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Autore: Notperfect    14/05/2013    6 recensioni
Queen ha 17 anni e da quasi otto anni convive con un peso angoscioso e costante: suo padre. La maltratta fisicamente e psicologicamente e tutto ciò che Queen riesce a fare è chiudersi in se stessa. Riuscirà qualcuno a salvarla da questa situazione e da se stessa?
***
Ogni volta che lo guardo è come se i suoi occhi mi dicessero 'Ti dichiaro in arresto…cardiaco’.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 1.

 

La mia vita è sempre stata piena di alti e bassi. Più bassi che alti in realtà.
Alcune volte ho pensato che l’unica cosa da fare era porre fine alla mia vita perché mi consideravo inutile, insignificante ma se mi fossi uccisa tempo fa, avrei procurato tanto male a mia madre, che già soffriva e soffre abbastanza. Non lo meritava.
Essere figlia unica non ha fatto che peggiorare la mia situazione perché non ho nessuno con cui sfogarmi e nessuno che potrebbe proteggermi dai mali che mi opprimono ogni giorno, inoltre la mia capacità nel relazionarmi con le persone è sempre stato pari a zero. Così le uniche amiche che ho sono Cece e la signora Backy del negozio di antiquariato di fronte casa mia. Passo interi pomeriggi con lei a chiacchierare e lei conosce la mia situazione e si è battuta molto affinché migliorasse ma non ha ottenuto niente e ciò può essere testimoniato dal fatto che mio padre continua a picchiare me e mia madre.
Ci maltratta da quando ho compiuto cinque anni e da quel momento son passati circa dodici anni e ciò non sembra a voler cambiare. Mette le mani addosso a noi non appena succede qualcosa di sbagliato nella sua vita, come quando perde il lavoro o ammaccano la sua auto. Non si controlla, non ha un limite. Non a caso ho avuto il gesso al braccio e alla gamba circa due anni fa ed è solo da due giorni che non ho più il busto attorno all’addome: due costole fratturate.
Mia madre ha perso l’udito con un calcio che le ha dato all’orecchio qualche anno fa. Non l’ha perso completamente, ma può sentire solo dall’orecchio destro. Inoltre cinque anni fa è stata recuperata d’urgenza in ospedale perché le si era spappolata la milza. E’ stato un miracolo se è riuscita a salvarsi e sono grata a Dio per questo.
Io e mia madre ci siamo fatte una promessa: staremo sempre insieme, qualunque cosa accada e non appena avremmo modo di fuggire da lui, lo faremo e andremo lontane.
Dimenticavo, sono Queen White e, a dire il vero, non mi sento proprio una regina.
 
Oggi è il compleanno di Cece, compie diciassette anni e per l’occasione mi ha invitata ad andare al cinema con lei per poi andare a mangiare in un Fastfood all’angolo tra la ventottesima e la ventiseiesima.
Inizialmente le ho detto che non potevo, buttandola sul vago.
In realtà ho paura che mio padre si scateni solo su mia madre. L’idea mi ha fatto accapponare la pelle.
Poi però, mia madre mi ha incoraggiato ad accettare l’invito e non ho saputo contraddirla, nonostante all’inizio abbia esitato parecchio ad acconsentire la sua proposta.
-Queen, dovresti indossare qualcosa di carino. Hai tantissime cose nel tuo armadio, eppure ti riduci sempre ad indossare la solita maglietta e il solito pantalone-. Commenta Cece, guardando gli abiti nel suo armadio.
Siamo a casa sua e si sta preparando. A breve inizierà il film e se non si sbriga, perderemo il primo spettacolo.
-Mi sento a mio agio con questi-. Indico i miei vestiti.
-Certo, ma non saprai mai come ti senti in altri vestiti se non ne provi altri, no?-.
-Be’, si ma…-.
-Niente ma. Prova questi-. Mi lancia un jeans e un top.
-Ma sono i tuoi-. Ribatto convinta.
-Queen, siamo migliori amiche. Non mi dispiacerebbe se li provassi. Vuoi che me ne vada? Ti imbarazza spogliarti davanti a me?-. Sorride.
-No, ma…okay, li provo soltanto-.
Sfilo la felpa che indosso e infilo il top. Tolgo i pantaloni e nel momento in cui sto indossando i suoi, Cece si volta verso di me e nota i lividi e le cicatrici che ho sulle mie gambe e sui miei glutei.
-Queen…-. Sussurra allibita. -..vi picchia ancora? Tuo padre continua a maltrattarvi?-.
Trattengo il respiro e cerco di non incontrare i suoi occhi.
Lei ha sempre saputo ciò che succedeva a casa mia quando mio padre era ubriaco o frustrato ma le avevo detto che non accadeva più e, a quanto pare, c’ha creduto.
-Perché non lo denunciate, cazzo!?-. Continua arrabbiata. -Non ha il diritto di farvi tutto...tutto questo!-.
-E’ mio padre, Cece. Non posso denunciarlo-.
-Che razza di padre farebbe una cosa del genere alla propria figlia? Immagino anche il corpo di tua madre! Ricordo ancora quando tua mamma aveva il naso rotto e uno zigomo spostato. Non dimentico le cose, sai-. Sospira. -Comunque sia, dovete porre fine a tutto ciò ed io farò qualsiasi cosa per aiutarvi, lo prometto-.
Passano alcuni secondi di silenzio alla fine dei quali, accenno un piccolo sorriso. -Grazie, ti voglio bene-.
Mi viene incontro e mi abbraccia. -Ti voglio bene anch’io, ma promettimi che mi permetterai di aiutarti-.
-Va bene, lo prometto-.
-Bene, adesso vestiti. Ci aspetta una bella serata e voglio vederti sorridere-.
 
