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Autore: Northern Lights    18/05/2013    8 recensioni
AU nell'ambiente criminale del musical "Chicago". Cosa sarebbe successo se le ragazze delle "New Directions" fossero state al posto delle sei allegre assassine del "Cell Block Tango"? Quali crimini le avrebbero condannate alla Lima Country Jail? E quali sarebbero state le motivazioni di tali crimini? Una Rachel più tormentata e confusa che mai lo scoprirà al ritmo del sanguinario e celeberrimo tango. Seguitela anche voi, se volete, ma a vostro rischio e pericolo.
Genere: Dark, Song-fic, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Artie/Brittany, Finn/Rachel, Jessie/Rachel, Puck/Quinn, Santana/Sebastian
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Nel freddo pungente e nella solitudine opprimente della sua piccola cella, Rachel Berry era sdraiata sul letto in posizione fetale e stringeva a sé la leggera coperta di un tessuto scadente alla ricerca di un po' di calore e conforto. Per quanto ci tentasse, dormire le risultava impossibile. I nervi erano tesi e i sensi acuti, era dal giorno del suo arresto che la pervadeva un senso di angoscia e di pericolo, dettato soprattutto dal timore per il futuro, dal momento che non era più artefice del suo destino ma altri avrebbero scelto per lei. La mente era attivissima, attraversata da spiacevoli pensieri e da amari ricordi, e alla mora sembrò che le sue orecchie riuscissero a cogliere ogni singolo suono, anche il più lieve, di quella grigia prigione newyorkese. Il rubinetto del bagno di una cella vicina che perdeva acqua, i passi delle guardie che giocherellavano con delle chiavi, i movimenti di altre detenute ancora sveglie nonostante l'ora tarda le rimbombavano nel cervello. Si chiese nuovamente perché fosse lì, poi un crudo flashback le rinfrescò la memoria, anche se  avrebbe preferito mille, un milione di volte dimenticare l'accaduto. Ma purtroppo ciò che aveva fatto era troppo terribile per essere evitato, talmente terribile che non se lo sarebbe mai aspettato da sé. Eppure l'aveva fatto.
 
Mentre si inchinava con un largo sorriso sulle labbra e il microfono ancora stretto nella mano destra pensò che quello era tutto ciò che desiderava. Era ciò di cui aveva bisogno
per vivere. Gli applausi. Avrebbe potuto continuare a riceverne per ore senza mai stancarsi. Che bella sensazione sapere che qualcuno apprezza te e il tuo talento e
comunicare con degli estranei tramite una forma d'arte. Ma la Berry non voleva provare questa sensazione solo in teatri di poco conto e con pochissimi spettatori, no. Lei
sognava di calcare i palcoscenici di Broadway, era da sempre il suo sogno più grande e nonostante vivesse e si esibisse a New York non aveva ancora raggiunto il suo scopo. 
Quando la folla ebbe terminato di battere le mani per acclamare la performance di Rachel che aveva appena eseguito Don't Rain On My Parade dal musical Funny Girl alla 
perfezione, la mora s'inchinò per un'ultima volta e sparì dietro le quinte del palco. Subito un alto ragazzo biondo le si fiondò sulle labbra, procurandole un sincero sorriso.
<< Sei stata magnifica stasera >>, disse lui staccandosi dalla sua bocca. Rachel accarezzò il bel viso del suo agente prima di parlare.
<< Sì, ma tu sei di parte >>
<< Di parte? Eh, no, ti sbagli. La tua voce divina è un dato di fatto, persino un sordo l'amarebbe. Ti farò arrivare lontano >>, e la baciò ancora.
<< Jessie, mio marito non tornerà prima di mezzanotte, sai, impegni di lavoro... Che ne pensi d'intrattenerti un po' a casa mia? >>
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Raggiunta l'abitazione della giovane, Rachel gli offrì subito da bere.
<< A cosa brindiamo? >>, le chiese Jessie mentre lei gli porgeva un bicchiere colmo di whisky.
<< Al ruolo per il quale mi hai procurato un'audizione, al nostro futuro insieme e alla stella che mi farai diventare >>, rispose la mora spingendo il suo bicchiere contro quello
dell'amante e liberando nell'aria quel tipico suono che scaturisce dal contatto di due recipienti di vetro. Perché sì, quell'uomo dinnanzi a lei aveva lavorato sodo per far
mettere il suo nome in lizza per un importante spettacolo di Broadway, o almeno così la Berry credeva.
<< Ah, già, quel provino... >>, disse Jessie allontanandosi dalla ragazza, che subito si accigliò.
<< Jessie, c'è qualcosa che non va? >>
<< No, è solo che... Rachel, il regista è disposto a darti la parte, ma ad una condizione... >>
<< Una condizione? Quale? >>
Jessie sospirò. La condizione non sarebbe per niente piaciuta a Rachel, ma ormai non poteva più farci niente, aveva già deciso per lei.
<< Be', ha visto le foto allegate al curriculum e ti trova molto carina... Mi ha contattato per dirmi che è disposto a darti la parte in cambio di un pagamento... in natura >>
La cantante sgranò gli occhi, non poteva credere alle parole del suo agente. Si trattava del suo sogno e voleva realizzarlo grazie alle sue capacità e senza compromettere la sua
dignità, non avrebbe mai accettato di scendere a tali patti. Dopo qualche minuto di silenzio si decise a parlare. 
<< E tu hai rifiutato, vero? >>, ovvio che l'avesse fatto.
<< In realtà, no >>
La mora perse un battito, non poteva averlo detto davvero.
<< P-puoi ripetere, per favore? >>
<< Gli ho detto di sì. Rachel, è l'occasione di una vita. Si tratta del tuo desiderio più grande, hai studiato e lavorato sodo per arrivare a questo punto e non puoi buttare tutto
all'aria solo perché fai la schizzinosa >>
<< Non ci credo. Non posso crederci, Jessie. Hai venduto il mio corpo. Hai venduto il mio corpo senza consultarmi prima. Avresti dovuto saperlo che non avrei mai fatto
una cosa del genere, neanche per realizzare il mio sogno... Tu mi hai venduta, Jessie! >>, urlò Rachel in preda alla rabbia e all'indignazione.
<< Rach, cara Rach, amatissima Rach, non dire così... Pensaci, è un'opportunità troppo grande per lasciartela scappare! Lo farai! Andrai a letto con quell'uomo, otterrai il
ruolo e ci porterai entrambi alla fama e alla ricchezza! >>
<< Allora è questo ciò che conta per te... I soldi, il successo... Non pensi a me? Non t'importa di come potrei sentirmi a riguardo? >>
<< Oh, ma per favore, Rach. Che ti costa, infondo? >>
<< Che mi costa? Davvero, non ci arrivi da solo? La mia dignità, ecco quello che mi costa. Io ho rispetto per me stessa, non sono una di quelle tante ragazze facili con le quali
hai lavorato prima di me! >>, Rachel continuava ad urlare con le lacrime agli occhi.
<< Smettila! >>, urlò di rimando Jessie, << tu lo farai! Ho già deciso e, fidati, è la cosa migliore per la tua carriera. Non discutere! >>
Ormai la situazione era degenerata, Rachel piangeva e questo suo atteggiamento irritava molto il suo agente.
<< Fa' silenzio! >>, le gridò e dopo pochi secondi le fu addosso. La ragazza non ebbe più il tempo di pensare lucidamente. Si staccò dalla sua presa e corse in camera da 
letto, inseguita dall'uomo. Staccò il fucile del marito (che nel tempo libero amava andare a caccia) dalla parete e lo puntò verso il biondo, sul cui viso si dipinse un ghigno
malefico.
<< E cosa vorresti fare con quella? >>, le chiese divertito, << No, tu non saresti mai e poi mai capace di premere il grilletto. Sbaglio o eri una vegana pacifista? Uccidere non va
contro i tuoi principi? Oppure sei semplicemente codarda? >>, e rise a crepapelle prima di piombarsi su di lei, ma il rumore di due spari riempì velocemente l'aria.
 
