«Avete sentito? Orochimaru è
morto!»
«Cosa?!»
«Pare che l’Uchiha l’abbia
ucciso!»
«Non sei felice, Anko? La tua
ossessione è finita!»
«… È appena cominciata...»
Bonds
-legami-
La notte a Konoha non le era mai
parsa così buia.
Neanche nei momenti di maggiore
sconforto, quando tutto sembrava inghiottito dall’ombra ai suoi occhi, si era
sentita così dilaniata dentro.
Odio.
Quel
maledetto ha meritato ogni sofferenza che gli è stata inflitta.
Mi ha
fatto male, è giusto che non abbia concluso nulla anche se ci ha perso una vita
dietro.
Delusione.
Dovevo
ucciderlo io… ora cosa farò?
Quali
meriti ho? Non ho potuto fare nulla…
Rabbia.
Come
sempre sono stata esclusa.
Per
volere degli altri o per volere mio, sempre, sempre, sempre…
Invidia.
Ora il
moccioso ha trovato la sua strada, io no.
Perché
devo restare indietro sempre e soltanto io?
Nausea.
È tutto
finito ora.
E adesso
cosa mi resta?
Confusione.
Volevo
davvero che tutto questo finisse? Perché mi sento in questo modo ora?
Io mi ero
ripromessa la tua morte, che importa chi te l’abbia data a questo punto?
Dolore.
Perché
doveva finire così? Perché non potevi essere come tutti gli altri?
Perché mi
hai fatto tutto questo?
Risentimento.
Il mio
sensei… dovevi essere il mio sensei…
Non potevo
costringerti, però tu… era quello il tuo ruolo!
Solitudine.
L’unica
cosa certa è che sono tornata sola. Senza scopi, senza passato, senza futuro.
Sono
l’unica bloccata al centro della clessidra.
Senso
di colpa.
Non ho
saputo fare niente per lui.
Non sono
riuscita ad aiutarlo.
Avevo
visto sin dal principio.
Eppure io
non sono riuscita a fare niente.
Neppure le stelle riuscivano ad
illuminarle gli occhi, apparentemente persi nella contemplazione della volta
celeste, ma in realtà proiettati nel suo passato.
Sapeva
cosa la aspettava quella notte.
«Non posso credere che quel
ragazzo sia diventato tanto forte…» sussurrò Gai.
«Era un suo allievo, del resto.»
«Ti riferisci a me o a
Orochimaru, Kurenai?»
«Sai bene che mi riferivo a te.»
Anko li guardò uno per uno.
A guardare le stelle cadenti come
ogni anno vi erano loro quattro, Gai, Kurenai, Kakashi e lei. Quell’anno e
negli anni a venire non ci sarebbe più stato il quinto.
Asuma, proprio come il suo
sensei, era morto.
Un altro in meno. Una stella in più, si diceva a Konoha.
Lei non ci credeva, né voleva
credere ad una vita dopo la morte. Era molto più consolante sapere che un
giorno le sue sofferenze sarebbero finite eternamente.
«Beh, signori e signore, io penso
tornerò a casa.» annunciò Kurenai.
«Allora ti accompagno!» le
propose Gai con un gran sorriso.
«Penso che io resterò in giro
ancora un po’, tu che fai?»
«Resta
con me, questa notte»
Un sussurro appena udibile per
entrambi, che fece sospettare ad Anko di aver soltanto pensato. Ma
l’espressione sbigottita di Kakashi la fece ricredere.
«Non ti sto chiedendo di venire a
letto con me, baka.» precisò, assottigliando lo sguardo con aria di rimprovero.
Salutarono gli altri con un
cenno, mentre s’immergevano nella boscaglia. Kakashi non le chiese più nulla,
aveva già letto la disperazione nel suo sguardo e aveva scelto di assecondarla
per il momento.
«Dove vuoi andare?»
«A bere qualcosa?»
«Va bene.»
Era l’una di notte, e ancora
bevevano senza parlare, entrambi terribilmente sobri. Anko si voltò a guardarlo,
aprendo bocca per parlare, ma la richiuse subito.
«Vuoi tornare a casa?»
«No.»
«Dove vuoi andare?»
«A fare un giro?»
«Va bene.»
Erano le due di notte, e ancora
camminavano senza parlare, entrambi amaramente preda di un chiasso assordante
nelle loro menti. Lei pensava al maestro, lui all’allievo.
«Kakashi?»
«Mh?»
«Perché non mi chiedi nulla?»
«Non vuoi andare a dormire,
vero?»
Anko lo guardò senza mostrare
alcuna espressione.
«So cosa vuol dire avere paura di
sognare.»
«Kakashi?»
«Mh?»
«Andiamo a trovare Asuma?»
«Va bene.»
Erano le tre di notte, quando
Anko si mise a sedere su di un ramo, senza perdere d’occhio né la tomba
dell’amico né la chioma argentata dell’altro che, in piedi, sembrava assorto in
chissà quali ricordi.
«Per quanto tempo pensi di
fuggire ancora?»
