Vorrei Solo non Fosse Amore
Autore:
Sacchan. E sono autrice,grazie
Titolo: Vorrei Solo non Fosse Amore. (oserei metterci il sottotitolo: ma
lo è...)parla da solo,no?
Paring: Sylar/Mohinder quindi una bella Mylar!
Rating: R per la tematica,non tanto per le scene
Disclamer: I personaggi di questa fan fiction sono tecnicamente tutti
belli che maggiorenni. Purtroppo non ho diritti di nessun genere sulla serie
Heroes,e se li avessi mi terrei Peter-Milo come peluches in camera. Insomma non
ricavo un centesimo manco per solidarietà a scrivere questa cosa,ma viene
soddisfatta la mia pazzia.
Avvertenze: Storia Slash che implica rapporti tra due uomini,spoiler
seconda serie.
Dediche: a tutte/i le/i fan di Sylar,di Mohinder e della coppia
Sylar/Mohinder.
Ringraziamento: Alla mia figlioletta Sselene per un idea del titolo! Ti
adoro,sei una piccola Musa per me!
La macchina era ancora bollente,il motore quasi si era fuso in quell’assurda
corsa dal confine Messicano a New York durata tutto il giorno.
Maya dormiva sul sedile posteriore con il capo appoggiato sulle gambe di
Alejandro che riposava scomposto inclinato verso il finestrino usato come
cuscino ben poco comodo. Si proteggevano a vicenda nel
sonno,inseparabili,necessari l’uno all’altro per la loro stessa sopravvivenza.
Maya sorrideva serena mentre stringeva una mano di Alejandro che,a differenza
della donna,dormiva corrucciato,la mano libera sulla testa della donna in un
gesto affettuoso e protettivo.
Solo Sylar era sveglio,seduto al posto del guidatore,la fronte poggiata sulle
mani che stringevano il volante,di tanto in tanto sospirava. Erano quattro mesi
che mancava da New York,quattro mesi che scappava crogiolandosi nel pensiero che
tutti lo credevano morto. E ora era tornato al fottuto punto di partenza.
E cosa peggiore,doveva portare quei due messicani dal dottor Suresh. Peccato
Chandra l’avesse ucciso lui e che l’unico dottor Suresh a New York e
vivo-soprattutto, fosse Mohinder.
Batté la fronte contro le nocche cercando di darsi dello stupido più velocemente
possibile,il rumore non svegliò,fortunatamente,i due fratelli ma bastò a Sylar
per ritrovare momentaneamente pace.
Iniziò a pensare con chiarezza alle varie scappatoie che gli si presentavano.
La prima,logica e degna di lui,era uccidere seduta stante Maya e
Alejandro,prendere i loro poteri,e continuare a vivere facendo credere di essere
morto.
La seconda,piuttosto illogica e davvero sciocca,era fare finta che,dopo varie
ricerche,non era riuscito a trovare il dottor Suresh.
La terza ipotesi era una variante della seconda in cui il Dottor Suresh
risultava morto,e in quel caso avrebbe menzionato Chandra e non Mohinder.
La quarta,valida quanto la prima ma meno soddisfacente dal punto di vista
personale, era dare ai due messicani l’indirizzo e spedirli da soli.
Sospirò guardando dallo specchietto posto a metà del parabrezza i due
fratelli;dormivano come due angeli o come due persone sicure inconsapevole di
riposare tra le braccia del demonio. Quasi si intenerì a vedere il viso di Maya
pieno di speranza e quello di Alejandro pieno d’amore fraterno. Scartò la prima
e la seconda ipotesi perché non meritavano nessuna delle due. La terza finì per
essere accantonata perché quei due avevano fatto così tanto per l’aiuto di
Mohinder che si meritavano almeno di incontrarlo. E quando giunse ad esaminare
la quarta dovette iniziare a fare i conti con se stesso. Quasi come se fosse
stanco posò la testa sulle mani e chiuse gli occhi. Desiderava rivedere
Mohinder. Quel pensiero prese consistenza nella sua mente con una facilità
estrema,con naturalezza e disinvoltura.
Peccato che l’ultima volta che si erano visti Mohinder gli aveva sparato e
lui,per tutta risposta,l’aveva inchiodato al soffitto con la telecinesi. Ma alla
fine era lui,Sylar,ad essersi ritrovato a terra,stordito e dolorante,travolto
dall’asse di legno che reggeva la cartina dove erano appuntate tutte le città e
i nominativi delle persone presenti sulla Lista.
Di sicuro non poteva aspettarsi che lo accogliesse a braccia aperte,che gli
offrisse da bere,e magari anche che gli permettesse di pernottare nel suo
appartamento. Eppure doveva provare.
Slacciò la cintura di sicurezza e come se nulla fosse si voltò con il busto
verso i due fratelli;raccolse la borsa di Maya e iniziò a frugarvi all’interno
in cerca di qualche dollaro e magari di un cellulare finito lì per caso. Ed
effettivamente un cellulare finito lì per caso c’era,ma non nella borsa di
Maya,ma nel porta oggetti accanto al cambio. Sylar sorrise compiaciuto dalla
dimenticanza di Derek. Afferrò il piccolo oggetto,prese le chiavi della macchina
e uscì dal veicolo.
La camicia non era un ottimo scudo contro il freddo della sera di New York,ma se
la fece bastare -almeno fino a Manatthan nella migliore delle ipotesi.
