Ungari Spinati
- Non
saprei… lei dice che si tratta di quello? -
Harry
dischiuse appena le dita sulla tazza di tè caldo che teneva tra le mani. Non
poteva proprio fare a meno di chiedersi come mai tutte le tazze del signor Gootark fossero così irrimediabilmente ruvide. Bianche,
solo e unicamente bianche, tanto grezze da graffiare i palmi se appena si osava
un movimento più veloce delle mani.
Sapeva che
la signora Gootark amava i fiori. Aveva fiori appesi
alle pareti, fiori sui piatti, fiori sui bicchieri, azalee sui centrini e viole
del pensiero applicate con un’opera maldestra di decoupage
su lampade a campanula.
Perché non
potevano esserci dei fiori anche sulle tazze?
Una tazza
a fiori non può essere ruvida.
Il signor Gootark levò le mani e volse i palmi verso l’esterno mentre alzava le spalle spigolose.
- E chi lo
sa ragazzo… nella tua vita potresti aver subito più traumi di uno scoiattolo
cresciuto da un ungano spinato. Cercare quello giusto è complicato. -
Harry si
pensò con un’ampia coda spumosa, dopodiché lo sfiorò il pensiero dello zio Vernon con una lunga serie di aculei sulla schiena. Scosse il capo appoggiando la tazza sul tavolo di legno
bianco. Sulle mani sentiva ancora una specie di formicolio.
Cesare Gootark era uno psicologo. Oh no, non uno psicologo qualunque.
Uno psicologo laureato in “studio della psiche magica”, il che oh sì, era tutta un altro paio di
maniche.
Naturalmente
era un amico di Hermione. Amico per modo di dire dato
che il loro primo incontro era stato il raduno
nazionale dei fan di Oscar Fogwallarty, autore del famosissimo volume “Mille e una storie
di elfi domestici”, che contava ben tremilaequattrocentocinquantasette
pagine in carattere – guarda un po’ – elfico.
Tra le
cinquanta persone presenti al raduno solo quattro avevano avuto l’ardire di
deliziare il proprio udito con un epocale sproloquio sul meccanismo psicologico
che spinge gli elfi domestici al loro sfrenato masochismo. Tra queste quattro avevano
fatto sfoggio di sé solo due
individui dallo sguardo illuminato, taccuino alla mano, pagine e pagine di
appunti alle proprie spalle.
Uno era naturalmente
Hermione, l’altro un signorotto sulla sessantina con
un basco a quadri verdi e rossi e i cui bottoni del panciotto erano una
fedelissima imitazione del viso “leggiadro” di un berretto rosso di brughiera.
Ah, non
dimentichiamo. La sua penna incantata era decorata da una graziosa opera di decoupage, tant’è che ogni volta
che i petali della rosa di carta che era incollata su di essa
scivolavano sulla punta della penna questa starnutiva
e spargeva inchiostro a piccole macchie sui pantaloni di velluto rosso dell’attempato
signore.
Inutile
dire che Hermione aveva adottato il signor Gootark quale suo quinto nonnino adorato e aveva reso Harry partecipe della felice famigliola.
Che
volesse consigliargli una buona visita psichiatrica? Forse. Ma che volesse
aiutarlo davvero, questo era escluso.
- Harry, bambino mio! -
La signora
Gootark era solita usare epiteti simili. Il fragrante
e discreto “Harry caro” della signora Weasley era stato sorpassato ormai molte carie ai denti fa.
Bambino
mio, calendula blu (il blu a volte era sostituito da un
fucsia acceso), fiore di loto, raggio di sole, tesoro caro, oleandro
fiorito… sì, anche oleandro fiorito.
Harry
si sentiva crescere fiori anche nelle orecchie.
- Mi dica
Milly… -
Aveva
insistito anche per questo. Il “signora Gootark” era
assolutamente bandito dal vocabolario della cara donna… a meno che non si trattasse di lamentele per l’edera rampicante che a causa di
un incantesimo mal riuscito aveva assalito il vicino. Allora, improvvisamente,
ogni appellativo diveniva straordinariamente
formale.
La signora
Gootark sfoderò un sorriso a 36 denti, segno che
stava per dire qualcosa di seriamente, gravemente compromettente per l’udito di
un giovane ventenne che nella vita ne aveva passate troppe.
- Harry mio dolce… - iniziò tutta
scintillii e farfalle – come sta quel tuo amico? Ma sì, quello che mi
piace tanto! -
A prima
vista potrebbe sembrare una frase innocua.
Anche
l’uovo d’oro al quarto anno pareva assolutamente innocuo ad una prima occhiata… ma aprirlo aveva significato un timpano in meno e
un buon 2% in più sulla percentuale mondiale di inquinamento acustico.
- Quale
amico, Milly? –
Milly, Molly, e Ginny. Le donne della
sua vita. Che tristezza.
La signora
Gootark si portò l’indice al mento, pensosa. – Ma sì,
quel biondino così educato… mi pare si chiamasse
qualcosa come Malfy –
Harry
rabbrividì un secondo pensando alla reazione di Malfoy
se avesse sentito come quella donna aveva storpiato il
suo nome.
Il nome
era proprio tutto ciò che Draco si stringeva addosso
come una seconda pelle – una pelle che gli stava fottutamente bene, gli doleva aggiungere – e al quale non avrebbe rinunciato
nemmeno per tutte le cioccorane dell’universo.
