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Autore: lilac    03/12/2007    3 recensioni
Che cos'è l'Amore? Non chiedetelo a me! Io so soltanto che A.M.O.R.E. è una parola di cinque lettere...
Genere: Generale, Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!^^
Questa storia è nata da un concorso indetto sul forum Writers Arena, il tema più popolare del mondo: l'Amore^^. Doveva essere una raccolta, ma si è trasformata in una one shot, data la brevità dei capitoletti (che sono diventati dei "momenti") e il filo conduttore che ha finito per legarli.
Credo che il risultato sia un po’ particolare e sui generis. Nelle mie intenzioni non è una storia dalle grandi pretese, scriverla è stato piuttosto divertente e, anche se un intento più serio in realtà c’è, credo che sia con questo spirito, ironico appunto, che debba essere letta.
Detto questo, non svelo altro se non che ogni momento ha un titolo e che le iniziali di ogni titolo compongono la parola A.m.o.r.e. XD
Ringrazio in anticipo chi lascerà un commento e anche chi leggerà soltanto.
Buona lettura^^



L’ULTIMA TESSERA DEL PUZZLE



Arrivi
(Prima tessera del puzzle)

Arrivano sempre in ritardo i treni, c’è poco da fare. Valeria se ne sta con un’espressione annoiata, forse rassegnata, seduta al suo posto. E tutto scivola. Fuori dal finestrino si muovono le case, le strade e le persone; le passa in rassegna distrattamente. Raramente la sua attenzione viene catturata da qualcosa, un particolare che risalta in mezzo alla consuetudine, quella nota che non ti aspetti in un’armonia prevedibile. A volte un colore, un movimento; una lepre che guizza tra i campi, un’automobile di qualche tonalità improbabile e sgargiante. Li osserva un momento, poi divengono ordinari anch’essi, il tempo di sfilarle davanti agli occhi. Magari è semplicemente assorta.
Starsene seduta lì le dà sempre la sensazione che non arriverà da nessuna parte, perché è come se non si muovesse. E i suoi pensieri viaggiano sempre troppo veloci. Spesso è costretta a frenarli nel momento in cui il treno comincia a rallentare, prima di fermarsi alla stazione successiva, a cercare di distrarli, quando lei e tutto il mondo fuori sembrano andare alla stessa velocità per un momento e ha l’impressione che ciò che la circonda abbia bisogno della sua presenza. Osserva vagamente curiosa chi c’è sulla banchina che aspetta di salire e intanto scruta, con la coda dell’occhio, senza farsi troppo notare perché è maleducazione, l’uomo che prende la sua valigia di fianco a lei e si prepara a scendere. E’ arrivato, pensa con un po’ di invidia, chissà se anche lui è in ritardo?
Per un momento spera che nessuno si sieda al suo posto, spera di isolare e proteggere quello spazio che è solo suo e di preservarlo oltre i suoi miseri confini. Ne ha diritto. Quando si è seduta in quel posto ha conquistato qualcosa per sé soltanto. Una proprietà che durerà lo spazio di qualche ora solamente, pur precaria ed effimera, è sempre una proprietà di cui rivendicare il possesso e Valeria ne è gelosa come tutti, forse più degli altri; spesso confida che il caso o la fortuna la ricompensino finalmente e le lascino godere quella conquista, senza dover guardarsi da altri possibili invasori.
Valeria non si fa mai troppe illusioni, però. Immancabilmente, qualche signora ben vestita sprofonda goffamente nel sedile di fianco al suo e apre svogliatamente un libercolo nuovo di zecca, comprato magari per l’occasione, nemmeno un secondo dopo averla urtata con ogni oggetto sporgente del bagaglio. Quella donna non ha abbozzato nemmeno un pensiero, la mente già occupata ad immaginare la voce o l’aspetto di un personaggio di carta. Forse non ne ha bisogno o semplicemente non vuole farlo. Lei la guarda distrattamente, non le interessa poi molto quello che sta leggendo e torna ad osservare fuori dal finestrino.
Un viaggio di sole tre ore sembra sempre durare un’eternità, questo Valeria non se lo è mai potuto spiegare. Ha addosso una stanchezza che pare sconfinata come la strada che ha percorso, quando giunge a destinazione. Però l’arrivo è sempre un ricominciare da capo, dal momento in cui è partita. Quando scorge il nome di quella città sul cartello blu esita sempre un momento, se non fosse un’assurdità parrebbe quasi scettica. Poi, un’energia inconsapevole la costringe a muoversi e a tornare nel mondo.