Protettiva la notte l’avvolgeva pungolandolo di tanto in tanto con qualche
spiffero di vento freddo che si insinuava dentro al colletto lasciato in parte
slacciato. Camminava lentamente,con naturalezza,il mento basso per proteggere la
gola dall’aria serale,le voci intorno a lui non lo distraevano più di tanto,le
luci non riuscivano a ferirgli gli occhi.
Rigirò tra le mani il cellulare più volte,indeciso se chiamare Mohinder fosse
davvero la cosa migliore. Almeno era consapevole che per lui era la cosa giusta.
Si fermò nei pressi di un cartello pubblicitario sovrastato da un grosso
orologio dallo sfondo bianco bordato di nero. Le lancette massicce e scure
scandivano il passare dei secondi e dei minuti segnando le dieci e qualche
minuto. Sylar si appoggiò al muro e rimase a fissare il display del telefono che
emetteva una luce verdognola per niente incoraggiante. Si fece coraggio e
premette il primo numero,poi i restanti.
Quando il telefono squillò Mohinder era appisolato sul divano,raggomitolato su
se stesso e avvolto da una trapunta pesante che toccava terra. Si alzò di scatto
senza capire davvero cosa fosse quel rumore troppo metallico e assordante,mosse
la testa a destra e sinistra più volte prima di barcollare fino al tavolinetto
dove il telefono squillava insistente. Staccò bruscamente la cornetta per
evitare che Molly,addormentata nella stanza da letto tra le braccia di Matt che
si era immolato per tranquillizzare la bambina dagli incubi,si svegliasse
nuovamente. A fatica teneva aperti gli occhi segnati da qualche occhiaia,e a
stento si teneva in piedi appesantito dalla trapunta ancora poggiata sulle
spalle quasi fosse un mantello regale.
”Pronto?” mugugnò con la voce impastata dal sonno.
”Mohinder…” fu l’unica cosa che Sylar riuscì a farfugliare a voce abbastanza
alta perché l’altro potesse capirlo.
”Sylar?” chiese stupito l’indiano riconoscendo la voce nonostante fosse al
limite dell’udibile. Con la mano sinistra afferrò una sedia togliendola da sotto
il tavolo e si mise seduto con lentezza,aspettando una risposta a quella
domanda. Anche se non era sicuro completamente di voler sapere la verità.
” Si,sono io” rispose l’americano cercando di far tornare la voce più sicura e
più comprensibile. Iniziò a camminare nuovamente,le macchine sfilavano veloci
accanto al marciapiede,la luce dei fari illuminavano l’asfalto scuro che ancora
puzzava di catrame in alcuni punti,segno della recente opera di manutenzione.
”Eri morto…” fu l’unico commento di Mohinder, e fu la sua voce,in quel momento,a
diventare poco più che un sussurro sorpreso. Per fortuna la sedia era solida con
le quattro gambe di legno massiccio e scuro;se fosse stato in piedi sarebbe
stramazzato a terra per la sorpresa di quella notizia.
”A dirla tutta no…insomma,le fogne sono un bel nascondiglio” sfrontato e
nuovamente sicuro di se Sylar parlò con tutta la voce fredda e calcolatrice che
aveva sempre sfoggiato nelle migliori occasioni.
”Le fogne…” ripeté l’indiano sempre più contento che la sedia fosse lì a
sorreggerlo.
”Si,le fogne,Mohinder” sbuffò Sylar. Continuò la sua camminata ora più
sicura,più elegante,più arrogante. L’ora tarda gli permise di non incrociare
troppa gente o di dare troppe spallate come succedeva solitamente in pieno
giorno a New York.
”Da dove chiami,allora?” riuscì a chiedere il genetista quando la sua mente
tornò a ragionare lucidamente e finalmente priva della pigrizia del sonno.
Lasciò cadere la trapunta a terra liberandosi di quel peso inutile.
”Non funziona. So perfettamente che finiresti per venire con una pistola.
Un'altra volta” secco e lapidario rispose l’americano. Ma subito se ne
pentì,infondo non aveva chiamato Mohinder perché voleva vederlo?
” Chi te ne da la conferma?” sbottò immediatamente Mohinder appoggiando sulla
superficie del tavolo entrambi i gomiti,la schiena leggermente arcata in avanti.
” Insomma,Mohinder,quando avevi scoperto chi ero mi hai dato una specie di
intruglio soporifero,e una volta sveglio mi hai sparato.” Il tono di Sylar si
fece più rilassato,come se stesse raccontando solo una storiella e non la sua
quasi morte per mano dell’altro. Non si preoccupò nemmeno di quello che la gente
intorno poteva pensare sentendo quelle parole assurde e prive di senso logico.
” Si,e tu hai bloccato il proiettile e mi hai quasi ammazzato!” quasi furioso
rispose l’indiano,la voce sempre tenuta bassa per non disturbare la quiete
notturna dell’appartamento. Nella stanza da letto Molly si mosse tra le coperte
e il fruscio di queste fu ben udibile anche a Mohinder che si voltò allarmato
verso la porta.
”Non ti ho quasi ammazzato,ti ho solo tenuto fermo!” questa volta fu il turno di
Sylar a fare la parte dell’arrabbiato.
”Addosso al soffitto!” sibilò Mohinder verso la cornetta avvicinandosi a questa
come se così potesse fare meno rumore
” Preferivi il muro?” arrivò immediatamente la risposta ironica dell’americano.
”Non dovevi proprio farlo!” subito anche l’indiano riabbatté
“Dio,Sylar,pretendevi che con davanti un assassino me ne stessi buono?”
