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Autore: Ranessa    02/12/2007    4 recensioni
«Dunque si diventa ciò che si è» (F. Nietzsche)
[Terza classificata al V contest di Acciofanfiction]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Nota: Terza classificata al V contest di Acciofanfiction 'Storie ispirate da una citazione'.


[ Non può più parlare ]


«Dunque si diventa ciò che si è»
(F. Nietzsche)


[Regulus]

Brucia.
Di un calore subdolo ed oscuro.
Lo osservo attentamente, ancora affascinato dalla novità.
E lo sento mio mentre pulsa ritmicamente sul mio avambraccio sinistro.
Mi piace. Ne vado fiero.
Eppure mi rendo conto che, forse, non lo comprendo appieno.


[ No one is anything ]


[Sirius]

Siedo esattamente al centro della stanza.
L'arazzo che percorre le pareti trattiene la polvere e il calore e confonde, rendendo l'ambiente soffocante.
Osservo il volto di mio fratello, gli occhi scuri e il suo nome scritto elegantemente.
Regulus Arcturus Black.
Non si può dire che lo invidi, che mi dispiaccia incontrare al suo fianco i bordi bruciati della stoffa laddove dovrebbero essere invece i miei lineamenti, i miei capelli, la mia bocca e, soprattutto, i miei occhi. Mi turba, nient'altro, in una maniera che non mi sarei aspettato e che ho difficoltà ad ammettere anche con me stesso. Distolgo lo sguardo e lascio che si perda per la stanza, soffermandosi su nomi che non conosco e volti che non ho mai incontrato. È tutto ciò che posso fare mentre sono costretto ad attendere se non voglio ricominciare a pensare, a domandarmi cosa ci faccio qui, proprio in questa casa dopo così tanto tempo, o a cosa possa servire.
Perchè, nonostante tutto, io mi senta in dovere di farlo.
Perchè, nonostante tutto, io mi preoccupi ancora per lui.

Quando sento aprirsi la porta dell'ingresso mi alzo di scatto e per un momento mi gira la testa. Riconosco i passi diretti verso le scale come quelli di mio fratello, riecheggianti per il corridoio che lo condurrà necessariamente a passare di qui. Mi appoggio allo stipite della porta, deciso ad osservarlo avanzare nella penombra in quei pochi istanti di vantaggio che ancora mi restano su di lui.
«Fratellino...»
Lo vedo sussultare, fiocamente illuminato da torce e candele.
«Cosa ci fai qui?» domanda stupito, guardandosi intorno come se si aspettasse di scovare altri me nascosti tra i mobili e l'oscurità, pronti ad accerchiarlo minacciosi.
«Che accoglienza maleducata, Regulus» commento in tono fintamente offeso. «Di certo non degna di un nobile Black!»
«Cosa vuoi, Sirius? Non appartieni più a questa casa» sibila dal punto del corridoio in cui si è fermato, puntando i piedi sul legno lucidato del pavimento.
Ignoro il suo commento acido, limitandomi a meditare tra me e me che la scelta del verbo appartenere è al contempo estremamente corretta e atrocemente errata. Gli faccio cenno di seguirmi nella stanza e rimango spiazzato dal suo quasi impercettibile indietreggiare iniziale. Mi turba l'idea che mio fratello possa avere paura di me, pur non essendo sicuro che sia realmente così. È arrivato esattamente di fronte a me, ancora fermo sulla porta, quando un rumore sordo proveniente dai piani alti lo spinge ad arrestarsi di nuovo.
«Cos'è?» chiede allarmato.
«Temo che il tuo cordiale elfo domestico abbia, uhm, esagerato nel tentare di impedire il mio ingresso in questa casa». Sogghigno nel vedere i suoi occhi dilatarsi dallo stupore per poi restringersi, socchiudersi preda della rabbia. Fa per darmi le spalle e raggiungere Kreacher su per le scale, ma io lo afferro saldamente per un braccio.
«Dentro!»
Lo spingo senza troppo riguardo all'interno della stanza.


