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Autore: deadjoke    14/05/2013    0 recensioni
La storia di un'amicizia che dura durante gli anni, nel cuore e nella mente della persona che conta
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un pomeriggio d’estate, caldo, ma con piacevoli brezze alternate.

Un uomo sedeva dentro casa, di fianco alla finestra aperta, egli si rilassava, sorrideva guardando gli alberi ed il cielo, avvicinò la mano al pacchetto di sigarette che teneva nella tasca della camicia, ma qualcosa lo fermò.

Abbassò la mano e, facendo un mezzo sorriso, riportò lo sguardo al paesaggio. 

Entrò nella stanza un bambino, suo nipote, gli diede un bacio sulla guancia e si sedette davanti a lui.

Il bambino, con aria spensierata gli disse

-Nonno, tu non mi hai mai raccontato una storia- 

Il signore, guardando negli occhi il piccolo, fece un sorriso.

-Tutti gli altri miei amici dicono che i loro nonni gli raccontano molte storie, ma tu non me ne hai mai raccontata una, perchè?-

L’anziano signore, guardò per un istante il basso, sempre col sorriso, rialzò lo sguardo e rispose.

-Perchè sei ancora troppo giovane figliolo, quando sarai più grande potrò raccontarti una storia, una vera, non come quelle che viene raccontata ai tuoi amici, io ti dirò tutto, ti dirò la verità-

-E quando pensi che potrò ascoltarla questa storia?- 

Domandò incuriosito il piccolo bambino.

-Presto, te lo prometto- 

 

Passarono quattro anni, il bambino era ormai cresciuto, aveva ormai sedici anni, e nonostante il tempo passato, un giorno, tornò da suo nonno.

Lo trovò sempre là, seduto vicino alla finestra, con una mano appoggiata alla tasca della camicia e l’altra mentre stringe il braccio. 

Il ragazzo entrò nella stanza, diede un bacio sulla guancia del nonno e, sedendosi nuovamente davanti a lui, domandò.

-Ora nonno, posso ascoltare quella storia?-

L’anziano si mise a ridere e quando si fermò, tirò fuori il pacchetto di sigarette, con una mano tremante ne prese una e se la portò lentamente alla bocca. 

-Credo che ora tu sia pronto per una vera storia, una di vita e di morte- 

Soffiò una leggera brezza marina nella stanza, piacevole, che si disperse rapidamente, si accese la sigaretta, tirò un sospiro ed iniziò.

 

 

 

Avevo ventun anni all’epoca, non c’era nessuna guerra importante nel mondo, nonostante ciò si viveva sempre con un piccolo terrore che ne nascesse una, un piccolo conflitto, che poi si diramasse in una spietata carneficina, molti stati possedevano le risorse o i mezzi per costruire testate nucleari e ciò metteva paura a chiunque, ma la guerra credo abbia ben poco a che fare con questa storia. 

Come ho già detto, ero giovane, ai tempi andavo ancora a scuola, all’università, ci andavo volentieri, anche se non tutto era sempre perfetto, ovviamente. 

A tenermi sempre compagnia c’era il mio migliore amico, Ben Rolls, lo conoscevo da quando cominciai ad andare alle scuole medie, era sempre stato un tipo particolare, buono, gentile, silenzioso per molti, ma chiacchierone per altri. 

Ciò che molti non vedevano in lui era visto da molti altri, due lati di una medaglia o, se preferisci, due maschere diverse. 

Io e lui diventammo amici un giorno, uno qualunque, era pieno pomeriggio, all’intervallo dal rientro pomeridiano a scuola ci stavamo tutti pian piano avvicinando al portone principale per far ritorno nelle nostre aule, c’era chi entrava in ritardo perché aveva fatto male i calcoli riguardo a quanto andare lontano durante la pausa, chi era pronto davanti al portone per entrare e sedersi immediatamente al proprio posto, chi invece arrivava qualche minuto dopo perché si era nascosto nei parcheggi della scuola a fumare di nascosto e poi c’era Ben.