A mezzanotte meno dieci, Finn Hudson infilò la chiave nella serratura della porta di casa sua e la fece scattare, per poi entrare quanto più silenziosamente possibile gli
permettesse la sua goffagine. Si aspettava che la sua adorata mogliettina Rachel fosse già a letto, e infatti fu molto sorpreso di trovarla in soggiorno seduta sul divano, con le
lacrime agli occhi e le mani... sporche di sangue.
<< R-Rach, che c-cos'è successo? >>, balbettò preoccupato, << Ti sei fatta male? >>, aggiunse prendendole le mani per analizzarle. Ma sua moglie non rispondeva, era in uno
stato di shock emotivo. Finn si alzò e si diresse in camera da letto, seguendo la scia di sangue che era gocciolato sul pavimento. Quando questa sfociò in una gigantesca pozza,
inorridito l'uomo indietreggiò e lanciò un piccolo urlo dinnanzi al corpo privo di vita che era appena entrato nel suo campo visivo.
<< Rachel! >>, urlò, << E questo... che cosa sarebbe? >>, aggiunse sempre più preoccupato e cominciando a passarsi una mano tra i capelli.
 
La cantante non raccontò la verità al marito, anzi, gli spiegò che quello era semplicemente un ladro che aveva tentato di assalirla e che gli aveva sparato solo per leggitima difesa, in preda al terrore. E fu questa la versione che Finn raccontò alla polizia quando fu interrogato, ma purtroppo per Rachel, la verità venne ben presto a galla e condusse nel posto dove attualmente si trovava. Era confusa, estremamente confusa. Mentre la sua coscienza la faceva sentire sporca per il gesto disumano che aveva commesso, il suo  cuore provava sollievo e una certa euforia per l'uccisione dell'agente e la donna sapeva che se avesse potuto l'avrebbe fatto altre mille volte, anche se avrebbe preferito saltare il processo e la prigione. E i sensi di colpa. La sua mente era in perenne lotta contro tutti quei sentimenti contrastanti e la stava gettando in un forte stato depressivo. 
 
Restò ferma nella stessa posizione a passare in rassegna tutti i suoi pensieri più oscuri per un indeterminato lasso di tempo, che tuttavia le sembrò infinito. Stava per assopirsi, quando una voce riecheggiò nella prigione, seguita dal rumore di un fiammifero che viene acceso. 
 
Pop!
 
Rachel aprì gli occhi di scatto.
 
Six!
 