Oh sì, Draco adorava le cioccorane. Aveva una collezione che sfiorava le dimensioni
della biblioteca d’Alessandria, e onde evitare che facesse
la sua stessa fine aveva rinchiuso tutte le sue centinaia di migliaia di
milioni di figurine magiche in una scatola
apparentemente innocua (perché mai questo tema nella vita di Harry si presentava così spesso?), ma che una volta
attivata sarebbe stata in grado di staccare tutte e dieci le dita a chiunque non
vi si fosse avvicinato con intenzioni più che lusinghiere.
Draco
aveva provato più e più volte quel marchingegno maligno sulle bambole della
figlia di Ron e Hermione
(abilmente trafugate) e oramai il suo armadio vantava la bellezza di 8
scheletri di bambolotti dalla faccia corrosa, le trecce bruciate e la pancia
sventrata.
Aveva un nonsochè di macabro.
Ad ogni
modo… Draco adorava le figurine delle cioccorane almeno quanto detestava Milly Gootark.
Non che i
suoi modi amabili avessero mai avuto modo di insultarlo in una qualche
occasione. Anzi, era stato ben lieto di aggiungere al suo manuale di insulti ad Harry Potter le paroline “Harry, dolce oleandro fiorito!”… lo era stato un po’ meno
quando si era sentito chiamare “Rosaspina”.
No, nessun
disprezzo particolare nei confronti della bella addormentata nel bosco e
nemmeno del principe Filippo, ma un sano, oleoso disgusto nei confronti degli
appellativi femminili a lui diretti.
E dopo un
primo incontro Milly pareva proprio aver preso a cuore quella delicata quanto
pericolosa “rosa purpurea”.
- Draco sta benissimo, Milly. Ti manda i suoi saluti! – Harry sorrise
conciliante allontanando la tazza ruvida dalle proprie mani, anche a
costo di rinunciare ad un po’ di calore.
La signora
Gootark trotterellò felice e soddisfatta verso la sua
cucina.
Harry
non era innamorato di Malfoy.
Era un concetto
abbastanza chiaro nella sua testa. Le parole “Draco”
e “amore” aleggiavano a distanze clamorosamente grandi.
Draco
era viziato, e spocchioso, e irritante, e maligno, egoista, infantile e anche
approfittatore.
Era bello.
Lui e Draco erano amici, da qualche parte nella sua testa.
Quando Draco bussò alla sua porta il giorno dopo, Harry gli aprì in pigiama.
Non perché
fosse particolarmente affezionato a pantaloni sgualciti e magliette smesse di
qualche anno prima… e nemmeno perché fosse eccessivamente pigro
(sebbene l’ordine in casa sua non facesse decisamente da padrone), ma
perché quella maledetta mattina Draco aveva
maledettamente bussato alla sua porta alle maledette cinque e venti.
All’inizio
Harry si allarmò. Era notte –
cinque e venti – non era in grado di intendere e di volere – bacchetta
al piano di sotto – una persona stava bussando alla sua porta di notte, alle
cinque e venti, mentre lui non aveva a portata di mano né bacchetta né
sufficiente senno da capire qualsiasi cosa sarebbe successa di lì a poco.
Poi realizzò che Voldemort era morto e
che il signore e la signora Gootark erano partiti la
sera prima per un viaggio itinerante in Dalmazia. Allora si rilassò un poco.
Inciampò
in un gradino, si aggrappò all’arazzo ricamato dalla signora Weasley, sentì l’orrendo rumore di tessuto strappato e non
ebbe il coraggio di guardare.
Maledì la
magia e il fatto che in una casa magica fosse inaudito avere interruttori della luce, poi maledì la propria
bacchetta che proprio quella volta aveva deciso di non farsi trovare sullo
scrittoio in salotto e il fatto che senza di essa non
avrebbe potuto accenderla, la luce.
I pugni
sulla porta continuavano a far scricchiolare il legno. La chiave cadde dalla
serratura e tintinnò a terra.
Forse la
figlia di Ron e Hermione
aveva scoperto delle bambole bruciate, o il loro secondo pargoletto aveva
imparato a gattonare, o aveva chiamato papà, o aveva detto “zio” come prima
parola e il padre era giunto a dargli la gentil novella.
Forse il
signor Gootark aveva dimenticato di esporgli un dato
importantissimo della sua analisi psichica, oppure Hagrid
aveva perso di vista Grop.
Ops,
giusto. Hagrid era morto tre anni
prima e oramai svolazzava allegramente per la foresta … dubitava che un
fantasma potesse bussare ad una porta. O prenderla a pugni, che dir si voglia.
- Arrivo!
-
Sentì
finalmente il legno della bacchetta sotto le dita e mormorò un “lumos domus” a denti stretti.
- Eccomi,
eccomi! -
La luce
improvvisa lo accecò, e quando finalmente riuscì ad aprire la porta fu ad un
soffio dal trovarsi il pugno di Draco tra i denti
nell’arco di uno sbadiglio.