«Dammi tempo.»
«Non si sa mai quanto tempo ci
resta. Lo sprecherai a correre via?»
«Non è consolante, lo sai?»
«È la vita.»
Lei distolse lo sguardo,
portandolo sulla luna. Fece una smorfia di disappunto notando quanto sembrasse
gialla e malata anch’essa, enorme sfera in quel cielo così scuro. Era raro che
la luna apparisse così vicina, e ancor di più che avesse quell’aspetto malsano.
Sembrava lì apposta per lei.
A ricordarle che la sua anima era
del medesimo colore, probabilmente.
Il ramo su cui stava oscillò non
appena un nuovo peso si aggiunse al suo, piegandolo appena verso il basso.
«Se si rompe, cadremo.»
«Se cadremo, ci rialzeremo.»
«Perché ho la sensazione di non
parlare di questo stupido ramo?»
«…»
«Perché ogni volta che apro bocca
con te finisco a parlare per metafore?»
«Perché se non le usassi saresti
tanto schietta da farti male. In me vedi qualcuno che ha perso ciò che amava,
proprio come te e ti viene spontaneo parlarmene. Solo che neanche tu riesci
ancora ad accettare questa perdita, e scappi.»
«… Possiamo tornare alle
metafore?»
«Non puoi evitare di salire sopra
ogni ramo per timore di cadere. Se davvero cadrai, ti rialzerai.»
«Purtroppo non c’è più alcun
terreno per fermarmi sotto di me. Se cadrò, continuerò a cadere.»
Kakashi si sporse verso di lei,
afferrandola per le braccia e facendola alzare. Pareva quasi danzassero, due
ombre nere a cancellare parte di quella luna infetta tenendosi l’una all’altra.
«Lascia che ti mostri una cosa.»
sussurrò, spingendola poi verso il basso.
Per la sorpresa Anko non poté far
altro che sentirsi cadere e osservare il terreno avvicinarsi a lei, trovandolo
fin troppo lento per quanto questo fosse un pensiero spaventoso da parte sua;
prima ancora che potesse utilizzare il proprio chakra per parare il colpo, un
violento strattone la fermò a mezz’aria. Sollevò lo sguardo incontrando lo
sguardo serio e sereno al tempo stesso di Kakashi, che la teneva stretta per un
braccio.
«Sei caduta?»
La donna non rispose, continuando
a fissare quell’unico occhio visibile nero come la pece.
Rabbrividì, pensando a quelli
gialli del suo maestro, inquietantemente simili al colore della luna, e si
chiese come mai avesse potuto avere dubbi sulla strada giusta da intraprendere.
Quegli occhi non erano umani, e
lei doveva essere lieta che lui fosse
morto.
Kakashi la tirò su con estrema
facilità, tornando a farla sedere sul ramo.
«Quando sei legata ad una persona
da un sentimento forte come l’odio o l’amore, in ogni caso perdi un po’ di te
quando non c’è più.»
«Come puoi leggere così
facilmente nella mia mente?»
«Ci sono solo già passato.»
«Mancano tre ore all’alba,
almeno… se mi addormentassi ora però, so che al mio risveglio non sarei la
stessa Anko di adesso. Non ho il coraggio di chiudere gli occhi, ho troppa
paura di quello che vedrei.» confessò
con un sospiro. Chiuse gli occhi, aspettandosi un rimprovero, ma non
udendo nulla li socchiuse sollevando
appena la testa, calata in segno di pentimento. Stava infrangendo troppe regole
quella notte.
Kakashi fissava la luna a sua
volta, assorto. Infine si spostò accanto a lei, lasciandola interdetta.
«So bene che hai specificato che
non vuoi venire a letto con me, però penso ti farebbe bene dormire in compagnia
almeno una volta nella vita.»
La donna ghignò sarcasticamente.
«Credi che non abbia mai fatto
sesso con un uomo?»
«Credo che tu non abbia mai
dormito con un uomo, è diverso.»
Anko rifletté su quelle parole,
pensando a quante volte si era sentita sola tra le braccia di un uomo e alle
notti in bianco passate dopo aver buttato via parte della sua anima con
qualcuno che non amava o neppure conosceva.
«Chiudi gli occhi e lasciati
sognare. Qualunque cosa vedrai, una volta sveglia saprai che è finita davvero.
E se cadrai ti sosterrò io.»
«E se cadendo invece dovessi trascinarti
con me?»
«Allora ci rialzeremmo insieme da
terra, e torneremmo sul ramo.» spiegò paziente.
Ad Anko parve di risentire la
voce di suo padre, che da bambina le spiegava che per qualsiasi cosa sarebbe
potuta andare in camera loro la notte, senza vergogna.
Parole buttate al vento, poiché
solo qualche anno dopo lei era la feccia della famiglia, e non si sarebbe
potuta avvicinare neppure al loro quartiere senza sentirsi un’estranea.
