6th – Nine Tail
Demon Fox
Telling
me to go,
but
hands beg me to stay.
Your
lips say that you love,
your
eyes say that you hate.
There's
truth in your lies,
doubt in
your faith.
What
you build you lay to waste.
Linkin’
Park – “In pieces”
C’era una grande stanza, con pareti
nere e lisce e infinite. Dure e fredde come pietra o
metallo; ma anche, in qualche modo, vive.
C’era il buio. Un buio ostinato,
onnipresente, che nessuna luce avrebbe potuto scacciare.
C’erano due persone, in piedi, una
di fronte all’altra. Nonostante il buio, le loro
figure erano perfettamente visibili. Non brillavano di luce propria, né erano
illuminate da qualcosa. Piuttosto, sembravano due figure disegnate in vivi
colori su uno sfondo nero.
Erano entrambi nudi. Uno era un
ragazzo, sui vent’anni, dagli splendenti capelli
biondi e gli occhi azzurri, con un sorriso luminoso. L’altra figura era insolita,
cangiante. A volte sembrava una donna, dalle forme morbide, con la pelle chiara
e un’aureola di lunghi capelli rossi che le cingevano
il capo e, scendendo, le si avvolgevano intorno al corpo; e poi, ecco, si
trasformava in qualcos’altro, non si riuscivano più a cogliere i confini del
suo corpo, sembrava debordare, debordare in qualcosa di enorme, rosso e selvaggio,
con nove code alle spalle che sibilavano nell’aria come fruste. Allo stesso
modo, i suoi sentimenti parevano oscillare tra una calma e rassegnata
malinconia e un’incontrollabile furia demoniaca.
-
Ci
ritroviamo qui, Naruto. – disse la donna, o la volpe.
-
Sì.
-
Ora
ricordi cosa sei realmente? Chi sono io, e perché…
-
Forse.
– disse il ragazzo, alla donna ma anche a sé stesso.
Aveva memorie nuove, diverse; ma le
sentiva sue e al contempo estranee. Erano memorie
fatte non di immagini o di sensazioni ma solo di
parole, distanti e flebili; una vecchia e triste favola nera, raccontata al
buio, al suono di un carillon stonato, per far paura ai bambini.
C’era una volta uno spirito malvagio dalle sembianze di una gigantesca
volpe a nove code. Con il solo movimento delle sue code, la Volpe poteva provocare
frane e terremoti.
Per far fronte a quello spirito, la gente invocò l’aiuto dei ninja.
Uno solo di quei ninja, a costo della propria vita, riuscì a imprigionare lo spirito.
Quel ninja era il Quarto Hokage.
-
Questa
parte della storia la conosciamo tutti molto bene. –
commentò la donna, con un sorriso.
-
E’
vero. Ma il seguito...
Naruto restò immobile, pensieroso. Le
parole si frammentavano, fuggivano spaventate, si
rintanavano negli angoli bui della sua mente. Poteva ricordare; ma doveva
andarle a cercare, quelle parole, una per una, con pazienza.
-
Sai
quale tecnica usò il Quarto Hokage per sigillare la
Volpe?
-
Per
sigillare te, Yume.
Giusto?
Yume fece una risatina:
-
Non
posso negarlo. Allora, lo sai?
-
Era
il Sigillo del Diavolo. L’ho scoperto solo di recente. La stessa tecnica che
costò la vita al Terzo Hokage nella sua battaglia
contro Orochimaru.
-
Esatto.
E cosa sai di quella tecnica?
Naruto rispose recitando frasi che
non ricordava di ricordare:
-
E’
una tecnica di costrizione che richiede la propria vita come pegno. L’anima che
viene sigillata con questa tecnica non potrà mai
morire, e continuerà a soffrire nello stomaco del Dio della Morte. L’anima che viene imprigionata si attorciglia a quella che l’ha fatta
prigioniera e le due combattono e si odiano per l’eternità.
L’altra annuì e abbassò lo sguardo.
Quando gli uomini del villaggio lo
chiamarono in aiuto, il Quarto Hokage combatté contro
la Volpe a lungo, per ore e ore. Ma la Volpe era forte
e potente. Il ferro non la trafiggeva e il fuoco non la bruciava; con un solo
colpo di una delle sue code poteva sollevare da terra cento uomini, e le sue fauci erano tanto mostruose e ingorde da poter ingoiare
senza sforzo un’intera montagna. Allora il Quarto Hokage,
visto che non era possibile uccidere quel mostro, disse ai suoi uomini che si ritirassero, e che egli solo conosceva il modo per sconfiggere
la Volpe: ed essi capirono cosa stava per fare e piansero lacrime amare, ma non
lo fermarono, perché in fondo al cuore sapevano che non esistevano altri
rimedi.
