Ho spesso osservato il mondo
attraverso il vetro di una finestra.
Mi appariva sfuocato, meno
duro. Era più facile accettarlo. L’ho osservato spesso attraverso il vetro di
una finestra, il mondo, perché mi sentivo protetta, dentro la mia casa.
Ho spesso avuto paura del
mondo.
Tutto è frenetico, senza senso.
Le persone corrono senza una
meta e, il più delle volte, non trovano un senso alla vita neppure dopo la
morte.
Dietro ad un vetro, quando
piove, tutto rallenta. Si può perfino sperare di scorgere il proprio destino.
Il mondo ho spesso osservato
attraverso il vetro di una finestra.
Fino all’età di sette anni non
sono mai uscita dalla mia camera. Camera mia era semplice. C’erano due
materassi, qualche mobile –recuperato dalle case di chi era stato più sfortunato
di noi- e una finestra. Una finestra che affacciava sulla strada. Frenetica,
senza senso. Questa era la vita degli altri, la vita che osservavo dalla mia
finestra. Quella era la vita finché non lo vidi.
Non era bello. Non era ricco.
Non era colto. Ma ero follemente innamorata di lui. Perché lui dava un senso
alla vita. Era il pezzo mancante del puzzle.
Anche lui si muoveva mantenedo
il rapido ritmo del resto del mondo. Ma il suo era un passo di danza.
Era diverso dalla folla
indistinta che avevo osservato per anni. Lui correva danzando. Lavorava dal
mattino alla sera, senza fermarsi.
Ripeteva sempre una frase. La
frase che dava un senso alla nostra esistenza.
“Elmyra... Un giorno ci
sposeremo, avremo dei bambini. Per questo corro tra la folla. Perché un giorno
avrò un’oasi dove riposare. Ma voglio meritarmela.”
Un giorno è sparito tra la
folla.
Era la solita folla.
Era la solita follia.
Era la solita guerra in cui gli
uomini partono e le donne restano a casa a morire.
A guardare attraverso un vetro.
Ad osservare un mondo distorto.
Attraverso il vetro di una
finestra, in un’eterna giornata di pioggia.