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Autore: Eisblume    16/05/2013    3 recensioni
" [...] la Casa conservava un fascino unico, primordiale. A scoprirla era stato, per l’appunto, Aidan in uno dei suoi primi pellegrinaggi. Vi era arrivato un giorno per caso, mentre cercava con la bici di raggiungere il frutteto del nonno, e aveva deciso di portarvi il piccolo, timido, impacciato amico Heise. Perché certi segreti si possono condividere solo con qualcuno che nel cuore occupa un posto speciale – qualcuno la cui linea della vita, in qualche modo inconoscibile, già coincide con la tua. "
Da bambini, Heise e Aidan si sono fatti una promessa; si ritroveranno, a tutti i costi, in qualsiasi parte del mondo andranno a finire - e si ritroveranno sempre. Così alla soglia della maggiore età, il giovane Heise intraprende un viaggio alla ricerca del suo migliore amico, lasciando l'amata Svezia per l'Inghilterra. Riusciranno a riunire le loro strade, e a tener fede a quella promessa che sembra il preludio di qualcosa di ancora più grande?
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Prologo

 

 

Quando il bambino era bambino, 
era l'epoca di queste domande.
Perché io sono io, e perché non sei tu? 
Perché sono qui, e perché non sono ? 
Quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio? 
La vita sotto il sole, é forse solo un sogno? 
Non é solo l'apparenza di un mondo davanti a un mondo,
quello che vedo, sento e odoro? 
C'é veramente il male e gente veramente cattiva?
Come puó essere che io, che sono io, non c'ero prima di diventare?
E che un giorno io, che sono io, non saró piú quello che sono?

 

( Quando il bambino era bambino – Peter Handke )

 

 

“Dammi la mano, Heise!”

“Ho paura.”

“Ma no, non devi. Non vedi? È solo un ruscello. Un ruscello argentato e pieno di tesori sul fondo. E noi dobbiamo attraversarlo se vogliamo arrivare alla Casa Incantata.”

Heise, dubbioso, guardò la mano di Aidan tesa verso la sua. Quel ragazzino così scapestrato era diverso da lui, non aveva paura di niente; saltava tutti i fiumiciattoli e si arrampicava sugli alberi senza problema alcuno. Poco importava che le sue ginocchia da puledro fossero piene di tagli e cicatrici e le mani, piccole e con le dita sottili, fossero così disastrosamente mutilate dalle spine.

Aidan aveva il coraggio; e Heise, nella sua incoscienza di bambino, sapeva che quel coraggio un giorno lo avrebbe portato lontano. Per questo strinse la mano dell’amico, anche se aveva paura; in cuor suo, sperava che ovunque fosse volato in futuro lo avrebbe portato con sé.

 

All’epoca erano poco più che bambini. Avevano si e no dieci anni, e risentivano ancora del fascino della foresta svedese, sospesa su quei laghi magici e infiniti simili a argento sciolto. Ai loro occhi infantili non c’era niente di più bello della promessa di un mondo incantato, aldilà dei confini consentiti. In lontananza, dal promontorio, Stoccolma brillava di luci fredde sotto un cielo che sapeva di vetro; talvolta rimanevano per ore stesi a guardare la loro porzione di cielo, fantasticando su quando, da grandi, quella coperta blu se la sarebbero messa come giacca e avrebbero sceso tutte le scale del mondo fino ad arrivare al centro della terra. Volevano girare il mondo, nella loro piccolezza.

 

Per questo la Casa Incantata nel bosco rappresentava ogni volta una sfida incredibile; nessun’altro sembrava conoscerla apparte loro.

Era una vecchia casetta di legno con l’edera rampicante sui vetri rotti, e un roseto sul retro, degenerato in un trionfo di fiori; le persiane un tempo dovevano esser state dipinte, ma ora avevano solo vernice scrostata e decadente che le decoravano a macchia. La porta era una porta che doveva esser stata d’un verde brillante, ma ora era corrosa dal tempo. Ciononostante la Casa conservava un fascino unico, primordiale. A scoprirla era stato, per l’appunto, Aidan in uno dei suoi primi pellegrinaggi. Vi era arrivato un giorno per caso, mentre cercava con la bici di raggiungere il frutteto del nonno, e aveva deciso di portarvi il piccolo, timido, impacciato amico Heise. Perché certi segreti si possono condividere solo con qualcuno che nel cuore occupa un posto speciale – qualcuno la cui linea della vita, in qualche modo inconoscibile, già coincide con la tua.

