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Autore: ihatedenni    15/05/2013    3 recensioni
Il Dottore si ritrova a Las Vegas, in mezzo alla città che non dorme mai, circondato da giocatori d'azzardo e opulenza: niente di così strano, dopotutto, ma il suo desiderio di tornarsene nel TARDIS svanisce completamente quando viene a sapere del famoso mistero che aleggia attorno al Caribbean, il casinò più famoso della metropoli.
Come se un possibile attacco alieno non bastasse, il Dottore si renderà ben presto conto che è finito in mezzo ad un punto fisso della storia e che se intervenisse potrebbe mettere a rischio il futuro dell'intera umanità.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: avviso la sezione che no, questa non è una fic Rose x Ten o River x Eleven o tutte le relazioni che potete tirarci fuori.
No, non ci sarà nessun "Come along Pond", non è per niente "shipposa" e non è una shot romantica di quelle che si trovano qui.
E' un'avventura vera e propria del Dottore e ci tengo ad avvisarvi in anticipo per non farvi perdere tempo a trovare intrecci che non ci sono.
Per esperienza personale, so che questa storia avrà zero recensioni, ma ehi, posto comunque.

 

Viva Las Vegas!

 
 
Ryan seguì il suo capo, Herbert Hooper, verso il caveau del Caribbean.
Era il suo secondo anno di lavoro in quel casinò e finalmente gli erano state date nuove responsabilità: avrebbe ben presto avuto i codici per accedere alla zona segreta.
Si stava vantando da due giorni con la sua coinquilina per essere riuscito ad avere una promozione così sostanziosa e non vedeva l’ora di mettersi all’opera.
Stavano camminando ormai da tre minuti lungo gli infiniti corridoi del casinò e Ryan si chiese quando sarebbero arrivati: era piuttosto grande come edificio, ma non avrebbe mai pensato che il caveau si trovasse in una zona così isolata.
Neanche averlo detto ed Herbert si fermò di fronte al nulla.
Ryan non capì: a circa venti metri dalla loro posizione c’era una porta di metallo, quella del caveau stesso.
Herbert si pose di fronte a lui, con la smorfia che faceva sempre quando doveva insegnare qualcosa di nuovo ai suoi sottoposti.
«Okay Busker» iniziò Hooper, toccando con mano il display alla sua destra, incastrato ad altezza uomo nel muro.
«Per prima cosa inserisci il codice. Sono tre cifre, quindi non è difficile da ricordare»
Ryan annuì e Herbert digitò i numeri.
Improvvisamente una porta di vetro si chiuse di fronte a loro, uscendo dalle pareti e bloccandoli dall’altro lato del corridoio.
Era veramente spessa, difficile da distruggere, ma il giovane non riuscì comunque a capire la sua utilità.
Invece la seconda porta, quella di metallo, si aprì.
Ryan fu ancora più confuso.
«Scusi, ma si apre l’entrata del caveau e si chiude questa? Non ha senso!» protestò, ma Hooper lo fulminò con un’occhiataccia.
«Stiamo parlando di miliardi di dollari. Pensi veramente che un codice serva ad aprirla? Bisogna essere in due per gestire questo tipo di operazioni. Ascoltami bene, ragazzino. Ascoltami, non sentimi, sono due cose diverse. Prestami attenzione. Il grande capo vuole evitare truffe o furti e sappiamo benissimo perché. Troppi soldi in una stanza sola non possono essere controllati da un dipendente alla volta. Ci vogliono due membri per ogni transazione: uno che esegue gli ordini, l’altro che controlla gli spostamenti. Uno se ne sta dall’altra parte della porta di vetro, e l’altro fa su e giù. Una volta finito, la porta del caveau si chiude e quella di vetro si apre. Semplice» domandò l’uomo.
Non aspettò nemmeno risposta che tirò fuori il documento e lo scansionò con il computer.
Ci mise una decina di secondi a rielaborare i dati, poi gli venne dato l’ok.
Il minuto passò e la porta si aprì, lasciando via libera.
Ryan ripassò tutto mentalmente.
«Praticamente, in ogni caso, ci vogliono sempre due persone?»
«Esatto»
«E perché due persone? Potevano mettere un secondo computer e far aprire le porte a turni da un solo dipendente»
«E’ una precauzione extra, è stata messa solo due mesi fa dai nuovi proprietari del casinò. Prima tutti i dipendenti senior se la cavavano con un semplice codice e ora abbiamo questo giochino dall’Ufficio Complicazioni Affari Semplici» borbottò l’uomo.
Gli fece cenno di seguirlo dentro al caveau e Ryan lanciò un’ultima occhiata a quella dannata porta, la stessa che aveva toccato pochi secondi prima: vetro, cosa poteva esserci di più stupido?
Sospirò, pensando che due piani più in su, nel frattempo, i giocatori d’azzardo più incalliti di Las Vegas stavano sperperando le loro fortune nei tavoli da poker e roulette, senza togliere gli occhi di dosso dal bottino.
La peculiarità che contraddistingueva il Caribbean dagli altri casinò erano i suoi miseri due piani superiori, rendendolo incredibilmente piccolo in confronto agli altri.
Non era questo, però, che lo rendeva speciale: la vera vita stava nei sotterranei.
Affiancato ad un laghetto artificiale adibito a mare dei Caraibi, tutte le sale da gioco si trovavano nei primi tre piani sotto lo zero, caratterizzate dalle pareti che altre non erano che enormi vetrate sull’acqua.
I clienti abituali e non potevano godersi una vista paradisiaca al di fuori delle finestre, con l’enorme modello di nave del seicento incagliata sulla destra e i pesci d’acqua dolce che si spostavano continuamente.
Come un enorme acquario.
Tutto il casinò era immerso in questa riproduzione dettagliata dei mari caraibici, rendendolo un’attrazione da non perdere.
A volte Ryan si perdeva a fissare quello spettacolo, dimenticandosi per un attimo di essere al lavoro, e puntualmente era sempre Dani, la sua famosa coinquilina, a farlo tornare in sé.
Mentre lui era stato promosso, lei era ancora la solita cameriera che si assicurava di portare abbastanza drink ai clienti, la giusta quantità per allentare la loro concentrazione e far perdere più soldi possibili al banco.
Al contrario delle discoteche, che annacquavano il più possibile i cocktail, al casinò aggiungere quel pizzico di alcol in più era ciò che aiutava a far girare i soldi lì dentro.
Erano anche piuttosto bravi, fin troppo: il nuovo barista preparava drink da capogiro, dato che solo dopo un bicchiere molti giocatori si sentivano a pezzi.
Dani fece il giro dei tavoli di blackjack dal quaranta al cinquanta, intenta a recuperare i bicchieri vuoti, quando venne fermata da un uomo, uno dei pochi a non giocare.
Prima di parlare guardò bene la stanza, lanciando occhiate qua e là, e poi sembrò ricordarsi di ciò che voleva chiedere alla mora.
«Oh, sì, scusi, mi ero incantato… volevo chiederle, dov’è che potrei trovare il direttore?» domandò gentilmente.
Dani lo squadrò e non riuscì a trattenere una risatina.
Per chi l’aveva presa, una segretaria?
E pensava davvero fosse così facile avere un appuntamento con il proprietario in una delle sere della settimana più affollate?
Dani smise di sghignazzare e continuò a guardarlo negli occhi, raccogliendo contemporaneamente un paio di bicchieri al tavolo quarantasette.
«Mi scusi, ma chi dovrebbe essere lei?» domandò.
Si stava chiedendo seriamente chi fosse quell’essere ingenuo che pensava fosse così facile gironzolare per l’amministrazione del Caribbean.
L’uomo si batté una mano sulla fronte, come a darsi dello stupido, e sorrise.
«Ah già, che idiota, non mi sono presentato!» esclamò.
«Io sono il Dottore!»
 
