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Autore: alillina    17/05/2013    3 recensioni
"Pensavi cosa? che siccome sei tanto bella e carina , siccome fai gli occhi dolci tu abbia l'autorizzazione di rovinare così la vita di qualcuno? Beh, sappi che ti sbagli, sappi che io non ho mai dimenticato"
La storia di Clove e Cato 5 anni prima dei giochi, di una vicenda un po' particolare. Una storia che nessuno ha mai immaginato. Gli eroi del distretto due come non gli avete mai visti prima
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!! non sono quella persona dalla penna d'oro che ha scritto l'altra storia, diciamo che sono la sua “collega”. Perciò non aspettatevi che scriva delle cose così divine! In ogni modo, vi prego, recensite, anche se è solo per dire che la storia fa schifo, recensite!!!! ora vi lascio alla lettura di questo grande orrore. Baci -ale

Bruciano, le ferite sulla schiena. Sono dolorose, ma non mi è permesso lamentarmi. A dir la verità lo fanno quasi tutti, ma io no. Mi sono promesso di non farlo, né di mettermi a frignare. Voglio sembrare forte, bravo e in grado di resistere a qualsiasi cosa. Ho degli obbiettivi ben precisi in testa. Voglio prepararmi per il grande evento: la mietitura. Quasi sempre i bambini frignano al loro primo anno, ma non io. “Cato, questo sarà il nome di un futuro vincitore degli hunger games”. Tra qualche anno, infatti, mi offrirò volontario come tributo, andrò nell'arena e vincerò, anche a costo di fare da mentore assieme ad Enobaria, l'insegnante peggiore del mondo. Tanto prima di me dovrà vincere mio fratello, me lo ha giurato. Riesce a sollevare pesi enormi e a scaraventarli ad una distanza enorme dal blocco di lancio. Ha anche un ottimo uso della spada, la usa come un terzo braccio. A lui viene tutto facile, ma a me... Se non imparo in fretta ad usare qualche arma, rischio di non potermi mai offrire volontario. Quest'anno lo farà mio fratello Sieg e, se riesce a sopravvivere alla rissa annuale delle mietiture, vincerà di sicuro.

In tutti gli altri distretti, escluso l'uno, le mietiture sono una specie di condanna, soprattutto per il dodici, che in 68 edizioni ha avuto solo due vincitori, dei quali uno è morto di vecchiaia e nessuno si ricorda il nome, e l'altro, Haimitch, che è ubriaco per 24 ore su 24. Da noi, invece, questo giorno viene aspettato con desiderio e nell'arena non è mai andato un solo tributo di età inferiore ai 16 anni e non c'è rischio che ciò accada, visto che ogni anno i ragazzi che si offrono volontari sono decine e finiscono per azzuffarsi tutte le volte. Da noi è considerato un privilegio riuscire a combattere contro altri 23 tributi per due settimane. Forse è destino. Dalla fine dei giorni bui, siamo stati il distretto con maggior numero di vincitori. Essere i beniamini di Capitol City non è poi così male: appena compi 12 anni, puoi iniziare gli allenamenti specifici, anche se in teoria dovrebbe essere vietato: ci si reca in alcuni magazzini abbandonati che sono stati allestiti in modo che possano assomigliare in tutto e per tutto alla palestra della capitale in cui si allenano i tributi prima di entrare nell'arena. È qui che sono ora, costretto ad osservare i maestri che ci spiegano in quanti modi si può uccidere una persona con un coltello. Io non ascolto. Mi limito a far finta di osservare, immerso nel mio mondo. In questo sono uguale a mio fratello. Abbiamo la stessa capacità di isolarci, come se al mondo non ci fosse nessuno oltre a noi. Sieg dice sempre che lui sarebbe in grado di uccidere tutti gli insegnanti, se solo ne avesse voglia. Io però so che non è vero. Gli piace sentirsi dire che è il più bravo della sua annata, ne va fiero. Mi ha promesso che domenica, quando le lezioni sono sospese, mi porterà di nascosto nei magazzini ad esercitarmi e io non vedo l'ora, perché domenica è domani.