Quel giorno, mentre pian piano tutti si avviavano verso la scuola, lui tornò indietro e mi urtò, mi chiese scusa e io, scherzando, gli dissi “vai nella direzione sbagliata, la scuola è dall’altra parte” lui mi guardò dritto negli occhi, con un sorriso abbagliante, alzò poi la testa al cielo e rispose “non oggi... per me oggi la scuola sarà il mondo”

riportò lo sguardo verso di me e disse “perché non vieni anche tu? ci sono troppe cose da imparare la fuori”.

Rimanemmo fermi per qualche istante, io, in pietoso silenzio, non sapevo cosa rispondere, le sue parole mi avevano lasciato di stucco, erano cose che chiunque aveva pensato almeno una volta, ma lui le stava mettendo in pratica, abbassai lo sguardo e andai avanti.

Quando arrivai al portone mi fermai, vidi in lontananza la mia aula, il mio banco, gli stessi che vedevo ogni singolo giorno e che avrei dovuto rivedere per altri anni, fino a poi cambiare con aule e banchi nuovi, quel pensiero mi fece rigirare lo stomaco.

Puntai i piedi e girai di centottanta gradi, mi diressi verso il cancello e misi una mano sulla spalla a Ben.

Lui mi guardò sorridendo, mi strinse la mano e si presentò, la sua stretta era semplice, ne troppo forte ne troppo debole, una stretta giusta, ma quel contatto emanava tanta bontà. 

Come prima cosa, facemmo un giro in città, visitammo un paio di musei, gli stessi che da più di quattro mesi i professori promettevano di portarci a vedere se i fondi scolastici non fossero stati così bassi, osservammo in silenzio la maggior parte delle opere, le contemplammo per la loro bellezza, per la loro poesia, per la loro armonia e per il loro caos, ogni descrizione di espressione vera e propria che l’artista voleva dare non ci interessava, l’artista avrà voluto pur raffigurare qualcosa di specifico, diceva Ben, ma la vera importanza nell’opera d’arte sta nel provare a sentire i sentimenti che l’artista provava quando l’ha creata.

Dopo qualche ora di musei camminammo, tanto, per la città, la vedemmo per il suo intero splendore, per ciò che era stata osservando gli edifici più vecchi, per ciò che era tramite quelli nuovi o ristrutturati e per quella che sarebbe diventata.

Camminammo per ore e ore, sotto il sole e accompagnati dal vento, il suono del mondo come colonna sonora e il paesaggio come cornice, era una giornata perfetta, nulla di paragonabile a ciò che si provava stando tra quattro mura grigie. 

Alla fine ci sedemmo in un parco molto grande, un posto incantevole, vicino al passaggio di un piccolo laghetto, rimanemmo seduti li, col sole che sbatteva sopra le nostre teste e le gocce di sudore che grondavano sulle magliette. 

Lui era li, seduto accanto a me, sempre sorridente, mentre osservava tutto quello che accadeva intorno a noi. 

Chiacchierammo molto, scoprimmo di avere molte cose in comune e ad avere gli stessi gusti riguardo le ragazze, eravamo entrambi cotti di una ragazza più grande, una dell’ultimo anno e fu proprio parlando di quella ragazza che mi disse.

“Hai tanti amici nella scuola?” 

“Non molti, direi che per lo più sono amicizie da scuola”

“Pensi di rivederli ancora una volta finiti gli studi dove siamo ora? Sai, quando tutti si separeranno e andranno in licei diversi”

“Non saprei, penso di si, penso che con qualcuno rimarrò ancora in contatto”

“Non è triste? Passare anni e anni a conoscere persone, volti, gusti, emozioni, certe volte anche amori e poi, al termine della carriera scolastica, dover ricominciare tutto da zero, non sarebbe più bello se si potesse continuare sempre con la stessa gente?”

“Credo che se si andasse con la stessa gente per così tanto tempo, alla fine non si avrebbe l’opportunità di conoscere persone nuove, saremmo costretti a rimanere sempre con gli stessi amici, con le stesse cotte e con gli stessi bulli, fino alla fine... Dici così perché non vuoi perdere dei buoni amici?”

“No, non ho buoni amici nella scuola, forse solo tu lo sei, o almeno, sei la persona che più ci si avvicina... è solo che non mi sembrava giusto dover dividere certe persone”

“Le vere amicizie non si separano tanto facilmente”

 

Quella fu la prima chiacchierata intelligente che feci da anni, non c’erano battute o doppi sensi, le parole avevano una forma e un sentimento, quello che disse era sincero. 