 

Vi arrivarono con un bel po’ di ritardo sulla tempistica prevista – il cielo già cominciava a imbrunire.

“Ma perché siamo venuti qui?” domandò Heise, la mano stretta in quella dell’amico. Da quando avevano superato il ruscello, istintivamente, non l’aveva più lasciata.

“Volevo vedere questa casa un’ultima volta.” Disse Aidan, triste.

Il più timido dei due sentì improvvisamente il cuore pesante, come se qualcuno vi avesse soffiato dentro stille di piombo.

“Perché un’ultima volta?” Chiese, preoccupato. In cuor suo sapeva già la risposta.

La mamma glielo aveva detto, qualche settimana prima, mentre impastava il pane. Sai che Aidan andrà via, piccolo Heise? Lo aveva guardato con un sorriso malinconico, di chi capisce l’importanza del senso della perdita. Il suo papà ha ottenuto un lavoro in Inghilterra e andranno a vivere lì.

Ma lui ostinato non ci aveva voluto credere. Non era possibile. No.

E invece Aidan, seduto nel roseto con gli occhi un po’ persi, confermava quella versione.

“Perché vado via. In Inghilterra.”

Allora la mamma aveva ragione. Heise strinse i pugni e dovette combattere contro l’impulso di mettersi a piangere.

 

L’abbraccio arrivò inaspettato. Insieme alla zazzera di capelli castani dell’altro sul viso – così fastidiosi e pungenti.

Per qualche istante rimasero paralizzati in quel modo, e non si accorsero nemmeno che cominciava a cadere qualche gocciolina di pioggia.

“Non ti dimenticherai di me, vero?” Chiese Heise, affondando il naso nelle clavicole dell’altro.

“Mai.”

“E saremo migliori amici per sempre?”

“Per sempre. E quando sarò abbastanza grande per viaggiare da solo verrò a prenderti e gireremo il mondo insieme, con gli zaini in spalla e le nostre cose da scout. Porteremo le torce, i sacchi a pelo, le tende e ce ne andremo all’avventura. E poi torneremo quando lo avremo girato tutto torneremo qui e questa casa sarà la nostra.”

“E’ una promessa?”

“Un giuramento.”

“Sulla Casa Incantata?”

“Sulla Casa Incantata.”

Si diedero il mignolo, e recitarono la filastrocca. Ormai era cosa fatta, il giuramento era stato pronunciato.

 

Strano, poi, come il destino negli anni a seguire operò nel più imprevedibile dei modi.

 

-

 

Eis Space;

Ciao a tutti! Non sono una cima con le note d’autore… Non so mai che dire ^^’ ma in un certo senso mi sembrano doverose. *rotola* Anche se vado nel panico.

Allora, ecco, innanzitutto se siete arrivati/e fino a qui grazie ._. Non ci contavo.

Spero che la storia non vi abbia annoiato già dal primo capitolo <.< mi vergogno tanto.

Allora (e 2!), ok, qualche nota.

L’ambientazione. Io non sono mai stata in Svezia, ma nella mia testolina è tipo il posto ideale a Heise e Aidan, o almeno io me lo immagino così. Mi serviva un posto che fosse nevoso e fiabesco e ho pensato ai paesi del nord, anche se quest’atmosfera un pochino scemerà. Non del tutto perché io l’ho sempre detto, le mie storie non sono romanzi, sono fiabe. E mi piacciono così. Però ci avvicineremo a un assetto un po’ più *reale*, anche se ci sarà sempre del *surreale*. Mi sto ingarbugliando, aiuto! <.<

Poi. Heise e Aidan. Boh, sarà che li ho *partoriti* io ma li trovo adorabili. Specialmente Heise, che è davvero il mio cucciolo. Non sono gli unici personaggi, ce ne saranno altri eh. E mica sono così facili le cose. Però, però… *saltella*.

Ok, basta. L’ultima cosa; vi prego, vi supplico, vi scongiuro, fatemi sapere che ne pensate! Recensite! Anche se pensate male. Davvero, ne ho bisogno ._. Per alimentare la mia autocaccastima e per sentirmi motivata ad andare avanti. Purtroppo, se vedo che la storia non piace a nessuno, rischio di arenarmi (lo so, LO SO che non dovrebbe essere così, ma abbiate pietà per la mia scarsa sicurezza.)

Ecco, ho finito. Di nuovo grazie. Scusate se vi ho ammorbato. Pfu. ._.

 

  
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