”Non ritirare fuori la storia di tuo padre. Amavo Chandra quanto te.” Quella
frase fu seguita dal fragoroso rumore di una scatola di legno fine che veniva
scaraventata contro il tubo metallico di una grondaia rompendosi in più punti.
”Tu non lo devi neanche nominare mio padre. Sei tu che l’hai ammazzato” a
malapena Mohinder riusciva a tenere la voce bassa. Molly continuò a rigirarsi
nel letto costringendo quel padre improvvisato a controllarsi.
” Non nego l’evidenza,Mohinder. Ma…Insomma,che c’entra ora?Non ti ho chiamato
per questo!” fu Sylar a tornare lucido e razionale. Se lasciava la telefonata a
se stessa avrebbero finito per insultarsi e allontanarsi ulteriormente. E
quattro mesi avevano già fatto il loro lavoro.
”E per cosa l’hai fatto?” esasperato domandò l’indiano,lo sguardo fisso sulla
porta della camera di Molly.
”Perché c’è qualcuno che ha bisogno del tuo aiuto. Due ragazzi…messicani credo”
spiegò Sylar iniziando a colpire con la punta della scarpa un sasso che fu
eletto a compagno di viaggio. Il tintinnio ritmico del piccolo sasso
sull’asfalto ricordò vagamente quello degli ingranaggi che gli risuovana nelle
orecchie ovattato e distante. Lo fece sentire bene,al sicuro.
”E mi chiami a notte fonda per questo?Non potevi aspettare domani?” il tono di
Mohinder non cambiò affatto. Decise di alzarsi e si avvicinò a quella specie di
macchina a gas nell’angolo che doveva ricordare una cucina;con il telefono
stretto contro la spalla e l’orecchio prese la caraffa e versò in una delle
tazzine giallognole e tozze quel poco di caffè,freddo,che rimaneva dalla sera.
”Non so nemmeno dove sarò domani,Mohinder. Poi la ragazza è quasi riuscita ad
ammazzarmi! A me,capisci?Sono pericolosi!” sbottò Sylar continuando ad essere
accompagnato da quel rumore ritmico del sasso.
”Se l’avesse fatto non l’avrei nemmeno denunciata,sappilo. Era un favore a tutti
quelli come voi” borbottò l’indiano riafferrando la cornetta con la mano
destra,nella sinistra stringeva la tazza che venne portata alle labbra. Freddo e
amaro quel caffè non aiutò di certo l’umore dell’indiano a migliorare.
”Si,grazie Mohinder,molto gentile. Oltretutto anche io sono nei guai. Non riesco
ad usare i miei poteri” spiegò con naturalezza l’americano accigliandosi appena.
Camminava a passo svelto senza guardarsi intorno. Le luci gli bastavano per
sapere dove metteva i piedi,qualche voce di ragazzi intenti a scarabocchiare con
un graffito un muro disturbarono a malapena la sua concentrazione,ma l’aiutarono
a non estraniarsi completamente.
” Forse ne hai presi così tanti che sei andato in corto circuito. Ben ti
starebbe comunque” severo commentò l’indiano sedendosi sul divano che,almeno,era
molto più comodo della sedia ma altrettanto solido.
” Mohinder!” Sylar si fermò di botto offeso dal tono e dalle parole dell’altro.
Aveva perso la cognizione della strada e se ne accorse solo in quel momento “Ho
bisogno di te,puoi essere meno acido?”
” Non è colpa mia,sei tu che mi hai portato ad esserlo!” rispose per le rime
Mohinder con tono esasperato. Quella conversazione sterile non stava portando a
nessuna soluzione,semplicemente era uno sfogo dopo quattro mesi di calma. Si
sdraiò sul divano con un sospiro sconsolato “Mi spieghi perché mi hai
richiamato?Devi sempre rovinarmi la vita tu,vero?” chiese ironico.
”Non voglio rovinarti la vita,Mohinder” fu la risposta sincera di Sylar che
rimane fermo in mezzo al marciapiede quasi deserto.
” Prima uccidi mio padre,poi tenti di fare lo stesso con Petrelli un paio di
volte. Senza contare che per tre giorni interi ti sei finto un'altra persona
mentendomi per circa settantadue ore.” Replicò l’indiano con ritrovata calma.
”Che diavolo c’entra ora Petrelli…In ogni caso non era per rovinarti la vita”
sbuffò l’americano colpendo definitivamente il sasso che rotolò in un tombino
“Stiamo diventando patetici. Possiamo almeno esserlo faccia a faccia?” quasi
pregò con tono sconsolato.
” Si credo che sia meglio. Quindi questa volta rispondi. Dove sei?” chiese
Mohinder controllando che le scarpe fossero ancora allacciate e,una volt
appurato ciò,si alzò e iniziò a cercare con lo sguardo le chiavi,già pronto ad
uscire.
”Sono a New York…” Sylar si guardò intorno riconoscendo le palazzine famigliari
“Facciamo tra una mezzora a Kirby Plaza?” propose con innocenza.
”Non è un appuntamento,Sylar” sbuffò Mohinder cercando di essere serio. Ma i
suoi gesti tradirono il suo nervosismo;camminò per il soggiorno impacciato e
goffo rischiando di cadere a terra più volte. “E poi un posto migliore non lo
conosci? Non è che sia uno dei miei preferiti”
” Sono a piedi,è quello che raggiungo più velocemente. Se preferisci però posso
trovare il modo di raggiungerti a Manatthan,la strada la so” una vena di ironia
colorò la voce dell’americano.
