I’m Yours
Non sapeva quando aveva cominciato a guardarla con
occhi diversi, forse quando, nascosti sotto quelle assi, lei gli aveva mostrato
tutta la sua innocenza, quella che lui aveva perso o molto più probabilmente
quella che non aveva mai avuto. Non sapeva nemmeno quando aveva cominciato a
desiderare incessantemente il suo tocco, forse quando lei gli aveva bendato la mano con una dolcezza
che a lui non era mai stata riservata. Ma, soprattutto, non era riuscito
proprio a cogliere il momento in cui aveva cominciato a preoccuparsi per
qualcuno che non era lui.
E adesso, mentre i Romani sopra le loro teste
cercavano i ribelli rimasti per ucciderli brutalmente, Gannicus riusciva solo a
pensare che doveva trovare un modo per portare la piccola schiava, che tremava
accanto a lui, via da quel luogo di morte.
Non gli importava del resto, Gannicus voleva solo che
Sibyl stesse al sicuro, voleva che
quella luce brillasse ancora dentro di lei, voleva ancora sentire quella voce
che gli diceva che avrebbe pregato per lui. Pregare per un'anima dannata...era
possibile? Forse solo lei ne sarebbe stata capace.
Avanzò di qualche passo, mentre sentiva il rumore di
un'altra trave che cedeva. I Romani stavano arrivando a loro e Gannicus sapeva
che poteva agire in un solo modo. Si voltò verso la ragazza, che lo guardava
con una tale speranza mista a paura negli occhi, che quasi sentiva un male
fisico a doverla lasciare.
- Se vedi qualsiasi volto che non sia il mio...- si
avvicinò a lei, porgendogli un lungo pugnale. -Togliti la vita. Sarà una
carezza in confronto a quello che ti farebbero loro. - concluse, guardandola
serio. Improvvisamente e senza logica, l'idea che lei potesse finire tra le
perverse mani dei Romani gli faceva montare dentro una rabbia tale da pensare
di potersi lanciare da solo contro tutti gli eserciti nemici. Addirittura
contro lo stesso Crasso.
Loro non l'avrebbero presa, lo avrebbe evitato ad ogni
costo.
Sibyl, intanto, lo guardava senza proferir parola, poi
prese tremante il pugnale tra le mani. Aveva paura, non tanto per se, quanto
per il guerriero. Avrebbe pregato gli Dei di farlo restare in vita, non per
avere maggior speranza di fuggire da Sinuessa, ma perchè se lui non fosse tornato, lei dopotutto
non avrebbe voluto andarsene da li.
Gannicus la guardò un'ultima volta, poi si voltò per
affrontare quel destino tanto incerto, ma una piccola mano gli afferrò il
braccio. Ritornò a guardare Sibyl, che adesso gli puntava addosso uno sguardo
colmo di una nuova paura.
- Se devo morire qui...adesso...- cominciò la ragazza,
guardandolo intensamente negli occhi. -Voglio poter scegliere il mio ultimo
ricordo. -
Si avvicinò così lentamente a lui, che se Gannicus
avesse voluto, avrebbe potuto fermarla, ma quando le morbide labbra di Sibyl si
posarono sulle sue, capì che se anche avesse voluto, non avrebbe avuto la forza
per farlo. La sentiva tremare, mentre lui, non riuscendo nemmeno ad ammetterlo
a se stesso, tremava dentro. Gannicus le sfiorò la guancia per un breve
istante, poi tutto successe velocemente: ebbe solo un attimo per nascondersi,
prima che un Romano aprisse il passaggio sopra le loro teste, trovandosi Sibyl
davanti.
Lo uccise velocemente e con nervosismo: non gli era
piaciuta per niente l'arrogante risata uscita da quella sudicia bocca alla
vista di Sibyl.
Adesso non restava altro da fare che uscire allo
scoperto. La guardò di nuovo e poi salì in superficie.
Adesso aveva un motivo per tornare indietro.
- Un ribelle! Qui! -
Sibyl tremava. Forse il suo era stato un gesto insano,
ma le era sembrata l'unica cosa giusta da fare. Se doveva morire, Gannicus
doveva essere il suo ultimo ricordo felice.