Rimasto solo, il Quarto Hokage sfidò la Volpe
a venirgli vicino e ad affrontarlo. Essa rise, scioccamente, lo chiamò stupido
mortale, e fece ciò che lui chiedeva, immaginando di poterne trarre un
divertimento ancora maggiore. Non sospettava alcun tranello.
Quando finalmente gli fu vicino, disse,
ancora ridendo:
-
Ecco, piccolo uomo, io sono qui.
Dici di volermi sfidare, ma le tue parole sono più grandi di te. Prova pure
quello che vuoi, so già che non ti servirà. Ma ti farò un favore, per onorare il tuo coraggio: ti
lascerò scegliere come vorrai morire.
Allora il Quarto sorrise, e le rispose:
-
Demone insolente, non riderai più degli uomini, dopo questo giorno. Non
disturbarti a concedermi alcun favore. La mia morte io l’ho già scelta.
Rise ancora la Volpe, e ancora più forte, ma poi sentì un dolore
stringerle il cuore, e abbassò gli occhi che teneva alti al cielo, piena di angoscia. Ed ecco: una mano di spettro, che usciva dal
corpo del Quarto Hokage, l’aveva agguantata e la
trascinava con sé.
-
Questa è la mano del Dio della Morte.
A lui io ho donato le nostre due anime: suoi saremo per l’eternità, e mai più
tu potrai calcare il suolo degli uomini, o recar danno ai figli della Foglia.
Per ciò io dono la mia vita. Il sacrificio di un uomo è un piccolo prezzo per salvarne
altri mille, e mille ancora.
Altissimi strilli lanciò la Volpe, ma essi si
perdevano nel cielo vuoto, e divenivano ad ogni istante più fiochi. La sua
figura si rimpicciolì e venne risucchiata come fumo
che viene aspirato, e infine sparì.
Così il demone abbandonò questo mondo e venne
sigillato per sempre.
-
E’
stato doloroso. – mormorò Yume, e si strinse con le
braccia, come in preda a un freddo, a un freddo troppo
acuto per poterlo sopportare.
I suoi occhi lampeggiavano del fuoco
della volpe, ma la pelle, bianchissima, era quello della donna; e premeva le
braccia sottili contro il seno, che trepidava allo stesso ritmo del respiro; e
aveva la testa leggermente reclinata; e nonostante gli occhi sempre più rossi,
sempre più accesi, non sembrava affatto un demone, non
possono esistere demoni così belli e fragili, ma solo una ragazzina nuda persa
in mezzo alla neve di un inverno troppo gelido. Le sue parole, un soffio di
vento dolente e sottile:
-
Molto.
Non riesco a dimenticarla… l’aria fresca, la foresta, la luce del Sole. La
vita. E poi quest’artiglio
di ghiaccio che mi si conficca in corpo, dritto dentro l’anima, e io che sento
tutto sparire, intorno, non più luce…
E allora alla sua voce si unì quella
di Naruto, in un coro triste e cantilenante:
-
…non
più aria. Una lunga caduta buia e dolorosa. Vorticare come presi in un gorgo, e
il freddo di quella mano crudele che stringe, stringe,
e intorno invece un turbine di fuoco. Precipitare per un
tempo infinito, e piombare infine in una stanza buia.
Il ragazzo si guardò intorno.
-
In
questa stanza. – concluse, e poi, sorpreso: - Lo
ricordo anch’io, perfettamente. Come se mi fossi trovato lì.
Yume sorrise pallidamente:
-
Ma tu eri lì, Naruto. Eri con me. Tu e io, quella caduta l’abbiamo fatta abbracciati insieme.
-
No,
non può essere.
-
Credici.
– sibilò l’altra, e stavolta era la Volpe, alta e minacciosa. La sua voce si
fece crudele, derisoria – Non ti sei mai chiesto come avesse fatto il Quarto Hokage a rinchiudermi dentro di te, dopo aver saputo come
funziona il Sigillo? Credi davvero che si possa far fesso
il Dio della Morte, lasciargli una sola delle due anime che pretende, e l’altra
sigillarla nel primo neonato che capita?