Dopo che la cameriera l’ebbe snobbato, il Dottore continuò a cercare qualsiasi corridoio, stanza o scala che lo potesse portare al suo obiettivo.
Stava investigando da giorni sul perché la gente che frequentava quel casinò scompariva, ma non era ancora arrivato a capo di nulla.
Nemmeno con la Adipose c’aveva impiegato tutto quel tempo.
Ora era lì, confuso e con mille quesiti in testa: dove poteva trovare l’amministrazione? Qual era il nuovo gestore del Caribbean? Perché la gente scompariva?
Non aveva nemmeno un indizio da cui iniziare e si sentiva in alto mare, ma sicuramente non si sarebbe scollato di lì fino a che non avesse trovato le risposte che cercava.
Le sale erano enormi e dispersive e con tutta la gente che c’era non poteva pretendere di riuscire a tirarne fuori qualcosa, non subito.
In un normale locale avrebbe aspettato la chiusura, ma nei casinò non esistevano limiti.
Nonostante ciò, c’era sempre una fascia oraria in cui la folla si dimezzava, più o meno dalle tre alle sei del mattino.
Sarebbe stato comunque affollato, ma avrebbe avuto più possibilità.
Sì, pensò tra se e se, aspettare era l’opzione giusta… anche se la pazienza non era proprio il suo forte.
 
Dani cominciò a insospettirsi quando rivide quel tale, il Dottore, per ben cinque volte dopo il loro primo incontro: non era raro rivedere clienti, ma lui non faceva proprio nulla.
Nessuna puntata, nessuna roulette, nessuna mano di poker.
Girava… e basta.
Erano le due e mezzo del mattino e cominciava a sentirsi stanca, se non seccata.
Lasciò il vassoio sul bancone e il foglietto con le ordinazioni dei giocatori più incalliti, coloro che non avevano ancora gettato la spugna e con zero intenzioni di andare a dormire.
Il barista prese la lista e cominciò a fare i cocktail con una velocità impressionante.
Quel tale era sospettoso sotto ogni punto di vista e Dani non voleva avere l’ennesima grana: già stava cercando di capire cosa stesse succedendo ai clienti abituali del casinò, figurarsi fare da baby sitter a un mero impiccione.
Nelle ultime settimane aveva cercato di contattare telefonicamente gli habitué che non vedeva più, sottraendo l’elenco contatti dagli uffici dell’amministrazione, ma la maggior parte delle volte chiamava troppo tardi: le vittime erano svanite, e le informazioni perse.
Il fattore più difficile di tutta quella storia era, senza dubbio, mantenere un sorriso solare e essere disponibili nonostante quello che stava accadendo.
Si girò verso il barista, sospirando.
«Sai Khamed… lavoro qua da due anni e non mi capacito ancora di come le persone riescano ad essere così imperturbabili dopo aver perso i risparmi di una vita» commentò la ragazza, fissando alcuni tavoli ancora pieni.
Metà del terzo piano sotterraneo s’era svuotato e sperava vivamente che anche negli altri due fosse successo lo stesso: non pretendeva troppo.
Avere più di tre quarti di clientela per piano significava essere spedita su e giù per tenere il ritmo e il suo turno finiva alle sette del mattino.
Preferiva che rimanesse tutto calmo così com’era.
«Prendi me. Ho appena ventitré anni e sono qua da due anni per risparmiare la stessa cifra che loro buttano via in una sera» continuò.
Il barista non rispose.
Era stato assunto da soli due mesi e in sessanta giorni Dani non era riuscita a fargli sputar fuori una parola che fosse una.
Eppure continuava ad insistere, considerando Khamed come una spugna dei suoi commenti e considerazioni.
«Vorrei viaggiare, vedere il mondo come ho sempre sognato. Abitare all’estero, imparare una nuova lingua, fare esperienze… che ci faccio qua a vedere gente ricca sfondarsi il conto in banca?» domandò.
Khamed non rispose e non la guardò, ma si limitò a lasciarle i drink sul vassoio.
Dani sorrise sarcastica.
«Oh Khamed. Tu sì che sai sempre cosa dire» commentò, per poi girare i tacchi.
Un’altra oretta passò e la sala si svuotò poco, contro i piani di Dani, e in quel momento ospitava solo un centinaio di persone contro le solite seicento a sala.
E quel tale era ancora lì.
A infastidirla.
Dani odiava non sapere come stava la situazione e quell’uomo era strano e curioso: camicia blu, completo marrone, converse beige e trench lungo fino ai piedi, con quella temperatura!
Va bene che erano a metà maggio, va bene che solitamente raggiungevano temperature ancora più alte, ma lei era in divisa leggera e sarebbe morta in giacca e cravatta.
Decise di avvicinarsi al Dottore, senza lasciare il vassoio al bancone, e attirò la sua attenzione.
«Vuole darmi il cappotto, signore?» domandò, con una punta d’accusa nella sua voce.
Il Dottore si girò di colpo, preso alla sprovvista.
«Oh… beh, io… io… suppongo di sì» rispose, togliendoselo.
Lo passò alla cameriera, che appoggiò il vassoio vicino ad un tavolo vuoto e titubò un attimo.
Era molto strano e circospetto, cosa che la spinse a riflettere sul da farsi: quando incontrava tipi del genere aveva il compito di segnalarli alla security immantinente.
Gli prese il capo e continuò a fissarlo.
C’era qualcosa di diverso in lui, non sembrava pericoloso.
Senza curarsi del fatto che stava lavorando, Dani lanciò il cappotto sulla sedia più vicina e sospirò.
«Amico, seriamente, che stai facendo?» domandò.
Il Dottore si rivoltò.
«Come scusa?»
«Sei qua da ore e ore e non hai nemmeno preso in mano una carta, non hai ordinato un drink e non ti sei incontrato con qualcuno che conoscevi. Che sei venuto a fare?» chiese.
L’uomo prese prontamente la carta psichica nel taschino del completo e gliela mostrò, sorridendo.
«Ispettorato per il controllo del gioco d’azzardo in edifici sottomarini» rispose.
La ragazza lo guardò confusa.
«Esiste una cosa del genere?»
Il Dottore ci pensò un attimo, dato che quando era atterrato s’era dimenticato di controllare la data: era andato a sentimento e non sapeva esattamente se esistesse un’associazione del genere in quel tempo.
«Da sempre!» rispose svelto lui.
Dani non sembrava convinta.
«Se ne vada» gli intimò, riprendendo il vassoio.
Gli girò le spalle e fece per tornare al bar, quando una domanda di quell’uomo la fece fermare.
«E’ successo qualcosa negli ultimi due mesi?» chiese.
La mora non rispose.
Il Dottore abbozzò un lieve sorriso, notando d’aver centrato il punto.
Se anche lo staff interno era preoccupato, allora era sulla pista giusta.
«La gente comincia a non tornare, vero? I casinò sono famiglie, per lo più. Tutti conoscono gruppetti abituali di persone, ma qui… qui nessuno interagisce, sono sempre nuovi giocatori, nuovi avventurieri dell’azzardo»
Più la stuzzicava, più lei s’irrigidiva: questo poteva solo confermare le idee del Dottore.
 
Non era l’unico ad averlo notato.
Dani Kawalski lavorava da due anni al Caribbean e aveva sempre avuto lo stesso staff, lo stesso direttore, gli stessi amministratori e i soliti gruppi di persone che erano affezionate a quel posto.
Solitamente i tavoli sette, quarantatré, cinquantanove, settantadue e novantasei erano sempre occupati da compagnie che si ritrovavano ogni sera lì, contenti di passare il dopocena con gli amici a perdere qualche centesimo.
Due mesi fa, però, di quei cinque tavoli due furono abbandonati e lasciati a nuovi clienti.
Un mese prima, ancora due.
Dell’ultimo tavolo di habitué rimasti c’erano solo il vecchio Johnny, ex soldato in pensione, Susan, una maestra d’asilo appena rimasta incinta e Owen, un ragazzo di vent’anni indeciso se mollare l’università o meno.
Dani sapeva che Owen aveva dei trucchetti in mano ma non ne faceva mai parola con nessuno.
Ogni tavolo di blackjack aveva sette posti e se erano rimasti in tre era chiaro: significava che era successo qualcosa che andava oltre ad una semplice coincidenza.
Persino i nuovi clienti non li rivedeva più.
Tre o quattro volte e poi se la filavano.
Quando tornò a casa con Ryan alle otto del mattino, prima di andare a dormire dovette sorbirsi tutti i racconti sul caveau del suo coinquilino, molto distrattamente.
S’era soffermata a pensare al mistero che aleggiava sul Caribbean e la presenza di quell’uomo non poteva che confermare le sue preoccupazioni.
Mentre il biondo continuava a ripetere di codici a tre cifre e porte di vetro che spuntavano dal nulla, Dani si chiese cosa poteva fare per scoprire cosa stava succedendo.
Non aveva intenzione di lavorare in un posto così ambiguo.
 