In mezzo alla gente sulla banchina cerca lui. Ora il treno le sembra che vada troppo veloce, anche se ancora una volta si sorprende ad aver paura che non si fermi più. Non riesce a scorgere tutti, ogni singola persona. Forse era lì, forse non l’ha visto. Eppure lo vede sempre tra mille persone. Riconosce anche solo il suo modo di appoggiarsi al muretto del sottopassaggio, le mani in tasca, quella espressione serena e silenziosa, di chi non ha altro posto dove stare se non lì, in quel momento.
L’aria le risveglia bruscamente i sensi, improvvisamente ha la sensazione di essersi appena liberata, uscita da una cella ovattata in cui non si era resa conto di essere reclusa. Il rumore, il chiacchiericcio della gente, altri treni che partono o che arrivano, la voce metallica che annuncia cose quasi sempre incomprensibili la investono, assieme ad un’altra sensazione, quella che oltre ai sensi qualcos’altro in lei s’è appena risvegliato. Cerca ancora con lo sguardo, mentre la gente le passa vicino senza fermarsi. Uno strano senso di imbarazzo la spinge a non farlo in modo troppo vistoso, all’improvviso si convince di essere l’unica a starsene ferma senza un motivo e la cosa la infastidisce.
Afferra il telefono e compone quel numero ostentando una naturalezza che in quel momento non le appartiene. La voce di lui risponde come se nulla fosse, con una domanda. Dove sei? Le dice che è in ritardo, che non può fermarsi, di andare ad aspettarlo a quell’incrocio, fuori dalla stazione. Valeria non riesce ad arrabbiarsi. Forse razionalmente sa che non ne avrebbe il motivo o, più probabilmente, non vuole farlo.
Quando le macchine le sfrecciano accanto, si ritrova a chiedersi senza volerlo dove stiano andando. Vanno tutti in qualche posto; è buffo, ma non ci aveva mai pensato. Le persone non fanno che muoversi per andare da un posto all’altro; ognuno di loro sta per arrivare. Quando si siede sui gradini della chiesa, sta ancora aspettando però, e a lei sembra piuttosto di non arrivare mai, di non sapere esattamente dove stia andando. Chissà se qualcuna di quelle persone che ha incrociato per il marciapiede ha adesso la stessa sensazione che ha lei, quella che ha sempre. Chissà se quel ragazzo col cane è uscito di casa davvero con una meta precisa; che sia in attesa di qualcosa anche lui?
Osserva ogni macchina che passa. Poteva almeno prendere un caffè, ora comincia a sentirne davvero il bisogno. Valeria detesta aspettare senza fare niente, non riesce a sopportare di avere troppo tempo per pensare, la stanca di più che fare mille altre cose. Di sicuro non sopporta quell’abitudine che ha lui di trovare il modo di lasciarla sempre sola. Non sopporta nemmeno che lui sappia che è così che si sente. A volte essere così fragile e vulnerabile la fa letteralmente infuriare e ce l’ha con se stessa. Altre volte però, il più delle volte, la intristisce soltanto. Pensa che non può essere vero, che non sia normale il bisogno che ha di appoggiarsi a lui in quel modo, tanto da avere quasi paura quando non c’è. Non vorrebbe essere così, eppure non riesce ad essere in un altro modo. L’unica cosa che riesce a fare è non farglielo sapere. La persona che va in mille pezzi ogni volta che lui si allontana e si ricompone per magia nei suoi abbracci è un’altra, qualcuno che parla solo con lei, che non può rischiare di ridurre in frantumi davvero.
Una macchina finalmente si ferma accanto al marciapiede, è la sua. Gli sorride, apre lo sportello e sale. Lui le sorride di rimando.
A volte crede che lui lo sappia, che quella persona la conosca anche lui.
Un bacio. Cerca di rimproverarlo, lo fa sempre e lui risponde tranquillo, alzando le spalle incolpevole.
Andiamo a prendere un caffè? Le chiede mettendo in moto e partendo.
Come sempre, Valeria risponde di sì. Adora quei momenti con lui, la sua vita si riempie di quei minuti, tutto il resto è sempre un’attesa. E lui arriva ogni volta, anche se è lei a partire.



Marmellate
(Seconda tessera del puzzle)

Marmellata di fragole, marmellata di arance, marmellata di albicocche, di more, di pesche e perfino di mele cotogne. Viola sa fare la marmellata, ne fa per tutti i gusti. Va al mercato e sceglie personalmente, con attenzione la frutta; la lava con cura, poi la sminuzza paziente e la fa bollire in una pentola. Aggiunge lo zucchero, poco a poco, e intanto rimescola il tutto con un cucchiaio di legno.
Di solito si accende una sigaretta, perché si accende sempre una sigaretta quando deve aspettare o quando si concentra su qualcosa. Lo fa senza nemmeno pensarci, naturalmente; un gesto indefinito che pare parte delle sue stesse divagazioni, che pare seguire spontaneamente il filo dei suoi pensieri. Un’espressione serena e assorta allo stesso tempo le compare sul volto, leggera, come il fumo che sale in lente spirali contorte, che allontana con un gesto gentile.