- Oh,
Potter. – soffiò piano lui, lo sguardo acceso. – Non aprivi più. -
Harry
avrebbe voluto rispondergli che, in
effetti, avrebbe fatto meglio a non aprire per niente dato l’orario, ma gli
occhi gli bruciavano troppo e il piede col quale prima era inciampato aveva
avuto la graziosa idea di fargli capire adesso che sì, era inciampato, e si era
fatto un male cane. Dunque tacque.
- Merlino,
mio dolce oleandro, la tua ragazza si prenderà un colpo vedendoti la mattina! -
Malfoy
invece pareva avere la lingua sciolta anche di prima mattina.
- Entra,
idiota. -
Harry
gli fece strada, stropicciandosi gli occhi. Una volta giunto
nei paraggi del divano vi si abbandonò disteso, senza troppe cerimonie.
- Dimmi
che hai una valida motivazione per presentarti qui a quest’ora. – bofonchiò, il
viso sprofondato in un cuscino a costine.
Draco
si avvicinò, ma non si sedette a sua volta: rimase semplicemente in piedi, le
braccia conserte. Per un attimo rimase in silenzio, e Harry
vide oltre il profilo del cuscino il suo piede sinistro muoversi nervosamente.
Il fatto
gli ricordò vagamente la prima volta in cui si erano parlati, parlati veramente.
Buffo: non
erano stati messi in punizione insieme, non si erano ritrovati soli negli
spogliatoi di quiddich, non erano stati convocati per
un’importante missione… si erano scontrati in un negozio di dolci.
Indovinate
cosa stava comprando Draco? Beh, Harry
aveva adocchiato poco prima una cioccorana
dall’aspetto appetitoso, e la stava scartando con noncuranza
quando aveva visto lo sguardo dell’altro naufragare con sorpresa
sull’angolo di figurina che sporgeva dalla carta.
Si
trattava del ritratto di Asmodeus Frigdus
Maghnete, magnate della distillazione di pozioni,
vissuto una cinquantina di anni prima.
Nemmeno a
dirlo, l’idolo di Draco.
Che il
ragazzo in quel periodo fosse stanco marcio della guerra, che un qualche elfo
domestico si fosse impossessato della sua anima, che Merlino in persona avesse
cancellato dalla sua memoria ogni singola traccia dei tormentati anni di
scuola, Draco se lo era lasciato sfuggire, quello
sguardo.
Uno
sguardo fisso, intenso, così esitante da risultare compromettente.
Ed Harry sì, era davvero stanco marcio della guerra in quel
periodo. – La vuoi? – gli aveva chiesto semplicemente, alzando tra le dita la
figurina.
Draco
non aveva detto sì. Si era limitato a scartare la cioccorana
che anche lui aveva appena comprato, e sorprendentemente aveva estratto dalla
carta la stessa immagine di Maghnete che ammiccava con tra le mani due fiale verdastre.
Aveva
guardato Harry con sfida, poi aveva sorriso. Gli
aveva preso tra le dita la figurina, se l’era infilata in tasca, e tra le sue
dita aveva riposto l’adesivo che lui aveva trovato nel dolce.
Poi si era
incamminato verso l’uscita del negozio.
Harry
aveva seguito i suoi movimenti con gli occhi, chiedendosi chi avesse reso Draco Malfoy una persona quasi cordiale. Aveva guardato il Maghnete che Draco gli aveva
affidato grattarsi il capo disorientato e alla fine alzare le spalle e tornare
ad ammiccare.
Non si era
accorto subito che Malfoy si era fermato poco
lontano, prima della porta. Quando aveva alzato lo sguardo Draco
era in piedi, girato a tre quarti verso di lui, il piede sinistro che tastava
nervosamente il pavimento.
- Ciao –
gli aveva detto. Draco aveva risposto con un cenno
della mano, ed era uscito.
Ora il suo
piede si muoveva allo stesso modo.
- Dunque?
– incalzò Harry, senza alzare gli occhi dal cuscino,
la voce stanca. – Cosa è successo? -
Non sapeva
per quale motivo, ma non si aspettava mai di ricevere una notizia sconvolgente
da Draco. No, nessun “è morto mio padre”, “mia madre
è impazzita”, “Sono stato picchiato a sangue in un vicolo di Nocturne Alley”… nulla di tutto
ciò.
Non perché
Draco non fosse una persona abbastanza seria da
rimanere coinvolta in qualche intricata tragedia… semplicemente perché Draco, con lui, di queste cose non parlava.
Suo padre
era davvero morto.
Sua madre
era davvero rinchiusa da qualche parte al San Mungo.
Ed era
stato veramente picchiato a sangue in un vicolo di Nocturne Alley, qualche tempo
prima.
Ma Harry non lo aveva mai sentito parlarne in prima persona.
Ne aveva letto sulla Gazzetta del Profeta, glielo aveva raccontato la
vecchietta seduta al tavolo in fondo nell’angolo ai quattro manici di scopa, ne
aveva sentito parlare per strada due funzionari del Ministero.
Draco
non si era mai presentato alla sua porta con un misero cipiglio sul volto; non
gli aveva dato spiegazioni quando Harry
gli aveva chiesto come si fosse procurato quei lividi sul viso.
Draco
aveva risposto: “Nulla di che, questioni di normale amministrazione”, poi si
era avviato verso la cucina di casa sua, aveva aperto il frigo (aveva imparato
a riconoscere un frigorifero da un portale spaziotemporale)
e vi si era infilato con il busto, appoggiando la faccia sul piano gelido.