-
Me
lo sono chiesto, è vero, ma…
-
SEI
UNO STUPIDO! – ringhiò la Volpe, al colmo della furia.
Naruto indietreggiò di qualche
passo, ma in quel luogo così irreale sembrava che le distanze non cambiassero
mai. Il demone continuava ad incombere su di lui da un’altezza immane. Le
pareti della stanza sembravano infinitamente lontane, eppure così vicine e
incombenti: stretta là dentro, la Volpe era l’unica cosa che si potesse vedere, l’unica che si potesse concepire. Le sue
parole rimbombavano fin dentro il corpo di Naruto:
-
Non
si può! Non si possono cambiare le regole! Non si possono fare eccezioni! La mia
anima è stata semplicemente data in pasto al Dio della Morte assieme a quella
di chi mi aveva catturato!
-
E
allora, – esclamò Naruto, in una sorta di difesa disperata, tentando di
ragionare con il mostro e la sua follia – perché dici
che io avrei fatto quella caduta assieme a te? E’ stato il Quarto Hokage a catturarti, non io!
-
SEI
TU IL QUARTO HOKAGE!
Lo spaventoso ruggito di rabbia
della Volpe scosse la terra e l’aria; l’oscurità sembrò farsi ancor più fitta,
per un istante. Naruto sembrò paralizzato, cercò di dire qualcosa, ma finì per
restare in silenzio. Nel frattempo, la Volpe aveva recuperato il controllo di
sé, e con esso anche le sue sembianze femminili. Era
tornata ad essere Yume, una figura discreta, bella e
un po’ triste.
-
Sei
tu il Quarto Hokage. – ripeté, stavolta più
pacatamente – Naruto Uzumaki, Quarto Hokage di Konoha:
questo era il tuo nome quando eri vivo. Nel mondo
reale.
-
Quando ero vivo? – gridò Naruto, che improvvisamente si sentì
oppresso da una tremenda inquietudine – Ma io SONO
vivo, maledizione! Mi… mi riesco a sentire le mani, e i piedi, e… non so… ma io sono solido! Respiro, mangio, bevo!
Sono vivo!
-
Naruto,
solo cinque minuti fa ti sei conficcato una spada nello stomaco, eppure ora non
hai nemmeno un graffio. Se fossi stato davvero vivo, adesso
sì che saresti morto.
-
Non
può essere. Non può essere.
Naruto continuava a fissarsi le
mani, a farle scorrere sul suo corpo, a muovere le dita, come cercando conferma
di quello che affermava, perché accidenti, non poteva essere morto, non ci si poteva sentire così se si era morti!
-
E
poi cosa intendi quando parli del mondo reale? Vuoi dire che questo non sarebbe reale? Se
non è il mondo, che cos’altro dovrebbe essere! L’aldilà, oppure…
“…L’anima che viene sigillata con questa
tecnica non potrà mai morire, e continuerà a soffrire nello stomaco del Dio
della Morte…”
-
Oppure… - e, trovando la risposta nelle parole che lui stesso
aveva pronunciato poco prima, lasciò svanire la sua voce in un soffio.
Morto.
Era davvero troppo da accettare.
-
Le
due anime – disse Yume – si
attorcigliano, continuano a soffrire, si odiano, e combattono per
l’eternità.
E poi aggiunse, con un sorriso
malinconico:
-
Ma, nel nostro caso, lo fanno in un modo del tutto particolare.
La favola era completa. Le parole al
proprio posto. Inesorabilmente, Naruto lesse nei propri ricordi la conclusione
di ciò che era accaduto quel lontano giorno fatale.
La Volpe e il Quarto Hokage caddero
a lungo, giù per un abisso che era come se avesse denti che li straziavano,
fauci che li stritolavano, succhi disgustosi che li scioglievano e li
consumavano, tutto questo sentivano, eppure non c’era niente del genere,
intorno, solo un nerissimo buio quale loro non avevano mai visto. Smisero
infine di cadere, senza nemmeno accorgersene, e scoprirono di essere finiti in
una stanza oscura e sconfinata. Per molto tempo il grande
guerriero e il demone indomabile attesero immobili che qualcosa accadesse,
senza tradire un brivido, senza battere un ciglio; ma entrambi avevano in
realtà una paura incontrollabile e mostruosa, paura della sorte che li
attendeva e paura di tradire la propria paura. Perché non importava quanto
fossero stati forti e potenti in vita: essi ora sentivano di essere in balia di
qualcos’altro, il cui potere superava di gran lunga il
loro, e che per di più era malvagio e terrificante.