Pronunciò una seconda voce.
 
Squish!
 
Questa volta si trattava di una terza voce, più seducente ed incisiva delle prime due.
 
Uh-uh!
 
Pronunciò una quarta donna con un tono triste e rassegnato.
 
Cicero!
 
Esclamò lentamente una quinta donna, che sembrava star fumando. La mora lo capì dalla boccata che la proprietaria della voce prese dopo.
 
Lipschitz!
 
Cantò una voce scura. Probabilmente la sua proprietaria era una ragazza di colore.
Ma che stava succedendo? Rachel non ebbe il tempo di trovare una risposta, perché la sua attenzione fu catturata dalle sbarre della sua cella che si aprivano svelando una figura maschile dalla pelle candida, i capelli color nocciola e, soprattutto, due bellissimi occhi azzurri come il mare.  
<< Ed ora, le sei allegre assassine della Lima Country Jail, nella loro interpretazione del "Cell Block Tango" >>, detto questo con una voce pura ma decisa, sparì misteriosamente nel nulla. Rachel guardò la scena ad occhi sgranati, pensò che dovesse trattarsi di un sogno. Si alzò dal letto ed uscì dalla cella. Era finalmente libera. Ma diversamente da come si aspettava, non si ritrovò nel corridoio del carcere, bensì in un open space con un tavolino da bar e persino una sedia, sulla quale si accomodò. Delle luci si accesero rivelando la presenza di un palcoscenico, sul quale era montata una scenografia che ricordava la Lima Country Jail. Infatti c'erano sbarre ovunque. Le giunse alle orecchie una musica crescente, alla quale si addizionarono le voci che aveva udito prima.
 
Pop! Six! Squish! Uh-uh! Cicero! Lipschitz!
 
Rialzò gli occhi sul palco e vide che alle sbarre erano appoggiate "le sei allegre assassine" preannunciate dal ragazzo, ma Rachel già le conosceva. Mangiava con loro in mensa dal primo giorno di prigionia e pensava fossero davvero delle pazze psicopatiche. Lei non era così e non voleva diventarlo. Sperava di uscire il prima possibile da lì e sicuramente il costoso avvocato che suo marito aveva ingaggiato sarebbe riuscito nell'intento.
 
Pop! Six! Squish! Uh-uh! Cicero! Lipschitz!
 
Ripeterono le donne per alcune volte ad un ritmo sempre più incalzante, finché non giunse quello che doveva essere il ritornello.
 
He had it comin'
He had it comin'
He only had himself to blame
If you'd have been there
If you'd have seen it
 
E poi la quinta assassina, quella che prima aveva cantato "Cicero!", aggiunse da sola:
 
I bet that you would have done the same!
 
E ancora:
 
Pop! Six! Squish! Uh-uh! Cicero! Lipschitz!
 
Allora le sbarre si spostarono di lato per permettere il passaggio della prima assassina, che si posizionò al centro del palco e cominciò a parlare. Era una giovane donna asiatica, dai lunghi capelli corvini. Si chiamava Tina Cohen-Chang e la mora la considerava la più schizzofrenica del gruppo. La prima cosa che aveva notato in lei erano gli occhi, così scuri e così... cattivi. Eppure al primo impatto sembrava una ragazza buona e dolce. Rachel aveva già sentito ciò che Tina stava dicendo, si trattava della storia di come era arrivata lì. Gliel'aveva raccontata quel pomeriggio a pranzo e l'ebrea l'aveva trovata agghicciante, quasi peggiore della sua. 
 
Sapete, alcune persone hanno dei tic che possono darti molto, ma molto fastidio. Come... Mike. Stavamo insieme dai tempi del liceo ed ero innamoratissima di lui. Ovviamente
ricambiava. Dopo l'università, abbiamo deciso di sposarci. Io trovai un buon lavoro come assicuratrice, ma qualche anno dopo l'azienda entrò in bancarotta e mi licenziarono.
Per evitare di finire sul lastrico, mi ritrovai costretta ad accettare un lavoro come cassiera nella pasticceria di mio cugino. Per quanto riguarda Mike, lui aveva rinunciato a tutto
pur di seguire il suo sogno di fare il ballerino. Ovviamente non ce l'aveva fatta, quell'idiota. Se ne restava tutto il giorno chiuso in casa e aveva persino sviluppato un tic a dir
poco estenuante: ora amava masticare le gomme, ma no, non masticarle... farle scoppiare! Una sera torno a casa dal lavoro, avevo litigato con un cliente ed avevo scampato per
meno di un pelo il licenziamento, quindi sono molto irritata e cerco solo un po' di comprensione. E c'è Mike, sdraiato sul divano, che beve la solita birra e fa la solita cosa:
mastica una gomma. Ma no, non la mastica... ci fa POP! Quindi gli ho detto, ho detto "Fa' pop con quella gomma ancora una volta..."
 
Si fermò per prendere un sospiro.
 
E l'ha fatto. Allora ho staccato il fucile, lo stesso fucile che aveva ereditato da suo padre, dalla parete e ho sparato due colpi d'avvertimento... dritti nella sua testa! 
 