Dopo aver indossato i suoi abiti, Cece mi ha letteralmente imposto di tenerli addosso per l’intera sera. Sinceramente a me non dispiace, dei begli abiti nuovi non fanno mai male ed io non faccio shopping da circa due anni, credo.
Il film incomincia alle 19:30 e noi arriviamo al cinema giusto un minuto prima. Ci sediamo alla penultima fila perché gli altri sono tutti occupati ma lo sanno tutti che i posti in fondo sono sempre i migliori.
Cece ha scelto questo film e, ovviamente, è d’amore.
E’ barboso, noioso e terribilmente…d’amore!
Odio i film d’amore, forse perché questo principio non mi è mai stato insegnato né dimostrato.
Verso le 21:00 il film termina e finalmente ci dirigiamo verso il McDonald.
Amo questo posto. Posso mangiare ciò che mi pare e tutti lì dentro sorridono e per qualche secondo mi sembra di essere una ragazza normale, con una famiglia e una vita normali.
Ci sediamo a tavola e mentre consumiamo il cibo, chiacchieriamo tra di noi.
-Dovremmo andare a fare shopping insieme qualche giorno-. Propone Cece. -Lo shopping fa sempre bene. E’ rigenerante-.
Sorrido. -Non penso che lo shopping possa risolvere i problemi-.
-Certo che no, ma riesce ad alleviarli. Dovresti provare-.
-Non faccio shopping da un bel po’ di tempo e sinceramente non so da dove cominciare o dove andare-.
-Non a caso sei mia amica ed io sono la regina dei negozi di tutta Stratford-.
-Oh, mi sento lusingata ad essere una tua amica. Sono fortunata-.
Ride. -Ovvio che lo s…-.
Cece si interrompe di sbotto e assume un’espressione strana, un misto tra preoccupazione e lo spavento.
-Cece che succede?-. Mi volto dove anche lei sta guardando, ma tutto ciò che noto sono dei ragazzi che mangiano in disparte e che ridono tra di loro.
Ritorno a guardarla. -Cece mi stai facendo preoccupare. Che succede?-.
-Dobbiamo andarcene-. Si alza in piedi. -Adesso-.
Racimola le sue cose e, afferrando il mio braccio, mi trascina verso l’uscita del locale.
-Mi spieghi che ti è preso?-. Domando sconvolta quando sembra che abbia ripreso a respirare regolarmente.
Si accende una sigaretta. -Ti spiegherò a casa, adesso andiamo in macchina…-.
-No, adesso-.
Sbuffa. -Queen, ti prego…-.
-Tu spiegami cosa succede ed io ti seguirò verso l’auto-.
Sospira. -D’accordo-.
Wow, non pensavo funzionasse.
-Quello è…Justin…Justin Bieber-. Dice sotto voce guardandosi attorno.
Aggrotto le sopracciglia. -E quindi? Sinceramente non so neanche chi sia-.
-Queen, lui è un tipo pericoloso. E’ stato lui a fare a botte con Scott un paio di settimane fa e mi ha anche minacciata-.
Scott è il ragazzo di Cece. In classe mi aveva parlato di una lite che c’era stata tra lui e un altro ragazzo ma non le avevo dato molta attenzione né importanza in quanto la mia vita sociale è sempre stata molto ridotta e ho sempre avuto problemi più gravi a cui pensare.
-Oh…-. Sussulto.
-Per qualunque cosa al mondo non devo e non devi avvicinarti a quel ragazzo. E’ violento e mi ha detto che se avessi parlato di quella lite a qualcuno o che l’avessi denunciato, mi avrebbe…uccisa-.
-Oh, andiamo. Non penso farebbe una cosa del genere!-.
-Be’ c’è gente che dice il contrario-.
Non dico nulla, la scruto attentamente e noto che è davvero spaventata. E’ strano perché lei non ha paura mai di nulla, si mostra sempre forte e combattiva.
-Ora vado a prendere l’auto. Tu aspettami qui. O vuoi venire?-. Domanda, frugando nella borsa per trovare le chiavi della macchina.
-No, resto qui. L’hai parcheggiata lontano, mi annoio a camminare-.
-Oh, grazie per l’aiuto-. dice in tono ironico.
-Non c’è di che-.
Si allontana indispettita e divertita verso il parcheggio dell’edificio ed io mi siedo sul marciapiede proprio fuori l’entrata del McDonald’s.
Fa molto freddo così mi richiudo su me stessa e strofino le mie mani sulle braccia per procurarmi più calore. Alito sulle mie mani e le chiudo in uno scatto quando sento la porta del locale aprirsi e poi chiudersi; dopodiché sento un vocio rumoroso di alcune persone.