Quando la ragazza tornò al lavoro la sera dopo, si accorse che il Dottore era ancora lì, che si aggirava indisturbato tra i tavoli da gioco.
Lo ignorò per la prima parte della nottata, poi lo riavvicinò con la scusa del cappotto, ma non ebbe il coraggio di tornare nell’argomento.
Fu verso le due del mattino che, una volta che le acque si furono calmate, trovò il tempo e la forza di riprendere il discorso della sera prima.
«Sei della polizia? Stai indagando su cosa sta succedendo qua?» domandò.
Il Dottore si dondolò sui talloni, squadrandola.
Non sembrava pronta a fare la spia.
Era alta all’incirca uno e settanta, quindi non gli era difficile guardarlo negli occhi mentre lo fulminava con lo sguardo in attesa di una risposta.
«No, niente polizia» rispose.
«Piuttosto, sapresti dirmi cosa sai di queste sparizioni?» chiese.
Dani si guardò in giro, per controllare la situazione, e decise che gli altri camerieri se la sarebbero cavata anche senza di lei.
Portò l’uomo in un corridoio appartato, riservato allo staff, e controllò la via.
«Cosa ti fa pensare che sono sparizioni?» domandò lei.
Il Dottore la fissò, serio.
«Hai qualche altra idea?»
«Io ho saputo delle morti. Tutta la gente che viene qua, tra l’altro. Non so più cosa pensare sinceramente. Pensi siano collegati a questo posto?»
L’uomo si guardò intorno, mise le mani in tasca e ci pensò un attimo.
La ragazza, invece, interpretò quel silenzio come un tacito dubbio e provò a parlargli di nuovo.
«Sono iniziate due mesi fa, lo stesso periodo in cui abbiamo cambiato direttore e altre parti dello staff» aggiunse.
«Ho saputo anche questo. Se eri sospettosa già da tempo, perché non l’hai mai detto a nessuno?»
Dani fece spallucce.
«E cosa avrei dovuto dire? Non prova nulla. Dovrebbe essere solo una coincidenza»
«Dovrebbe» ripeté il Dottore.
La cameriera non disse altro.
Possibile che in tutto questo tempo solo quell’uomo avesse avuto l’idea di scoprirne di più?
Lei passava parte delle sue pause a guardarsi in giro e a cercare qualcosa di fuori dal comune, ma non c’era mai nulla di clamoroso.
I baristi, gli altri camerieri e nemmeno Ryan si erano mai interessati alla vicenda, e forse non avevano nemmeno collegato i due punti.
Forse quello strano dottore (o ispettore, o infiltrato, o quello che era!) l’avrebbe potuta aiutare a far luce.
No, e se poi il casinò non c’entrava con i decessi?
Avrebbe messo a rischio l’unico lavoro fisso che aveva da anni.
Mille dubbi le attraversarono la testa e il Dottore, spazientito, se l’era già data a gambe senza che lei se ne accorgesse.
Ora che era riuscito a trovare un modo per aggirarsi nel backstage del casinò, non se lo sarebbe perso per nulla al mondo.
Aprì decine di porte, la maggior parte delle quali lo portarono solamente a magazzini e celle frigorifere.
Doveva trovare un ascensore o delle scale che l’avrebbero portato ai piani inferiori.
Ripercorse quel labirinto di corridoi bianchi e tornò in quello principale, senza trovare la ragazza.
Un cameriere che passava di lì attirò la sua attenzione e il Dottore si fiondò a parlargli, tirando fuori la carta psichica.
«Ispettore per la sanità, potrei controllare le cucine?»
 
Le cucine del Caribbean erano le più pulite che avesse mai visto.
Tutti lavoravano in armonia e nemmeno durante la preparazione dei piatti si poteva intravedere una macchia.
Era troppo strano.
Il Dottore inforcò gli occhiali da vista e cominciò a esaminare ogni angolo della stanza.
Iniziò a tirare fuori vasetti e confezioni, senza che nessun membro dello staff gli dicesse qualcosa.
Li guardò, per assicurarsi di avere il via libera, ma nemmeno quando aprì una confezione di sottaceti il personale lo calcolò.
Zelanti.
Annusò il contenuto e poi ci infilò l’indice.
Assaggiò il cibo, leccandone giusto una puntina, ma non sentì nulla di strano.
Fece lo stesso con altri piatti ma non trovò segni di manipolazione aliena.
Nessun veleno, nessun’alterazione… il cibo non c’entrava e non aveva niente di particolare.
I cuochi, invece, sembravano persino troppo concentrati e meccanici.
Il Dottore cercò di parlare con loro, ma erano talmente presi dal loro lavoro che rispondevano a grugniti o versi confusi.
«Mi scusi, sono dell’ispettorat–»
«Stiamo lavorando» rispose fredda una delle chef, facendo saltare il filetto.
«Ma vede…»
«Stiamo lavorando» ripeté, scansando il Dottore e abbassando il livello del gas.
L’uomo saltellò via dalla postazione, confuso.
Prese il cacciavite sonico ed esaminò, senza farsi vedere, uno dei cuochi.
No, non c’era nulla di strano in loro.
Dati i loro comportamenti avrebbero potuto essere plastica vivente della Coscienza di Nestene, ma il cacciavite rivelava carne e ossa.
Arretrò lentamente fuori dalla cucina, insoddisfatto, e andò a sbattere contro una cameriera, la solita che l’aveva avvicinato prima.
«Oh, sei di nuovo tu» esclamò.
La mora si sistemò il ciuffo di capelli che le era finito di fronte agli occhi e alzò lo sguardo.
«Ti stavo parlando e sei scomparso nel nulla. Sei veramente maleducato» borbottò.
Il Dottore alzò gli occhi al cielo: quante volte se l’era sentito dire?
Rose, Mickey, Jack, Martha, Donna, Francesca e altre svariate conoscenze non si erano mai risparmiate quel commento riguardo al suo carattere.
«Scusa» rispose.
Si sentì in dovere di porgergli le sue scuse dato che era merito della ragazza se era riuscito ad entrare nelle cucine.
Non aveva scoperto molto, ma almeno si era tolto dei dubbi.
La cameriera sorrise.
«Non so chi tu sia ma sembri preso da questo caso. Qua nessuno mi crede riguardo alle sparizioni e tutti i miei tentativi sono stati un colossale flop. Se io ti aiuto a circolare nei corridoi del Carribean, tu mi aiuti a scoprire cosa sta succedendo?» domandò.
Non aspettò nemmeno la risposta che gli porse la mano, come a suggellare il patto.
Sapeva che quell’uomo voleva il via libera e non avrebbe potuto rifiutare la sua offerta.
Il Dottore non ci pensò un attimo e sorrise.
«Affare fatto…» iniziò ad esclamare, per poi fermarsi.
«… signorina?»
«Dani. Dani Kawalski» si presentò lei.
Il Dottore sorrise di nuovo a trentadue denti.
«Affare fatto Dani!»
 