Proprio come qualche ora prima, a Rachel si gelò il sangue nelle vene una volta che Tina terminò il suo racconto. Se era davvero innamorata di Mike perché gli aveva sparato? Aveva una motivazione molto banale, per di giunta. Quel povero uomo era morto per così poco. La mora non potè fare a meno che dispiacersi per lui ed augurò alla sua  anima di riposare in pace, ovunque si trovasse. L'esibizione dell'asiatica aveva fatto valere la sua ipotesi: era pazza. Poteva ben vederlo nei suoi occhi, sentirlo nel suo tono di voce, constatarlo dai suoi gesti. Si era macchiata del più spregevole dei peccati: aveva ucciso, in modo crudele ed ingiustificato, e questo aveva avuto delle aspre conseguenze sulla sua sanità mentale, già provata dallo stress per la difficile situazione economica. Riusciva ad immaginarla mentre con un ghigno divertito osservava il corpo privo di vita di quello che fino a dieci secondi fa era stato suo marito e urlargli "Ora non fai più pop con le gomme, vero?" e scoppiare a ridere di gusto, fin quando la polizia, avvertita dai vicini che avevano sentito gli spari, era sopraggiunta e l'aveva arrestata. Ma a lei non importava, aveva sfogato la sua tensione, si era tolto lo sfizio, aveva ricevuto la sua vendetta personale contro il mondo e contro se stessa. Non aveva nient'altro da fare, doveva solo aspettare la morte, che non si sarebbe fatta attendere troppo a lungo. Rachel si chiese se il suo destino sarebbe stato come quello di Tina, condannata all'iniezione letale. Un brivido le percorse la schiena, aveva una paura immensa, ma il  ritornello della canzone la distraette dai suoi pensieri. 
 
He had it comin'
He had it comin'
He only had himself to blame
If you'd have been there
If you'd have heard it
I bet that you would have done the same
 
La coreografia era splendida e crudele. Tina aveva tirato fuori dal nulla un lungo nastro rosso e danzava sulle note del tango con un muscoloso ballerino. Ad un certo punto questi tentò di scappare da lei, ma l'asiatica lo raggiunse con un balzo e finse di strozzarlo con lo stesso nastro. Poi le sbarre si mossero nuovamente e ne uscì la seconda assassina: Sugar Motta. Era una ragazza dai lunghi capelli rossi come il nastro che aveva legato al polso, il naso aquilino e gli atteggiamenti da snob, poiché era stata ricca un  tempo. Rachel la considerava la più egocentrica, infatile e, perché no, antipatica tra le sue nuove "compagne". E quello che aveva combinato era altrettanto freddo, ma tuttavia, l'ebrea dovette ammettere che aveva avuto le sue ragioni.
 
Ho incontrato Rory Flanagan dall'Irlanda circa due anni fa. Ero con le mie migliori amiche in uno dei più importanti pub di New York a bere, ridere e scherzare, quando il
cameriere si avvicina e mi porge un bicchiere colmo dell'aperitivo più costoso del locale. "Da un ammiratore segreto", mi informa. Comincio a cercarlo con gli occhi e quando
incrocio i suoi capisco all'istante. Gli chiedo una conferma con lo sguardo e lui me la dà facendomi l'occhiolino. Non era l'uomo più bello che avessi mai visto, ma aveva
un aspetto molto simpatico e dolce, quindi ho abbandonato le mie amiche e mi sono avvicinata a lui. Chiacchieramo, mi dice d'essere single, anch'io ero single, quindi la
scintilla scatta subito. Ci frequentiamo per alcuni mesi. Mi sembrava l'uomo perfetto; era carino, spiritoso, premuroso, cantava benissimo e trovavo il suo accento irlandese
molto sexy. Così siamo andati a convivere. Ogni mattina andava a lavoro, tornava a casa, gli preparavo un aperitivo e cenavamo. Era una specie di paradiso in una piccola
villa newyorkese, che mio padre mi aveva regalato quando gli avevo detto di aver trovato il vero amore. E poi l'ho scoperto... Un mattino si era svegliato tardi e si era
preparato in fretta e furia per andare al lavoro. Quando è uscito dalla porta, mi sono resa conto che aveva dimenticato il cellullare sul tavolino dell'ingresso. Sono andata in
garage per portarglielo, ma lui era già andato via. Gli arriva un sms. Vorrei tanto non leggerlo, ma la curiosità prende il sopravvento. Il messaggio è da parte di una donna che
gli avverte che i suoi figli ne sentono la mancanza, poi arriva una notifica da Facebook, accedo al suo profilo e scopro che non è l'account che ho tra gli amici e che una 
seconda donna lo ha taggato in alcune foto nelle quali appare con dei bambini che gli somigliano molto. Sono sbigottita e osservo lo schermo ad occhi aperti. Faccio ulteriori
ricerche sul telefonino e scopro che ha ben 6 account diversi su Facebook, sui quali risulta sposato con 6 donne diverse, dalle quali riceve delle telefonate e degli sms nel corso
della giornata. Single, mi aveva detto! Single col cazzo! Non solo era sposato, oh no! Aveva sei mogli! Probabilmente era uno di quei... Mormoni, capito? Ero distrutta, mi
sentivo tradita ed usata, mi ripromisi di fargliela pagare... Quindi quella sera, quando è tornato dal lavoro, gli ho preparato il suo aperitivo, come di solito... Sapete, alcuni
proprio non lo reggono l'arsenico!
 