Osserva la pentola con interesse e chissà a che cosa pensa. Forse pensa soltanto a non far bruciare la marmellata, a volte infatti abbassa la fiamma del fornello dopo qualche minuto. O forse pensa a cose di cui non vuole parlare.
Viola non ha segreti, ha solo se stessa. Raramente ha bisogno di far sapere agli altri chi è davvero, è convinta che non ce ne sia bisogno e magari ha ragione. Infatti, ad un certo punto, fa immancabilmente un’espressione di quelle strane, di quelle che non sapresti definire ma di cui conosci il significato. Viola è così, non sapresti definirla, ma non ti nasconde mai nulla. Prende un cucchiaino e ne versa un po’ in un piattino. Il piattino deve essere freddo, afferma con aria esperta; in qualche modo è fiera di quello che è capace di fare, come fosse qualcosa che ha meritato di conoscere. Una piccola conquista, di cui prendersi il giusto merito.
Osserva cosa succede come fosse un qualche esperimento di laboratorio. Se la marmellata scivola liquida sulla superficie liscia non è ancora pronta, allora ricomincia a mescolare e sbuffa leggermente. Viola crede di non essere una persona molto paziente. Anche nelle piccole cose, non è tipo da aspettare passivamente che semplicemente accadano e, quando non può farne a meno, si spazientisce capricciosa. Sembra una bambina a cui la mamma ha vietato di giocare, per non sporcare il vestito della festa. Forse Viola è più paziente di quello che crede però, probabilmente non sarebbe così brava a fare la marmellata, altrimenti.
Quando è soddisfatta, la versa nei barattoli di vetro che ha preparato per tempo. Li mette sempre a bollire in un’altra pentola e la marmellata la versa quando ancora sono immersi nell’acqua caldissima. E’ precisa e prudente, li riempie tutti allo stesso modo e li prende con uno strofinaccio, per non scottarsi. Da piccola una volta le capitò di ustionarsi con l’acqua bollente e da allora ha sempre paura che le capiti di nuovo. Lei dice che è stato un trauma, però lo dice sorridendo. Viola sorride spesso quando ricorda. Le succede di frequente di osservare con distacco la sua vita, indulgente con i suoi errori e magnanima con le sue colpe, come fosse quella di un altro; è convinta che non esistano cattive azioni, solo cattive intenzioni. E Viola è una persona buona, sa di esserlo.
Il più delle volte poi è buffa, quando ricorda qualcosa di quando era piccola le compare un’espressione infantile sul volto e assume un tono che le dà importanza, come se avesse ancora sei anni e stesse parlando con un adulto.
Dopo aver avvitato bene i coperchi capovolge tutti i barattoli, li dispone a testa in giù sul tavolo della cucina. Devono stare così per qualche minuto, per qualche oscuro motivo su cui di solito si mette a scherzare, facendo qualche battuta stupida. Forse non lo sa davvero il motivo per cui lo deve fare, forse la imbarazza ammetterlo, ma in fondo non se la prende, preferisce riderci su. Viola sa di non sapere tante cose.
Guarda spesso l’orologio, deve farli bollire di nuovo ed è costretta ad aspettare. Ovviamente, dice di essere una persona ansiosa e insofferente in questi casi. Infatti, dopo un po’ afferma risoluta che può bastare. E decide sempre un po’ prima; le regole vanno rispettate, sì, ma ognuno le rispetta a suo modo. Viola, se la osservi, è proprio così, come quel suo nome particolare, ma non troppo. E’ una persona che è quello che appare, ma quello che appare non è sempre ciò che ti aspetti. A volte è un fiore, a volte è un colore. E’ sempre tante cose e non è mai quello che pensi, ad una prima impressione.
Quando la marmellata è pronta, asciuga tutti i barattoli con molta attenzione e li mette in fila sopra il tavolo. Se li rimira per un po’ prima di metterli via, dice che sono belli a vedersi. Per lei ogni cosa buona è anche bella. E viceversa. Forse si rende conto da sola di essere un’ingenua, un’illusa. Forse ha ragione lei invece, perché il buono e il bello a questo mondo non sono a volte tanto facili a definirsi. E lei sa bene anche questo.
Viola dice sempre anche che dopo aver fatto qualcosa, buono o cattivo che sia, c’è sempre da ripulire. Ogni volta ci pensa un po’, prima di lavare le pentole; pare raccogliere le sue energie e sbuffa indispettita come se ci fosse sua madre a rimproverarla e ad ordinarle di farlo. Eppure è lei stessa che se lo impone. Fa sempre una faccia ridicola quando deve fare qualcosa che non le piace, incurva gli angoli delle labbra in una maniera bizzarra, in qualche modo determinata, come se volesse trovare il coraggio e al contempo rassegnarsi al fatto che tutto ha un costo, anche se ha sempre pure un guadagno. Viola, forse, è più saggia di ciò che pensa.