[Regulus]

Non riesco ad impedirmi di portare una mano a massaggiare delicatamente il braccio stretto da Sirius e me ne vergogno. La porta si richiude alle spalle di mio fratello con uno scatto secco. Sirius incrocia le braccia sul petto e inizia a misurare la stanza con piccoli passi studiati.
«Dobbiamo parlare».
«Io non ho nulla da dirti, Sirius».
«Nè io ti ascolterei se invece l'avessi, fratellino». Mi scruta attraverso l'aria polverosa dell'ambiente, massaggiandosi una guancia in maniera apparentemente distratta.
«Sai perchè ti ho fatto entrare proprio in questa stanza?» inizia pronunciando con cura le parole, senza però attendere una risposta per proseguire. «Non perchè osservassi i nostri illustri antenati, Regulus, ma perchè loro osservassero noi... Almeno quelli che hanno ancora gli occhi per farlo» aggiunge accennando appena un sorriso storto.
«Stai delirando, Sirius» replico, vagamente inquietato dal suo comportamento.
«No, fratellino, penso soltanto che la vergogna della famiglia Black sia realmente contenuta in questa stanza» inizia ad avanzare lentamente verso di me. «E che non siano le persone senza più un volto né un nome». Si ferma un solo istante di fronte a me per osservarmi intensamente prima di alzare un braccio in aria e colpirmi, un pugno sicuro e violento. Lo intravedo indietreggiare attraverso il sangue che mi scorre copioso dal naso mentre porto le mani a coprirmi il volto, preso terribilmente alla sprovvista dal suo gesto repentino; si ferma soltanto quando la sua schiena arriva a toccare la porta e vi si abbandona contro. Decido stupidamente di cercare indizi di rimorso nella sua figura. Dai capelli raccolti in una coda bassa ai jeans babbani, gli occhi scuri e le nocche arrossate, nulla suggerisce che sia dispiaciuto per ciò che ha fatto.
«Perchè diavolo l'hai fatto?!» gli domando rabbiosamente con una voce che non è la mia, prendendo rapidi respiri faticosi dalla bocca. Il sapore metallico del sangue mi dà la nausea.
«Perchè diavolo l'hai fatto tu!»
«Fatto cosa?!»
Il volto di mio fratello è una maschera di rabbia; attraversa nuovamente le breve distanza che ci separa e sferra un secondo colpo potente, allo stomaco. «Fatto cosa?!» ripete. «Non hai neanche il coraggio di ammetterlo! Già pentito, fratellino?» Lascia che mi accasci lentamente al suolo aggrappandomi alle sue braccia per poi strappare brutalmente la manica sinistra della mia veste e scoprire il candore della mia pelle.
L'avambraccio brilla di un'oscurità assoluta e netta. Le linee del serpente si inseguono tra le orbite vuote del teschio e il Marchio pulsa. È fascinoso e, per una volta, è mio. È qualcosa di esclusivamente mio.
«E' questo che ti porta qui? Il mio Marchio?»
«Come hai potuto?» chiede scuotendo la testa, riducendo la sua voce rabbiosa e penetrante a un sussurro.
«Non ti riguarda, Sirius. È una cosa solamente mia. Lo capisci?» Porto la mano destra a coprire il Marchio, come se temessi che la sua sola vista possa spingere mio fratello a colpirmi ancora. In realtà, forse, lo faccio solo per sottolineare quel concetto di appartenenza, di proprietà, che è così lampante nella mia mente quanto incomprensibile per Sirius.
«Come puoi pensare che io possa capire, Regulus, quando non c'è nulla da capire!»
«Nulla? Non puoi saperlo!» replico con ferocia, alzandomi incerto sulle gambe molli ed avanzando verso di lui. Sirius ride, in quel modo particolare che riserva esclusivamente a chi non ritiene suo pari.
«Vuoi colpirmi anche tu, fratellino?»
«Voglio dimostrarti che non sei superiore a me solo perchè abbiamo ideali diversi».
Pulisco le mani sporche del mio sangue sulla veste, stringendo la stoffa tra i pugni.
«Quali ideali, Regulus? L'omicidio? La tortura?» Mentre parla mi volta le spalle, portando una mano a percorrere la stoffa antica dell'arazzo. Traccia con le dita i contorni del mio volto magro.
«Un mondo migliore. Una possibilità per tutti noi».
«Noi chi?»
«Anche tu, se soltanto volessi» mi ritrovo mio malgrado a rispondere, consapevole che non vorrei mai che fosse così. Non lo vorrei al mio fianco. Non vorrei condividere con lui la mia maschera, la mia speranza, vorrei solo che mi capisse, anche se, finalmente, non lo ritengo più indispensabile.
Quando la sua mano raggiunge i miei occhi il pugno si contrae, sembra quasi che voglia strappare il ricamo dalla parete o colpire anch'esso a tradimento.
«Un giorno Regulus, tu cambierai idea...»
«Non accadrà» ribatto con estrema fermezza.
«... e vorrai solo cancellarlo. Lo detesterai e ne sarai disgustato. Come io detesto te e sono disgustato di pensarti ancora come un fratello».
Mi sposto nella stanza sino a cogliere il profilo del suo viso, a tratti così paurosamente rassomigliante al mio. Noto la smorfia in cui le sue labbra si contraggono quando pronuncia le ultime parole con voce sicura, come se davvero potesse vedere senza difficoltà nel futuro. Per un momento, uno soltanto, ho paura che sia realmente così.
«Quando, Sirius? Quando mai hai pensato a me come a un fratello?»
«Sempre» risponde senza riuscire a convincermi. «Ma non ho mai creduto che potessi essere così vigliacco».
«Si vede che non mi conosci affatto, Sirius. Io non sono un vigliacco, non più».
«Allora lo diventerai presto, ma alla fine non c'è differenza, no?, tra essere e diventare».
Mi lascia così, senza chiudere la porta alle sue spalle e senza darmi l'opportunità di contraddirlo ancora una volta.
Il mio naso sanguina ancora e qualcosa mi impedisce di pensare.