Dopo quel giorno continuammo a frequentarci, ridevamo, scherzavamo e, ogni mese, facevamo la nostra escursione in città al posto di andare a scuola, a distanza di un mese per volta i miei genitori non lo vennero mai a sapere e la scuola non diede mai problemi. 

Quando arrivò l’ultimo giorno, dell’ultimo anno, Ben mi si avvicinò, mi abbracciò e, sempre sorridendo, mi ringraziò per tutti i momenti passati insieme, sapeva che ci saremmo divisi, che saremmo dovuti andare in un liceo diverso e avremmo dovuto conoscere nuove persone, ma così non fu, gli chiesi in quale liceo andasse e lo seguii, seguii quello che reputavo un vero amico.

Rimanemmo insieme per anni, fino all’università, cercavamo sempre di aiutarci a vicenda con le materie, se io andavo male in algebra lui mi dava ripetizioni, se lui andava male in chimica io gli facevo capire le formule giuste e, quando accadeva che entrambi andavamo male in una materia, ci mettevamo entrambi d’impegno per cercare di recuperare i voti.

Arriviamo ora a quando avevamo vent’anni, era un bel periodo, nulla era cambiato nell’arco degli anni, eravamo sempre ottimi amici, la sera, nei weekend, andavamo ogni tanto in qualche pub a bere una birra in compagnia, cercavamo sempre di rimorchiare qualche bella ragazza seduta tutta sola o insieme a qualche bella amica, molte volte andava male, ma certe volte, quelle volte in cui andava bene, eravamo al settimo cielo ed eravamo sempre pronti a concludere. 

Fu durante una di quelle serate che conobbi quella che sarebbe stata la mia futura moglie, tua nonna. 

Gli piaceva tanto Ben, tant’è che all’inizio aveva una cotta per lui, ma durante una sera, mentre lei era a pezzi dopo aver scoperto di non piacergli, Ben la guardò, la strinse forte e le disse qualcosa, poi guardarono entrambi me e dopo pochi minuti mi raggiunsero al tavolo dove stavo seduto da solo ad aspettarlo.

Scoprii così che era lei quella giusta, non solo da una semplice occhiata, ma da tutte le cose che avevamo in comune, dall’odio per la musica di quel tempo, all’amore per il cinema. Tutto mi piaceva di lei. 

Una sera, mentre io e tua nonna eravamo seduti al bar, vedemmo arrivare Ben, si sedette davanti a noi, ma non era lo stesso, il suo sorriso non era più sincero, era una maschera, preoccupato, lo guardai negli occhi e gli chiesi. 

“Hey, va tutto bene?”

“Si... No... Sai, arriva un momento nella vita, in cui non si sa più cosa fare, cosa si farà in futuro, ho sempre cercato di sorridere al futuro sperando che tutto potesse andare sempre per il meglio, ma non ho più le forze per sorridere, la verità è che ho paura per quello che succederà” 

“Amico mio, tutti abbiamo paura di questo, non sei il solo, fidati, non esiste segreto per stare bene pensando al futuro, tutto ci è oscuro, possiamo solo sperare che in quella coltre nera che chiamiamo futuro ci sia una luce e che ci aspetti qualcosa di bello”

Lui, guardando il tavolo, sorrise e poi, sollevando lo sguardo lentamente verso di noi iniziò a ridere

“Sarà quel che sarà, io mi godo il momento, con voi, il mio migliore amico e la sua anima gemella, perché ora, non ho le forze per attraversare quella coltre nera” 

Feci portare qualche drink e brindammo ai bei momenti passati e a quelli avvenire. 

Il giorno dopo venni a sapere che Ben si era trasferito, aveva lasciato una lettera al preside della scuola, non mi disse cosa c’era scritto, vidi solo grande preoccupazione nei suoi occhi quando la mise via nella sua scrivania. 

Andai di corsa a cercarlo, ma fu tutto inutile, era scomparso. 

Quando tornai a casa trovai una lettere, scritta da lui, tra la posta.

La lettera diceva.

 

“Caro amico.