Mi volto e scorgo circa cinque ragazzi vestiti apparentemente solo di nero e grigio che complottano tra di loro. Appena mi notano, smettono di parlare ed io mi volto velocemente verso la strada.
-Non ti mangio se mi guardi!-. Esclama uno di loro facendo ridere gli altri.
Che idioti.
-Oh, sei timida. Non ti mangio neanche se mi parli. Ho appena mangiato, non ho fame-.
-Che umorismo-. Sussurro tra me e me.
-Cosa? Hai detto qualcosa?-.
Si avvicina a me e posso vederlo finalmente in faccia. Potrei anche sbagliarmi, ma sembra quel tipo…quello che stava mangiando dentro con altri ragazzi di cui Cece ha paura…Justin, Justin Bieber.
-No-.
-Oh, bene. Pensavo il contrario-. Dice in tono intimidatorio, come se voglia minacciarmi o spaventarmi.
Parla solo lui e questo mi porta a pensare che ha una certa autorità sugli altri o almeno lo venerano come un dio.
-Che ci fai qui da sola? Sembri quasi che tu stia aspettando qualcuno-. Continua, sedendosi accanto a me sul marciapiede.
Mi stringo ancora di più al mio corpo e penso che lui noti il mio disagio in quanto ride lievemente.
-Non sono da sola. Sto aspettando la mia amica-.
-Che peccato. Ti avrei dato un passaggio se fossi stata sola-.
-Mi dispiace per te allora-.
-Woah-. Ride. -Sei anche divertente oltre ad essere timida-.
-Già, potrei stupirti ancora di più, ma non credo ci sarà l’occasione per farlo-.
Ride malizioso. -Che troia-.
-Come mi hai chiamata?-.
-Troia-. Risponde tranquillo.
Mi alzo in piedi di scatto e così fa anche lui. E’ molto più alto di me e anche più muscoloso e possente ma non mi spaventa più di quanto sia già stata spaventata in passato da mio padre. Non sa con chi ho a che fare ogni giorno, lui non è nulla in confronto.
-Non hai il diritto di chiamarmi in questo modo. Non mi conosci. Sei solo un povero idiota che va in giro credendosi Dio sceso in terra-.
Non appena termino di urlargli contro queste parole, sento un dolore alla guancia e alla mascella e mi rendo conto solo pochi istanti dopo che mi ha sferrato uno schiaffo.
-Nessuno può parlarmi in questo modo, tantomeno una puttana qualunque-. Sussurra a denti stretti avvicinandosi al mio viso.
Non reagisco, non dico nulla. Sono abituata alla violenza e a sentire dolore su ogni angolo del mio corpo e so che è meglio non reagire in queste situazioni.
-Ci vediamo in giro-. Alza due dita in segno di saluto e si avvia verso l’uscita del parcheggio seguito dalla sua combriccola.
Gli abusi psicologici e fisici che ho avuta da mio padre, mi hanno resa abbastanza paziente e forte da subire ogni cosa e uno schiaffo non cambierà la mia vita o il mio umore dato che per me è come se fosse la mia dieta quotidiana.
Mi accascio nuovamente sul marciapiede e passano circa altri cinque minuti quando finalmente Cece arriva con la sua Land Rover bianca.
Suona col clacson ed io salgo non dicendole nulla dell’accaduto.
-Scusa se ti ho fatto aspettare così tanto, c’era il parcheggiatore che non riusciva a trovare la mia ricevuta-. Spiega sorridendo, abbassando il finestrino dell’auto.
Scrollo le spalle, girandomi verso il mio finestrino.
-Tutto okay?-. Chiede confusa.
-Si, tutto okay. Ho solo sonno-.
-Uhm, va bene-.
Il tragitto fino a casa è molto silenzioso e solo la radio da segni di vita qui dentro.
Cece accosta proprio fuori casa mia. La saluto ringraziandola per poi scendere ed entrare in casa.
Quando vado in soggiorno vedo mio padre dormire sulla poltrona davanti alla tv con una fila di birre vuote sul tavolino accanto a lui.
Sospiro pensando che almeno per questa sera non riceverò schiaffi, pugni o calci.
Vado in camera di mia madre e anche lei dorme. Mi avvicino e le stampo un bacio e mi viene alla mente la nostra promessa.
Un giorno realizzeremo quel sogno.
 