[Narcissa]

«Cosa vuoi fare?!»
Il sorriso flebile non lascia le sue labbra, come a voler indicare un silenzioso tentativo di scusarsi. Non riesco a crederci ed è forse questo a trattenermi dall'aggredirlo immediatamente, così come invece il mio istinto mi suggerirebbe di fare.
«Hai capito bene, Narcissa» inizia a ripetere lui come se stesse parlando ad una bambina, con quell'odioso tono di voce che tutti usano ormai con me da quando la mia pancia è diventata talmente grande da non poter più essere ignorata, e chissà perchè, poi. «Guarda, è già tutto pronto». Infila una mano pallida nella tasca interna della sua veste sgualcita e ne tira fuori un pacchetto bianco. La carta scricchiola lievemente tra le sue mani mentre ne estrae un oggetto scuro, sporco e dall'aspetto antico.
È un medaglione. Regulus si sporge verso di me avvicinandolo alle mie mani, nella speranza che lo prenda immagino, ed io mi ritraggo istintivamente, aggrappandomi con ferocia al bracciolo del divano.
«Non morde» commenta mio cugino in tono neutro, tenendo lo sguardo fisso sull'oggetto che ha in mano. «Sei l'unica a cui lo abbia detto, Cissa» mi confessa senza trovare il coraggio di alzare gli occhi a incontrare i miei.
«E questo dovrebbe farmi piacere?! Dovrei sentirmi lusingata, Regulus?!» Mio cugino alza repentinamente lo sguardo verso di me, con un'irritante espressione sconcertata sul volto. Mi osserva con occhi ingigantiti dalla luce tremula delle candele, apparendo più che mai per quel che è: un ragazzino, appena affacciatosi all'età adulta e spaventato. Eppure non posso perdonarlo, non posso evitare di portare le braccia a stringere il mio ventre e digrignare i denti, in un gesto di stizza e protezione insieme.
«Davvero non capisci?» gli domando alzandomi con fatica dal divano.
«Cosa, Narcissa, cosa non capisco? Saboterai il mio piano? Mi tradirai?» anche la sua voce inizia ad alzarsi, Regulus lascia la sua poltrona e si dirige verso l'ampia porta finestra; vi si ferma davanti, dandomi le spalle, le nocche sbiancate intorno al medaglione che ancora stringe. «Credevo che saresti stata dalla mia parte, Cissa.» Volta lievemente la testa, per osservare con disgusto il suo avambraccio sinistro. «Che anche tu l'avessi fatto perchè costretta. Per... le ragioni sbagliate».
«Io ho una famiglia da proteggere, Regulus! Non capisci che venendo qui e dicendomi tutto questo la metti in pericolo?!»
Mio cugino non si volta, ma posso vedere la sua espressione stupita riflessa sul vetro lucido della finestra, così come lui può vedere il mio ventre e le mani che lo carezzano protettive. È fin troppo palese che, preso dai suoi sogni di riscatto, il pensiero di potermi mettere in pericolo non deve averlo nemmeno sfiorato.
Regulus ripone il medaglione nella tasca della veste per poi allungare il braccio verso la finestra, vi poggia contro il palmo della mano.
«Volevo solo fartelo sapere, Narcissa, perchè non so se avrò davvero il... coraggio di farlo».
«Lo avrai» replico senza esitazioni, ma senza realmente sapere se ne sono convinta, costretta ad ammettere con me stessa che forse desidero solamente porre fine alla conversazione.
«Sono sempre stato un codardo, Cissa» mormora sorridendo appena, tornando finalmente a voltarsi e guardarmi in faccia. «In questo mio fratello ha sempre avuto ragione ed è difficile cambiare».
Immagino che dovrei negare, ma i suoi occhi mi paralizzano, mi chiedono ancora una volta, silenziosamente, se ho intenzione di tradirlo e mi sconvolge scoprire che non lo so. Non so cosa farò, né cosa vorrei fare.
«Non penso affatto che tu sia un codardo, Regulus» mi costringo infine a commentare.
«Allora, forse, lo si può diventare» replica in tono rassegnato. «Sì, forse è semplicemente ciò che sono improvvisamente diventato, Narcissa, perchè ho così tanta paura...»
Si volta nuovamente verso l'ampia finestra.
«Regulus» inizio, senza realmente sapere cosa dire. «Non sono stata costretta. Nessuno di noi è stato costretto».
Lo osservo ancora una volta riflesso nel vetro.
«Lo so, e mi dispiace. Per aver messo in pericolo te e il bambino... E anche Lucius» aggiunge poi.
Due lacrime sottili gli solcano le guance.