- L'ho preso! -
Sussultò. Aveva così paura per lui e più i rumori
aumentavano sopra di lei, più Sibyl avvicinava la fredda lama al collo. Un
spada si conficcò nelle assi e lei desiderò con tutta se stessa che non fosse
il sangue di Gannicus quello che stava colando. Sentii dei passi e il rumore
del passaggio che veniva aperto. Premette la lama sul collo, aspettando di
vivere. Aspettando di morire.
- Comincio a credere nei tuoi Dei. Vediamo fin dove ci
porteranno. - fece l'ironica voce del Dio dell'arena, mentre le tendeva una
mano.
Tirò un sospirò di sollievo, mentre allontanava la
lama dal suo collo. Aveva compreso quanta paura avesse avuto di scoprirlo morto
solo adesso che aveva incontrato di nuovo i suoi occhi. Corse da lui e Gannicus
l'aiutò ad uscire.
Dovevano fuggire di lì e il più presto possibile.
Questo Gannicus lo sapeva. Cominciarono a vagare silenziosi per la città, con
il cuore che batteva forte, entrambi intenti a convincersi che fosse solo per
la paura di essere scoperti.
Mano nella mano, Gannicus promise a se stesso che
avrebbero dovuto solo farlo in mille pezzi per arrivare a lei.
E si sapeva,
lui era un duro da uccidere.
Gannicus fronteggiava il vile pirata Heracleo, mentre dietro di lui Laeta
era in lacrime. Poco gli importava della fottuta Romana, stava solo subendo il
destino che si era costruita con le sue mani.
Sibyl era dietro di lui, sapeva che aveva paura, ma
che stava cercando di essere forte per lui.
Gannicus
sorrise, quello stupido pirata non era certo un problema per lui.
- Forse con la mia spada taglierò la gola alla tua
donna, prima di morire. Cosa che dovresti apprezzare... - fece Heracleo, pronunciando le uniche parole che di certo non
gli avrebbero dato la speranza di sopravvivere. -In una situazione così
delicata...- il pirata sorrise.
Gannicus gli restituì lo stesso sorriso ironico. Era
davvero un povero illuso.
- Non è la mia donna. - il sorriso del pirata
scomparve dalle sue labbra, mentre il gladiatore gli si lanciava contro con la
spada.
Gannicus uccise velocemente il primo che si oppose
alla sua furia, incrociando per un breve attimo la spada con Heracleo, mentre si dedicava agli atri membri della sua
ciurma.
Sibyl non era la sua donna e allora perché sentiva
quell’istinto di protezione verso di lei? Perché sentiva una voce dentro di lui
che gli gridava “Tua!” ogni volta che incrociava il suo sguardo?
Preso dalla furia della lotta non si accorse che Sibyl
cercò di opporre una pallida resistenza contro Heracleo,
ovviamente troppo forte per lei. Gannicus si voltò verso di loro proprio nel momento in cui Sibyl cadeva
a terra per il potente schiaffo di Heracleo.
Il pirata afferrò la ragazza, per poi puntarle una
lama alla gola.
- Sibyl! - Gannicus rimase pietrificato al suo posto.
Riusciva a concentrarsi solo sulla lama puntata alla gola di Sibyl, che
tremava, pregandolo con lo sguardo di riportarla da lui.
Heracleo aveva firmato la sua condanna. Niente l'avrebbe
salvato dalla sua furia.
- Allora ci tieni alla piccola, no? - Heracleo avvicinò ancora di più la spada a lei. -E' un
peccato ora che l'hai uccisa. -
- No! - l'urlo di Gannicus arrivò disperato alle
orecchie della ragazza e del viscido pirata, che godeva a vederlo piegato
almeno per un istante.
Gannicus aveva gli occhi spalancati e per la prima
volta, il forte gladiatore tremò davanti ad un nemico.
Fortunatamente la lama non le tagliò mai la gola. Un
ferro rovente trapassò la gola di Heracleo, facendolo
cadere al suolo privo di vita. Dietro di lui Laeta,
gettò l'arma a terra, appoggiandosi poi contro il muro alle sue spalle.
Gannicus spostò veloce lo sguardo su Sibyl.
Lei era ancora
viva.
Corse da lei e si abbracciarono e si ritrovò a
ringraziare gli Dei ai quali non aveva mai creduto per averla riportata per
l'ennesima volta da lui.
- Sei ferita? - le chiese, esaminandole il viso.