Rachel deglutì dinnanzi alla pericolosità che una persona può arrivare a possedere quando è veramente, ma veramente arrabbiata. Tuttavia, Sugar le aveva già raccontato la sua storia durante il pranzo, proprio come Tina, e si rese conto che la rossa aveva tralasciato un dettaglio. Era l'unica figlia del facoltoso signor Motta, un magnante dell'industria videultecnica. Dopo l'omicidio di Rory, il padre l'aveva disiredata, disconosciuta e consegnata alle autorità, e non gli era mai passato per la testa di pagare la cauzione o un avvocato che la tirasse fuori, troppo spaventato dagli scandali che un giorno si sarebbero potuti creare se la verità fosse venuta a galla. Teneva più a se stesso e alle sue ricchezze, piuttosto che alla sua unica figlia. Rachel era certa che Sugar portasse più rancore per l'abbandono del padre, piuttosto che per aver ucciso l'uomo che, a detta sua, amava. Si figurava la scena: Rory che tornava a casa dal lavoro, quella mattina si era reso conto troppo tardi di aver dimenticato il cellullare, quindi aveva lasciato perdere l'idea di tornare indietro, sperando che l'aggeggio elettronico fosse spento, oppure, nel peggiore dei casi, non avesse ricevuto chiamate e messaggi. Come ogni giorno era stato accolto da un dolce bacio dalla sua amata Sugar, ma questa volta si era accorto che qualcosa era cambiato, lei era cambiata. Subito temette il peggio: che l'avesse scoperto? Ovviamente aveva intenzione di dirglielo, non poteva certo nascondersi per sempre, ma sentiva che ancora non era giunto il momento giusto. L'amava veramente e credeva che l'avrebbe persa, dato il suo carattere. Ma il telefonino era ancora dove lo aveva lasciato. Lo controllò e tirò un sospiro di sollievo quando notò che era impostato sulla modalità  "silenzioso" e che probabilmente la sua ragazza neanche aveva notato fosse lì. La raggiunse in soggiorno e la vide con un cocktail coloratissimo in mano, il suo preferito. La giovane glielo porse con un enorme sorriso stampato sulle labbra, che possibilmente si allargò ancora di più quando vide l'irlandese berne un sorso e cadere a terra, contorcendosi dal dolore, colto da acuti spasmi fin quando non si spense definitivamente. Agghiacciante.
Però Rachel capiva le sue ragioni, Flamigan le aveva fatto provare ciò che lei stessa aveva fatto provare a Finn, quando questi aveva scoperto della sua relazione extra-coniugale con il suo agente Jessie. Ma Hudson amava troppo Rachel e non ebbe il coraggio né di arrabbiarsi con lei né di abbandonarla nel periodo più difficile della sua vita. Ed erano l'amore e la fedeltà di suo marito che le facevano provare acuti sensi di colpa. Perché lei non era stata in grado di amarlo e di essergli fedele, mentre lui si sarebbe fatto persino uccidere per lei. Non avrebbe mai dovuto tradire uno come Finn con uno come Jessie. Cosa le passava per la testa? Ancora una volta il ritornello interruppe il flusso dei suoi pensieri.
 
He had it comin'
He had it comin'
He took a flower in its prime
And then he used it and he abused it
It was a murder but not a crime!
 
Ora era il turno della terza assassina, Santana Lopez. Era una donna ispanica, bellissima, sfiorava quasi la perfezione. Per il suo aspetto fisico, così diverso dal suo, Rachel provava un po' di invidia, ma non era certo quello il luogo adatto per essere invidiose. Era aggressiva, con la lingua più tagliente di una lama, sentiva sempre il bisogno di ferire gli altri per dimostrare di essere più forte. Non era una sorpresa per Rachel che una donna del genere avesse ucciso il marito nel modo più spietato possibile. Si chiedeva come poteva essere stato l'uomo al quale Santana, che poteva avere tutti gli uomini che desiderava, aveva deciso di donare il suo cuore. Doveva sicuramente credere di essere la persona più fortunata del mondo. E anche la più paziente, ma forse l'ispanica non era così insopportabile sotto il tetto coniugale. O forse sì. La cantante non poteva saperlo. Si limitò a riascoltare la storia della latina.
 