[ What am I dying for? ]


[Sirius]

Bussano alla porta con quella che, chiaramente, è incertezza.
«Un'altra dolce pulzella che viene a domandarti come mai non rispondi più ai suoi gufi?» chiede James alzando un sopracciglio nella mia direzione, palesemente divertito.
«La tua è tutta invidia, amico mio» replico accennando al suo anulare sinistro. «Perchè io ricevo ancora i gufi delle ammiratrici e tu non puoi più» concludo con uno dei miei sogghigni migliori, soddisfatto che l'unica cosa che James riesce a replicare sia un flebile «Avanti» rivolto alla porta ancora chiusa. Il legno ruota silenziosamente sui cardini e Remus compare nella cornice della porta, scuro contro la luce potente del corridoio retrostante. È fradicio di pioggia e lievemente incerto sui piedi. I capelli gli ricadono disordinatamente sulla fronte e la sua veste emette un fastidioso suono liquido mentre avanza nella stanza, lasciando una striscia d'acqua piovana a testimonianza del suo passaggio. Mi sorprende notare una nuova sfumatura di bianco tra i suoi capelli e due lunghe rughe che gli solcano la fronte aggrottata.
«Mio Dio, Remus» lo accoglie James. «Credevo ti fossi ormai ripreso dall'ultima luna piena!» James lascia il tavolo al quale è seduto per andare a dargli una pacca scherzosa sulla spalla e chiudere la porta. Remus non sorride in risposta, si limita ad annuire, forse in segno di saluto, forse concordando. Riguardo a cosa, non saprei dire.
«Come mai qui?» gli domando voltando le spalle all'ambiente freddo, lo sguardo rivolto fuori dalla finestra, verso un mondo costituito da un'unica strada stretta di acciottolato sconnesso, un lampione acceso da poco sotto la pioggia che continua a scrosciare insistente e una luce del giorno che inizia lentamente a scemare. «Non dovresti essere in missione?»
«Per l'Ordine» aggiungo poi, senza che ce ne sia realmente bisogno.
Mi invade uno spiacevole presentimento, qualcosa che mi turba e spinge, forse, a immaginare cose che in realtà non sono. Un ragazzo attraversa velocemente la strada, riparandosi la testa dalla pioggia con le braccia. Si ferma al centro della via così repentinamente da farmi sobbalzare. Si volta nella mia direzione con lentezza estenuante, rivelando un viso giovane brutalmente deformato da una smorfia di puro terrore; ha capelli e occhi scuri e la pelle bluastra di chi è preda di un freddo feroce.
Penso, ridicolmente, che è come se stesse annegando.
Sta annegando nella pioggia.
«Sirius!»
«Sì?» mi volto sorpreso, intuendo che probabilmente deve avermi chiamato più volte. «Cosa c'è?»
«Devo parlarti».
Remus ha preso posto sulla sedia di James e fa di tutto per non guardarmi direttamente, le mani intrecciate abbandonate in grembo.
«Sì» rispondo, tornando a guardare fuori dalla finestra conscio che non ritroverò gli occhi del ragazzo fissi nei miei.
«Ho una brutta notizia, Sirius» inizia Remus con voce incerta. «Io... io non so neanche come dirtelo...»
James trattiene il respiro, lo sento nel silenzio improbabile della stanza.
«Tuo fratello è morto».