Sibyl scosse la testa, piangendo, più per la felicità
di essere di nuovo con lui, che per la paura dell'attimo appena passato.
Era incredibile come si sentisse così intimamente
legata a lui, ma, dopotutto, lei gli aveva consegnato la sua vita nell'attimo
in cui lui l'aveva salvata. Aveva deciso, forse anche inconsciamente, di
immolare il suo cuore all'altare del forte Gannicus, l'uomo che non l'avrebbe
mai considerata più di una bambina.
Eppure quel suo urlo disperato di poco prima, le aveva
concesso almeno il diritto di sperare. Sperare che per lui potesse diventare
qualcosa di più, sempre se fossero usciti vivi da quella città.
Così, mano nella mano, superarono anche
quell'ostacolo, con una nuova paura nel cuore: in quel momento, perdersi,
faceva più paura che morire.
Erano arrivati sani e salvi dagli altri, dopo essere
scappati per miracolo da Sinuessa, per poi scoprire
di essere caduti in una trappola ancora peggiore. Erano isolati e non avevano
una via di fuga, quindi, in pratica, aveva solo ritardato la loro morte.
Gannicus lanciò la spada a terra, quasi ripudiandola,
mentre si sedeva accanto al fuoco. Si calcò la testa tra le mani: come
avrebbero fatto a sopravvivere anche a quello?
Erano decimati, esausti, senza armi e senza via di
fuga. Doveva aspettarsi, dopotutto, una situazione del genere dal momento che
stavano combattendo contro l’uomo più ricco della Repubblica.
- Gannicus… - la sottile voce di Sibyl lo ridestò dai
suoi pensieri.
La ragazza si sedette al suo fianco, timorosa, come se
tutto quello che avevano passato a Sinuessa non fosse
servito a farli avvicinare di più.
- Siamo in trappola, Sibyl. - ammise il gladiatore,
sperando che dicendolo ad alta voce lo rendesse meno vero.
- Riuscirete a fermarli. - disse, con la sua tipica
ingenuità.
- No, invece! Ci sono milioni di fottuti Romani che
stanno marciando contro di noi! Sono troppi. - Gannicus fu più brusco di quanto
avesse voluto, ma si sentiva davvero frustrato.
Sibyl abbassò lo sguardo. - Non ti ho mai visto
così…spaventato. - azzardò, sperando che lui non la trapassasse con la spada
per aver osato dire ciò.
Gannicus la guardò, scuotendo la testa. - E’ perché
non ho mai avuto qualcosa da proteggere. -
Sibyl puntò i suoi occhi in quelli di Gannicus,
sperando di aver interpretato bene le sue parole o si stava solo illudendo.
Gannicus prese tra le dita una ciocca di capelli di
Sibyl. Erano così morbidi…
La guardò negli occhi, chiedendosi se era giusto per
uno come lui desiderare Sibyl. Lei era dolce e innocente, mentre lui era solo
un animale che viveva per combattere. Lui ormai era marcio dentro. Ma forse
poteva sperare che quella ragazza fosse la tua redenzione.
In fondo, a tutti era dato sperare, no? E non era umano
desiderare di essere migliori e possedere qualcosa di così prezioso?
- Voglio imparare a combattere… - sussurrò Sibyl,
mentre Gannicus le lasciava andare i capelli.
- A combattere? E perché? - l’uomo era stupito. Perché
una ragazza così candida voleva essere in grado di uccidere?
Sibyl sembrò un attimo indecisa se parlare o no, poi
alla fine decise di farlo. - Perché anche io ho qualcosa che voglio proteggere…
- mormorò, mentre Gannicus la guardava sorpreso.
- Sibyl… -
- Io non pretendo di essere il tuo “qualcosa da
proteggere” – si affrettò a dire la ragazza. –voglio solo che tu sappia che sei
il mio… So che…c’è Saxa e molto probabilmente è lei
che vuoi proteggere, ma… - non era mai riuscita a parlare così tanto
liberamente con lui, ma, in fondo, molto probabilmente, sarebbero morti tra
poche ore, non aveva in nessun caso nulla da perdere, però voleva rassicurarsi
di poter fare progetti per il futuro, voleva illudersi che poteva essere
proprio Gannicus a insegnarle a combattere.