Allora cominciò a udirsi, dall’alto, prima distante come un’eco che ha perduto la sua via, poi sempre più forte, sempre più
vicina, sempre più rimbombante, una lunga e perfida risata. La Volpe ruggì con
tutta la sua furia al cielo, che era nero come ogni altra cosa, e gridò al
vigliacco che si nascondeva e osava ridere di lei di farsi vedere, di farsi sotto, perché nessun mortale aveva mai avuto il
coraggio di deridere il potente Demone dalle Nove Code, né mai avrebbe potuto
farlo. Mostrava rabbia per dimenticare la paura. Il Quarto Hokage,
invece, non disse nulla: era stato lui ad attivare il Sigillo, e conosceva fin
troppo bene quale sarebbe stato il loro destino. Non per questo non aveva
paura; era semplicemente abbastanza saggio da sapere che non vi era modo di
sfuggire a ciò che li attendeva. Il giudizio del Dio della Morte.
Il Dio della Morte, il crudele Mietitore, rideva e rideva, divertito al
pensiero di come gli uomini potessero scioccamente precipitarsi nelle sue
fauci, presi com’erano dalla loro frenesia di combattersi l’un
l’altro, e ancor più divertito dalla vista della Volpe che continuava a
dibattersi e ad urlare come un’ossessa. Nessun pasto gli era più gradito di due anime forti e orgogliose come quelle: farle deboli e
umili con la tortura e la sofferenza sarebbe stato un gioco che l’avrebbe
divertito per l’eternità.
“Tu, uomo” proclamò con voce terribile quando
il suo riso si placò, “tu sei Hokage: perciò non
sarai Hokage mai più. Perso ogni ricordo, vivrai una
vita di illusione, non più reale di un sogno o di un
miraggio, rinchiuso qui nel mio regno. Crederai di rinascere nel tuo villaggio,
ospiterai nel tuo ventre il demone che hai sigillato,
e a causa sua patirai mille sofferenze. La tua vita sarà tormentata da odio,
rancore, disprezzo e solitudine. Desidererai con tutte le tue forze di tornare
ad essere ciò che realmente sei e diventare Hokage, e
per questo combatterai e soffrirai ancor di più, senza conoscere né la pace né
il riposo. Ma ogni volta che raggiungerai il traguardo che
aneli esso ti sarà strappato di mano; allora tu crederai di morire, e poi di
rinascere, di nuovo senza ricordi. Ogni volta che diventerai Hokage tutto avrà fine, cosicché tutto potrà ricominciare. E questo sarà il tuo inferno.”
“Tu, Volpe” continuò poi, “sei potente e superba:
perciò diverrai schiava. Incatenata nel corpo di colui che
ti ha imprigionata; capace di osservare, ma non di agire; costretta ad essere
legata a lui per la vita e per la morte, a servirlo e a condividere la tua
forza con lui. Mai più assaporerai la libertà, nemmeno nel mondo illusorio che
ospiterà d’ora in poi la vostra vita. Serva dell’uomo che ti ha battuto, sarai, tuo malgrado, la sua unica vera compagna. E questo sarà il tuo inferno.”
Dette queste parole, il Mietitore si ritirò nell’oscurità, ad osservare
come i suoi burattini recitavano nel palcoscenico che aveva preparato loro, né
mai più il Quarto Hokage e la Volpe lo rividero.
Fu così che il gioco ebbe inizio, e continua
tuttora.
-
Quante
volte? – chiese Naruto, con voce tanto roca da sembrare spettrale.
Era stordito. Restava accovacciato a
terra, preda di violente vertigini. Non riusciva a rialzarsi. Quando aveva
preso coscienza della verità e i ricordi gli erano entrati dentro con forza era quasi svenuto.
Dopo qualche secondo provò a
rialzarsi, ma si ritrovò piegato in due. Se avesse avuto
un corpo, sentiva che avrebbe vomitato.
Ma io non ho un corpo.
Dannazione, IO NON HO PIU’ NEMMENO UN CORPO!
-
Quante
volte? – chiese ancora, e stavolta le parole erano più
nitide e decise. – Quante volte si è ripetuta questa farsa della mia vita,
Volpe? Quante, fino ad ora?