Sia maledetto il giorno in cui conobbi quello sbruffone di Sebastian Smythe. Ero con gli altri membri del Glee club del McKinley, la scuola pubblica che frequentavo, nel bar
più famoso di Lima, Ohio, la mia città natale. Parliamo tranquillamente della scaletta che porteremo alle Regionali, quando lui, che è il capitano degli Usignoli, ovvero il coro
nostro rivale, si avvicina e comincia a sbeffeggiarci. Si crede così figo, è ricco e frequenta un istituto privato, ma non capisce che chi si mette contro di me si fa male.
Gli rispondo a tono e non posso far a meno di turbarmi quando riesce a zittarmi. Vi rendete conto? Quel Fringuello da strapazzo aveva osato zittire me, Santana Lopez, la
regina del proprio liceo! Non potevo subire quell'umiliazione inerme, quindi invito lui e il suo gruppetto di snob ad incontrarci per una sfida all'ultimo acuto. Ma prima di
decretare i vincitori quel bastardo acceca con una granita piena di sale grosso una delle nostre migliori voci e vado su tutte le furie. Il giorno dopo mi presento nella sala prove
della sua scuola e lo sfido nuovamente, con l'intenzione di fargliela pagare una volta per tutte umiliandolo grazie alle mie doti canore. Accetta e duettiamo sulle note di Smooth
Criminal... Mentre le nostre voci diventano una sola, unendosi alla perfezione, ammetto di provare qualcosa di profondo, che è molto più di semplice attrazione fisica.
Perché il fatto che fosse una qualche specia di bullo non significa che non fosse bello. Si era acceso un fuoco, la musica non aveva unito solo le nostre voci, ma anche le nostre
menti e i nostri cuori, le nostre anime. Quando la canzone termina siamo vicinissimi e non riesco a trattenermi, quindi lo bacio, sicurissima che anche lui abbia provato le stesse
sensazioni. Ci siamo messi insieme. Si è rivelato più dolce di quanto mi aspettassi. Amavo i suoi baci, le sue carezze, il suo tocco. A livello fisico non mi mancava niente, così
come a livello sentimentale. Non credo di aver mai amato qualcuno allo stesso modo. Ci siamo sposati e ci siamo trasferiti qui a New York per frequentare la facoltà di legge.
Avevo 19 anni, lui 18. Molti miei amici mi dicevano "Ti sposi a 19 anni con un ragazzo che conosci da pochissimo, non credi sia una pazzia?", io rispondevo di no. Quanto
avrei voluto prestargli ascolto! Lui sapeva perfettamente che amavo divertirmi e vivere alla giornata, anche lui era così. La mia versione maschile, dicevano tutti. Ma da quando
ci frequentavamo aveva messo la testa a posto e pensava solo a come rendermi felice. Ed io, che mai mi sarei sognata di comportarmi responsabilmente perché me lo diceva
un uomo, cambiai per lui. Dopo la laurea, divenne avvocato e mi convinse ad abbandonare il mio sogno di essere un'avvocato divorzista per fare la casalinga. L'amore mi
aveva accecata e inizialmente non mi accorsi che desiderava solo controllarmi, che aveva bisogno di qualcuno su cui riversare i contenuti della sua mente malata. Credeva che
fossi ancora quella ragazza facile che filtra con chiunque le capiti a tiro. Dubitava di me, quel verme! Ora, il nostro lattaio era un grazioso ragazzino di 17 anni e si era preso una 
bella cotta per me. Mi rivolgeva sempre dei complimenti per il mio aspetto fisico ed io lo ringraziavo con un sorriso sincero, cosa che infastidiva parecchio mio marito, che 
nei suoi giorni liberi era lì ad ascoltare le nostre conversazioni. Ed ecco che comincia a sospettare che io lo tradisca con il lattaio, semplici sospetti che non so perché 
diventano convinzioni. Sta di fatto che una sera me ne sto in cucina a tagliare il pollo per cena e mi faccio gli affari miei, quando Sebastian entra come una furia, schiumante di
rabbia. "E' vero, allora! Te la fai con il lattaio! Stronza, sei solo una stronza!" Era impazzito completamente e continuava ad urlare "Te la fai con il lattaio!" Non faceva altro che
ripeterlo, talmente forte che l'avranno sentito fino a Los Angeles. Poveretto, dopo un po' è inciampato sul mio coltello, ci è inciampato sopra per ben dieci volte!
 
E mentre la latina narrava, eseguiva una strana coreografia: stringeva tra le mani un nastro rosso, la cui estremità era tra le mani di un altro ballerino. Lei tirò con forza fin quando
l'uomo non fu sul punto di cadere e a quel punto spezzò il nastro saltandoci sopra, facendo finire definitivamente a terra l'altro. "Poveretto, dopo un po' è inciampato sul mio
coltello...", aveva detto.
Poveretto sul serio, pensò Rachel. Chissà se ricevere dieci pugnalate nel petto è più doloroso di due colpi di pistola. Riusciva ad immaginare la scena: Smythe che parcheggiava
la sua auto fuori dal vialetto e correva dentro casa, solo Dio può sapere come fosse giunto alla conclusione riguardo Santana e il lattaio, quel decerebrato che sicuramente
parlava solo per far arieggiare la bocca. Per l'amore del cielo, aveva solo 17 anni, come poteva pensare che sua moglie lo tradisse con lui? Mica era una pedofila? Sebastian
spalancò la porta e si precipitò in cucina, dove vide la sua donna intenta a trinciare il pollo per cena. Non ci vedeva più, cominciò ad urlare insulti spregievoli contro di lei,
ma quella dal canto suo non si smuoveva di un passo, continuava a fare quello che stava facendo, completamente indifferente, alzando gli occhi al cielo ogni tanto, 
come se la cosa non la riguardasse veramente. E ciò lo faceva imbestialire ancora di più, se possibile. Era talmente fuori di sé, il petto che gli bruciava per le urla, gli occhi
brucianti d'ira. Era un tipo che perdeva facilmente le staffe, e per sua sfortuna anche Santana era così. La latina si voltò improvvisamente verso di lui, brandendo il coltello con
aria minacciosa, ma l'uomo se ne rese conto solo quando lei gli fu addosso e gli infilzò la lama nel petto. Si ritrovò a terra, in preda ad un dolore lancinante, mentre la mora
estraeva il pugnale dalla ferita e gliene procurava un'altra e un'altra ancora. Il sangue che schizzava ovunque: sul pavimento, sulle vesti e le mani di lei, sul viso di lui, sul viso di 
lei. Solo quando vide la luce abbandonare gli occhi di Smythe, la Lopez si decise a smetterla. 10 volte. L'aveva colpito 10 volte. Un ghigno malefico le si depinse sul volto; ora
si sentiva decisamente meglio. 
 