” Non sei nella posizione di poter scherzare senza poteri” lo avvertì l’indiano
prendendo il cappotto e aprendo la porta della camera di Molly. Guardò la
bambina dormire tranquilla nonostante il sudore sulla sua fronte facesse ben
capire che quel corpicino giovane era ancora scosso dagli incubi. Chiuse la
conversazione e chiuse anche la porta della camera lasciando la bambina
riposare. Infilò malamente il cappotto mentre la mano sinistra stringeva ancora
le chiavi dell’appartamento in una presa convulsa.
Non era un idea geniale,ne era consapevole,ma non aveva molte alternative. Aveva
passato quattro mesi quasi tranquilli ad occuparsi di Molly insieme a Matt,a
fare lezioni sulle sue scoperte in giro per il mondo,senza il pensiero
ossessionante di Sylar e della sua vendetta. E ora era ricominciato tutto da
capo,Sylar era vivo e la sete di vendetta era tornata appena aveva sentito la
voce dell’altro. Quella voce di volpe subdola,di serpente tentatore;eppure calda
e per alcuni versi fin troppo piacevole.
Quando chiuse il portone dell’appartamento alle sue spalle realizzò di essere un
idiota che si era lasciato abbindolare di nuovo dalla falsità dell’altro,che si
era lasciato catturare in quella ragnatela a cui,realmente,non si era mai
separato. Salì in auto e prima di mettere in moto si rilassò per un attimo
contro lo schienale di scomoda pelle cercando di risistemare nella sua mente
quella telefonata improvvisa e quelle sensazioni scombussolate che gli avevano
completamente tolto il sonno. Sylar era vivo,lì a New York,e la prima cosa che
aveva fatto era stato chiamare lui. Non seppe se esserne felice o profondamente
offeso. Il rumore del motore che si accendeva improvvisamente lo riportò
momentaneamente alla realtà,giusto il tempo di uscire dal parcheggio e prendere
la strada verso Kirby Plaza. Non riusciva comunque ad essere infuriato o
semplicemente arrabbiato,aveva smesso di esserlo da quattro mesi quando era
convinto di non doversi più preoccupare per Sylar.
E infondo fu meglio così,riuscì ad essere onesto con se stesso e accettare il
vero motivo per il quale stava guidando verso il centro di New York lasciando
una bambina in preda agli incubi senza troppa protezione in un appartamento non
troppo lussuoso con una persona di cui non si fidava se non per il fatto che era
l’eroe personale di Molly.
Per tutto il tragitto cercò in modo disperato di concentrarsi sulla strada e sui
semafori a volte verdi e altre volte rossi,cercò di concentrarsi sulla
gracchiante musica delle stereo sperando che attraverso le orecchie riuscisse a
fare da schermo a quei pensieri sconnessi che gli affollavano la mente. Le mani
rimasero ben ancorate al volante e lo sguardo ben fisso oltre il
parabrezza;neanche le luci delle macchine nel senso opposto riuscirono a
infastidirlo in quella moderata corsa sull’asfalto verso quella che si
prospettava una nottata piuttosto difficile.
Non sapeva cosa fare o cosa dire una volta arrivato di fronte all’altro,non
sapeva semplicemente come comportarsi dopo tutto quello che era successo durante
i loro ultimi incontri –che notò coincidevano anche con i primi,e dopo quei
quattro mesi che l’avevano indebolito nei confronti di Sylar.
E si accorse di quanto fosse senza difese nel momento in cui trovò Sylar di
fronte. Osservò il viso sporco e madido di sudore dell’americano,gli occhi
lucidi come febbricitanti,la pelle brunita dal troppo sole che in alcuni punti
era rossa come bruciata.
”Hai davvero un aspetto orribile…” commentò quasi come saluto.
”Grazie,apprezzo la tua solidarietà Mohinder.Oggi sei proprio il buon
samaritano.” volutamente ironico rispose Sylar ben consapevole che in quel
momento doveva aver un aspetto orribile. Lo sentiva attraverso ogni poro della
pelle,e quel rumore di ingranaggi l’aveva abbandonato da troppo tempo;era sicuro
che qualcosa non andava,
”Non volevo” si scusò subito Mohinder chinando appena il capo con quel fare
educato e pacato tipico della sua etnia. Improvvisamente si tolse il leggero
cappotto con gesti impacciati rimanendo con addosso solo la pesante giacca.
”Copriti,fa ancora freddo”consigliò all’altro mentre gli porgeva l’indumento.
Sylar guardò il cappotto,poi il viso di Mohinder,e di nuovo il cappotto che
afferrò piuttosto titubante e guardingo. No,l’indiano era troppo gentile.
”A cosa devo tutto questo riguardo?” chiese interessato mentre infilava il
braccio destro nella manica e poi anche il sinistro. Fu avvolto da un leggero
calore piacevole che non aveva provato da quando aveva lasciato il messico con
Maya e Alejandro qualche giorno prima. Si strinse nel cappotto a cercare ancora
più calore e protezione dal freddo,un gesto infantile e bambinesco che tradì
quel cambiamento quasi radicale dovuto alla mancanza dei poteri.
”Perché mi fai pena,Sylar” spietato rispose Mohinder,la voce tagliente come un
rasoio,affilata come la punta di un coltello. /
Senza dire altro prese a camminare con passo svelto verso l’interno della
piazzetta diretto verso un punto imprecisato.
Non faceva troppo freddo,ma l’ora tarda rendeva l’aria rarefatta e più
cristallina,nei polmoni quasi gelava come fossero minuscole scaglie di ghiaccio
pronte ad insidiarsi attorno ai vasi sanguigni congelando il sangue e così le
ossa.