Gannicus sorrise amaramente. - Saxa
non ha bisogno della mia protezione. - avvicinò le mani al fuoco. - Cosa ti fa
credere che io mi stessi riferendo a lei? -
- Lei è la tua donna. – rispose Sibyl velocemente,
cercando di reprimere il nodo che sentiva in gola. – L’hai baciata appena
arrivati…non è forse un segno d’amore, questo? -
Il potente combattente scoppiò a ridere. Innamorato di
Saxa? Era la cosa più assurda che avesse mai sentito.
- Non sono innamorato di Saxa. - scoppiò di nuovo a
ridere. – Credimi, non è l’amore che mi tiene legato a lei. -
Sibyl fece un pallido sorriso. - Dovrebbe essere
questo il motivo per scegliere una compagna… - sussurrò, facendosi male con le
sue stesse parole.
Gannicus la guardò diritto negli occhi, sorprendendosi
di trovarla ogni volta più bella. - Quando avrò intenzione di scegliere una
compagna, te lo farò sapere. -
Forse non sapeva nemmeno lui il significato di quelle
parole, ma in fondo non voleva stare lì ad analizzarlo: lui non era mai stato
un tipo che badava troppo alle parole.
- Sempre se riusciremo a lasciare questo posto… -
Sibyl si strinse nelle spalle, mentre il suo sguardo vagava sulle fiammelle.
Gannicus la guardò e come mai gli era successo
desiderò andare via da una battaglia, non perché aveva paura, ma per portarla
via, per non farla assistere a tutto quell’orrore.
Guardò la moltitudine di schiavi attorno a lui. Per
cosa li avevano salvati? Li avevano strappati a un destino crudele per un altro
ancora peggiore?
Riportò gli occhi su Sibyl. Voleva rassicurarla,
provava l’insano desiderio di stringerla al petto e dirle che finché fosse
stato vivo lui sarebbe andato tutto bene.
Era così piccola, così innocente…non era giusto per
lei assistere a tutta quella morte e distruzione, eppure provava l’egoistico
impulso di tenerla legata a lui nonostante tutto.
Ma da quando era diventato così…debole? Come aveva
fatto a non accorgersi che quella ragazzina gli era entrato dentro?
Inizialmente aveva pensato che fosse solo un istinto
di protezione paterno, ma Sibyl non era una bambina e il desiderio che gli
nasceva nel cuore alla sua vista non aveva nulla di paterno.
- Sopravvivremo. - si ritrovò a dire. Ma quando si
erano invertiti i ruoli? Quando era diventato lui quello speranzoso e lei
quella rassegnata? - Non morirai qui. Ti porterò via di qui e ti insegnerò a
combattere. - non sapeva perché lo stava dicendo. Era improbabile uscire vivi
da tutto quello, eppure lui voleva crederci, voleva che lei ci credesse.
Per una volta, lo sfrontato ed egoista Gannicus voleva
qualcosa in cui sperare.
Sibyl ritornò a guardarlo. Quanto desiderava che
quelle parole fossero una promessa per una vita insieme. Ridacchiò, anche se
era una risata nervosa. - Stiamo per morire, in un modo brutale, eppure…non
vorrei essere in nessun altro posto… - per la prima volta la timida Sibyl era
riuscita a tirare fuori quello che aveva nel cuore. Forse la morte rendeva
audaci. Ma sapeva solo che non voleva arrivare nell’aldilà con il rimpianto di
non avergli detto quelle cose.
Gannicus non rispondeva, in fondo, non sapeva nemmeno
cosa avrebbe potuto dirle.
- Vado a dare una mano… - sussurrò la ragazza. Si alzò
e senza voltarsi indietro lasciò il posto in cui si sentiva più sicura.
Non sapevano, però, che la conversazione era stata
ascoltata anche da chi non aveva gradito per niente quelle parole.
Gannicus stava bevendo del vino, forse l’ultimo della
sua vita, ma, in quel momento non erano quelli i pensieri che affollavano la
sua mente.
Era intento a guardare Sibyl poco lontana da lui, che
si intratteneva con uno schiavo di cui non sapeva nemmeno l’esistenza.
Lei gli porgeva un minuscolo pezzo di pane, mentre lui
le elargiva dei sorrisi fin troppo carichi di significato. Se non l’avesse
ucciso Crasso, avrebbe pensato lui a quell’insulso schiavo.