If you'd have been there
If you'd have seen it
I bet that you would have done the same!
 
La musica rallentò e i ritmi veloci ed incisivi del tango vennero sostituiti dal suono di una semplice chitarra acustica.
Per l'ennesima volta le sbarre si aprirono per consentire il passaggio ad una quarta figura, dotata di lunghi capelli dorati e limpidi occhi azzurri, così differente da quella che l'aveva preceduta. La luce bianca che l'illuminò quando ella si posizionò al centro del palco le conferiva un'aurea angelica. Innocente. Fu la prima parola che Rachel associò a Brittany S. Pierce quando la vide per la prima volta quel mattino. Infatti, il riflettore puntato su di lei era bianco, così come il nastro legato al suo polso. La bionda cominciò a danzare e persino la sua danza era diversa dalle altre. Niente rabbia, niente odio, niente vendetta, niente maliziosa sensualità. Solo dolore e rassegnazione.
 
Che cosa ci faccio qui? Dicono che io abbia tagliato la testa a mio marito Artie mentre era tenuto fermo dal mio amante. Ma è una bugia. Tutto è iniziato due anni fa, quando
accompagnai il mio uomo ad una festa che aveva organizzato per i suoi dipendenti. Quell'ambiente non faceva per me, tutti erano così freddi e distaccati e non sembravano
intenzionati a stringere amicizia. Me ne stavo triste e sola in un angolino mentre Artie discuteva con alcuni soci e vagavo per la stanza con lo sguardo, fin quando non lo posai
su uno dei camerieri e il mio cuore perse un colpo. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto e quando i suoi occhi incrociarono i miei per la prima volta, sentii di 
essermene innamorata. Cominciammo ad incontrarci di nascosto e quando tornavo a casa la sera e mi addormantavo accanto a mio marito, non sentivo alcun senso di colpa.
Più mi allontanavo da lui, più svelavo i nostri segreti e parlavo della nostra agiatezza economica col mio amante. Non potevo sapere, proprio non potevo prevedere cosa
sarebbe successo. Mi fidavo ciecamente di lui e questo è stato l'errore più grave che io abbia mai commesso.
Una sera tornai a casa dopo un pomeriggio di shopping con la mia migliore amica e con sgomento trovai il povero Artie immerso in una pozza di sangue, la gola tagliata, che non
dava segni di vita. Ero scioccata, tentai di scuoterlo e lo chiamai, ma lui non rispose, ovviamente. Per prima cosa telefonai il mio amante, lui mi avrebbe aiutata, ne ero 
convinta. Dopo avergli raccontato l'accaduto, mi stupii parecchio nell'udirlo ridere. Era una risata malefica, come mai ne avevo sentite prima d'ora. Mi rivelò che era stato lui
l'omicida e che per tutto quel tempo mi aveva usata per accedere al conto in banca di mio marito. Sarebbe scappato con sua moglie dopo aver cambiato identità. Aveva persino
una moglie, quell'uomo spregevole! Ed io che l'avevo amato, che l'avevo preferito a colui che avevo sposato! Avvertii la polizia e degli agenti sopraggiunsero quasi 
immediatamente. Con le mani ancora sporche di sangue, fui portata in commissariato per essere interrogata mentre loro analizzavano la scena del crimine. 
Non capisco perché mi portarono qui. Tentai di spiegar loro la verità, ripetei più volte d'essere innocente, ma non mi credettero. Mi dissero che tutti gli indizi ritrovati sul luogo del 
delitto conducevano a me, che c'era un complice, ma non riuscivano bene ad identificarlo. Quando diedi loro il nome del mio amante, mi risposero che avevano fatto delle 
ricerche e che era risultato inesistente. Mi consideravano pazza, infondo non ero conosciuta nel quartiere per la mia intelligenza. Ormai per loro ero la colpevole, un'assassina. 
Tutti i soldi di Artie erano stati rubati da quel mostro e così non potei neanche permettermi un avvocato che mi difendesse. Era la fine di tutto. Ed oggi, mi ritrovo qui, sola e
impaurita.
 