Eppure stavolta sentiva che
poteva fidarsi di nuovo; Kakashi, Kurenai, Gai e gli altri, erano tutte persone
con cui aveva condiviso tutto, anche se non direttamente. Tutti loro avevano
perso persone amate, tutti loro continuavano a stringere i denti e a vivere.
Per ogni legame perso, se ne
creava uno nuovo.
Quella notte sentiva che aveva
appena creato qualcosa con Kakashi, che le piacesse o meno.
Il principio di una nuova
famiglia, né la prima né l’ultima che avrebbe avuto.
O forse, stavolta una che sarebbe
durata per sempre.
Ma Anko non aveva mai visto il
bicchiere mezzo pieno, si era sempre concentrata sul vuoto.
Stavolta però forse avrebbe
potuto vederlo per intero.
«Secondo te è vero che le cose
brutte che succedono servono a far brillare di più quelle belle?»
«Secondo te la luna domani non ti
sembrerà straordinariamente bella, dopo quella di stasera?»
«Odio le persone che rispondono
ad una domanda con un’altra domanda.»
Kakashi sorrise al sicuro dietro
la sua maschera, ponendo un braccio sulle sue spalle e tirandola a se come
avrebbe fatto con una bambina da rassicurare.
«Dormi.»
«Finalmente un’affermazione.»
Turbata si accorse che il cuore,
che avrebbe dovuto batterle con forza nel petto per via dell’angoscia,
continuava il suo battito regolare. E che i suoi occhi, che prima rifiutavano
di chiudersi ma volevano inghiottire il mondo esterno dentro di lei per
cancellare tutto ciò che aveva dentro, ora faticavano a restare aperti.
E davvero dormì.
Quando si svegliò, scaldata da un
raggio del sole, era nella stessa posizione di poche ore prima. Sentì delle
scie fredde scorrerle lungo le guance e le cancellò con una mano.
Guardò verso Kakashi, che
ricambiò lo sguardo, già sveglio per via dei suoi lamenti. E perdendosi in
quelle iridi nere l’incubo che l’aveva tormentata per notti e notti anni prima
e che quella notte come temeva le si era ripresentato in tutta la sua
realisticità, cominciò a sbiadire, non potendo reggere il confronto con la
realtà.
«Hai ancora paura di cadere?»
«Chi, io? Dovessi cadere mille
volte, mi rialzerei duemila!» esclamò lei, distogliendo lo sguardo. Il suo tono
era ancora troppo amaro, poiché il suo incubo non era ancora del tutto sparito.
Eppure quelle parole appena pronunciate cominciavano a convincere anche lei.
«Sorridi Anko.»
Si sorprese di quelle parole,
sollevando appena gli angoli della bocca di riflesso.
«La vita non è così male se la
sai vivere.»
Lo sguardo di lei divenne
sarcastico.
«O se sai sopravvivere. Dipende.»
Di fronte a quell’onestà,
scherzosa ma non troppo, si sentì svuotare di ogni malinconia, sorridendo
apertamente.
«Tentiamo allora.» approvò,
battendo le mani contro le gambe per terminare il discorso e saltando giù
dall’albero prima che lo shinobi potesse reagire.
Colto da un presentimento portò
una mano alla tasca del giubbotto, e confermò i propri sospetti: non aveva il
portafogli con se.
«E grazie per la colazione che
stai per offrirmi!» aggiunse infatti Anko, scoppiando a ridere.
«Certo, certo…» sbuffò Kakashi
raggiungendola.
La donna guardò il sole appena
sorto, e dall’altra parte la luna ormai sbiadita che accennava a sparire dietro
ai monti. Non era più di quel colore sbagliato.
E ora aveva qualcos’altro da
associare a quel giallo e a quelle notti, che non le avrebbero fatto più paura
come prima.
Qualcosa che avrebbe brillato
anche in assenza del sole e della luna.
Il rumore di passi strascicati e
veloci alle sue spalle.
Un riflesso argenteo.
Qualche parola casuale, che poi
casuale non era.
Un legame indissolubile
con chi aveva condiviso un po’ del suo dolore.
Smielata
ed insensata, si.
Ma
sono mezzo addormentata e non riesco a fare di meglio.
Ho
drammatizzato un bel po’, doveva essere una “mia” storia del resto, però la
frase "Sorridi, la vita non è così
male se la sai vivere. O se sai sopravvivere. Dipende." l’ho presa da una
persona meravigliosa che mi ha detto questa frase proprio ieri, e che mi ha
colpita.
Dato
che sono impedita e non so esprimere la mia riconoscenza a parole, ci ho
scritto sopra questa roba.
Spero
tu capisca che anche se qui la situazione era diversa, il valore di quelle
parole e della tua compagnia sono reali ed enormi come quelli di cui parlo in
questa fic, e che hanno risollevato il morale alla protagonista nonostante
tutto proprio come alla sottoscritta.
Non
è il meglio che posso fare, mi dispiace, sai anche tu in che condizioni
psicofisiche sono (XD) però le intenzioni erano buone.
Renderò
ogni favore a me fatto, signorsì!
(e
ci sta bene un “Kerro!”)