Ma era Sibyl che lo infastidiva di più. Fino a poco
tempo prima era una ragazzina timorosa e pudica, da dove nasceva quell’aria
rilassata di fronte ad un altro uomo?
- Ti godi la tua ultima notte? - Agron
lo interruppe dai suoi pensieri, cosicché Gannicus spostò lo sguardo da Sibyl
al guerriero.
- Non ci resta altro che aspettare. - bevve un altro sorso, lanciando un’occhiata a
Sibyl.
Anche Agron teneva tra le
mani una coppa. - Quest’attesa mi
innervosisce. I fottuti Romani ci tengono in trappola. -
Stava per rispondere, quando la sua attenzione venne
catturata da una scena che lo irritò
ancora di più: lo schiavo aveva strattonato Sibyl per il braccio, tirandola un
po’ troppo vicino a lui.
Lanciò un’occhiata ad Agron,
che cercava di trattenere una risata, mentre gli indicava Sibyl. - Vai, non
preoccuparti. -
Gannicus grugnì qualcosa di incomprensibile, per poi
raggiungere i due. Appoggiò la mano sul polso dello schiavo, per poi guardarlo
minaccioso.
L’uomo capì che non poteva sfidare il potente
Gannicus, perciò lasciò la presa sul braccio di Sibyl. Se voleva la ragazza che
se la prendesse pure. Si allontanò, mentre Gannicus si voltò verso Sibyl, che
evitava di guardarlo in faccia.
E da quando fuggiva il suo sguardo?
Stava per farle delle domande, quando tutto ciò
che voleva dire gli morì sulla bocca
alla vista di tre profondi graffi sulla guancia della ragazza.
Sibyl incontrò per un attimo gli occhi di Gannicus e
quando capì cosa stava guardando, si allontanò da lui, ma non aveva fatto i
conti con la tenacia del Dio dell’arena.
Le afferrò maldestramente il mento tra le dita ed
esaminò i graffi, invogliandola a parlare con lo sguardo.
- Non…non è nulla… - Sibyl spostò la mano di Gannicus
e riprese a camminare, ma lui continuava comunque a starle dietro.
- Non sono un tipo a cui piace chiedere. - fece
Gannicus, dopo essersi messo davanti a lei, bloccandole la strada.
- Non è nulla, Gannicus. - ripeté la ragazza,
abbassando lo sguardo.
- Sibyl. - era il tono di chi non ammetteva repliche.
- Mi è stato solo ricordato di non avvicinarmi agli
uomini che hanno già una compagna. -mormorò la ragazza, ripuntando di nuovo lo
sguardo su di lui.
Saxa.
Gannicus la guardò serio, mentre il fastidio che
provava dentro aumentava sempre di più. Sfiorò con il pollice i tre graffi,
maledicendosi da solo.
Se non riusciva a vedere tre semplici graffi sul suo
viso, cosa avrebbe fatto se avesse visto una spada trapassarle il petto?
Lasciò la ragazza lì, cominciando a cercare Saxa per tutto l’accampamento. La trovò accanto al fuoco
insieme a Spartacus e Crisso.
Si avvicinò a lei e la tirò bruscamente per il braccio.
- Vieni con me. -
Saxa, senza parlare, seguì il forte guerriero fino ad un
punto più isolato.
- Non rivendicare su di me diritti che non hai. -
continuò Gannicus.
Saxa scoppiò a ridere. - Parli della schiava? Da quando ti
interessa? -
Gannicus non le rispose. Di certo lei non era nella
posizione per chiedergli spiegazioni.
- La prossima volta che tenterai di farle del male,
sarà con me che scontrerai la spada. - le voltò le spalle, deciso ad
abbandonarla proprio lì.
- Sempre se non morirà stanotte la tua puttana. -
ringhiò Saxa, per poi imprecargli contro nella sua
lingua.
- Da ora le nostre strade si dividono, Saxa. - le disse, senza nemmeno guardarla in faccia.
Se ne andò, maledicendo se stesso per aver concesso ad
una piccola schiava tanto spazio nella sua testa.
Guardò il cielo, mentre la neve cadeva giù sempre più
pesantemente.
Forse quella era la sua maledizione: amare donne che
inevitabilmente sarebbero morte a breve.