Il tizio che stava parlando si è alzato, tutti i miei compagni lo stanno seguendo ad un'altra postazione. Odio il sabato, non si fa mai niente, solo teoria, teoria e ancora teoria. Il primo sabato che sono entrato in questo magazzino, sono stato sgridato. Sono esagerati riguardo alle punizioni. Solo perché avevo detto che fare teoria non sarebbe stato meglio che fare pratica, hanno allungato il corso di un'ora. Così, per protestare, durante l'ora extra di teoria, mi addormentai, o meglio, feci finta di dormire. L'insegnante si arrabbiò tantissimo e, per punizione mi diede 3 colpi di frusta, per fortuna non tanto forti. È successo la settimana passata, mi bruciano ancora, ma devo sopportare.

Alzo gli occhi al muro: l'orologio dice che mancano due minuti alla fine della lezione, perciò mi giro e osservo la palestra vuota. Maledetta punizione, se non fosse per te, a quest'ora sarei già a casa! Passo il resto del tempo a girarmi i pollici. Solitamente, quando l'insegnante ci dice di andare, sono il primo ad alzarsi, ma stranamente questa volta vengo bloccato da una visione: per un attimo, mi è parso di vedere una sagoma dietro al pilastro. Distolgo subito il mio pensiero da quell'immagine vagamente nota e mi dirigo di corsa verso l'uscita: in velocità non mi batte nessuno, infatti supero tutti quelli che si erano alzati prima di me ed esco dalla porta con un secondo di anticipo su di loro.

Arrivato a casa trovo Sieg sdraiato sul divano. Non mi lascia neanche il tempo di dire “ciao” e inizia subito a parlare: “Ehi, Cato, sai chi ho visto oggi fuori dal magazzino? Clove. Le ho chiesto se aveva impegni per domani e ...”

l'hai invitata ad allenarsi con noi?”

uffa, non prendertela tanto.”

Tu mi dici di non prendermela? Hai proprio una bella faccia tosta! Se credi che io mi possa allenare con una come quella, beh, ti sbagli di grosso!” forse ho usato un tono troppo violento, ma Sieg si sbaglia se pensa che io posso allenarmi con Clove.

Senti Cato” ora si è alzato ed ha un'aria abbastanza minacciosa “quando sarò nell'arena, gli allenamenti continueranno e tu dovrai continuare ad allenarti anche di domenica. Non puoi allenarti da solo, nessuno avrà il coraggio di sfidare i pacificatori allenandosi un giorno in più. La mietitura è lunedì ed io devo trovare qualcuno disposto a correre il rischio”

Ma perché lei! Ha un anno in meno di me!”

Cato sta zitto! Io ho deciso così è così si farà!”ora sta urlando

Ma non sa neanche come si impugna un coltello!”sto urlando anche io

Questo lo vedremo!” e così dicendo si alza in piedi e si dirige verso la sua stanza, sbattendo rumorosamente la porta.

Io mi siedo a tavola e inizio a mangiare. Mia mamma ha assistito a tutta la scena in assoluto silenzio e, come sempre mi preparo a sentire anche la sua ramanzina, ma invece della solita solfa di ciò che dovevo e non dovevo fare, mi dice soltanto: “ Lui lo fa per te”.

Lo fa per me? Cosa fa per me? Invitare ai nostri allenamenti privati una bambina di appena 11 anni che probabilmente non sa neanche come si impugna in coltello? No, non può averlo fatto per me, per il mio bene. Tutto ad un tratto mi è passata la fame, così mi alzo da tavola e vado in camera mia lasciando tutto il cibo nel piatto. Prendo le freccette e mi metto davanti al mio bersaglio. Non riesco a fare centro neanche una volta, così mi metto nel luogo più isolato di tutta la stanza: il mio letto.