No, Draco di queste cose con lui non parlava.
O almeno,
così pensava Harry fino al
giorno in cui il biondo giunse alla sua porta ad un orario decisamente
indecente.
- Stavi
dormendo? –
Draco
glielo chiese quasi esitante, in un modo che fece venire ad
Harry voglia di ridere.
- No – gli
disse sorridendo – Facevo ginnastica. -
Lui rimase
semplicemente in piedi al suo fianco, forse indeciso sul da farsi. Non che
comunque potesse sedersi dato che Harry era sdraiato
comodamente sull’unico divano che sembrasse per l’appunto tale in quella casa.
Rimase
semplicemente immobile, il tallone che puntellava il pavimento.
Harry
si schiacciò il cuscino sul viso, la bacchetta che ancora stringeva in mano
conficcata in malo modo nel fianco. Non aveva voglia di spostarla.
Fu allora
che Draco, dopo un respiro profondo, cominciò a
parlare.
- Non sono
qui per lagnarmi dell’ingiustizia della vita, questo no.
-
Non aveva un
tono particolarmente spaventoso, ma bastò a rendere il cuscino di Harry molto più soffocante di
quanto non lo fosse stato poco prima. Non guardò Draco,
e nemmeno gli concesse il lusso di capire che lo stava ascoltando, eppure lui
continuò.
- … Non ho
nemmeno intenzione di tagliarmi le vene perché una cazzo di vecchia ha deciso di chiamarmi “Rosaspina”
apparentemente deliziata dal contrasto tra rose e oleandri. Non ho dannatamente
intenzione di chiedere a Merlino chi è stato quel fottutissimo
fan di mio padre che ha deciso di dare a me quello che avrebbe meritato lui e
mi ha preso a sassate la testa in quella fottuta Furrystraight Street a Nocturne alley. Per carità, mi sta bene. Avrei dovuto capirlo alla
nascita che i miei capelli e i miei occhi erano un contratto a lungo termine
con la faccia di mio padre. Non mi lamento, giuro, non mi lamento. -
Harry
strinse la bacchetta tra le dita, indeciso se spostarla dal fianco ormai
dolorante oppure sperare semplicemente di non incappare in una magia
involontaria. Alla fine decise che gli stava bene
così, e le orecchie incanalarono tutte le sensazioni del suo corpo.
- Tu, Harry, sei stato così
gentile con me. Voglio dire: hai rifiutato la mia amicizia, mi hai battuto
in tutto ciò in cui avrei potuto essere battuto, hai
radunato una bella cerchia di pettegolezzi sul mio conto e non hai mai, e dico mai, reagito come avrei voluto alle mie
provocazioni. Eppure ora sono qui, in questa cazzo di casa. Vorrà pur dire qualcosa. Qualcosa per
me dovrai pure aver fatto. Ma io mi chiedo: che cosa diavolo ha fatto per me il
resto del mondo tanto da meritarsi il sacrosanto diritto di lanciarmi pietre addosso ogni volta che il mio naso sporge dal mantello? Mi
hanno offerto la mano e io l’ho rifiutata? No, cazzo,
no. E dopo essermi quasi ammazzato in una guerra che
non era la mia penso di poter chiedere, almeno per favore, di non rischiare
metà del mio circuito nervoso ogni volta che qualcuno pensa che insultare un ex-mangiamorte sia divertente. -
- Draco… - Harry se lo lasciò
sfuggire. Davvero, non lo fece volontariamente. Si sarebbe morso la lingua pur
di non dirlo, ma quel nome era scivolato da solo sul pavimento ed ora si stava
contorcendo lentamente, con le vocali che stridevano. Era una novità per Harry ascoltare tante parole tutte insieme dalla bocca di Draco… troppo difficile controllare le reazioni
involontarie al primo scontro con la realtà.
- Lo sai
Potter – Malfoy continuò. Inarrestabile, come se si
fosse preparato l’intero discorso a casa. Come se le sue di orecchie avessero
fatto voto di castità e avessero rinunciato a qualsiasi suono molesto. -… un
poco sono stanco. Solo un pochino, non poi così tanto. Tutti hanno i propri
scheletri nell’armadio, e i miei capisco che facciano parecchio rumore, ma perché
non tormentare anche te allora? Ce le hai anche tu le
tue colpe. I tuoi omicidi sulle spalle. Te lo dico io perché: Tutti hanno degli
scheletri nell’armadio, solo che il tuo è così grande e stipato di graziosi
vestitini da festa che i tuoi, di scheletri, a tutti sono sembrati collane di
perle. Perché non è successo così anche con me? Per il mio cognome? “Malfoy” non è un cognome così orrendo. Voglio dire, “Krum” suona molto peggio. Sembra un gargarismo col mal di
gola. “Malfoy” no. –
E Draco tremava nel dire questo. Tremava. In piedi, così duro
da sembrare un quercia, così molle da apparire vuoto.
Un grande, compatto budino di corteccia.