La prima tappa fu senza dubbio lo spogliatoio dei dipendenti, al momento vuoto.
Era la stanza più vicina e dato che avevano già concordato venti minuti prima che lo staff c’entrava qualcosa, erano entrambi curiosi di cosa avrebbero trovato.
Il Dottore accese la luce e guardò le panchine e gli armadietti, serio.
Sarebbe stata una lunghissima ricerca.
«Dottor… chi?» domandò ad un certo punto Dani, cogliendolo di sorpresa.
Il Dottore si girò.
«Come prego?»
«Dottor… cosa? Come ti chiami?» ripeté.
Il Dottore avanzò fino a metà della stanza, girò su se stesso e poi guardò il soffitto.
Una volta esaminato per bene l’ambiente, tirò fuori il cacciavite sonico e cominciò a scannerizzare uno degli armadietti.
«Solo… il Dottore»
Dani s’appoggiò ad una delle panchine, controllando con lo sguardo cosa stesse facendo.
«Non puoi chiamarti solamente Dottore»
«Oh, sì che posso!»
«Senti, se hai uno di quei nomi osceni tipo Obadiah non è che ti giudico, eh…»
«Non mi chiamo Obadiah. Mi chiamo il Dottore» l’interruppe.
Dani rimase in silenzio per un paio di secondi.
«Okay, ti chiami il Dottore. Tu puoi chiamarmi la Regina»
«Ma non ti chiami Dani?»
La ragazza si schiarì la voce.
«Non mi chiamo Dani. Mi chiamo la Regina» gli fece il verso.
Non gli lasciò nemmeno il tempo di replicare che ricominciò a bombardarlo di domande.
«Cos’è quella cosa blu?»
«Quale cosa?»
«Quella che hai in mano. Quella che fa quel zzzzz strano»
Il Dottore si piegò sulle ginocchia, controllando uno degli armadietti inferiori e aprendolo con il cacciavite.
Niente se non qualche vestito di ricambio e delle mentine.
«E’ un cacciavite sonico. L’ho costruito io» rispose, fiero della sua opera.
Dani piegò la testa.
«E cosa fa?»
«Tutto»
«Tutto? Tipo?»
L’uomo sbuffò, cercando di concentrarsi.
«Tu eri una di quelle bambine che chiedevano sempre “perché perché perché” ai genitori, vero?» replicò.
Dani capì di essere un fastidio e si ammutolì istantaneamente.
Era solamente curiosa.
Era uno strano tipo con seri problemi riguardanti il suo nome che aveva un cacciavite super tecnologico… poteva porsi qualche domanda, no?
Dopo un paio di minuti in cui la ragazza non aprì bocca nemmeno per respirare, il Dottore si rese conto di essere stato un po’ troppo duro.
Alla fine lo stava aiutando ed era grato per questo.
Mentre controllava le giunture delle porte, decise di rompere il silenzio.
«Lavori qua da molto?» chiese.
Dani alzò lo sguardo, sorpresa.
«Beh… due anni» mormorò.
«E ti piace?»
«Diciamo che ci potrebbe essere di peggio. Non era la mia aspirazione di vita, ma almeno tiro avanti fino alla fine del mese»
Il cacciavite sonico smise di fare quel fastidioso rumore.
«E cosa volevi fare?»
La ragazza, stupita da quella raffica di domande, continuò a rispondere, torturandosi le dita della mano.
«Viaggiare?» rispose, senza rendersi conto d’aver trasformato il suo progetto in un’ipotesi.
Il Dottore sorrise.
«Era una domanda?»
Dani fece per rispondere ma qualcosa attirò il suo sguardo.
Impallidì di colpo, mettendosi una mano davanti alla bocca, e sul suo sguardo si dipinse una smorfia di disgusto.
«Oddio… bleah, che cos’è!?» esclamò, indicando una massa gelatinosa accanto ad una delle panchine.
Il Dottore si lanciò verso l’angolo con la sostanza non identificata e Dani lo seguì a ruota, nonostante fosse schifata anche solo dalla visione dell’oggetto.
Era effettivamente una massa gelatinosa, molto simile ad una medusa, di un rosa salmone.
L’uomo la prese in mano, l’avvicinò al naso per odorarla e poi, di fronte a una Dani sconvolta, gli diede una leccata veloce.
La ragazza distolse lo sguardo e fece no con la testa.
«Dovevi proprio, vero?» borbottò.
Il Dottore ci pensò su un attimo, cercando di capire cosa fosse quella massa informe così familiare.
Poi venne illuminato.
«Gamblari!» esclamò, sputando a terra il sapore vischioso della gelatina.
Dani tornò in se.
«Come scusa?»
«Gamblari. Sono una razza della terza costellazione della Cintura d’Orione. Una specie molto prepotente, a mio parere» rispose.
La ragazza lo fissò per un attimo, poi scoppiò a ridere.
Era la soluzione migliore in alternativa al piangere per aver perso tutto quel tempo dietro ad un pazzo.
«Oddio, e io che speravo veramente di aver trovato qualcuno che volesse aiutarmi!» esclamò, alzandosi e girando i tacchi.
Il Dottore alzò un sopracciglio, confuso.
«Cosa intendi dire?» domandò.
Dani si fermò e continuò a ridere.
«Alieni. Mi stai dicendo che ci sono degli alieni. Cristo, io ti stavo pure credendo!»
«Ma è vero. La vedi quella gelatina? E’ materiale di scarto. Quando mutano la loro forma, se il corpo da imitare ha dimensioni più piccole delle loro, l’eccesso semplicemente… scivola via» le spiegò.
Dani scoppiò a ridere ancora di più, arrivando persino alle lacrime.
«Certo. Materiale vivo. Sì. Ciao Obadiah» concluse, girando i tacchi e facendo per uscire.
Il Dottore si meravigliò di quello che stava per dire.
Poteva benissimo cavarsela da solo, andare avanti a investigare per conto suo dato che ormai aveva già trovato la pista da seguire.
Perché doveva rendere conto ad una cameriera da casinò?
«Credimi. E’ tutto vero. Guarda» mormorò, indicando la materia di scarto.
Dani si girò, concedendogli un ultimo sprazzo d’attenzione.
Lanciò un’occhiata al punto in cui quella gelatina rosa era stata posata, ma non c’era più.
Vagò con lo sguardo in giro per il pavimento e si accorse solo dopo che era pericolosamente vicina al suo piede… e si stava muovendo.
Saltò all’indietro, spaventata.
«E’ viva!» esclamò.
«Te l’avevo detto!» riprese l’altro, sorridendo.
Doveva essere serio per rassicurarla, ma era troppo felice d’averla convinta per farlo.
«Allora, rimani a investigare con me?» domandò.
Dani aspettò di riprendersi dallo shock.
«Io l’avevo detto che il 2009 non era il mio anno» borbottò.
«Ah, è il 2009?» chiese il Dottore.
Dani aggrottò le sopracciglia.
«Non sai che anno è?»
«No. Quando sono atterrato non ho controllato»
«Atterrato? Sei un alieno anche tu?» gridò, ma il Dottore le arrivò accanto per tapparle la bocca.
«Sì, beh, in un certo senso… sono un Signore del Tempo, viaggio con una cabina blu attraverso il tempo e lo spazio e bla bla bla» domandò.
Sperò vivamente di non doverle dimostrare anche quello.
In tutta risposta Dani lo fissò, respirò profondamente… e svenne tra le sue braccia.
Il Dottore assistette alla scena, confuso.
«Beh… questa è una prima volta»
 
Dani si riprese cinque minuti dopo, ancora scossa.
Quando aprì gli occhi fece un balzo lontana dal Dottore, che stava ancora esaminando la materia per capire quanto fresca fosse.
«Cosa mi hai fatto?!» esclamò, toccandosi il corpo.
«Mi hai asportato un rene? Mi hai iniettato qualcosa?» domandò.
Il Dottore si tolse gli occhiali neri, perplesso.
«Perché avrei dovuto?»
Dani deglutì.
«Sei un alieno!»
«Beeh… se ti fa stare meglio, anche tu lo sei per me» rispose.
La ragazza non osò replicare, anche perché l’uomo non aveva tutti i torti.
Non voleva credere a quello che le stava dicendo, ma effettivamente quella cosa si era mossa e sembrava essere dotata di vita propria.
E quel cacciavite iper tecnologico che apriva tutti gli armadietti?
La sua teoria non sembrava essere poi così falsa.
«Quindi tu… vieni da un altro pianeta?»
Il Dottore abbassò lo sguardo e il sorriso svanì.
Si aspettava sempre quella domanda, ma non aveva ancora imparato a farla scivolare via.
«Sì… si chiamava Gallifrey» rispose.
«Chiamava?» chiese Dani.
Il Dottore si alzò dalla panchina, rimettendo il cacciavite sonico nel taschino del trench, e decise di sviare l’argomento.
«In che anno dicevi che eravamo?» chiese.
«2009. Per la precisione, 15 maggio» rispose distratta.
Il Dottore impallidì improvvisamente.
«Oh. Oh. Oh no» sospirò.
«No cosa?»
La ragazza ci stava capendo sempre di meno.
Appena sembrava intuire o metabolizzare qualcosa, tutto pareva crollarle addosso con una montagna di dubbi e incertezze.
Vedere quell’uomo – pardon, alieno – così spaventato dopo tutta la spavalderia che aveva ostentato non presagiva nulla di buono.
«Cosa c’è?» ripeté, in ansia.
Il Dottore imboccò l’uscita degli spogliatoi con passo deciso, costringendo la ragazza ad inseguirlo.
«Dove stai andando?»
«Via di qui. Al più presto. Io non dovrei essere qua» borbottò.
Dani gli si parò davanti, facendolo quasi scontrare contro il suo corpo.
«Perché?» sillabò lei, aprendo le braccia e facendogli capire che non sarebbe andato da nessuna parte.
«Perché questo giorno, di questo mese e di questo anno… proprio oggi, proprio ora, questo… è un punto fisso nel tempo» rispose.
Dani non fece in tempo a chiedergli nulla di più che due membri dello staff li raggiunsero a passo svelto.
Senza lasciarli un secondo per replicare, li presero sotto braccio e li scortarono via dal corridoio, in mezzo allo stupore generale.
«Aspettate, cosa state facendo? Sono una delle cameriere, levatemi le mani di dosso!» gridò Dani, cercando di scalciare, mentre il Dottore li seguì senza fare storie.
Prima di andarsene, voleva capire chi c’era dietro a tutto ciò.
 
