratico rap, Rob è alla batteria, e abbiamo anche un giradischi.’
Annuisco ancora. E la voce?

‘Il cantante?’ Domando.

‘Beh, il cantante e il bassista ci hanno appena lasciato. Ma sai… beh, io non mollo. Voglio continuare questo progetto…’ Mi dice. ‘E tu suoni qualcosa, o ti piace la musica?’ Aggiunge.

‘Canto, in teoria.’ Dico.

Restiamo a parlare per un’ora intera, tanto che Mario ci saluta per poter tornare a casa. Io chiudo il locale e Mike continua a
spiegarmi come funziona con la band e i motivi per cui il cantante li ha mollati, anche se non capisco bene il motivo…
Sono le otto e mezza e decidiamo così di mangiare da McDonald’s. Io faccio sentire lui le mie abilità canore, e lui rimane sconvolto. Ha gli occhi illuminati di speranza, che parlano, due bellissimi occhi a mandorla.

Borbotta qualcosa di incomprensibile. Mi trovo bene con lui, in fondo, non è male, è simpatico, e davvero molto estroverso. 
Parliamo ancora, mi racconta della sua vita, nato e cresciuto ad Agoura Hills, diciottenne, Michael Shinoda, abbreviato in Mike, origini giapponesi e russe, ma americano. Sorrido al pensiero. La sua passione della musica è paragonabile alla mia, ne parla come se stesse parlando di sua figlia o di sua moglie.
Io, al contrario suo, ho problemi ancora ad esprimermi, e non sento ancora il bisogno e la forza necessaria di confessare cosa ho passato, a qualcuno, ma d’altronde, a nessuno è mai importato.
Finiamo i nostri panini e continuiamo a dialogare, è un tipo così comprensivo, mi racconta di tutto. Ci manca poco che non mi dica anche quante volte va al cesso.

Lo accompagno a casa, che non dista molto dal fast-food. Sono quasi le dieci e credo di aver trascorso la giornata più piacevole della mia vita. Ringrazio calorosamente Mike per la chiacchierata e per la sua proposta. Vuole che entri a far parte di questi Link… Link Par... Linkin Park, o come si chiamano.
Lo saluto con una pacca sulla spalla e lui mi lascia il numero di telefono nel cartellino del bar ‘David’s’. Lo stringo a me come se fosse un biglietto di amore. Lui mi abbraccia fraterno. 

‘Domani fino a che ora lavori?’ Mi chiede.

‘Credo che fino alle tre e mezza sono lì.’ 

‘Oh perfetto, allora passa qua verso le quattro, ti farò conoscere Brad, Rob e Joe, stai sicuro che non te ne pentirai. E non tardare!’ Mi dice.

Le mie labbra si inarcano in un sorriso.

‘Ok, farò il possibile.’ Dico.

‘Ci conto, eh.’ Mi fa l’occhiolino prima di entrare nel portone del condominio.

Sorrido un ultima volta, per poi alzarmi il cappuccio della felpa nera e dirigermi verso casa. E se fosse stata l’occasione della mia vita? E se questi Lin… Link Pak.. Linkin Park siano una fregatura? 
Non potevo rischiare, ma non avevo niente da perdere. Se fossi entrato, avrei dovuto diminuire le ore del lavoro per concentrarmi maggiormente sul gruppo, e purtroppo questo influiva sullo stipendio, e su tutto ciò che si ottiene con i soldi, ovvero: tutto.
Non potevo permettermi di fallire un’altra volta. Non potevo, non nell’ambito musicale. 
Non avrei fallito, mai. Sarei andato avanti sempre, fino alla fine dei miei giorni. Avrei costruito attorno a me una vita serena e felice, e chissà, magari rendere felice e serena anche una vita non mia tramite la mia passione e il mio talento, che mi permetteranno di diventare qualcuno: Chester Bennington, ovvero il vocalist dei futuri e magnifici Linkin Park.
  
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