Abbiamo passato insieme gli anni migliori della nostra vita, tra disguidi, risate e amori trovati, tu mi sei sempre stato vicino, mi hai sempre seguito e sostenuto ogni qual volta lo ritenevi giusto, sei stato per me un amico e un fratello, una figura a cui poter raccontare tutto di me.

Vorrei averlo fatto. 

Qualcosa non ti ho mai raccontato, questo è vero, dubito che potrai udirlo dalla mia voce, ma sappi solo questo, ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto in questi anni. 

Vorrei che la mia depressione non fosse giunta ad uno stadio così elevato e che le nostre belle chiacchierate possano proseguire per sempre, ma ciò non accadrà.

Ho sempre avuto paura di qualcosa, forse non in specifico come col futuro, ma di qualcosa, un’entità oscura che abita dentro di me, una cosa capace di buttarmi giù e da cui neanche i medici sono riusciti a curarmi, dicono che se si vuole guarire e si parte con la voglia di guarire si è già a metà strada, ma ciò che ho capito negli ultimi anni è che, in fondo, dentro di me, non voglio guarire. 

Non ti dirò molto altro in questa lettera, se non quanto tu e la tua amicizia mi abbiate aiutato a rimanere in vita fino ad ora, per godermi altri splendidi anni insieme a te e, da qualche anno, anche insieme a quella che sono sicuro un giorno sarà tua moglie.

Per me è giunto il tempo di dividerci.

Grazie ancora di tutto, amico mio. 

Grazie. 

                                                                                                               Ben.”

 

Quando finì di leggerla rimasi in ginocchio, versai molte lacrime, iniziai a maledirlo per avermi abbandonato. 

Rimasi seduto davanti l’entrata di casa per ore, sotto la pioggia, fino a quando non arrivò tua nonna, le feci leggere la lettera e, dopo averla letta, si strinse forte a me, piangendo. 

Rimanemmo lì, per ore, con la pioggia a mascherare le nostre lacrime. 

 

Il giorno dopo si venne a sapere del suicidio di un ragazzo, era scritto in un’articolo del quotidiano. Non davano informazioni specifiche, tutto quello che diceva era che un ragazzo che soffriva di depressione da anni, era stato trovato morto nella sua stanza, il corpo sarebbe stato sepolto la settimana successiva.

Nessuno nella scuola rimase scosso dalla notizia, alcuni, addirittura, furono capaci di deridere tale comportamento, io rimasi immobile ad ascoltare ogni singolo commento che venne fatto e alla fine, mi alzai e tornai a casa.

Il giorno del funerale eravamo in pochi, io, la mia ragazza e i genitori di Ben.

Rimanemmo tutti in silenzio fino alla fine della messa, quando ci fu il momento dell’ultimo saluto, tua nonna mi chiese se ero sicuro di volerlo vedere, gli feci cenno con la testa e andai alla bara.

Era la, sdraiato in quel pezzo di legno coi cuscini, vestito di tutto punto per l’occasione, sul suo volto era stampato un sorriso, quel sorriso che mi aveva accompagnato per anni durante gli anni migliori della mia vita, iniziai a piangere, mi avvicinai al suo orecchio e sottovoce gli sussurai un grazie. 

Alzai la testa e me ne andai con la mia ragazza. 

Nel viaggio di ritorno guidava tua nonna, io rimasi attaccato tutto al tempo con la testa sul finestrino, in silenzio, chiusi gli occhi e rividi ogni istante passato con lui, ogni momento bello e divertente che avevamo vissuto insieme.

Iniziai a ridere e quando riaprì gli occhi, le lacrime scesero giù dal mio volto, ma il sorriso non scomparve. 

 

Portai per sempre con me il suo ricordo e, lo porto ancora adesso, a distanza di decenni, ora che sono così vecchio.

 

Il ragazzo abbracciò suo nonno e lo ringraziò per la storia, lo guardò negli occhi e, con un tono triste, ma trattenuto, gli confidò. 

“Anch’io spero di trovare un’amico come Ben”

“Ne sono sicuro” 

Disse il vecchio, poi il ragazzo corse a giocare fuori e l’anziano chiuse gli occhi con uno splendido sorriso.

Ripensando al suo amico, era sempre felice.

  
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