Dani capì istantaneamente che erano arrivati all’ufficio del direttore.
Seduti di fronte ad un’enorme scrivania di mogano, entrambi stavano aspettando la venuta di quell’uomo, insieme ai due galoppini che si fingevano membri dello staff.
Il Dottore non disse nulla, consapevole che non sarebbe nemmeno dovuto essere lì.
Più i secondi passavano, più si sentiva a disagio.
Doveva lasciare quell’edificio al più presto.
Dani lo richiamò un paio di volte, ma perso nei suoi pensieri non se ne rese conto.
Fu quando lei gli prese la mano che si accorse che era richiesta la sua attenzione.
«Cos’è un punto fisso nel tempo?» domandò lei.
Il Dottore la fece scivolare via dalla presa della ragazza e sospirò.
«E’ un avvenimento che non puoi cambiare. Qualsiasi cosa succeda, deve rimanere com’è sempre stato, altrimenti il futuro potrebbe spezzarsi» spiegò.
Dani alzò lo sguardo.
«Come Pompei?» azzardò.
Il Dottore chiuse gli occhi: era inevitabile, quell’episodio sarebbe sempre tornato a tormentarlo.
Si limitò ad annuire.
«Cosa c’è oggi di così importante da essere un punto fisso nel tempo?»
Il Dottore incrociò le braccia e si guardò intorno.
Cercò di ricordarsi ogni particolare di quel giorno.
«Ero su Parsafilia, un pianeta del secondo armamento di Zandra. Mi raccontarono di questo giorno sulla terra. Vedi, loro hanno questo detto che ricorda gli avvenimenti che si terranno oggi. Non rimembro esattamente ogni parola, ma penso fosse ashkrum gael Kostun»
Gli occhi di Dani s’illuminarono.
Il Dottore si schiarì la voce.
«Cosa significa?»
«Morte vinta dalla Costante. O almeno credo sia la traduzione giusta, devi sapere che quel popolo non usa genere o numero.Si narra che c’è stato un eroe, che si faceva chiamare la Costante, che salvò tutti dalla distruzione sacrificando la propria vita. Tra le persone che salvò c’era anche il futuro presidente degli Stati Uniti, Maynard Collins, uno dei politici più importanti che questo pianeta abbia mai avuto. Salvò il continente dalla crisi e rese prospera la nazione per decine di anni a venire. Il picco della civiltà attuale»
«Parli al passato di cose che succederanno in paio d’ore»
Il Dottore sorrise.
«E’ una fortuna»
Seguirono un paio di secondi di silenzio, poi Dani riprese a parlare, con le mani tremanti.
«Quindi succederà una tragedia stasera. Saremo salvati tutti da quest’uomo che sacrificherà la sua vita per noi» riassunse.
Il Dottore annuì, sperando non fosse troppo spaventata.
«Perché su Parsafilia?» domandò.
L’uomo alzò lo sguardo.
«Come, prego?»
«Perché hai sentito questa leggenda su Parsafilia? E’ un disastro accaduto sulla Terra, perché lo ricordano loro?»
Il Dottore non fece nemmeno in tempo a rispondere che il presunto direttore entrò nell’ufficio.
Sembrava un uomo normale e avrebbe ingannato persino l’occhio clinico del Dottore, se non fosse che sapeva già che non era umano ma un Gamblare.
Il Gallifreyano non conosceva quell’essere, ma non sembrava essere un problema, perché il tale direttore sapeva chi lui fosse.
«Il Dottore. Che onore averti qua, nel mio ufficio» esclamò, saltando direttamente i saluti.
«Non pensavo di valere la tua attenzione» concluse.
Si sedette di fronte al Dottore e alla ragazza, appoggiando i piedi sulla scrivania.
«Mi chiamo Ganish, se te lo stessi chiedendo. Piuttosto, cosa posso fare per voi?» domandò.
Il Dottore lo guardò, serissimo.
«Potresti spiegarci cosa volete da questo pianeta» azzardò lui, guardandolo negli occhi.
L’uomo rise, giocando con il bicchiere di vetro che aveva in mano.
«Pensavo foste arrivati ad una conclusione dopo aver scoperto la materia di scarto» replicò.
Dani si rese conto dell’errore che aveva fatto a portare il Dottore agli spogliatoi: erano pieni di telecamere, era ovvio che li avrebbero scoperti subito.
«Volete energia, apparentemente. Questo spiegherebbe le morti e scomparse. Ma perché?»
Ad ogni parola il Dottore sembrava sempre più minaccioso.
«Vogliono energia?» domandò Dani, sconvolta.
Ganish la guardò e la riconobbe come la cameriera che era sparita magicamente dal suo turno.
Il Gamblare si alzò e cominciò a camminare attorno ai due.
«Mi aspettavo di più da te, Dottore. Tutta quella gente che parla così bene di te… pensavo c’arrivassi subito»
Nessuno rispose, in attesa che il direttore rivelasse le sue intenzioni.
«Siamo rimasti arenati su questo pianeta due mesi fa. La nostra nave si è schiantata nelle immediate vicinanze, esaurendo tutto il carburante…»
«… e allora state prosciugando l’energia delle persone per alimentare il vostro serbatoio e andarvene» completò il Dottore.
Ganish sorrise.
«Allora è vero che sei sveglio»
Il Dottore lo zittì di colpo, continuando con le sue elucubrazioni.
«Eppure il vostro pianeta non esiste più. Non avete nessun posto in cui tornare»
«Ne abiteremo un altro»
«Ma l’unico pianeta che rifletta i vostri standard è… ooh. Ooh. OOH. Parsafilia. Ecco perché i Parsi hanno a cuore questa storia. Avevate già iniziato la vostra conquista e ne erano spaventati»
Tutto fece click rapidamente.
Tutti i tasselli del puzzle si unirono.
Era talmente ovvio che il Dottore quasi si vergognò per averci messo tutto quel tempo a capirlo.
Ganish riprese a camminare in cerchio, guardando di tanto in tanto i suoi due prigionieri.
«Non so di che storia tu stia parlando, ma sicuramente non hai le fonti giuste. Stanotte inizierà l’invasione e niente e nessuno potrà impedirlo» ringhiò lui.
Dani alzò la testa e parlò per la prima volta da quando Ganish aveva presenziato.
«Ecco perché le misure di sicurezza del caveau sono aumentate. C’è la vostra nave» disse.
Ganish fece no con la testa, imitato dal Dottore.
«E’ troppo piccolo per contenere una nave, piuttosto…»
«… le riserve d’energia. Esattamente» concluse il direttore per lui.
«Che sono state prese come? Cos’avete fatto alla gente?» domandò il Dottore.
Il Gamblare si avvicinò verso il Dottore, poi indicò Dani.
«Questo dovresti chiederlo a lei»
La mora sgranò gli occhi, e così fece il Dottore.
Mise subito le mani avanti.
«Non ho fatto nulla, lo giuro, non so di cosa stia parlando!» cercò di giustificarsi.
Non aveva mai collaborato con quell’uomo in vita sua, poteva ripeterlo all’infinito.
Ma il Dottore non sembrò avere dubbi sulla sua innocenza.
«Non sei stata tu… non direttamente. Erano i drink, vero?» domandò.
Dani sembrò capire tutto.
Erano anche piuttosto bravi, fin troppo: il nuovo barista preparava drink da capogiro, dato che solo dopo un bicchiere molti giocatori si sentivano a pezzi.
«Ecco perché gli unici habitué rimasti sono Johnny, Susan e Owen. Johnny è anziano e ha il divieto dal dottore di bere, Susan è incinta e Owen non ha l’età per ordinare alcolici» realizzò, col cuore in gola.
Si sentiva responsabile di tutto ciò che era accaduto alle persone a cui aveva portato da bere per gli ultimi due mesi.
L’uomo batté le mani e se le strofinò, soddisfatto.
«Mi dispiace lasciarvi, ma ho due commissioni da fare. Prima di tutto, avviare la fase finale e la conseguente partenza. In secondo luogo, farvi uccidere» affermò.
Dani sobbalzò sulla sedia, presa in contropiede.
Ganish andò alla porta, sorridente.
«Mi mancherà quest’ufficio. Me ne farò costruire uno simile su Parsafilia» commentò.
«Addio, Dottore. Addio, chiunque tu sia» salutò.
Il Dottore e Dani balzarono in piedi, ponendosi di fronte ai due uomini intenzionati a farli a pezzi.
«Che facciamo ora?» domandò lei.
Il Dottore pensò un attimo, indietreggiando sempre di più.
«Sto pensando, sto pensando» la rassicurò, ma ciò non sembrò esserle d’aiuto, perché la ragazza, dopo un paio di secondi, svenne.
Il Dottore la guardò e strabuzzò gli occhi.
«Cosa?» domandò.
«Cosa?» ripeté.
«Allora è proprio un’abitudine» commentò.
L’attenzione dei due Gamblari si rivolse solo al Dottore, che cominciò ad andare nel leggero panico dato che non aveva la più pallida idea di come uscire da quella situazione.
Erano entrambi armati, enormi e non con le più buone intenzioni.
«Possiamo discuterne» disse, cercando di afferrare senza farsi vedere la lampada dietro di lui.
La prese per il manico, ma prima ancora di poterla rompere in testa al primo che capitava, uno dei due urlò di dolore e cadde a terra.
Il Dottore posò lo sguardo verso il pavimento e vide Dani con il tagliacarte in mano, dopo aver saggiamente ferito l’uomo ai legamenti, impedendogli di rincorrerlo o anche solo di alzarsi senza sentire un dolore lancinante.
Approfittò della distrazione del secondo tirapiedi per rompergli la lampada in testa, e corse da Dani, che si era rimessa in piedi.
«Pensavo seriamente fosse il tuo marchio di fabbrica svenire ogni due per tre» commentò, chiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle.
Tirò fuori il cacciavite sonico e la chiuse a chiave, impedendo ai due di uscire o rincorrerli.
«Non sono poi così inutile come partner, no?» scherzò.
Il Dottore continuò a premere il cacciavite e rispose distrattamente.
«No, sei proprio brava come compagna»
Rimasero entrambi in silenzio e si guardarono.
«Hai detto compagna?» chiese.
Il Dottore mise via il cacciavite.
«Insomma… potresti… che so, potresti venire con me. Hai detto che ti piacerebbe viaggiare, no?» buttò lì, grattandosi il collo ed evitando di guardarla negli occhi.
Dani s’illuminò all’improvviso, sorpresa dalla proposta.
Rimase a bocca aperta, incapace di trovare le parole giuste per rispondere.
Si limitò ad annuire per un po’, in cerca di una frase adatta.
«Io… sì… se… insomma, sì!» esclamò.
Il Dottore sorrise a trentadue denti, entusiasta.
«Bene, allora andiamo! La mia cabina è parcheggiata qua fuori!» l’avvisò, ma il sorriso di Dani scomparve di colpo.
Non si mosse di un millimetro.
«Cosa c’è?» chiese.
Dani indicò il corridoio che portava alle sale da gioco.
«Non possiamo andarcene, sta per succedere una tragedia! Dobbiamo fermare i Gamblari!» rispose.
Il Dottore fece no con la testa.
«No, te l’ho detto. E’ un punto fisso nel tempo, non posso cambiare le cose, potrei creare una frattura!» replicò.
«Ma ora sai cosa sta per accadere, non puoi lasciare che succeda! Migliaia di persone moriranno!»
«Verrete salvati, in più non c’è nulla che possa fare. Vieni con me e risparmiati la corsa per uscire di qui!»
Il Dottore protese la mano per prendere il braccio di Dani, ma lei si scostò di colpo.
«No. No. Non me ne rimarrò qui, non se so che posso fare qualcosa per salvare la gente là fuori»
Il Dottore la guardò, serio.
Avrebbe dovuto aspettarselo.
Non disse nulla e lasciò che fosse Dani a continuare il discorso.
«Se tu affermi di non poter fare niente, allora aspettami. Uscirò da qui dopo essermi assicurata che tutti siano in salvo» concluse.
Sorrise un’ultima volta, poi corse via dalla vista del Dottore, che, deciso, girò i tacchi e tornò al TARDIS.
Era un punto fisso nel tempo e non c’avrebbe scherzato.
 