Yume sorrise e scrollò le spalle.
-
Chi
può dire quanto dura un sogno, Naruto? Talvolta ti sembra un’eternità, e invece
è una faccenda di un istante. Altri potrebbero sognare un solo, lunghissimo attimo,
per un’intera notte. Non si può giudicare. Molte volte, questo è certo:
abbastanza perché neanch’io riesca più a contarle.
Silenzio.
-
Molte
volte. – ripeté Yume.
Ancora silenzio.
-
Molte
volte. – ripeté la Volpe, ringhiando con le fauci schiumanti – Molte! Troppe!
TROPPE!
Naruto si ritrasse, non fece in
tempo; si ritrovò intrappolato sotto una delle zampe
del mostro. Gli artigli, inchiodati nel terreno, lo intrappolavano da ogni
lato. Aveva gambe e braccia immobilizzate. E nonostante avesse capito di essere solo un’anima, uno spirito, né più né meno di lei,
e di non potere subire alcun danno, Naruto ebbe paura vedendo il crudele volto
ferino della belva scendere su di sé. Sentì il calore del
fiato, la viscida bava gocciolò sul suo viso.
-
Ce l’avevo quasi fatta, questa volta! – mugolò
-
Non
puoi. – sogghignò Naruto.
-
POSSO!
– urlò di rimando l’altra, premendolo al suolo con la sola
violenza della sua voce – Posso. Lo stavo facendo. Ce
l’avevo quasi fatta. Nel gioco della tua vita illusoria, quando il ciclo
sta per finire, quando tu stai per arrivare alla
conclusione, a diventare hokage, e tutto si appresta
a ricominciare, è allora che le regole si fanno… - la bestia ansò
profondamente, fermandosi un attimo. Sembrava che le costasse uno sforzo immane
mantenersi calma abbastanza da continuare a parlare e spiegare - …più deboli. Più
facili da aggirare. Perciò ho potuto materializzarmi
in quella forma davanti a te, agire, parlare, combattere.
-
Uccidere
Hinata. – aggiunse Naruto, con risentimento.
-
HINATA
NON E’ MAI ESISTITA! O sei davvero così idiota da non
avere ancora capito che tutto ciò che hai vissuto, tutto, è reale come
un’ombra, e meno ancora: come l’ombra di un’ombra! Lei era
solo un burattino: gli unici attori veri eravamo noi due. Ma sei tu il
protagonista. Questo ruolo il Dio della Morte l’ha dato a te. Tutto dipende da
te, dalla tua forza di volontà e dal tuo desiderio…
-
…di
diventare hokage.
La Volpe fece un grugnito di assenso:
-
Se
fossi riuscita a farti arrendere, a farti rinunciare…
Ad ogni momento che la tua determinazione diminuiva, la tua anima si
indeboliva, e io diventavo più forte, più vicina alla realtà, alla libertà.
-
La
febbre. – mormorò Naruto – Non era colpa tua: era colpa
mia. La febbre aumentava ogni volta che io facevo un passo in più verso la
resa. Mi sentivo come morire. Cosa sarebbe successo se
avessi ceduto del tutto?
-
SARESTI
SPARITO! – gridò la Volpe, premendo ancor di più l’artiglio contro il petto di
Naruto.
Il ragazzo scoprì che essere uno
spirito non lo salvava dal dolore. Boccheggiò sentendo l’aria mancargli, e non
riuscì a trattenere un urlo.
-
SARESTI
SPARITO! La tua anima si sarebbe dissolta, avresti finito di giocare questo
gioco inutile e idiota, e io sarei stata LI-BE-RAAAAA!
E alzò la testa al cielo, ululando
quell’ultima parola come un lupo che canta la sua ferocia alla luna piena,
avvolta da fiamme che divampavano calde e luminose; eppure che non illuminavano
niente, nel buio ventre del Dio della Morte. Naruto si sentì svenire per il
calore e il frastuono, ma non svenne: uno spirito non sviene.
Poi la furia si placò. L’artiglio
era diventato più piccolo, più fresco, più delicato. Naruto si trovò di nuovo
libero. Riaprì gli occhi, si mise seduto, e scoprì con sorpresa che la Volpe si
era trasformata ancora. Yume, accovacciata, biascivava tra sé e sé, e tremava di nuovo.