Sylar seguì a ruota l’indiano,confuso e perplesso,deciso a non perderlo di vista
nonostante il fare scostante che stava subendo senza battere ciglio.
Uscirono da Kirby Plaza e finirono per camminare in una delle vie che
l’americano aveva percorso poco prima. Mohinder precedeva l’altro di qualche
passo,sempre,rimanendo perfettamente in silenzio come,del resto,anche Sylar
”Mohinder…” e fu questi a rompere improvvisamente il silenzio che si era venuto
a creare. Si fermò di fronte al genetista intenzionato ad ostacolarne il cammino
se necessario “Mi spieghi dove stiamo andando?” chiese ingenuamente guardandosi
intorno e cercando di capire cosa potesse aver attirato l’attenzione di Mohinder
tanto da spingerlo lì.
”Dove sto andando io.” Lo corresse Mohinder “Sei tu che mi hai seguito,io non te
l’ho mai chiesto” gli fece notare continuando nel suo tragitto,cosa che gli
costò una sonora spallata con Sylar.
”No,aspetta,mi sono perso qualcosa” esclamò l’americano tornando a seguire
l’indiano e affiancandolo in breve tempo “Pensavo fossi qui per me,perché ero
stato io a chiamarti…” di nuovo usò un tono ingenuo in modo da urtare il meno
possibile l’altro.
Mohinder si fermò di nuovo,fissò l’altro per un istante,poi chinò gli occhi
sulla strada incapace di sopportare lo sguardo perplesso e spietato dell’altro.
”Sylar,sarò sincero. E’ stata una debolezza. Tornerò a fare finta che sei morto”
sbottò semplicemente scuotendo la testa. I riccioli neri urtarono tra
loro,ancora scomposti e ribelli prima che una mano,gentilmente,li rimettesse in
ordine.
”Ma sono vivo,Mohinder. Senza poteri…ma sono vivo” mormorò Sylar sistemando un
ultima ciocca riccia dell’indiano in un gesto lento seppur meccanico.
”Era meglio se tu lo fossi stato” sibilò in risposta Mohinder allontanando dai
propri capelli la mano dell’altro. Quel contatto rendeva ancora più sensibile la
sottile linea d’incoerenza che lo guidava nelle sue azioni.
”Non lo pensi sul serio. Non mi hai mai realmente voluto morto…” c’era qualcosa
di suadente nella voce modulata e bassa d Sylar,qualcosa che sapeva di arcano e
di profonda falsità. “Non ho quei poteri per cui ho ucciso…per stanotte non puoi
far finta che non sia chi sono,ma chi vorresti io fossi?” e in quella richiesta
sofferta
”Sarebbe troppo semplice,troppo comodo. Impossibile” secca e lapidaria fu la
risposta del genetista che scosse la testa con decisione e decise di tornare ad
ignorare l’americano come aveva tentato di fare fino a poco prima.
Sylar reclinò all’indietro la testa lasciando allontanare l’altro di qualche
passo. Si mise a fissare quei piccoli puntini luminosi che le luci di New York
non riuscivano a mascherare nonostante fossero distanti chissà quanti anni luci.
”Te ne sto dando l’opportunità Mohinder. Non la riavrai facilmente” esclamò
improvvisamente sperando che la sua voce raggiungesse il diretto interessato che
sembrava proprio intenzionato ad andarsene e a mollarlo lì,da solo,con come
unica compagnia il lieve e pacato profumo di quel cappotto non troppo pesante.
”Come al solito sarà uno dei tuo imbrogli che poi ti faranno sentire
dannatamente meglio e soddisfatto” il sibilo dell’indiano fu pericolosamente
simile a quello di un serpente pronto ad azzannare la sua preda ed avvelenarla
per poi stringerla e sogghignare mentre la vita scorre via.
”Mohinder,ho davvero bisogno di te. E non mi riferisco alla questione sulle mie
abilità” puntualizzò mentre gli occhi castani tornavano ad inquadrare la figura
dell’indiano che,finalmente,si era fermato e tornava verso di lui ripercorrendo
frettolosamente i passi di poco prima.
E calò il silenzio,freddo e metallico come quella notte che non riusciva a
staccarsi dall’Inverno,che non riusciva a spiccare il volo librandosi verso il
sole caldo e piacevole di primavera,ma che restava abbracciata come un amante
ad un fiocco di neve vestito di ghiaccio. Mohinder scrutò l’espressione di
Sylar che gli risultò sincera e schietta,ma gli sarebbe apparsa in quel modo
anche se fosse stato il diavolo in persona a tentarlo. Semplicemente voleva
credere nella possibilità che l’altro gli stava dando,voleva credere che ci
fosse una speranza-anche minima-che l’altro potesse essere sincero. Voleva
crederci per non farsi altro male,voleva crederci anche se sapeva che si sarebbe
semplicemente distrutto con le sue mani. E anche nella sua mente risuonò come un
controsenso,ma la distruzione era di gran lunga migliore di quel dolore.
” E cosa pensi io voglia che tu sia?” chiese con una semplicità disarmante
”Qualcuno su cui appoggiarti,qualcuno di cui fidarti,qualcuno che ti capisca,che
ti sostenga” rispose prontamente Sylar con naturalezza accennando un sorriso
sapendo di aver accontentato già con le parole le aspettative dell’indiano.
”E naturalmente sarà un'altra farsa,come l’ultima volta” di nuovo il genetista
ribadì il concetto lasciando bene intendere che quella falsità era l’unico
ostacolo perché si mettesse l’anima in pace.