Una volta arrivata alla sala da gioco dell’ultimo piano, Dani attivò l’allarme antincendio per far evacuare tutti i clienti senza troppe domande.
Purtroppo con i due piani sopra di lei l’evacuazione sarebbe stata lentissima se non quasi statica, ma doveva arrangiarsi come poteva.
Dopo aver visto alcuni dei tavoli svuotarsi al suono della campanella d’evacuazione, iniziò a pensare a dove sarebbe potuta essere una navicella spaziale nascosta in un casinò sotterraneo.
Nel caveau non c’era e gli altri piani non avevano nulla di speciale.
Doveva pensare, e anche alla svelta, perché il tempo continuava a passare e le sue chance di farla finita erano basse.
I problemi si moltiplicarono quando vide le persone tornare indietro e la campanella cessare: alcuni dei camerieri stavano invitando i clienti a ritornare al loro posto e che l’allarme era stato solo un disguido.
Ovviamente non sarebbe potuto essere così facile, no?
Suonò di nuovo l’allarme ma nessuno la calcolò: questo sì che era un bel problema.
Dani s’affacciò al muro costituito da vetrate, cercando di concentrarsi e trovare la soluzione al suo dilemma.
Nel frattempo il Dottore stava salendo le scale dall’ultimo piano al penultimo, sempre più intento a tornare al TARDIS.
Era sempre un punto fisso, che diamine, non sarebbe dovuto intervenire a prescindere.
Si fermò sul pianerottolo, perplesso.
Si stava veramente chiedendo dove potesse essere la navicella spaziale dei Gamblari, perché in nessun altro posto al casinò… oh.
Dani ebbe la stessa illuminazione non appena vide fuori dalle vetrate, direttamente nel blu dell’acqua.
Un “piccolo” particolare che le era sfuggito per tutto quel tempo.
Sebbene in due punti diversi dell’edificio, il Dottore e Dani capirono ed esclamarono nello stesso momento la soluzione: «la nave incagliata!»
 