- Sai
cos’è successo oggi? Il Ministero ha raggiunto la lampante conclusione che Azkaban è stipata, piena zeppa di gentaglia. Non ci sta più
nemmeno una gamba là dentro. Che fare allora? Una bella condanna a morte di
gruppo, già. Qualcosa di poco dispendioso ed efficace. Un paio di Auror hanno elaborato un progetto veloce e l’hanno messo in
pratica questo pomeriggio stesso. –
Harry
non sapeva niente di tutto questo. No, non era un Auror, ma metà dei suoi
migliori amici sì. Il Ministero oramai era la sua seconda casa. Chi diavolo
aveva pensato non fosse necessario avvisarlo? Si
piantò la bacchetta nel fianco, e si morse un labbro mentre
Draco, risoluto, continuava.
- Un
incantesimo parecchio complicato, ma in effetti con un
bellissimo effetto scenico. Hanno fatto salire i prigionieri uno ad uno sulla
torre più alta di Azkaban, Potter. E cos’hanno fatto
poi? Li hanno spinti. Uno sfarfallio di dita. E ti assicuro che è stato meraviglioso vedere mia zia Bellatrix sfracellarsi
al suolo, per poi scomparire ridotta in tanti frammenti di vetro. La magia fa
anche questo. Un altro metodo carino per far scomparire i cadaveri. Davvero
impressionante, se non fosse che il Ministero non è impazzito del tutto.
Attorno alla torre è stata fissata una rete magica, capace di percepire ogni
briciolo di innocenza in un qualsiasi corpo animale. Funziona così: i
meritevoli di vivere almeno un altro po’, anche se in una cella putrida, sono
trattenuti dalla rete. Sai che bello quando ho visto mio padre salire sulla
torre. Una caramella tutti i gusti+1 al gusto di cuore
in gola. Ma è stato risparmiato, Potter. Risparmiato. -
Harry
si era alzato dal divano già dopo aver sentito la parola “sfracellarsi”, la
bacchetta abbandonata sul divano. Non riuscì a trattenere uno sguardo
soddisfatto per la notizia della morte di Bellatrix,
ma lasciò trasparire con troppa naturalezza anche l’orrore per i nuovi metodi
del Ministero.
Malfoy
risparmiato… aveva sentito parlare di una sua ipotetica redenzione. Che fosse stata dovuta all’amore per il figlio e per la moglie oppure
per i topi che gli infestavano la cella, questo non lo sapeva. Eppure si era
pentito, apparentemente.
-
Risparmiato dalla rete – continuò Draco, amaro. – Una
qualche dannatissima testa di cazzo ha deciso di
interferire, e con un “Crucio” ha fatto saltare tutto
il sistema. Un “crucio”. Rivolto a mio padre. L’ho
visto precipitare, Potter. Urlare. Lucius Malfoy, ridotto all’ombra
di sé stesso, gridare aiuto. Che cazzo avrei dovuto
fare, eh? Lasciarlo ridursi in mille
pezzi? Con un incantesimo l’ho fatto levitare e atterrare in tutta
tranquillità. L’ho salvato. Ho fatto quello che anche il cazzo
di incantesimo del Ministero avrebbe fatto! E sai una cosa? Sono convocato per
un’udienza il 14 di questo mese. Ma so che a questa diavolo
di udienza non ci andrò, perché dopo aver sentito questa storia tu andrai dai
tuoi amichetti ad implorare per il mio perdono e TUTTI ti ascolteranno come
farebbero con Merlino in persona. E questo probabilmente è anche il fottuto motivo per il quale sono qui. Perché ti assicuro,
non mi voglio lagnare. -
Harry
non era che a poco più di un passo dalla mano di Draco.
E quella mano era stretta attorno al collo, ad allargare il colletto della
camicia che il ragazzo portava addosso con due dita sudate. Harry
non era che a un passo dalla bocca di Draco.
Davvero,
non riusciva a capire come mai improvvisamente il biondo gli apparisse così
pazzescamente invitante, ma non poteva fare altro che pensare che avrebbe fatto
sciogliere l’intero Ministero quella sera stessa se Draco
avesse accettato di baciarlo.
Faceva
male desiderarlo così tanto… almeno quanto la bacchetta nel fianco.
L’omosessualità
non era comune nel mondo magico. Anzi, lo era molto meno che tra i babbani.
Il sangue
di un mago doveva dare vita ad altro sangue di mago. Che un uomo si trasmutasse
pure in una donna con un bel clistere di polisucco se
lo desiderava, ma non esistevano le gravidanze maschili, e tantomeno
i matrimoni tra uomini.
Se il
Ministero era talmente arretrato da aver minato negli ultimi anni a qualsiasi
cosa che avrebbe potuto assomigliare anche vagamente alla giustizia ideale, la
gente comune non era da meno.
Harry
Potter non era propriamente gay.
Non gli
sembrava che Ginny Weasley
nascondesse qualcos’altro sotto la gonna.
Ma in
compagnia di Draco oh sì, era omosessuale. Con il sessuale sottolineato.
Ed è
facile, terribilmente facile credere di sentire enormi ali battere nello stomaco quando un ragazzo del genere ti si mostra per la
prima volta in una condizione che neghi in un qualche modo il suo orgoglio. Che
lo annulli completamente, ancor più che se avesse cominciato a piangere a
dirotto.
- Draco – questo non se lo era lasciato semplicemente
sfuggire. Questo non l’aveva nemmeno mai tenuto prigioniero. Si era generato di
sua spontanea volontà fuori dalle sue labbra e vicino,
troppo vicino, alle orecchie di Draco.