Mi ficco sotto le coperte, senza preoccuparmi di levarmi le scarpe. Rimango lì, immobile, senza dire una parola, pensando a quello che mi aveva fatto Sieg. Va bene, mi sta bene che qualcun altro si alleni con noi, ma non Clove. La odio, fin da quel giorno. Mi ricordo tutto benissimo, come se fosse ieri. Come tutte le mattine, ero andato a scuola. Erano arrivati quelli di prima. Tra loro c'era anche lei. Sembrava così innocua e calma. Mi fissava, con un sorriso raggiante, gli occhi innocui e un piccolo corpicino che non sarebbe stato in grado di compiere nessuna cattiveria, almeno così credevo. I suoi occhi fissi nei miei. Per tante volte durante quella settimana il mio sguardo ricadde su di lei. C'era qualcosa in quella bambina che non mi convinceva, e quel qualcosa c'è ancora adesso. Qualcosa di strano. Non riuscivo a pensare a nessun altro, quella faccia, quel sorriso, quel suo sguardo, era qualcosa di stupendo, indescrivibilmente splendido, ma allo stesso tempo, anche terribilmente strano. Era sempre sola, seduta in un angolino della stanza. Non doveva essere stato facile per lei fare amicizia con qualcuno. Magari le serviva solo un po' più di tempo rispetto agli altri. La osservavo sempre uscire da scuola, con quella sua coda che si muoveva a destra e a sinistra. Quelle gambette esili, tanto fragili, in continuo movimento. Era sempre felice, il sorriso non le si levava mai di dosso. E a me sembrava la cosa più bella che avessi mai visto. Non sapevo ancora il suo nome, ma quel sorriso, quegli occhi intensi, mi levavano le parole di bocca, tutte le volte che la guardavo. Facevo fatica a mantenere intatta la mia crudeltà, che già allora, era abbastanza evidente.

Era incredibile come una bambina così abbia potuto attirare tanta attenzione da parte mia. La sua faccia sorridente mi tornava in mente sempre. Non riuscivo ad isolarmi e questo mi faceva stare male, molto male. Così mi decisi: l'avrei aspettata fuori dalla scuola alla fine delle lezioni. Ma non come al solito, rifugiandomi in gruppetti dei quali magari non conoscevo nessuno e facendo finta di parlare con loro. L'avrei aspettata sulla soglia della scuola, le dovevo parlare. Così il giorno dopo, appena uscito, lasciai cadere la cartella per terra e mi appoggiai alla ringhiera. Era fredda, ma io, il freddo, non lo sentivo, non sentivo nulla, solo il mio cuore che continuava a battere forte, talmente forte che pensavo lo potesse sentire chiunque. Man mano che il tempo passava, le classi uscivano. E io lì, immobile, ad aspettare di parlare con una persona che neanche conoscevo, senza neanche sapere cosa dirle. Ma ero lì, e le dovevo parlare. Aspettai tanto, ma lei non arrivava. Proprio quando me ne stavo per andare, sentii dei rumori provenire da un'aula. Incuriosito, decisi di andare a vedere. In punta di piedi riaprii la porta d'ingresso. Il corridoio, così vuoto e così buio, mi faceva correre i brividi lungo la schiena. Lo scricchiolio di una porta rimasta aperta mi fece sobbalzare. Non dovevo essere lì, nessuno può entrare a scuola, se non per le lezioni. Dovevo stare attento, perchè se mi avessero visto, sarei finito in grossi guai. Strisciando contro il muro, il più silenziosamente possibile, mi avvicinai lentamente alla porta della mia classe. Abbassai la maniglia. Il cuore che batteva ancora più forte di prima. Chi c'era? Che cosa stava facendo? Con il cuore in gola, contai fino a cinque, poi, con un colpo secco aprii la porta e la vidi. Quei suoi occhi, ancora una volta fissi nei miei, quegli occhi che fino ad allora mi avevano sempre fatto emozionare. E quel sorriso, ma non il solito sorriso, un ghigno, che faceva assomigliare la sua faccia a quella di un assassino, di qualcuno che ti vuol far soffrire. Lì, immobile, al centro della stanza, con in mano un pennarello viola. Lo teneva in mano come fosse un coltello che deve essere piantato nel tuo cuore. Poi mi accorsi di una cosa: era lo stesso viola che ricopriva le pareti di scritte. Ma non scritte comuni, scritte contro il nostro presidente, contro Capitol City, ma soprattutto, contro l'unica cosa che mi ero mai permesso di amare: gli hunger games! Rimasimo immobili, uno di fronte all'atra, i suoi occhi dritti nei miei. Perchè? Perchè lo aveva fatto? Poi il rumore dei passi dietro di me. Stava arrivando qualcuno, un adulto forse. Vidi Clove mentre si rannicchiava per terra, la testa fra le gambe. I suoi occhi si gonfiarono di lacrime. Ma il suo ghigno era ancora lì. Anche se qualche lacrima aveva iniziato a scendere, aveva mantenuto il suo sguardo maligno. In quel momento la porta si aprì ed entrò il preside. Non mi ero mosso di un solo centimetro, il mio sguardo era rimasto fisso su di lei. L'avevo osservata mentre, un secondo prima che la porta si aprisse, sostituiva il ghigno con un viso pieno di dolore. Lei iniziò a frignare. Disse che ero stato io, che l'avevo costretta, addirittura minacciata. Come si faceva a non credere ad una bambina apparentemente così innocua? Il preside cadde in pieno nella sua trappola. Se mi avesse conosciuto anchesolo un pochino, avrebbe subito dedotto che io non sarei mai stato in grado di scrivere cose conto gli hunger games, non io che esulto quando qualcuno muore a causa di uno squarcio nel ventre o quando viene decapitato da una spada. Così la colpa fu riversata su di me. Persi l'anno, ma non solo. Alcuni miei amici si distaccarono, non volevano più stare con me e, cosa peggiore, mi toccava vedere quel demonio tutti i giorni in classe con me. “Clove, questa te la farò pagare” fu l'nica frase che le dissi da quando ci fummo visti la prima volta, davanti a quel portone. Non mi ricordo neanche la sua voce. Sarà cambiata nel corso del tempo? Che mi importa, tanto, se la aprisse, la userebbe solo per incolparmi di nuovo. Meglio che tenga chiusa quella sua boccaccia. La odiai con tutto me stesso. Da allora, quegli occhi che prima mi sembriavano così angelici, ora erano quelli di un demonio, un diavolo, di una vipera velenosa e di qualcosa di talmente malvagio, da non esistere nemmeno.