Ma se con Melitta aveva fallito, con Sibyl non
l’avrebbe fatto.
L’avrebbe difesa e se non ci fosse riuscito, sarebbe
morto provandoci.
La battaglia infuriava intorno, la neve era così
macchiata di sangue, che ormai il suo candore non era più riconoscibile. Quello
scenario rifletteva l'animo dei combattenti, spinti più dalla disperazione, che
dalla speranza di poter vincere.
I Romani erano
troppi e anche nello sguardo del potente Spartacus si
poteva leggere il primo barlume di rassegnazione.
Gannicus, ormai, aveva perso il conto di quanti nemici
aveva ucciso dopo aver fatto nascondere Sibyl in un riparo temporaneo. Sapeva
che ormai stavano perdendo le speranze: erano circondati dai Romani come
animali in gabbia e per quanto forti, i seguaci di Spartacus
non avrebbero resistito agli attacchi di un così immenso numero di soldati.
Ma Gannicus combatteva. Combatteva per se stesso, per Spartacus, per i suoi compagni, ma soprattutto combatteva
per Sibyl.
Aveva promesso a se stesso di portarla via da lì, le
aveva promesso che lui sarebbe sopravvissuto e negli occhi profondi della
ragazza aveva letto la speranza di andare via insieme.
Si sentiva a pezzi e i Romani sembravano infiniti, ma
lui non aveva intenzione di arrendersi, non adesso che aveva qualcosa per cui
restare in vita, che non era la gloria.
La sua unica gloria sarebbe stata quella di ritornare
vincitore da Sibyl e potergli consegnare un mondo migliore, nel quale
ricominciare a vivere, magari, insieme.
Tagliò velocemente la testa di un ennesimo romano,
mentre davanti ai suoi occhi poteva vedere chiaramente il cuore di Crisso andare in frantumi, mentre ai suoi piedi giaceva il
corpo privo di vita della sua Naevia.
Istintivamente il suo sguardo corse al luogo dov'era
nascosta Sibyl, provando una strana sensazione al centro del petto.
Corse, incurante di quante volte la sua spada si
scontrava con quella di qualche Romano.
Pensò di morire quando scoprì che Sibyl non era più
lì. Cominciò a guardarsi furiosamente intorno, mentre il cuore batteva così forte da rischiare di scoppiare.
Dov'era finita quella dannata ragazzina!
Con tutta la ferocia che aveva trapassò un altro
nemico che gli si era lanciato contro, mentre proiettava su di lui tutta la
rabbia che provava per aver perso Sibyl.
Lei non era in grado di proteggersi da sola e lui
sapeva che non sarebbe più stato in grado di combattere se l'avesse vista
riversa in una pozza di sangue.
Riprese a guardarsi in giro, disperato.
Dov'era, dov'era!
- Gannicus! - un urlo disperato lo fece voltare
velocemente.
Poco lontano da lui, Sibyl aveva tra le mani una spada
che non riusciva nemmeno a tenere saldamente, mentre fronteggiava un Romano.
Incurante di tutto ciò che gli stava intorno, Gannicus
corse con tutta la forza che aveva nel corpo. Doveva arrivare da lei prima che
quel sudicio Romano potesse anche solo pensare di ucciderla.
Arrivò poco dopo e riuscì a trapassarlo con la spada,
squarciandolo.
Il fottuto Romano cadde a terra, provocando un tonfo.
Gannicus respirava a fatica ed era completamente
sporco di sangue, mentre i suoi occhi si fissavano su Sibyl, distante ancora
qualche metro da lui.
Lei piangeva, mentre la spada le cadeva a terra.
Era assurdo, eppure era contenta di avere Gannicus
davanti a lei. Lui era corso da lei, lo aveva fatto ogni volta che lei ne aveva
avuto bisogno.
Gannicus non riusciva a staccare gli occhi dai suoi e
incurante della battaglia che gli infuriava intorno, colmò quei pochi metri che
lo separavano da lei e con la mano libera la attirò a lui per un braccio,
facendo scontrare le loro labbra.
Le passò un braccio intono alla vita e la strinse
ancora di più. Le loro lingue vennero a contatto e per la prima volta, il Dio
dell'Arena abbandonava una battaglia.
L'aveva abbandonata con l'anima, di certo non con il
corpo.