Il quale,
improvvisamente silenzioso, si abbandonò sul divano in modo scomposto, lo
sguardo incollato ai corti ciuffi di capelli biondi che gli scendevano sulle
scapole da dietro il collo.
Harry
si morse le labbra, e non seppe cosa dire. Avrebbe voluto lasciarsi andare solo
ad una litania di Draco Draco Draco Draco, ma…
ma.
Aveva
voglia della signora Gootark, e del signor Gootark, che suonassero alla sua porta, vedessero Draco in quello stato e gli dicessero cose che lo avrebbero
a dir poco fatto infuriare, in modo da non farlo apparire così delicato ai suoi
occhi.
Harry
non sapeva nulla di psicologia.
- E chi lo sa ragazzo… nella tua
vita potresti aver subito più traumi di uno scoiattolo cresciuto da un ungano
spinato. Cercare quello giusto è complicato. -
Nemmeno
Cesare Gootark sapeva nulla. Ma le sue tazze erano ruvide
abbastanza perché fosse necessario farsi appena un po’ male per potersi
scaldare, e Draco assomigliava ad uno scoiattolo molto più di quanto non vi assomigliasse lui.
Forse se
lui fosse stato simile ad un Ungaro Spinato avrebbe
potuto aiutarlo, ma non aveva proprio nulla in comune con Lucius
Malfoy.
Draco
si era fatto troppo male ed era stato scaldato troppo poco.
Improvvisamente
Harry ebbe voglia di una tazza di tè.
Si sedette
a fianco del biondo, e anche se non l’avesse voluto la sua gamba avrebbe toccato
lo stesso quella di Draco,
perché quel divano era troppo stretto perfino per due persone.
- Non ci
andrai a quell’udienza. – fu tutto quello che riuscì
a dire. Ovvio che non ci sarebbe andato. Per quanto lo riguardava quella sera avrebbe
potuto licenziare anche il Primo Ministro in persona. Ripensò per un attimo
alla rete sospesa fuori da Azkaban,
a cosa sarebbe successo se lui si
fosse buttato da quella torre.
Pensò che
quello stratagemma non sarebbe stato nominato sul prossimo libro de “La storia
magica”.
Draco
annuì e si morse un labbro, poi appoggiò la guancia sulla spalla di Harry.
Harry
si irrigidì all’istante, senza sapere che cosa provare. Improvvisamente tutto
il suo corpo pareva un turbine senza scopo di impulsi, che avrebbero potuto
fargli muovere le spalle e spezzare l’incantesimo che aveva guidato Draco così vicino a lui.
Rimase
completamente immobile, mentre nella sua mente l’immagine di Malfoy scoiattolo diveniva molto più dolce che ironica, e
la schiena gli faceva male per l’impossibilità di rilassare le spalle. Eppure
non si mosse di un millimetro.
Quando Draco allargò appena le gambe e il suo ginocchio sinistro
cozzò contro quello destro di Harry
fu come se si fosse stabilito qualcosa di profondamente nuovo tra di loro.
Il giorno dopo
Harry si svegliò tardi. Troppo tardi per andare dalla
signora Gootark e chiedere qualcuno dei biscotti che
gli aveva offerto la mattina prima, troppo presto per
andare a lavoro.
E questo
la diceva lunga su che tipo di lavoro facesse Harry.
Socio in
affari di Fred e George,
non faceva che dare una controllata ai loro conti e gestire entrate e uscite.
Ma sapeva perfettamente che in realtà ciò che lui curava non era che un decimo
di quello che avrebbe dovuto davvero amministrare.
Dopo la
guerra con Voi sapete chi non c’era nessuno che trattasse Harry
così come avrebbe fatto con chiunque altro.
Tutti non
facevano che pensare a lui che come un miracolo vivente, vivo per volontà
divina o chissà cosa. Perfino i gemelli Weasley.
Bambolina
di porcellana, Harry non faceva che viaggiare da un
imballaggio di polistirolo all’altro. Sulla sua fronte, sulla cicatrice, era
incisa la parola “fragile”.
Si sdraiò
sul divano, lo stomaco che lentamente si risvegliava e gorgogliava un qualche
lamento.
Quella
notte Draco se ne era andato all’improvviso, dopo
parecchi minuti di silenzio. Aveva biascicato qualcosa che assomigliava a delle
scuse per averlo svegliato nel bel mezzo della notte, che non sapeva che cazzo gli era preso, che probabilmente era stata tutta
colpa di quella testa bacata del pazzo che aveva tentato di uccidere suo padre.
E che diavolo, non sarebbe mai più tornato a chiedergli aiuto in quel modo
pietoso.
Harry
aveva annuito e gli aveva aperto la porta, e lui era uscito.
Il suo
ginocchio destro era ancora caldo.
Quel
giorno Harry non aveva voglia di rimuginare oltre, ma
la sensazione bruciante che gli crepitava in gola non era indice di nulla di
buono.
Immaginò
per un attimo cosa sarebbe successo se Ron e Hermione avessero saputo di che cosa stava iniziando a provare
per Malfoy, e alle loro facce sconvolte si sentì
piegare il cuore a metà.
Aveva
bisogno di calma, e di un posto dove rilassarsi.