Verso le undici la porta della mia stanza si apre e un'ombra si avvicina e si inginocchia vicino a me. Quando è a pochi centimetri di distanza da me, la riconosco, è mio fratello.

Ehi Cato, stai dormendo?”

No” rispondi io “che ci fai qui? Non eri arrabbiato con me?”

Non se vieni con me ora.”

in punta di piedi mi alzo dal letto e seguo mio fratello fin davanti al magazzino abbandonato. La prima cosa che noto è una luce accesa . Mi avvicino lentamente. Immagino già chi ci possa essere. Sieg avrà convinto Clove a venire per potermi parlare. Invece no. Quando mi avvicino alla finestra vedo una donna alta, bionda, un po' consumata dall'età. Non ci posso credere: è Enobaria. Rimango lì per qualche minuto, giusto il tempo per pormi qualche piccola domanda. Perché Enobaria è qui?che sta facendo? Poi osservo tutte le postazioni alle sue spalle. Ha fatto centro con l'arco, ha tagliato tutti i bracci dei manichini con la spada, la lancia si è conficcata nel cuore del manichino. Ed ora è lì, alla postazione lotta. Assieme a lei c'è un'altra persona, un po' più giovane. È un altro vincitore del nostro distretto, si chiama Brutus.

Mi volto verso Sieg. “Che significa? Perché mi hai portato qui?” Chiedo in tono perplesso.

hai visto? Sono bravi, ma perché? Perché hanno lavorato in coppia. Quando uno sbagliava, l'altro era lì, pronto a sostenerlo e ad incoraggiarlo. Ora dimmi: se fossero stati soli, chi li ritirava su? Chi li spronava ad andare avanti?

Ci penso un po'. Poi, con tono quasi stupito dico: “Nessuno.”

Bravo. Hai capito perché voglio che ti alleni con qualcuno?

sì, ma perché lei? Non sarà capace neanche di impugnare un coltello!”

L'hai mai vista allenarsi?”

No”

Sai perché ieri era vicino ai magazzini? Perché ascoltava le lezioni di teoria. Lei vuole combattere. Quando sarà grande vorrà andare nell'arena. È molto più brava di quello che pensi. Cato, promettimi che, quando sarò nell'arena, ti allenerai con lei. Giuramelo” non voglio parlare. So che mi pentirei se dicessi di si, ma non voglio dare un dispiacere a Sieg. “Cato, se non lo vuoi fare per te fallo per me, per lei!”

D'accordo, lo prometto. Ma ricorda: lo faccio per te, non per lei.”

Ho appena firmato la mia condanna a morte. Dovrò allenarmi con Clove. Maledetto me.

Sieg mi prende per mano e mi conduce fino a casa. Ed ora? Come farò?

  
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