-
Libera…
- bisbigliò con voce assente – Libera. E libero
saresti stato anche tu, Naruto.
Alzò lo sguardo, i suoi occhi
castani e caldi (quasi arancione; quasi di fuoco) incrociarono quelli azzurri
di Naruto. Erano imploranti.
-
Non
sei stanco, Naruto? E’ tutta un’illusione. E’ tutto un sogno. Ripetere la
stessa vita, volta dopo volta, per l’eternità… neanch’io
riesco a concepirla. L’eternità. E’ così grande, così infinitamente triste,
così solitaria. Io voglio essere libera, ma mi accontenterei anche di sparire,
se potessi. Di addormentarmi per sempre. Tu non hai
alternative. Non lo desideri? L’oblio, il riposo. Non sarebbe dolce, smettere
di lottare, finalmente, e dormire, una volta per tutte,
il sonno che spetta ai morti…
-
TACI!
– urlò Naruto.
Era infuriato.
-
Smettila
con questi giochetti, razza di mostro. Trasformati, piuttosto, e ringhiami contro, prova a sbranarmi, fammi paura, fa’ un po’ come vuoi. Ma smettila,
SMETTILA, di cercare di impietosirmi.
-
Naruto,
non devi dire così.
-
Sei
patetica. I tuoi trucchi li ho già capiti, e non
funzioneranno più. So che non sei mia madre e so che non mi ami di certo.
-
Naruto,
ti prego…
-
Perciò, basta! E’ intollerabile. Io… io non la ricordo più, ma
devo pure averla avuta, una madre, e il solo pensiero che un demone, un mostro,
un essere ripugnante come te finga di essere lei è
disgustoso, e il fatto che tu simuli tutto questo amore nei miei confronti, che mi cerchi di convincere con simili
mezzucci, tutta la tua ipocrisia, mi dà il voltasto…
-
Smettila,
Naruto, TI PREGO!
Così. Un grido straziante. Poi il
silenzio. Yume tacque, sfregandosi il volto con le
mani, con forza, come una pazza, come una pazza, che non sentisse
più quelle parole così cariche di odio, così dolorose.
Naruto tacque, sorpreso.
-
Tu…
- chiese poi, accennando un passo in avanti - …tieni davvero a me? Eri…
sincera?
Yume lo guardò, dal basso in alto, gettata a terra com’era. Come faccio a spiegarti,
pensò, come faccio, Naruto? Come puoi capirlo? Che
cosa significa vivere come ho fatto io da quando sono
imprigionata qui. Che cosa significa vedere giorno dopo
giorno un mondo finto e respirare aria che non esiste, aria che puzza di morte
e di chiuso, io che ho calcato ogni angolo della Terra, libera e indomabile.
E poi, avere te. Mio compagno. Mio
corpo. Mia anima. Mio nemico. Mio carceriere.
Ti odio per avermi imprigionato qui,
per tenermici ancora chiusa, tu e la tua stupida
testardaggine. Perché sei solo questo, uno stupido inutile essere umano, e
pensi di essere più grande di me, e invece ogni volta
muori, e rinasci, e non ricordi più nulla, come un vecchio rimbecillito
dall’età, e solo io so, solo io ricordo.
Mio tutto. Mia unica cosa vera.
Ti amo perché non posso amare nient’altro. Perché sei tutto ciò che mi resta di
reale, tutto ciò che esiste in questo regno di illusioni,
il mio mondo, e perché sei l’ultimo ricordo di una vita vera. Ti amo per quel
nostro, ultimo, bellissimo combattimento. Quando ci
siamo scontrati, là fuori, abbiamo scosso il mondo e spianato le montagne. Non
lo dimenticherò mai. Gliel’abbiamo fatto vedere, allora,
gliel’abbiamo fatto vedere a tutti, cosa succede quando i giganti combattono
tra loro.
Mio bastardo. Mio piccolo, lurido stronzo.
Ti odio perché mi hai costretta ad amarti e così mi hai fatta cambiare, almeno un
po’, un po’ dentro, sotto le fiamme e le code. Ti odio perché quel dannato
combattimento è stato così bello che io non lo sapevo ma
in fondo ti amavo già la fuori, e che bella coppia saremmo stati noi due, più
potenti di chiunque altro, imperatori del mondo, e poi tu hai dovuto rovinare
tutto, tu e quel tuo merdoso Dio della Morte, e farci
finire in questa fogna, per salvare il mondo. Ma che senso avrà il mondo, senza più noi a darglielo?