Il mattino seguente arrivo a scuola qualche minuto dopo che la campanella sia suonata. Mi affretto a correre verso il mio armadietto per prendere i libri di storia e scienze. Mi scontro con una ragazza, mi scuso e poi continuo la mia corsa.
Quando raggiungo l’armadietto, prendo i libri di corsa e lo chiudo nuovamente, sbattendo l’anta.
Sto per voltarmi e andare verso l’aula di storia quando qualcuno si appoggia all’armadietto accanto al mio.
-Vai di fretta?-.
Scorgo due grandi occhi color miele, una bocca carnosa e un naso perfetto a pochi centimetri dal mio viso. E’ di nuovo lui, quel Justin Bieber.
Sembra quasi che Dio lo faccia apposta, che metta sulla mia strada le persone più cattive e violente al mondo ma so anche che Dio non commette errori e ci sarà un motivo per ciò.
-Si, ciao-. Lo scanso e inizio a camminare velocemente.
-Woah, aspetta!-. Afferra un braccio e fa in modo che mi giri verso di lui.
-Lasciami, mi fai male-.
-Ma se non sto neanche stringendo-.
Abbasso lo sguardo e non dico nulla. Non voglio che sappia che sotto quello strato di felpa c’è un livido procuratomi da mio padre. In effetti la sua presa sul mio braccio non è molto forte.
-Lasciami-. Ripeto.
-Okay, sta’ calma-.
Lascia il mio braccio e mi scruta attentamente. Io non riesco a sorreggere il suo sguardo. In realtà non riesco a guardare nessuno negli occhi. Sono troppo debole, troppo inferiore, troppo intimorita.
-Sei isterica-. Commenta divertito.
-Che cosa vuoi?-. Domando evitando la sua affermazione.
-Oh, vedo che lo schiaffo di ieri non è servito-.
-A cosa dovrebbe servire? Non mi piegherò ai tuoi ordini se è ciò che vuoi-.
-Nessuno mi parla con autorità, ragazza. Devi smetterla di farlo-.
-Tu non avvicinarti a me, vedi che poi non ti parlo più-.
Ride.
-Che c’è da ridere?-. Domando. -Credi che adesso ti debba chiedere anche scusa?-.
-Sarebbe l’ideale-.
Alzo un sopracciglio. -Spostati, devo andare in classe. Non ho tempo per te-.
-Cosa avevo detto del tono di voce con cui mi parli?-.
-Senti…-. Sbotto frustrata, chiudendo gli occhi per calmarmi. -…se non mi lasci in pace, perderò la lezione ed io ho già fin troppi problemi a cui dare importanza-.
-Vedo che proprio non capisci: non sei nessuno per parlarmi in questo modo-.
Non dico nulla, non voglio reagire, non ne ho la forza ormai.
Lo scanso e mi dirigo verso la porta dell’aula di storia.
-Ehi! Ti sto parlando!-.
Mi ricorre e mi sbatte contro il muro con una spinta alquanto violenta.
Gemo dal dolore e mi accascio a terra, tossendo.
-M-mi dispiace-. Dice e sembra che non sappia cosa fare. Forse è sorpreso dalla mia debolezza, ma lui non sa…non sa nulla.
Esita sul da farsi per un po’ per poi tirarmi su come se fossi una piuma.
Mi ricompongo e sento una lacrima fuoriuscire dal mio occhi sinistro. L’asciugo in fretta e sento il suo sguardo confuso e sorpreso sul mio viso.
-Che cosa vuoi?-. chiedo flebilmente trattenendo le lacrime.
-Io…volevo solo scusarmi per ieri. Ci vediamo in giro-.
Si volta e se ne va, lasciandomi sola, confusa e dolorante.
 
 
 
 
Ciao a tutte! Spero che con questo primo capitolo
vi abbia fatto un po’ incuriosire. La trama è un po’ insolita
ma spero che questo vi sproni a leggerla!
Continuo non appena questo capitolo riceve recensioni.
Se vi va, passate sul mio profilo!
Un bacio, notperfect :)

   
 
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