La
stamberga strillante era diventata il suo antro isolato dal mondo ormai da
qualche anno.
Armato di
un lungo bastone bloccava il platano picchiatore e sgattaiolava dentro fino ad
arrivare alla stanza dove aveva incontrato per la prima volta Sirius, al terzo anno.
Era
sporca, impolverata, assolutamente inospitale. Eppure era sua.
Quella
mattina quando arrivò al platano il bastone che
solitamente lasciava a terra poco lontano era sparito. Portato via da qualche
animale, probabilmente.
Trasfigurò
un filo d’erba in una canna robusta, e premendo sul solito nodo l’albero cessò
di ondeggiare minaccioso e divenne immobile come fosse stato
marmo.
Harry
si fece avanti con passo tranquillo lungo il tunnel buio, ormai troppo
famigliare per apparire rischioso. Arrivò alla prima delle due stanze, e come
sempre lasciò scivolare lo sguardo sulle pareti incrostate, le sedie rotte come
prese a randellate, i mobili squarciati esattamente come lo erano stati 10 anni
prima. Ripensò al dolore che Lupin doveva aver
provato tra quelle mura, al fatto che ora stava bene, e si sentì come sempre
rasserenato.
Lui non
aveva bisogno di quattro pareti sulle quali sfogare la propria rabbia… era fortunato.
La porta
che dava sulla camera da letto era chiusa. Questa era una novità. Harry non aveva mai chiuso porte lì dentro: la prima,
all’ombra dei rami del platano, era fin troppo sicura.
Pensò ad
uno spiffero di vento, e si chiese come diavolo avesse fatto a penetrare così
in profondità, ma alla fine abbassò la maniglia.
La porta
si aprì stranamente silenziosa, e allora Harry capì
che qualcuno doveva aver posto sulla stanza un incantesimo silenziante. Proseguì
con la mano ferma sulla bacchetta nella tasca del pantaloni,
poi vide che su una sedia fracassata era appoggiato un mantello.
Quando
guardò oltre capì di chi.
Draco
era sul letto, le gambe aperte, la patta dei pantaloni slacciata. Il suo petto si
alzava e si abbassava forte come i suoi sospiri. Con gli occhi chiusi, le
palpebre strette, Harry non sapeva se stesse provando
un grande dolore o un grande piacere.
Ma
probabilmente non c’era da porsi molti dubbi a riguardo.
Sentì la
bocca prosciugarsi e il bisogno impellente, subdolo di chiudere quella porta e
dimenticare ogni cosa, per il proprio bene.
Perché Draco era lì? Perché stava facendo quello?
Il
pensiero che si stesse masturbando nella stamberga per
farsi scoprire proprio da lui gli balenò nella testa, ed Harry
si vergognò. Così tanto che potè quasi sentire le
gambe cedere sotto di lui.
L’aria
entrava e usciva dalla bocca di Draco assolutamente
silenziosa, celata dall’incantesimo silenziante. L’espressione concentrata che
aveva sul volto pareva irrorare tutto il suo corpo: dalla camicia abbandonata
scomposta sul suo petto alla sua mano, che continuava su e giù, su e giù… La sua schiena era tesa, i suoi denti premevano
sulle labbra.
Tutto in Draco era un alzarsi e abbassarsi di impulsi, e nervi, e aria.
Sentì solo un coro di “Oddio Oddio Oddio” impazziti dentro la testa. La sua mano tremò sulla
maniglia, e l’immagine di Draco con la mano destra
tra le gambe e la testa ripiegata indietro cominciò a pulsargli nelle tempie,
insieme al suo cuore in scatola.
Immaginò
di avvicinarsi, avere Draco sotto di sé, di
stringergli le mani lontano dal corpo e di baciarlo, e pensò a quell’espressione concentrata, quasi dolorosa, farsi blanda
e placida.
Oddio Oddio Oddio…
Poi Draco alzò la testa, e lo vide.
Allargò
gli occhi e il suo bacino si alzò con un balzo dalle coperte squarciate di quel
letto antico. La sua mano destra scomparì dietro di lui e la sinistra afferrò
con uno scatto le mutande e coprì tutto ciò che poteva coprire. Tranne il
proprio orgoglio.
Harry lo
sentì andare in frantumi mentre Draco
parlava e diceva “Potter”, ma lui non riusciva a sentirlo per via
dell’incantesimo.
Avrebbe
voluto chiudere la porta, schizzare via e lasciare tutto al dubbio che si fosse
trattato di un bicchiere di BurroBirra di troppo, ma…
ma.
Rimase in
piedi, il piede sinistro che di muoveva nervosamente.
Draco
cadde sdraiato sul letto, una mano sugli occhi, poi tirò un pugno alle lenzuola
fredde di umidità. “Merda” sillabò.
Incredibilmente
Harry pensò al signor Gootark.
Forse questo era un altro trauma da aggiungere alla lista dei possibili.
Sentiva ancora
nella testa le voci che esplodevano concitate: via via via,
dimentica. Brutto, orrendo, sporco, vattene dimentica. No, via.
Poi ancora
la voce di Draco, la sera prima: Tutti hanno degli scheletri nell’armadio, solo che il tuo è così grande
e stipato di graziosi vestitini da festa che i tuoi, di scheletri, a tutti sono
sembrati collane di perle.