Viola sa fare la marmellata. Come fa lui a saperlo? L’altra notte l’hanno fatta insieme, l’ha fatta per lui. Un orario ideale, le due del mattino, per fare la marmellata. Le altre ragazze sue coinquiline dormivano da un pezzo. Probabilmente un orario assurdo, le due del mattino, per fare la marmellata. Ma Viola è così; per lei non esistono cose assurde, è bastata la voglia di fargli assaggiare la sua marmellata e la cucina a disposizione, tutta per sé.
Viola fa una marmellata buonissima. Che cosa c’è di tanto strano? Nulla.
Milioni di persone a questo mondo sono capaci di fare la marmellata. Milioni di persone sono capaci di fare tutte le cose che sa fare lei. E lui non se lo spiega, non riesce ancora a capire il perché Viola sola è capace di sorprenderlo così, di ammantare ai suoi occhi ogni cosa che fa di pura e semplice meraviglia. Si sente stupido, disorientato e sereno allo stesso tempo. Ha voglia di vederla e di stare con lei, per provare quel senso di stupore e felicità ogni minuto della giornata. Non vuole darlo troppo a vedere, però, forse ha paura di sembrare infantile, pensa che sia anche troppo poco dignitoso per uno come lui. Non sa spiegarsi nemmeno questo, ma alla fine ha pensato perfino che non gli importa poi molto di come possa sembrare.
Chi l’avrebbe mai detto che Viola era capace di fare la marmellata? Ha pensato anche a questo l’altra notte, mentre facevano l’amore, aspettando che si raffreddasse.



Occhiali
(Terza tessera del puzzle)

Occhi marrone scuro, piuttosto piccoli e un viso dai tratti comuni, abbastanza paffuto, che in molti direbbero banale. Ha i capelli castani, dello stesso colore degli occhi, anche se Barbara almeno una volta al mese va dal suo parrucchiere di fiducia, con l’intento e l’illusione di renderli un po’ più vivaci. Alfredo, il parrucchiere, ha usato proprio questa parola, vivacizzarli, ma francamente i capelli di Barbara non hanno proprio alcunché di vivace; le ricadono sulle spalle ordinati come a migliaia di altre ragazze della sua età.
Non è proprio quello che si direbbe una bella ragazza, Barbara. Certo non è nemmeno tanto sgradevole d’aspetto, ma non ha nulla di speciale. Nessun tratto particolare, nessun guizzo di personalità, una qualche peculiarità che la renda interessante. Non ha nemmeno una corporatura aggraziata, nonostante si sforzi di sprizzare femminilità da ogni fibra del suo essere; perennemente a dieta e perennemente grassottella, a volte ci scherza anche su, sebbene non ne sia troppo convinta.
In realtà è convinta di essere simpatica invece e pensa che i suoi amici le vogliano bene per questo. Barbara è sicura, oltretutto, di essere una persona tanto affabile quanto intelligente e di saper discutere di ogni cosa, dalla politica alle ultime tendenze della moda, dalla letteratura all’affascinante attore del momento. Parla molto e le piace molto parlare. Si è circondata di un nutrito gruppo di amici, che invita di continuo a casa sua e a cui dispensa generosamente i consigli e le attenzioni della brillante padrona di casa. Essere al centro dell’attenzione in ogni festa e far sfoggio delle sue innumerevoli qualità è una cosa che adora. Tra le altre cose, è convinta anche di saper cucinare molto bene.
La sua esistenza non avrebbe alcun senso se non in relazione con gli altri, probabilmente questo lo sa anche lei, ma le risate, le parole, le facce in cui cerca rifugio hanno la consistenza della nebbia autunnale e in luogo di freddezza e impalpabilità lei sente calore e compattezza.
Barbara non è di certo una ragazza che si fa guardare per la strada, di quelle che catturano l’attenzione, ma non è nemmeno una ragazza capace di guardare. Vive nel suo mondo fatto di persone uguali lei; nessuno dei suoi amici è qualcuno di speciale, ma a lei sta bene così perché è convinta che ogni persona la guardi nel modo in cui si guarda lei stessa. Non è capace di vedere molto oltre la semplice apparenza, per essere franchi, ma quel poco le è più che sufficiente, perché tutto ciò che vede è anche tutto ciò che c’è da vedere. Non è tipo da considerare ciò che non capisce, Barbara; non è tipo da immaginare ciò che non conosce, né da chiedersi semplicemente se esista altro al di fuori del suo ristretto campo visivo.
E pensare che per lavoro vende occhiali.