”Dio,Mohinder!” sbottò l’americano scrollando l’altro facendo presa sulle spalle
spigolose di questi. Il primo contatto vero di quella serata che riuscì a far
crollare ogni difesa dell’indiano. “Quanto pensi possa aver finto?” chiese
esasperato scuotendo la testa quasi nervosamente mentre le iridi scrutavano
quelle più scure e profonde che avevano di fronte.
”Abbastanza” commentò freddo Mohinder tornando di nuovo sibilante come un sigma
greco.
”Appunto! ‘abbastanza’ non è ‘completamente’,non trovi?” continuò a chiedere
Sylar cercando in ogni modo di convincere l’altro. Avrebbe dovuto
dirgli,probabilmente,che non aveva finto poi così tanto,che il buon proposito
era tutto suo,che le conoscenze erano le sue,che le azioni le aveva scelte lui e
non la situazione.
” Non fare un gioco di parole,Sylar”
”Mohinder,abbiamo una pacifica notte di fronte a noi,New York dorme e noi no. Ci
sono le stelle,la Luna e tutte le altre cose belle!” esclamò l’americano
stringendo maggiormente la morsa delle mani sulle spalle dell’altro “Puoi,per
una benedetta volta,fidarti di me?” chiese con tono supplichevole abbassando di
nuovo la voce che tornò calma.
”Come faccio a…”
”Ti sei già fidato quattro mesi fa. Non è diversa la situazione”
”Non sapevo chi eri,anzi,ti credevo un altro!”
”Abbiamo già parlato di questo discorso…”
”Cosa vuoi da me,Sylar?”
”Che tu sia coerente con quello che provi,una benedetta volta!”
”Tu non sai quello che provo!”
”Ho sentito il battito del tuo cuore ogni istante!”
Quel rapido scambio di battute,dette a voce alta con tono imperioso e
prevaricatore,cessò improvvisamente come era iniziato,senza mai diminuire di
intensità. Come se avessero staccato la spina,improvvisamente e senza
preavviso,ad un amplificatore.
” E’ come se mi avessi spiato!” fu la logica conclusione dell’indiano che
fissava ancora irato Sylar,ma non si spostò,lasciò che la presa dell’altro lo
tenesse inchiodato al marciapiede.
”Non controllavo il mio potere,non l’ho fatto apposta…” cercò quasi di scusarsi
l’americano mentre rilassava lentamente le dita che oramai si erano quasi
conficcate nella pelle delle spalle del genetista,ma non interruppe quel
contatto che si era guadagnato a fatica.
” Ah,certo,come no” sbuffò il genetista scuotendo la testa e storcendo le
labbra,quel discorso proprio non filava,non aveva senso.
”Mohinder,cosa devo fare con te?Mi sfuggi anche quando non dovresti” mormorò
Sylar con tono remissivo lasciando che le parole nascessero con naturalezza.
”E cosa devo fare io con te,Sylar?” ribatté l’indiano con decisione,gli occhi
assottigliati fissi sul viso dell’americano “Cosa vuoi da me?Non mi hai
ridicolizzato abbastanza dimostrando quanto sia ingenuo?Non sei già soddisfatto
di come mi hai abbindolato?”
”Non ho mai avuto intenzione di..” protestò Sylar offeso dalle parole
dell’indiano senza riuscire a concludere il suo pensiero.
”Ma è come mi hai fatto sentire,dannazione!” quello di Mohinder fu un urlo
spazientito e di puro cuore. Sentì la gola gracchiare pericolosamente tanto che
fu costretto a tossire subito dopo.
” Solo perché ti sei preoccupato dei tuoi moralisti e doveri da bravo figliolo!”
lo avvertì Sylar con tatto pari a zero. Sbuffò scuotendo con decisione la testa
per poi chinarla verso terra e osservando le sue scarpe “Certo,avevi le tue
ragioni…” aggiunse a voce leggermente più bassa quasi si fosse accorto di ciò
che aveva detto e di quanto fosse inadeguato alla situazione.
Questa volta fu Mohinder a reagire istintivamente dando una spinta furiosa
all’americano per allontanalo da se.
”Avevo le mie ragioni?Avevo le mie ragioni?” ripeté Mohinder mentre spintonava
nuovamente Sylar che nel frattempo non era riuscito a tornare perfettamente in
equilibrio. “Lui ti ha aiutato e tu hai pensato bene di ammazzarlo!”
Sulla facciata del palazzo che troneggiava con i suoi sei piani dal lato opposto
qualche finestra iniziò ad illuminarsi creando un contrasto quasi a scacchiera
tra luci chiare e assenza stessa di luce. Nessun rumore accompagnava ancora quel
segno di protesta notturna del tutto lecita,sembrava quasi che quelle finestre
si fossero illuminate quasi per purissima coincidenza e non per altro.
Sylar si ritrovò spinto contro il muro e tenuto fermo da Mohinder che dimostrava
di avere fin troppa forza per tenerlo fermo per il bavero del suo stesso
cappotto.
”Mohinder,calmati…”
”Calmarmi?” chiese ironico l’indiano “Non hai il diritto di darmi degli
ordini,caro il mio Sylar” non abbassò la voce,né diminuì la forza della presa.
“Avrei dovuto ucciderti e farla finita”
”Hai solo sbagliato il tempismo. Non dovevi aspettare che mi svegliassi”
puntualizzò l’americano mentre un ghigno soddisfatto gli curvò le labbra. Non
poteva trattenersi dall’auto-lodarsi in quella situazione,né poteva evitare di
essere sarcastico o cinico.