Dani corse verso il padiglione che si collegava alla nave fittizia, superando la sala alla velocità della luce.
Aprì la porta con il badge da dipendente e s’infilò nel corridoio asettico, intenzionata a distruggere il velivolo.
Non sapeva perché aveva così tanto a cuore il destino del popolo dei Parsi, ma non voleva assolutamente lasciare i Gamblari a piede libero su un pianeta innocente, non dopo aver sfruttato la sua razza come combustibile.
Arrivò all’interno della nave, arredata alla perfezione, e cominciò a cercare segni di tecnologia aliena.
Per quanto esaminasse meticolosamente ogni centimetro di quel luogo, però, non riusciva a trovare nulla.
«Oh, andiamo, se è una navicella ci devono pur essere comandi!» esclamò, calciando l’aria dalla rabbia.
Eppure non c’era nulla di fronte a lei.
Cos’aveva toccato?
Si avvicinò cautamente a quel punto, allungando un braccio per tastare il presunto vuoto.
C’era qualcosa di morbido, come una coperta.
Strinse il pugno attorno a quel tessuto e, comprendendo che era veramente un telo, seppur invisibile, lo tolse violentemente dal posto in cui era appoggiato.
La stoffa scivolò a terra come dell’oro liquido e nascose i suoi piedi.
Come se non esistessero.
Dani sorrise: aveva finalmente trovato i comandi della navicella.
«Oi! Che ci fai tu qui?» esclamò il Dottore, entrando nella nave.
La cameriera si girò, lo guardò e cercò di nascondere il suo stupore.
«Io? Tu che ci fai qui! Non dovevi seguire tutta quella baggianata del punto fisso nel tempo?»
Il Dottore stette per ribattere, ma si fermò.
Dani capì, sorrise e iniziò a ridere, soddisfatta.
«Ah, allora ci tieni… t’importa»
Seguì una breve pausa, caratterizzata solo dal gioco di sguardi dei due.
«Piuttosto, come mai sei venuta fino a qua?»
«Beh, ho pensato che il posto più ovvio per una navicella spaziale fosse un posto che, appunto, stava davanti agli occhi di tutti»
«E cosa avresti pensato di fare una volta arrivata?»
«Non lo so, c’avrei pensato una volta capito dov’era la navicella e, secondo la mia esperienza, a schiacciare bottoni a caso succede sempre qualcosa!»
Ci fu un altro attimo di pausa.
Il Dottore la prese in contropiede, sorridendo a trentadue denti.
«Oh, Dani Kawalski, sei brillante!» esclamò, superandola e mettendo mano ai comandi.
Dani aggrottò le sopracciglia, confusa.
«Lo sono?»
Il Dottore distolse un attimo lo sguardo per concentrarsi sulla ragazza.
«Si, lo… sei» replicò, allungando le parole e preso dai tasti.
Cominciò a premere bottoni e a leggere dati sullo schermo, concentrato.
Sembrava essere tutto finito, apparentemente.
Dani capì che il mistero era stato risolto, la soluzione trovata e quel piccolo encounter finito.
«Potrò veramente viaggiare con te?» domandò, quasi mormorando.
«Voglio dire, posso veramente visitare nuovi pianeti e vivere nuove ere e…»
«Dannazione!» esclamò il Dottore.
«Cosa c’è?» domandò Dani, lasciando stare il discorso e affiancandolo.
L’uomo si strofinò la mano sul mento.
«E’ la nave… non posso manometterla, posso solo… distruggerla» rispose.
Dani non capì il motivo di tanta preoccupazione.
«E allora? Meglio, non ne rimarrà niente!»
«No, no, no… imploderà» borbottò.
Si mise le mani tra i capelli, digrignando i denti.
«Forse potrei abbassare il livello dell’esplosione per evitare maggiori danni, ma non so quanto potrà funzionare»
«Fallo. Voglio dire, distruggerla. Non voglio avere sulla coscienza milioni di vite di una civiltà d’oltre spazio» replicò prontamente la mora, appoggiandosi ai comandi.
Guardò intensamente il Dottore negli occhi, come per fargli capire in un modo o nell’altro che era assolutamente sicura di quello che dovevano fare.
«Se dovesse succedere qualcosa, farò evacuare tutti i clienti in un modo o nell’altro… li porterò al sicuro, va bene? Devi fidarti. So che non è facile perché non mi conosci e non sai nulla di me, però ti giuro che salverò tutti» aggiunse.
Non era mai stata così sicura: aveva l’occasione di dare una mano in una missione di salvataggio extragalattica, aveva scoperto cosa stava succedendo in quel casinò e finalmente, finalmente, avrebbe dato una svolta alla sua vita.
Anche se non avrebbe dovuto a causa della situazione, si sentiva persino elettrizzata.
«Beh… è la prima volta che qualcuno mi chiede di fidarsi di lui. Solitamente è il contrario» sorrise, scuotendo la testa.
Poi tornò serio.
Sentì dei passi risalire il fondo nella navicella e capì che il direttore e gli altri Gamblari stavano arrivando.
Si girò, allarmato, verso la ragazza.
«Vai, fa’ evacuare tutti!» esclamò.
 
Dani corse nella sala da gioco e riattivò per l’ennesima volta l’allarme.
Dato che nessuno le prestava più attenzione, salì sul bancone del bar, davanti ad un impassibile Khamed, e si sbracciò per farsi vedere.
«Statemi a sentire, non è più un falso allarme, dovete andarvene!» gridò la ragazza.
Alcune teste si alzarono nella sua direzione, preoccupate.
«Non sto scherzando, c’è un incendio all’ultimo piano, starà pochissimo ad espandersi!» urlò, e finalmente sembrò centrare il punto.
I clienti cominciarono ad alzarsi e a prendere le loro borse, per poi scattare verso le uscite.
Dani fece segno di proseguire e tutto sembrò andare alla perfezione, o almeno fino a quando un enorme boato non investì i presenti.
La nave fittizia sul fondo del lago artificiale si era appena distrutta ma il colpo fu troppo grave: gli enormi vetri che facevano da parete al famoso casinò cominciarono a scheggiarsi e questo mandò in panico ancora di più la clientela.
Il secondo boato fece tremare tutto l’edificio e Dani perse l’equilibrio, cadendo dal bancone e sbattendo la testa contro il legno duro.
Il Dottore, d’altro canto, era appena riuscito a svignarsela dalla nave prima che il countdown terminasse.
Si rese ben presto conto che l’esplosione di quest’ultima aveva provocato seri danni alle vetrate e che in meno di cinque minuti, se non si fosse dato una mossa, sarebbe diventato facile preda di un’inondazione.
Arrivò alle sale da gioco e la scena che gli si parò davanti fu inaspettata: c’erano una ventina di persone di fronte a lui che erano ancora in quella stanza, prese dal panico.
Si guardò in giro e capì: il terremoto causato dall’esplosione aveva fatto crollare dei pezzi di soffitto, che stavano intralciando tutte le uscite.
Un ragazzo e alcuni uomini stavano cercando di spostare le rovine, ma senza successo.
Si poté udire chiaramente un altro crack sulle vetrate.
Corse in mezzo a quella folla, chiedendosi come mai Dani non avesse mantenuto la promessa: sarebbe dovuta uscire per ultima per controllare che tutti fossero salvi.
E invece eccoli lì, bloccati in una morsa.
«Fate spazio, fate spazio, sono il Dottore!» esclamò, tirando fuori il cacciavite sonico.
Doveva rivelare altre possibili uscite, ma sembrava essere a secco di alternative.
Una donna incinta gli si avvicinò, preoccupata.
«Ha detto che è un dottore?» gridò.
L’uomo annuì, evitando di dire in quel momento che non lo era propriamente.
Tale Susan gli prese il braccio con una mano e con l’altra indicò il bancone del bar.
«Ci aiuti, una delle cameriere è caduta e ha sbattuto la testa, dobbiamo portarla via!»
Il Dottore si girò di scatto e vide la Kawalski stesa a terra, con una bruttissima ferita alla testa.
«Daniiii!» gridò, avvicinandosi a lei.
La prese in braccio, ma in quel momento la ragazza aprì gli occhi, sconvolta.
Ci mise un po’ a rendersi conto di dove erano finiti e cosa stava succedendo.
Guardò il vetro incrinarsi e si fece prendere dal panico.
«Cristo!» esclamò, saltando giù dalle braccia del Dottore.
«Le porte sono bloccate» fece notare quest’ultimo.
La prese per le spalle, guardandola negli occhi.
«Dani, ci sono altre uscite?» domandò, ansioso.
Lei non seppe rispondere subito, inducendo il Gallifreyano a scrollarla di nuovo.
«Sì… sì… il caveau! C’è l’uscita del caveau!» esclamò.
Gli occhi del Dottore si illuminarono e Dani non aspettò nemmeno un attimo per attirare l’attenzione degli altri.
«Di qua, tutti di qua!» gridò.
Corsero tutti verso il lungo corridoio che portava all’ultimo piano.
Le scale furono difficile da scendere a causa dei detriti e alle continue scosse che stavano subendo.
Riuscirono a richiudersi una delle porte alle spalle abbastanza in tempo, dato che la frattura nel vetro stava iniziando a far entrare dell’acqua.
«Dove porta il caveau?» domandò, o meglio, gridò il Dottore.
Dani continuò a correre, cercando di ricordarsi bene ogni racconto del suo coinquilino riguardo a quella stanza super segreta.
«Ci sono due entrate al caveau, questa che stiamo percorrendo e un’altra dal lato opposto. Ci porterà all’uscita posteriore!» rispose.
Finalmente arrivarono di fronte alla porta di metallo, e lì iniziò il panico.
Il Dottore superò tutti, cacciavite sonico alla mano, e cercò di aprirlo senza successo.
«Blindato… troppo blindato… come fa ad essere così blindato?» domandò, nervoso.
Dani si girò di scatto, sentendo un rumore poco amichevole.
«Dottore… penso che la crepa sia rotta» balbettò, col cuore a mille.
Tutte e venti le persone presenti cominciarono a farsi prendere dal panico e a piangere rumorosamente, spaventate.
«Siamo finiti in una trappola per topi!» esclamò uno degli uomini, con una sorta di accusa nel tono della voce.
Dani si mise la testa fra le mani, mentre il Dottore continuava imperterrito a fare qualcosa per aprire quel dannato caveau.
La ragazza guardò le pareti e si bloccò.
Fece qualche passo indietro, fino ad arrivare al punto che aveva trovato.
«Oh, no… no, no, no» mormorò.
«Non a me… non a me» aggiunse, coprendosi la bocca con la mano.
Il Dottore si girò verso di lei, curioso nel non sentirla parlare, e la vide a venti metri di distanza.
L’uomo allungò una mano, come per prenderla.
«Dai Dani, vieni!» esclamò.
Lei non rispose e iniziò a respirare profondamente.
Sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
«Sai come molti giocatori di poker bluffano?» domandò, tra i lamenti degli altri fuggitivi.
Il Dottore non capì, e non gli parve nemmeno il momento di porsi quei quesiti.
«Dall’eccesso di sebo sulle carte» aggiunse.
«Dani, cosa…»
«E questo trucco può essere usato anche per codici, casseforti e tastierini. Il primo e secondo numero sono sempre rovinati, il terzo ha solo qualche lieve sbavatura»
Il suo sguardo si posò sul muro accanto a lei, rivelando il dispositivo attaccato.
Lei, invece, aveva gli occhi rossi e lucidi.
Dani poggiò le dita sullo schermo e in quel momento, in quell’esatto attimo, il Dottore si ricordò della conversazione del caveau e si rese conto di cosa stava per fare.
La ragazza digitò velocemente le tre cifre e schiacciò il pulsante, facendo scattare la porta di vetro e aprendo quella del caveau.
«Dani, NO!» gridò il Dottore, rincorrendola.
Gli altri sopravvissuti, invece, iniziarono a ritrovare la speranza: di fronte a loro si ergeva l’uscita e la salvezza.
Iniziarono a correre e ad approfittare del momento per scamparla, ma il Dottore non li imitò.
Cominciò a battere le mani sul vetro e a chiamare il suo nome.
Prese il cacciavite sonico e cercò di aprire la porta, ma non funzionò.
«Vetro zerugiano!» costatò, affranto.
«Dani, apri subito quella maledetta porta!» urlò, sbattendo il palmo della mano.
La ragazza scosse la testa, tremando e iniziando a lacrimare.
«Se io apro questa porta…» iniziò, appoggiandosi al vetro, «… quella del caveau si chiuderà e tu non avrai via d’uscita»
Il Dottore deglutì, preso alla sprovvista, ma ciò non lo fermò dal gridarle contro.
«Dani, per favore, apri questa porta. Posso manometterlo!» la implorò.
«No, non è vero! E’ tecnologia avanzata, ho visto che non sei riuscito ad aprire l’altra. E’ un rischio che non sono disposta a correre» ribatté, con la voce spezzata.
Stava piangendo, le gambe le tremavano e non riusciva a pensare ad una frase sensata.
«Dani, ti prego» la supplicò.
«Ormai l’ho capito. Sono io la costante»
La ragazza tirò su col naso e abbassò lo sguardo.
«Dove mi avresti portata?» domandò a bassa voce.
Si sentì un colpo alle sue spalle.
Il Dottore la guardò, distrutto.
Cercò la sua mano dall’altra parte del vetro e poggiò il palmo in corrispondenza del suo.
«Dovunque» rispose mesto.
L’ennesimo boato annunciò che i vetri erano ormai completamente distrutti e che le due porte prima del caveau non avrebbero retto a lungo.
L’acqua cominciò a infiltrarsi tra le cavità.
Dani lo colse come un chiarissimo segno.
«Sai, una volta un uomo mi ha detto che un giorno avrei commesso una delle azioni più nobili che un essere umano possa mai fare. Avevo solo sedici anni» continuò Dani.
Il Dottore sorrise, amaro.
«E tu gli credesti?» domandò.
Dani scosse la testa.
«Un uomo che indossa un farfallino non è mai credibile» scherzò, cercando di ridere per non continuare a piangere.
La ragazza s’interruppe, girandosi e notando che ormai aveva solo secondi.
«Dottore, scappa, ti prego. Non rimanere qua. Non voglio vedere un uomo così straordinario e capace di moltissime cose morire solo perché è rimasto al capezzale di una semplice cameriera» lo scongiurò.
Il Dottore non riuscì a rimanere tutto d’un pezzo.
«Dani Kawalski, tu non sei una semplice cameriera. Sei la donna che ha salvato centinaia di persone e il futuro presidente degli Stati Uniti. Sei…»
«… la Regina» scherzò lei, senza impedirsi di scoppiare a piangere.
L’ultimo boato costrinse il Dottore ad allontanarsi e ciò lo fece sentire il peggior essere dell’Universo intero: veder morire una persona e non poter fare nulla.
Dani lo guardò mettersi in salvo dall’altra parte del caveau e fece chiudere la porta.
Poi si lasciò abbandonare contro il muro e si fece scivolare a terra, coprendosi il viso con le mani.
E così, era finita.
Un punto fisso nel tempo.
 