Non ha studiato per diventare ottica, è una semplice commessa. E’ capitato che ne parlasse, certo, capita spesso che parli di se stessa. Lei lo considera un bel lavoro, perché può parlare con tante persone, può consigliare loro su qualcosa d’importante; il loro aspetto. Per lei gli occhiali sono un frivolo accessorio, questione di estetica. Probabilmente non ha mai pensato nemmeno una volta in vita sua che cosa significhi veramente fare una scelta che cambierà la propria fisionomia agli occhi degli altri. Non ha mai pensato che cosa significhi davvero scegliere un se stesso da offrire al mondo, scegliere di essere visto da chi guarda in un modo che rispetti te stesso il più possibile, sapendo che la vista degli altri non ti appartiene. No, lei non sa nemmeno che cosa significhi vedere. Il mondo, per lei, è un disegno bidimensionale colorato con tinte pastello, sottile come un foglio di carta velina, leggero, da portarsi in una tasca, piegato per bene.
Lei non li porta nemmeno gli occhiali, dice che la imbruttiscono; ma d’altra parte vendere occhiali non è mai stato il suo sogno.
A Barbara piacerebbe diventare un’annunciatrice televisiva. Sì, di quelle che informano sorridenti i telespettatori sui programmi della serata. E’ un lavoro bellissimo, dice; non fa nulla per provare a farlo, ma spera che un giorno ci riuscirà; magari qualcuno la noterà perché, si sa, queste cose capitano continuamente. Probabilmente non succederà mai, ma non le importa poi molto nemmeno di questo.
Barbara è una ragazza ordinaria. Non è carina, né intelligente e non è nemmeno simpatica, né particolarmente brillante. Non possiede nessuna qualità, è una delle tante insipide, insignificanti ragazze che ogni giorno passano inosservate all’attenzione di altrettante persone simili a loro. Una ragazza come Maria, normalmente, nemmeno la prenderebbe in considerazione.
Maria la ignorerebbe, semplicemente. Non perché sia una snob o una persona particolarmente eccentrica, lei è semplicemente una ragazza che ama guardare e in una come Barbara non vedrebbe mai niente che sarebbe capace di suscitare il suo interesse.
Quando si sono conosciute, Maria l’ha osservata bene, si è persino sforzata di vedere qualcosa in lei che potesse incuriosirla, ha cercato di trovare anche solo un motivo, qualcosa di diverso e di ingarbugliato da districare, sotto la superficie piatta, scialba e noiosa di quella personalità. Non si è fermata alle apparenze, né al loro primo incontro. Hanno parlato tante volte, di tante cose, ma l’opinione che Maria ha di lei non è mai cambiata. Per dire la verità, ha finito per ritenerla una stupida piena di sé, ma forse Maria è una ragazza fin troppo sensibile per non ammettere che, almeno un po’, la sua opinione manca di obiettività, per quanto sia onesta.
Barbara non si è smentita nemmeno quella mattina, quando Maria è entrata nel suo negozio. Sono passati solo due anni ma lei nemmeno l’ha riconosciuta, l’ha trattata come una cliente qualsiasi, col suo solito sorriso cordiale, confezionato a dovere. A Maria non è importato gran che; anzi, forse è stato meglio così. Un moto di indignazione ha fatto per un momento capolino tra il ricordo e la ragione, senza farsi notare. Probabilmente il solo pensiero di averla anche invidiata, di aver invidiato una come lei, la fa ancora arrabbiare, dopotutto. Forse, nonostante sia passato del tempo e tante cose siano passate con esso, non ha ancora smesso di invidiarla. Quasi certamente, a Maria non va giù semplicemente il fatto che Barbara sia ancora capace di farla arrabbiare, di farla sentire così… Forse è solo che Maria non è riuscita a capire il perché, non ci riesce ancora.
Barbara non è cambiata di una virgola in quei due anni; è ancora una ragazza ordinaria, superficiale e poco intelligente. Eppure lui la amava, la amava davvero. Lui ha visto qualcosa. La ama ancora… E non ha mai amato lei in quel modo.



Risate
(Quarta tessera del puzzle)

Ridicolo. Ecco come si sente ora, seduto a quella scrivania. No, probabilmente il termine più appropriato è patetico. Patetico che si sia ridotto a dover passare l’estate sul libro di chimica organica, in città, mentre tutti sono al mare o chissà dove a divertirsi. Gli sembra quasi di sentirli ridere da lì. Forse non è una sensazione, forse davvero in strada c’è ancora qualcuno che ha voglia di ridere, che si sta divertendo, magari qualche turista.