”E sai perché non l’ho fatto?” sibilò Mohinder fissando dritto negli occhi
l’altro con disprezzo “Perché speravo fino all’ultimo di essermi sbagliato e di
evitarlo!” ammise con un sospiro lasciando che le mani lentamente lasciassero
andare l’americano.
”Alleluia” esclamò solenne Sylar sentendo quelle parole lasciando in secondo
piano l’amarezza e la delusione con cui erano state pronunciate,afferrò le mani
di Mohinder quando erano ancora a mezz’aria,strinse delicatamente i polsi.
“Finalmente sei stato coerente con quello che provi. Era difficile?”
Non arrivò mai una risposta da parte dell’indiano che si ritrovò impossibilitato
ad articolare le parole e a farle uscire dalle labbra sulle quali erano premute
quelle dell’altro. Lentamente si rilassò permettendo al quel bacio di essere
definito come tale,lasciò per un attimo il risentimento chiuso in qualche antro
scuro posto chissà dove e diede il permesso alle vecchie emozioni di avvolgerlo.
Affogò nei ricordi –di qualsiasi genere fossero,nel momento in cui Sylar lasciò
la presa sui suoi polsi solo per stringerlo meglio a se.
Che le luci del palazzo si spegnessero una dopo l’altra divenne un fatto
completamente secondario,in quel momento ogni cosa divenne secondaria.
Assassini,presunte morti,inganni,sotterfugi;tutto svaniva sciacquato da una
ondata di emozioni ben più irrazionali e pressanti che a forza di essere
mascherare,ingabbiante,stringate al momento giusto erano capaci di esplodere
come un stella nell’ultimo momento di vita.
New York dormiva,o almeno provava,e la Notte giocava placidamente ad essere
architetto di costellazioni e a dare direzioni in un silenzio placido e freddo
che non si curava minimamente di quei pochi che erano svegli,magari intenti a
fissarsi silenziosamente indecisi su quali parole usare o su quali gesti
compiere tornando a un impacciato punto di partenza.
”Mohinder” la voce di Sylar che spezzò il silenzio risultò tranquilla e per
niente turbata,ma nemmeno soddisfatta o contenta,era semplicemente atona e
controllata “Non scappare anche questa volta”.
Mohinder distolse per un attimo lo sguardo dal viso speranzoso e serio
dell’americano,osservò il marciapiede coperto di sassolini solitari che agli
occhi di chiunque sarebbero stati ignorati,ma non da chi doveva cercare
qualcos’altro su cui concentrarsi.
Sylar appoggiò la testa contro il muro e sospirò scrollando le spalle sperando
che la stanchezza scivolasse via velocemente,molto velocemente,quando non sentì
risposta alcuna dall’altro.
”Hai già i tuoi soliti dannatissimi rimorsi” mormorò semplicemente senza aver
bisogno di altre prove per capire cosa passasse per la testa del genetista.
Probabilmente sarebbe sempre andata in quel modo. Un eterna rincorsa. Apollo che
insegue Dafne.
”Non è facile,Sylar,non rinfacciarmelo” sbottò piano l’indiano,eppure anche
nella sua voce c’era una grande stanchezza e rassegnazione.
”Credo di non poter vincere contro lo spettro di tuo padre e dei miei crimini “
ammise Sylar trovandosi costretto ad affrontare la sconfitta.
” Cerca di capire…” lo implorò Mohinder evitando di nominare il nome
dell’altro,come se fosse più semplice fare finta che fosse un altro “Sei come la
sabbia che filtra negli ingranaggi di un orologio dimenticato all’aria
aperta,vicino al mare. Rallenta gli ingranaggi che iniziano a perdere la loro
precisione. E più aumenta la sabbia più è faticoso per gli ingranaggi muoversi…”
si morse il labbro inferiore tornando ad affrontare lo sguardo dell’americano
“Hai già modificato la mia vita la sua precisione,se lascio che gli eventi
scorrano senza oppormi finirai per sommergermi finché non resterà più nulla di
ciò che c’era prima”
Sylar rimase immobile con tutto il corpo fatta eccezione per la mano sinistra
che andò a giocherellare distrattamente con uno dei riccioli di Mohinder. Si
immaginò la sabbia e il mare che placido avvolgeva e lasciava il bagno asciuga e
quasi sentì l’arsura del sole di un torrido Agosto,nella mente l’immagine di un
orologio ricoperto sommerso e irrimediabilmente rotto fece nitida e ben poco
rassicurante.
”Buffo che tu abbia usato una similitudine con gli orologi.” Iniziò
semplicemente ignorando l’occhiata confusa che Mohinder gli lanciò. “Mohinder io
voglio davvero distruggere la tua vita,quella che hai ora e voglio dartene una
nuova dove ci sia posto anche per me. Credo che perfino in natura sia un
ragionamento logico…distruggere un equilibrio per crearne un altro…”
”Dovrebbe essere qualcosa di romantico?” chiese ironicamente il genetista senza
però che la tensione scemasse minimamente. Per un istante,si accorse
tardivamente,il fiato gli si era mozzato mentre ancora non era arrivato in
trachea. Per un istante sperò quasi che le parole dell’altro si fossero messe
subito in atto.
” No,la pura verità. Perché non capisco davvero la tua ostinazione,il tuo totale
rifiuto all’evidenza…”
”Non pretendo tu lo capisca,sinceramente. A volte non ci riesco nemmeno io.”
Ammise Mohinder senza tante cerimonie parlando con sincerità.