Mia creatura. Mio… figlio.
Ti amo perché ti ho visto crescere
cento, mille volte. Ti ho visto bambino, poi adulto. Ti ho visto ogni volta diverso, e sempre meraviglioso, felice, felice
persino in questa vita d’inferno. Figlio mio e del Quarto Hokage:
ti amo perché tu non sei più lui, vita dopo vita
diventi diverso, ogni volta nuovi ricordi e nuove esperienze. Sei quello che sei per via di quello che era lui, ma anche per via di
quello che sono io.
Mia prigione.
Ti odio perché sei il muro che mi
separa dalla libertà.
Mio amante.
Ti amo perché io dentro di te, tu
dentro di me, le nostre anime strette e avvinghiate con tenera violenza l’una
all’altra, sperimentiamo una fusione più perfetta di quella che mai qualunque
coppia di innamorati del mondo troverà nella
confusione di calde e agitate lenzuola.
Ma, sopra ogni altra cosa, ti amo
perché vederti soffrire all’infinito mi fa male, e sapere che soffri per causa
mia mi fa ancora più male.
Ti odio, e ti amo, e per questo,
capisci, perché TI ODIO E TI AMO allo stesso tempo, come puoi capirlo, Naruto,
per questo io voglio che tu ti lasci andare, e sparisca
per sempre.
Pensò questo, Yume.
Non disse nulla. Non ne sarebbe stata capace, non aveva le parole per spiegare
una cosa del genere, e lui non le avrebbe creduto. Le
parole non servivano. Alzò una mano, la portò alla bocca, e con lentezza la
strinse tra i denti fino a farla sanguinare. Il liquido scarlatto le tinse le
labbra. Allora si avvicinò a Naruto, semplicemente, senza
parlare, senza parlare, il silenzio era morbido e totale. Lui la fissava
e non sapeva che fare. Lei lo colse di sorpresa. Un bacio,
leggero, veloce; le labbra posate sulle labbra, per un momento.
Sulla bocca, lei aveva ancora il
sapore di metallo del sangue. Naruto lo sentì; quell’aspro e crudo e forte
sentore di rame misto alla dolcezza del bacio. Capì.
-
E’
tutto qui. – disse Yume, distogliendo rapidamente lo
sguardo.
Fremette, scossa da un brivido
incontrollabile. Le scese una lacrima (forse di tristezza, forse di rabbia?)
dall’angolo di un occhio e poi aggiunse:
-
Ti
prego. Rinuncia adesso a continuare. Fra poco… fra poco ricomincerà tutto. Smetti
di desiderare e di combattere, abbandonati alla pace. Sei ancora in tempo.
Liberaci tutti e due.
C’era una grande stanza, c’era il
buio, c’erano due persone, c’era un uomo ritornato ragazzo e c’era un demone
innamorato e furioso, e soprattutto c’era una decisione da prendere, ora e
subito, una decisione troppo grande, tra l’oblio e l’eterno susseguirsi di vite
illusorie e inutili.
Nell’oscurità, Naruto schiuse le
labbra, pronto a dare la sua risposta.
Ecco,
scrivere questo capitolo è stata una gran fatica, e anche ora che lo pubblico
ho paura che non si capisca niente XD. L’idea alla base del capitolo (e di
tutta la fic, in sostanza) mi è venuta poco tempo
dopo aver visto l’episodio in cui il Terzo Hokage
affronta Orochimaru. Rimuginavo sul perché la tecnica
del Sigillo del diavolo avesse funzionato diversamente con la Volpe e con Orochimaru (ebbene sì! Sono capace di stare a scervellarmi
anche su domande del genere! XD) ed ho avuto questa
trovata, fulminante, attingendo un po’ alla filosofia buddista, un po’ a Matrix. Spiegava tutto, filava alla perfezione, e ho deciso
di scriverci intorno questa fanfic:
ma con un ragionamento così “cervellotico”, non riesco a togliermi il timore di
aver fatto solo tanta confusione. Fatemi sapere che ne pensate voi.
Ho anche realizzato
alcuni disegni ispirati a questa storia. Li trovate qui e qui. A proposito,
l’ideogramma di Yume significa “sogno”, in
giapponese.
OK, è
tutto. Fra pochi giorni, l’ultimo capitolo, ovvero il
gran finale!