Un’estate come quella poi, così insopportabilmente afosa. Il caldo si percepisce quasi in maniera palpabile, gli si appiccica addosso, lo soffoca e grava su di lui come una coltre pesantissima, a momenti gli impedisce realmente di muoversi. Ma Paolo è in qualche modo consapevole che non è solo il caldo ad opprimerlo, sa perfettamente che sono le menzogne che ha raccontato ai suoi che cominciano a far sentire il loro peso tangibile sulle sue spalle. Non può evitare di pensarlo, ma soprattutto non può negare l’evidenza. Non a se stesso, almeno e non questa volta. Forse è l’esito di quell’esame che lo preoccupa davvero, quella data segnata in rosso sul calendario, accanto alla quale si ritrova a scarabocchiare ironicamente, da qualche giorno a questa parte, immagini inquietanti come teschi dalle vuote cavità orbitali e altri simboli di morte.
Ridicolo e patetico allo stesso tempo. Iscriversi all’università, andare a vivere lontano da casa gli erano apparsi un punto di arrivo, una meta ambita e a portata di mano. Quell’idea aveva riecheggiato nella sua mente liberatoria col suono dolce e metallico di catene spezzate, era stato il pozzo da cui aveva attinto inconsapevolmente per anni, quell’oasi che poi si era rivelata un ingannevole miraggio… Ora si trova più in trappola di prima e lo sa; quella catena non s’è altro che accresciuta, abbastanza da fargli sospirare ancor più quello che prima poteva appena intravedere e, magari, è stato proprio lui stesso a saldarne ancor di più gli anelli.
Se non supererà quell’esame dovrà ripetere tutto l’anno e non potrà più fingere con suo padre. Non avrebbe dovuto farlo, mentire sull’esito degli esami è stato un errore, avrebbe dovuto dirglielo che non ne aveva dati, che aveva fallito, invece ha avuto la brillante idea di sbandierargli sotto il naso persino una media altissima. Lo sapeva bene anche allora che stava commettendo un errore, ma non ha potuto fare altrimenti; suo padre ci tiene tanto a quella laurea e lui non è mai riuscito a deluderlo. Ora gli appare curiosamente ironico il fatto che proprio nel momento in cui sa di deluderlo davvero, suo padre è invece fiero di lui.
Non è mai riuscito nemmeno a scontentare i suoi amici se è per questo, che lo hanno trascinato per tutto l’anno a feste e varie altre amenità, a rimbecillirsi fino alle cinque del mattino e a dormire sul divano per tutto il pomeriggio.
La vista si offusca per un momento, si confonde in mezzo ai numeri scritti sul foglio bianco e Paolo si sfrega gli occhi cercando di ritrovare un po’ di lucidità, di trasparenza forse. Comincia a chiedersi se si sia mai veramente divertito con loro. Ripensa a tante serate passate a fumare, a bere e a ridere e ormai pensa di essersi convinto che nemmeno quelle sono state mai davvero autentiche. Per un momento quel pensiero ha un effetto inaspettato, si sorprende a compiacersi della conclusione a cui è giunto, senza alcun suggerimento. Quel concetto definitivo e incondizionato suona come il risultato di un problema complicato, la soluzione che soddisfa le premesse, il numero esatto a prova di confutazione. Forse si convince sul serio di essere una persona intelligente, al di là delle lodi che ha sempre tessuto di lui suo padre, maschere grottesche di aspettative e promesse da mantenere. Ma Paolo probabilmente non lo sa ancora chi è.
Lui non è mai stato veramente così, dopotutto. Non è Paolo il ragazzo trasgressivo, che passa le notti a divertirsi nei locali, né Paolo il bravo ragazzo, che frequenta Farmacia e studia per prendere il posto di papà da grande.
Paolo ride, sinceramente divertito e non sa bene il perché; forse è l’effetto dell’erba che sta fumando, forse la sua situazione è davvero ridicola. Pensa per un momento allo sguardo orgoglioso di suo padre quando gli ha detto che non sarebbe tornato e sarebbe rimasto a studiare. Pensa per un momento ai suoi amici al mare, alle occhiate complici e maliziose che gli hanno lanciato quando ha detto loro che sarebbe rimasto in città. E ride… Sente ridere anche lei, in terrazzo; lo sta chiamando.
E’ strano come quel nome pronunciato da lei suoni sempre appropriato in ogni discorso e situazione, mai nascosto in alcun tipo di attesa. Improvvisamente i numeri di ossidazione gli appaiono in tutta la loro inutilità e stupidità. Lui stesso si sente un vero stupido, ma la cosa che lo rende davvero perplesso è che ammetterlo con se stesso non gli pesa un gran che. Non gli pesa come ammetterlo con i suoi genitori, né come con i suoi amici. Non gli pesa affatto in realtà, non è che un sollievo e niente gli è mai sembrato così facile.