...E se anche intorno a loro c'era un campo di
battaglia, anche se i loro amici stavano morendo, anche se Gannicus era così
concentrato su Sibyl da essere tanto vulnerabile da poter morire, a loro non
importava.
Non sentivano nemmeno i rumori della battaglia e non
vedevano i corpi cadere intorno a loro.
Gannicus lasciò cadere la spada e con la mano ora
libera le accarezzò una guancia, mentre si beava del calore della ragazza.
Le labbra di Sibyl erano così morbide. Erano uniche e
maledettamente invitanti. Proprio come lei.
Aveva il cuore che batteva fortissimo e la potenza di
quel bacio gli ridava una nuova speranza, una nuova consapevolezza. Avrebbe lottato
come se non aveva nulla da perdere, anche se da perdere aveva tutto. Avrebbe
lottato per restare accanto a Sibyl e godere dei suoi baci per tutta la vita.
Quel bacio rifletteva la paura che aveva avuto nel
perderla. Ma quando si ritrovarono col corpo, capirono che con l'anima non si
erano mai persi.
Lei viveva dentro di lui e quel bacio passionale,
sofferente e desiderato ne era la prova.
Si allontanarono solo per un attimo per riprendere
fiato, ma poi Sibyl si rituffò di nuovo sulle labbra del forte gladiatore.
Adesso che era con lui, non voleva più lasciarlo andare.
Le loro lingue si toccavano, per poi fuggire. Avevano
voglia di abbandonarsi, avevano voglia di perdersi l’uno dentro l’altro,
avevano solo voglia di potersi vivere liberamente.
E se anche adesso si ritrovavano nel posto sbagliato,
quella era l'unica cosa giusta da fare, questo lo sapevano.
Si baciavano per sigillare una tacita promessa, si
baciavano per esprimere ciò che a parole non erano in grado di fare. Si
baciavano perchè si amavano.
Gannicus si sentiva forte solo perché aveva l’amore di
Sibyl a fargli da scudo.
Sentiva un calore immenso partirgli dal cuore, per poi
propagarsi in tutto il corpo. Le sottili braccia di Sibyl si legarono ai
fianchi del potente guerriero, mentre si sentiva la donna più felice del mondo,
pur stando nel posto più infelice.
Si baciarono ancora e ancora. Niente aveva più
importanza, niente contava se non quello.
Si staccarono dopo un tempo indefinito e Gannicus
appoggiò la fronte contro quella di lei.
Forse gli Dei guidavano davvero la sua mano, dal
momento che nessun nemico aveva interrotto quel momento magico.
Gannicus portò entrambe le mani sul viso della
ragazza.
- Volevo poter scegliere il mio ultimo ricordo...-
sussurrò lui, ricordando le parole della ragazza.
Sibyl sfiorò di nuovo, per un attimo, le labbra del
gladiatore. - Voglio che tu sia il mio futuro, non il mio ultimo ricordo... -
sussurrò anche lei.
- Ritornerò da te. L'ho sempre fatto. - Gannicus si
staccò da lei e recuperò la spada.
Le accarezzò una guancia. Avrebbe vinto, per lei e per
la vita che voleva con lei.
Si voltò, per ritornare a combattere, ma la ragazza lo
richiamò. Così ritornò a guardarla.
-Ti amo.- Sibyl sentiva gli occhi colmi di lacrime. Non
voleva pensare che forse era la prima e ultima volta che glie lo diceva.
Gannicus sorrise.
-Ridimmelo quando ti porterò la testa di Crasso.-
disse, guardandola intensamente, come se avesse voluto imprimersi il suo viso
nell'anima.
Fece scontrare
un'ultima volta le loro bocche, per poi lanciarsi di nuovo in quella guerra
dei dannati.
Salve a tutti!
…Spero che questa vi sia piaciuto leggere questa
storia, tanto quanto a me è piaciuta scriverla xD
Come si è potuto capire dal testo (xD),
Gannicus è il mio personaggio preferito e insieme a Sibyl poi...l’adoro in modo
incredibile!
Non voglio dilungarmi troppo, visto che la storia è
già incredibilmente lunga xD Anzi! Spero non risulti
noiosa poi da leggere proprio per la sua lunghezza xD
Grazie in anticipo a tutti coloro che leggeranno!
Un bacio!