L’unica
cosa che voleva in quel momento era che Draco ci
entrasse davvero, nel suo armadio.
Con i suoi
di scheletri lui avrebbe ballato volentieri anche il tango.
E poi
un’altra vocina, fievole. E’ bello. Bello
bello bello bello. Dolce, bello,
bianco, caldo.
Draco
si allacciò i pantaloni in tutta fretta, e con un movimento della bacchetta
annullò l’incantesimo che chiudeva la camera nel silenzio.
Harry
lo vide prendere un cuscino da dietro di sé e posizionarselo in grembo
nonostante fosse sporco e strappato.
Malfoy
sospirò, poi appoggiò la schiena alla tastiera del letto dietro di sé e volse
lo sguardo in alto.
era stato
- Se vuoi
me ne vado – disse allora Harry, piano, senza sapere veramente cosa volesse
davvero fare. Via via
via, dimentica. Brutto, orrendo, dolce, bello, bianco,
caldo.
Draco
scosse il capo, ma senza abbassare gli occhi. – Cazzo
– sussurrò, stringendo il cuscino. – puoi rimanere, cazzo.
–
Harry
si morse un labbro ed avanzò di qualche passo, sforzandosi di pensare a Ron e Hermione. La sua erezione
si spense quasi subito.
Il
pavimento cigolò sotto il peso dei suoi piedi, e le molle del letto gracchiarono quando Draco si mosse
appena.
Harry
si avvicinò ancora e si sedette di fianco a Draco,
senza dire niente. In effetti non avrebbe saputo
cos’altro fare.
Malfoy
abbassò il capo quasi sorpreso, poi afferrò il cuscino che aveva in grembo e lo
lanciò dall’altra parte della stanza. Non fece troppo rumore cadendo, e Draco sembro esserne deluso.
- Sono gay
– sbottò, i pugni chiusi. – Sono fottutamente gay,
d’accordo? -
Il cuore
di Harry si rovesciò. Si ribaltò completamente,
portando con se vene, capillari, arterie e muscoli, e tutto il suo petto si
contrasse in una morsa dolorosa.
Le vocine
esplosero come mai, ed Harry non riuscì a capire una
sola parola di quello che stavano dicendo.
- Davvero?
– fu tutto quello che riuscì a rispondere.
Draco
lo guardò stranito, un sopracciglio sollevato e ancora il sudore che gli
permeava la fronte.
Bello, dolce, bianco, caldo.
Harry
avrebbe voluto essere l’Ungaro spinato. Quello che
aveva cresciuto quel Draco scoiattolo. Lo avrebbe
voluto sul serio, perché in quel modo Malfoy lo
avrebbe guardato con occhi diversi. Forse si sarebbe fidato di più di lui, e
non si sarebbe spaventato qualora si fosse avvicinato
e lo avesse baciato.
Quando
invece sentì la sua mano sulla spalla, Malfoy guardò Harry negli occhi e li vide più vicini di prima. Quando le
loro labbra furono a pochi centimetri di distanza gli afferrò il braccio con
forza, ed Harry si bloccò.
- Posso? –
chiese, mentre dentro di sé le arterie pompavano sangue al contrario.
Draco
chiuse gli occhi e gli lasciò il braccio, lasciandosi baciare.
L’omosessualità
non era comune nel mondo magico.
Dopo quel
giorno Harry andò più volte al Malfoy
Manor, e vi dormì più volte.
Lui e Malfoy si ruggirono tanti respiri sulla gola ed Harry capì cosa significava rompere qualcuno e poi
ricongiungerne i pezzi quando fece suo Draco.
Non tornò
più molto spesso dal signor Gootark. Il più delle
volte era lui ad andare a casa sua, per lasciare i biscotti della
maglie per la colazione della mattina dopo e bere qualche tazza di tè.
Ruvida.
Harry
le aveva comprate a un mercato di beneficenza a favore dell’abolizione dello
sfruttamento degli elfi domestici. Erano a fiori, ed erano così grezze da pungere
i palmi delle mani.
Ron e Hermione non scoprirono mai della sua relazione con Draco. Ebbero il loro terzo figlio ed Harry
si presentò solo al suo battesimo, salutando gente che non vedeva da anni e
stringendo mani. Un dipendente del Ministero invitato al banchetto annunciò a
gran voce che poche ore prima Lucius Malfoy era deceduto per malattia. Harry
se ne andò presto, tornò a casa di Draco e lo tenne
stretto a sé tutta la sera, aspettando che smettesse di piangere.
Si chiese
più volte a che malattia potesse aver stroncato un Ungaro Spinato come Malfoy
Senior, ma alla fine Draco smise di inondare la
propria tazza di tè di lacrime ed Harry smise di
pensarci.
Una
mattina si presero per mano ed andarono insieme ad Azkaban. Chiesero che venisse
riattivata la rete magica attorno al castello, e per volere di Harry Potter fu fatto.
Si
lanciarono dalla torre più alta, una caramella tutti i
gusti+1 al gusto di cuore in gola.
La rete li
salvò.
Li raccolse
tra le sue maglie e con gentilezza li depositò nuovamente a terra.
L’omosessualità
non è comune nel mondo magico, ma l’amore, forse, sì.
Finis