Niente di più facile, tranne che ammetterlo con lei. Paolo ha la sensazione che questo sia accaduto prima di ogni altra cosa nella sua vita. Ha la sensazione che lei gli regali libri di poesie da secoli, che lo prenda in giro da millenni e che consideri i suoi amici infantili da un’eternità, anche se ride sempre quando sono con loro. Lei ride… Sembra che sappia che lui è diverso da loro e da suo padre, ma che in fondo è anche un po’ così. Paolo, che fa il ragazzino con gli amici e Paolo, che fa l’adulto con suo padre. Il perché lei lo sappia, non è sicuro di saperlo. Forse è stato proprio lui a parlargliene, ma questo, il perché l’abbia fatto, per lui resta ancora un mistero. O forse no.
Appena varca la soglia del terrazzo, un’ondata di sole rovente lo investe in pieno, strizza gli occhi per abituarsi alla luce accecante e non fa in tempo a scorgere lei. All’improvviso una bacinella d’acqua gelata gli precipita addosso dalla sommità della porta finestra. Una risata cristallina accompagna gli ultimi spruzzi d’acqua e due occhi divertiti lo studiano e lo canzonano. Paolo ha come l’impressione di doversi sentire ridicolo ancora una volta, grondante d’acqua, con gli abiti e i capelli zuppi e quella faccia attonita e inebetita che immagina di avere. Scuote la testa simulando a stento la severità di un rimprovero quando lei, non meno zuppa, gli chiede dei vestiti in prestito. Lei continua a ridere e forse è proprio così che si sente Paolo, ridicolo, eppure sta ridendo anche lui. Non sente più il caldo, è un vero sollievo. Di certo è un sollievo sapere che anche il vero Paolo è capace di ridere.



E…
(La tessera mancante)

E pensare che oggi avevano previsto pioggia. Invece fa davvero caldo. E poi ero convinto che con questo tempo al parco non ci fosse anima viva, ma mi sbagliavo. D’altronde è estate, chi non è a rilassarsi e a divertirsi in qualche posto di villeggiatura oggi non ha molte alternative qui in città.
Che strano. Comincio a parlare come loro… Sì, perché è buffo come normalmente siano sempre convinti di non avere a disposizione una grande varietà di alternative nella vita, sembra che si riduca tutto ad una questione di questo o quello; la vita è fatta di bivi, scegliere una strada o l’altra, vacanze al mare o in città? Bianco o Nero? O tentennare di fronte alla scelta, in immobile attesa; quello stato passivo di quiete che diventa ristagno e che tramuta l’esistenza in qualcosa di interrotto. Ci vuole coraggio, pensano, per scegliere. Hanno ragione. In molti lo fanno, ma continuano inconsapevolmente e immancabilmente a precludersi tante possibilità. E questo pare proprio non lo sappiano. Quando una di queste occorrenze piove loro dal cielo… Ecco, continuo a parlare come loro… Reagiscono come fossero colti di sorpresa, come se sentissero di essere destinati, per qualche strana causa di forza maggiore, a trovarsi prima o poi di fronte a qualcosa di ineluttabile. Il destino, lo chiamano…
Prendi Maria, per esempio, è passata di qua non più di cinque minuti fa con un’espressione scura in volto, andava di fretta. E meno male. Altrimenti avrebbe visto Barbara e Giorgio passeggiare mano nella mano laggiù, vicino al laghetto; lo spettacolo l’avrebbe tremendamente infastidita. Per anni è stata convinta di non avere altra scelta, non riusciva a capire e ad accettare che lui amasse lei. La cosa la secca ancora, che lui trovi qualcosa di speciale in quell’insignificante ragazza, che non abbia scelto lei, anche oggi che non ci pensa quasi più. Come sia ancora pateticamente aggrappata a qualcosa di cui non ha la minima necessità ha un che di commovente. Lei crede di averne bisogno in realtà, da tempo ormai le manca il provare certe sensazioni e ha paura di non poterle riconoscere mai più. Si chiede se abbia perso la sua unica occasione.
Ah, esseri pensanti, questa sì che è una vera disgrazia. Guarda Barbara, invece… Be’, trattengo a stento una risata... Quella ragazza è proprio quella che definirebbero una stupida, eppure ha tutto quello che le occorre. Se ne accorgerà presto anche Maria di quanto sia inutile pensarci su, ponderare, rimuginare e desumere, arguire... E infierire. Non c’è storia da raccontare più scriteriata e insensata dell’amore.
Forse Filippo se n’è già accorto. La faccia che si ritrova questa mattina, anche un cieco riuscirebbe ad intuire che lui e Viola non hanno chiuso occhio questa notte… Già, sì, ironia della saggezza popolare. L’amore, non è forse cieco? Ma Filippo ci vede benissimo, peccato sia un bugiardo. Se non dorme almeno otto ore diventa scorbutico e intrattabile e sembra si stia divertendo un mondo invece, ha un’aria serena e beata.