” Sarò ripetitivo ma…” iniziò Sylar con tono incerto non sapendo bene nemmeno
lui su cosa essere ripetitivo. C’erano tante cose che avrebbe voluto
rimarcare,approfittando della situazione che più favorevole non poteva essere,ma
non riuscì a dire nient’altro in quel momento sentendosi completamente
indifeso,come se lo sguardo dell’altro potesse superare la barriera fisica e
vedere chissà cosa,quasi fosse un operazione a cuore aperto.
”Posso tornare ad odiarti da domani” acconsentì l’indiano annuendo alle proprie
parole con un cenno della testa che servì più a se stesso per convincersi che ad
altro. Infondo quella battaglia era già persa da tempo,doveva solo
accettarlo,vedere come le cose potevano evolversi,provare a lasciarsi
andare,tentare di non farsi dilaniare dai suoi stessi pensieri.
”E allora posso chiederti scusa,per stasera” rispose semplicemente Sylar
sottolineando l’indicazione di tempo in quella frase “Probabilmente,anzi,sono
sicuro che tutto questo è accaduto a causa mia,forse non avrei dovuto fare molte
cose,come uccidere tuo padre. Forse non avrei dovuto ingannarti,però non me ne
pento,sai?” lasciò per un istante che la voce si unisse al silenzio “Se non mi
fossi finto Zane non saremmo nemmeno a questo punto” concluse esibendo un mezzo
sorriso bambinesco in parte celato dall’oscurità.
”Potresti aver ragione. Se questo punto fosse di mio gradimento” corresse il
genetista con un tono serio che rese credibilissima quella frase.
”Se non fosse di tuo gradimento non saresti qui,stanotte,con me,contro un muro a
poca distanza da un assassino” suonò ironica e canzonatoria la voce
dell’americano,eppure tornò ad essere suadente e accattivante. La tela del ragno
era tesa,splendente e invitante.
”No,non con un assassino .Non per stanotte” corresse Mohinder in un sussurro che
suonò accattivante quanto le parole dell’americano.
Sylar sorrise istintivamente a quelle parole,chiaro segno che finalmente il
genetista aveva accettato quella situazione fatta di piccole sconfitte e piccole
vittorie,che aveva trovato –forse solo per quella sera,un equilibrio. Baciò
nuovamente l’indiano finalmente sicuro che non avrebbe ricevuto una scenata in
risposta. Sicuro che finalmente era autorizzato a compiere quei gesti quasi
morbosi,così turpi,che solo la notte poteva cullare e renderli splendenti.
Autorizzato ad amare l’altro con quello slancio ingenuo guidato dal bisogno che
un qualsiasi innamorato proverebbe di stare con l’amato.
Strinse a sé Mohinder in un abbraccio possessivo senza spezzare quella catena di
baci con inutili parole che,per quella serata,avevano già avuto il loro momento
di gloria. Se si sforzava riusciva a sentire il cuore dell’indiano battere più
veloce contro il suo petto,in un ritmo completamente diverso da quello che aveva
il suo cuore che batteva lì prepotente in gola mozzandogli il fiato.
Per quella sera non ci sarebbero stati più bivi,e forse non ce ne erano stati
sin dall’inizio,ma se ne accorsero entrambi solo in quel momento,in quell’esatto
momento in cui misero da parte ogni momento diviso insieme per crearne uno
irrepetibili e sterile che si sarebbe concluso nel giro di poche ore.
”Gabriel…” mormorò Mohinder con chiara intenzione di continuare a pronunciare
una qualsiasi frase di senso compiuto senza vergognarsi di usare quel tono
condiscendente che,probabilmente,solo un innamorato è capace di usare.
”No” lo ammonì subito l’americano posandogli l’indice sulle labbra con
delicatezza. Fu una reazione immediata a sentire il proprio nome pronunciato
dall’altro. “Non dire nient’altro. Mi basta quel tono per capire tante altre
cose” aggiunse semplicemente. Qualche tempo prima avrebbe gioito per quel
traguardo,ma in quel momento ne fu quasi offeso perché era consapevole che un
giorno o l’altro avrebbe finito per imporsi di dimenticare quella voce che lo
chiamava con qualcosa che-egoisticamente,si convinse potesse essere qualcosa di
simile all’amore,perché sapeva che entrambi avrebbero rinnegato,come due
spergiuri,quella notte di complicità.
Probabilmente avrebbero,appena avessero visto il primo raggio
dell’alba,rinchiuso il ricordo di quei baci –che per quanti erano sembravano
ammontare all’infinito,in un angolo buio portando quel fardello come una colpa
ignobile.
Ma finché la notte li nascondeva fecero finta di nulla,semplicemente.
-End-
Commenti dell’autrice:
Alleluia,finalmente è finita,ciò mi rende davvero contenta! E’ un poco,poco…ma
poco,più lunga del previsto…è che quei due accozzano talmente tanto che gestirli
è difficile…avete idea di quanto sia difficile non farli uccidere l’uno con
l’altro ma essere coerenti in questo loro sentimento?
Tanto,tanterrimo.
Spero sia di vostro gradimento,che la troviate piacevole e che riceva commenti
positivi come per Aenigma!
Per la cronaca sto lavorando alla fic che raccorda Aenigma e questa. Credo farò
una antologia concludendo con una fanfiction su Sylar. Mh. Chissà.
Magari mi butto sulle Peter/Nathan…(si,lo so,lo dico ad ogni Mylar,ma amo troppo
questa coppia per smettere di scrivere).
E ricordate di tenere sott’occhio il mio sito di fan fiction finalmente nato e
che porterò avanti. Her
Slash Majesty