Il Dottore si mise a fissare il vuoto, incantato.
Intorno a lui tutti i paramedici e i pompieri stavano facendo il loro lavoro, soccorrendo i sopravvissuti e aiutando i feriti.
Una barella con un cadavere morto per annegamento stava venendo trasportata fino ad un’ambulanza.
Era una donna, ma il Dottore già lo sapeva.
Le prime luci del mattino stavano illuminando la strada e i resti del casinò, facendo sembrare tutto un bruttissimo ricordo.
Dal brusio della folla sentì una voce maschile sovrastare tutte le altre.
«Fatemi passare, fatemi passare, c’è la mia coinquilina tra i sopravvissuti!» gridò Ryan Busker, cercando di oltrepassare la linea imposta dalle autorità.
Il Dottore abbassò lo sguardo e si rialzò dal cemento tiepido, deciso a tornarsene nel TARDIS.
Trascinò i piedi mollemente, mise le mani in tasca e cercò di reprimere i sensi di colpa.
A metà strada fu fermato da Susan, con una coperta sulle spalle e una mano sul pancione.
Aveva le lacrime agli occhi.
«Grazie» mormorò sommessamente.
Il Dottore abbozzò un sorriso tirato.
«Se non fosse stato per voi, io non avrei avuto un futuro.Lui non avrebbe avuto un futuro» aggiunse.
L’uomo abbassò lo sguardo sul ventre della donna: non avevano salvato solo delle persone, quella sera, avevano salvato intere generazioni.
La donna girò i tacchi e fece per tornare dai paramedici, ma venne fermata dal Dottore.
«Ha già un nome?» domandò.
Susan sorrise dolcemente.
Guardò il pancione e lo accarezzò di nuovo.
«Lo chiameremo come suo nonno. Maynard. Maynard Collins» rispose, andandosene.
Gli ci vollero un paio di secondi per realizzare cos’era appena successo.
Dopo aver respirato profondamente, tornò al TARDIS.
Si appoggiò alla sua nave e sospirò.
«Ashkrum gael Kostun» mormorò tra sé e sé.
Si passò una mano fra i capelli.
«Non era Kostun… era Kosten» aggiunse, biasimandosi per il suo errore.
«… la morte vinta dalla Regina».
 
 
 

Note finali: beh, che dire, dopo Vacanze Romane non potevo non continuare a descrivere episodi a sé stanti del Dottore: penso che le sue avventure mi piacciano molto più delle ship in sé, com'è giusto che sia, e ci tenevo a dare sfogo alla mia fantasia.
A differenza di Vacanze Romane, non posterò delucidazioni, note sulla storia o altro (anche perché so già che molti mi odieranno a morte soprattutto colei che mi chiama figlia di Moffat).
Volevo solo dire che questa shot è il regalo di compleanno (un po' cheap, lo so) per Roberto, mia spalla destra about everything geeky.
HAPPY 30TH BIRTHDAY!
Spero ti sia piaciuta quasi quanto i miei lavori precedenti e che lo consideri un bel pensiero (anche perché è da mesi che la scrivo, penso febbraio o marzo, e su 21 pagine ero arrivata solo a 12 fino a questo pomeriggio: ho dovuto sudare un due ore per finirla in tempo, sigh).
Se volete insultarmi o anche solo calcolarmi, qua c'è la mia pagina fb personale in cui posto spoiler, anticipazioni e idee future.
Ah, e ringrazio in anticipo Nena, la mia migliore amica, che so già che leggerà nonostante non conosca Doctor Who solo per rendermi felice.
E Enni, che mi odierà tantissimo.
Well... allons-y!
Denni.




   
 
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