L’idea del pick nick è di certo un’idea di Viola. Ora si apprestano a scoprire come è venuta la marmellata, Filippo le confesserà che fino a ieri aveva sempre odiato la marmellata e qualsiasi cosa le assomigliasse anche solo vagamente. E Viola penserà di aver compiuto un miracolo. Lui le sarà ancor più caro, perché le ricorderà il buono che c’è in lei.
Sono a dir poco bizzarri. Si attribuiscono meriti come fossero imprese straordinarie; ma non è merito loro, né loro è la colpa. L’amore lusinga e confonde, bugiardo perché dice sempre il vero; un onesto furfante con chi non lo comprende. E loro non possono comprenderlo.
Paolo, per esempio, si è lasciato convincere da Giulia ad innamorarsi di lei. Be’, sì, detto così ammetto che suoni un po’ strano, ma il punto è che ora sa che cosa lo confonde. Crede, di saperlo.
Si è lasciato convincere anche ad uscire ed ecco un altro miracolo; vestiti come profughi, se la spassano sui pattini a rotelle come fossero su un panfilo veleggiante su un mare tropicale. E non fa più tanto caldo, l’aria s’è fatta leggera, almeno per ora. Ma non è forse una bugia, questa?
Magari hanno anche ragione, è tutta una questione di scelte. A volte sono curiosi però, pensano addirittura di aver capito tutto. Paolo ha scelto di tentare la fortuna all’esame o magari di non pensarci più fino a stasera, probabilmente pensa che una pausa gli faccia bene. Ha scelto di restare in città, invece di andare al mare con i suoi amici, ma lui è convinto di averlo fatto per studiare; è ancora sicuro di non aver avuto altra scelta, poveretto. E anche lui è convinto di avere in mano tutti i pezzi del puzzle.
Pure Valeria è certa che si troverà presto a fare una scelta. Ora ride, mentre Andrea fa una qualche battuta scherzosa sulle papere che sguazzano nel laghetto, ma sta sera, quando lo saluterà, le tornerà in mente come ogni volta e continuerà a pensarci per tutto il viaggio. Forse non vede l’ora di farla quella scelta, non aspetta altro che lui lo chieda. E lui lo farà, tra qualche mese. Magari non nel modo in cui se lo aspetta lei, ma d’altra parte non si aspetta nemmeno che l’accompagni in stazione questa sera. Eppure lui farà anche questo, semplicemente perché gli va e non per evitare di vederla andare via col broncio. Entrambi hanno già scelto molto tempo fa e non lo sanno nemmeno. Sono convinti di avere ancora tempo per farlo, di non aver ancora iniziato a giocare.
Tutte queste persone hanno fatto una scelta, ne fanno continuamente, ma pensano di conoscerne la ragione o, almeno, di intuirla. Spargono le loro tessere del puzzle in bella mostra davanti a sé e cominciano a giocare. Tutti, prima o poi sono stati dei giocatori, ma ognuno di loro gioca in modo diverso. Alcuni si fermano a studiare ogni piccolo pezzo; s’impegnano davvero, dividono i colori e le forme e le compongono con pazienza. Altri le incastrano quasi a forza; non sanno giocare o semplicemente sperano che valga lo stesso barare, tanto nessuno li coglierà mai in flagrante. Altri ancora sono giocatori impazienti, li osservo buttarle per aria esasperati, maledicendo il gioco che non fa per loro. C’è anche chi ha un talento naturale e chi gioca con l’istinto; altri ancora hanno semplicemente fortuna. Alcuni non ci provano nemmeno, ma c’è anche chi riesce persino a far combaciare un buon numero di pezzi, ottenendo risultati sorprendenti. Sì, lo ammetto, questi sono i miei preferiti.
Quasi tutti i giocatori hanno qualcosa in comune però, sono fermamente convinti che lo scopo del gioco sia vincere e, soprattutto, che il gioco abbia soluzione. A volte pensano perfino di averla trovata, anche quando non hanno nemmeno iniziato a giocare; il più delle volte intuiscono un po’ di verità, ma sono esseri umani, non è nelle loro possibilità. C’è chi si riempie la bocca col mio nome, altri hanno paura perfino a pronunciarlo ad alta voce; a volte si ingannano, si confondono e mi chiamano in modi diversi. Alcuni pensano che non esisto, altri che sono fin troppo uguale a loro; c’è anche chi mi odia… E scusate se rido.
Liberi di fare come vi piace, alla fine un nome io non ce l’ho, è solo una questione di scelta. Chi lo sa? Magari non esisto. Tanto i pezzi di quel puzzle sono infinti… E l’ultima tessera l’ho in mano io.


Fine


  
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