Contraggo i pugni involontariamente, per la scelta oculata che ha fatto delle parole. Tuo fratello è morto. Non ha detto Regulus, ha detto tuo fratello, per ricordarmi che eravamo in qualche modo ancora legati, per sottolineare che dovrebbe far male.
Dovrebbe, ma non è così. Non ancora.
Mi volto poggiando la schiena contro l'ampio vetro, perchè tanto, ora che il ragazzo se n'è andato, immagino che il mondo esterno non esista più e osservarlo ha perso di senso e significato. Ora il mondo è solo questa stanza. Il pavimento è qualcosa di incredibile, il legno del parquet si unisce a tratti di pietra spoglia e alla polvere. I muri sono percorsi da lunghe crepe sottili e il tavolaccio scuro è tutto ciò che occupa l'ambiente, accompagnato da una sedia soltanto, quella su cui Remus ancora siede con le spalle curve, il mento abbassato. I nostri mantelli sono ripiegati sul ripiano unto del tavolo; dalla finestra alle mie spalle entrano spifferi maligni.
«Sirius...» questa volta è James a richiamare la mia attenzione, ma non è la sua voce che voglio sentire. Mi rivolgo a Remus, la cui immagine mi giunge leggermente sfocata e non so il perchè.
«E' annegato?»
Remus si raddrizza di scatto sulla sedia, spinto dallo stupore.
«Come, scusa?»
«Sirius...» tenta di intervenire ancora James, ma un gesto secco del mio braccio lo riduce facilmente al silenzio.
«Vorrei sapere... se è annegato».
Percorro con le dita della mano destra i solchi profondi della mia fronte aggrottata, perchè io stesso non sono sicuro di comprendere appieno la mia domanda.
«Sai per caso se è annegato?»
«No, Sirius, io...»
La sua risposta si spegne miseramente. Io annuisco, tornando a voltarmi verso la finestra. Ha smesso di piovere.
Mi domando come possa essere annegato se ha smesso di piovere


[Narcissa]

«Voglio dirglielo io!»
Bellatrix irrompe nella sala, seguita a breve distanza da mio marito.
«Fermati!» le intima Lucius, afferrandola con scarsa gentilezza per un braccio.
«E' mio diritto, Lucius» replica acidamente mia sorella. «Non era parente tuo!»
«Ah, ora eravate parenti! Non è più una vergogna per la famiglia alla stregua di suo fratello?!»
«Lasciami!»
«Smettetela!»
Poso il libro sulle mie gambe, tenendo il segno con due dita.
«E'... già successo?» domando, cogliendoli palesemente alla sprovvista.
«Narcissa...» Lucius lascia il braccio di mia sorella, osservandomi stupito.
«Regulus è morto?»
Quando la prima lacrima raggiunge la copertina rigida del libro penso, come se ci fosse bisogno di sottolinearlo, che sto piangendo. Eppure mi rendo conto che stavo piangendo già prima che varcassero quella porta.
E' già successo?
Forse stavo piangendo ancora prima che sapessero.

«Eroe» gli ho detto, senza sapere se lo credevo realmente o meno.
Lui ha asciugato le due lacrime e ha sorriso.
«Non sto scherzando, saresti un eroe».
«L'uso del condizionale è d'obbligo» ha sbuffato.
«Non lo sei ancora, Regulus, ma lo diventerai».
«Quindi cosa sono adesso?»
Non ho risposto. Perchè il mio bambino si è mosso dentro di me.
Mi è parso quasi un avvertimento ed io ho capito. Ho capito prima di tutti. Ho capito, guardandolo negli occhi, che anche lui sapeva.
Anche lui sapeva già ma lo avrebbe fatto ugualmente.



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[Regulus]

Brucia.
Di un calore subdolo ed oscuro.
Immagino sia perchè sto per tradirlo.
E mi domando cosa resterà di me mentre pulsa ritmicamente sul mio avambraccio sinistro.
Lo detesto. Ne sono disgustato.
Eppure mi rendo conto che, forse, non è semplicemente ciò che sono diventato.
È tutto quello che sono sempre stato.

   
 
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