Quando Brittany gliel'aveva raccontato quel pomeriggio a pranzo con gli occhi lucidi, gli stessi occhi di Rachel si erano riempiti di lacrime. Dopo essersele asciugate con cura, sentì di doverglielo chiedere. Voleva una conferma.
<< Sì, capisco, Brittany, ma... sei stata tu? >>
La bionda si bloccò un attimo. Anche Rachel dubitava di lei, delle sue parole, la considerava fuori di testa, una bugiarda. Perché nessuno le credeva? Che aveva fatto di male per meritarsi un trattamento del genere? Tuttavia, si ritrovò a scuotere la testa con delusione e a rispondere.
<< Uh-uh, non colpevole! >>
Allora la mora allungò la mano sinistra per afferrare la sua, la guardò dritto negli occhi ed esclamò sincera: << Ti credo, e ti giuro che farò di tutto pur di aiutarti ad uscire di qui. Tu non meriti di morire >>
Sì, perché la poveretta era prossima a percorrere il braccio della morte per l'omicidio che il suo amante aveva commesso. All'esclamazione di Rachel constatò che si sbagliava, l'ebrea non pensava fosse pazza, bensì le credeva e aveva acceso in lei un barlume di speranza! La mora avrebbe mantenuto la parola senza dubbio. Se l'avvocato Anderson non sarebbe riuscito a salvare lei, allora avrebbe salvato Brittany. Se non era colpevole sul serio non sarebbe stato difficile con un buon difensore uscire di lì. L'ex-cantante si compiacette del suo altruismo, che non mancava mai di dimostrare, neanche in una situazione disperata come quella. Anche se era malata di manie di protagonismo e spesso veniva definita antipatica ed esibizionista, quando qualcuno necessitava di una mano, lei non esitava a porglierla. Ma non era bontà disinteressata, quello era un ennesimo metodo per mostrarsi superiore a chiunque altro. Brittany l'avrebbe ricordata e le sarebbe stata grata per sempre; magari avrebbe persino raccontato la vicenda a qualche giornalista e lei sarebbe passata alla storia come un'eroina!
 
He had it coming, he had it coming...
 
La semplicità e l'amarezza del momento si persero nell'aria quasi immediatamente, mentre la canzone riprendeva i suoi ritmi sensuali ed aggressivi e la quinta "allegra" assassina sopraggiungeva al centro del palco. Con i suoi tratti angelici, gli occhi verdi e i capelli biondi legati in uno chignon, era la più bella del gruppo, insieme a Santana e a Brittany. Aveva colpito Rachel sin da subito con il suo dimostrarsi sempre calma e a suo agio, come se fosse al centro commerciale invece che rinchiusa in una cella. Quest'atteggiamento l'affascinava e la preoccupava allo stesso tempo, perché di solito i criminali più pacati sono anche i più pericolosi. E quella donna pacata lo era fin troppo.
 
Mia sorella Frannie ed io portavamo avanti uno spettacolo di varietà, e mio marito Noah Puckerman viaggiava con noi. Ci eravamo conosciuti al liceo: io ero la capo
cheerleader, lui un prepotente giocatore di football. Eravamo i più popolari della scuola, era ovvio che prima o poi ci saremmo messi insieme, e così fu. Inizialmente era solo
una questione di fama, ma poi si è trasformato in qualcosa di più. Ero sinceramente innamorata di lui e lui professava di amarmi a sua volta. L'unico momento di crisi nel nostro
rapporto ci fu nell'ultimo anno di liceo, quando avremmo dovuto scegliere quale università frequentare. Puck voleva seguire le orme di suo padre e diventare un poliziotto, io
invece desideravo continuare a studiare danza, poiché lo facevo da quando ero piccolissima e sentivo che era ciò che desideravo fare nella vita. Così ci separammo, ma 
dopo pochi mesi di lontanza ci rendemmo conto di non riuscire a vivere senza l'altro e ci incontrammo nella nostra città natale per riprendere la nostra relazione. Decidemmo
di intraprendere una storia a distanza; fu molto difficile, ma noi ci impegnammo pur di non tradirci a vicenda e mantenere il rapporto vivo nonostante le difficoltà. Infine
realizzammo entrambi i nostri sogni. Ci sposammo quasi subito dopo la laurea e ci trasferrimmo qui a New York. Dopo un po' ci raggiunse mia sorella, poiché anche
lei danzava e avevamo deciso di lavorare in questo settore insieme. Le ero molto affezionata, era l'unica persona al di fuori di Noah che io avessi mai amato. Ora, dal
momento che i nostri spettacoli avevano riscosso un gran successo nella Grande Mela, partimmo per un tour nelle città più importanti dell'intero Paese. Mio marito volle
assolutamente seguirci ed abbandonò il suo lavoro per concentrarsi solo ed esclusivamente sulla mia carriera. La nostra esibizione era abbastanza impegnativa e per l'ultimo
atto facevamo 20 diverse acrobazie: uno, due, tre, quattro, cinque, spaccata, aquila ad ali spiegate, capriola all'indientro, un'altra capriola... Una dietro l'altra.
 
E mentre diceva ciò, Quinn Fabray (questo era il suo nome), con l'aiuto di alcuni ballerini, eseguiva alcuni di questi giochi acrobatici. Quando ebbe finito di elencarli, proseguì col suo racconto.
 
La sera precedente all'ultima tappa del tour ci trovavamo all'hotel Cicero, noi tre a bere champagne, scherzare e a farci quattro sane risate in famiglia. Finisce il ghiaccio, quindi
esco per andare a prenderne un altro po', ma sulla via del ritorno vengo intrattenuta da alcuni fan. Adoravo interagire con i miei ammiratori, in fondo era grazie a loro che ero
dov'ero e scambiare delle chiacchiere con loro mi sembrava un segno di riconoscenza. Qualche minuto dopo torno alla nostra stanza, apro la porta... e ci sono Frannie
e Puck che eseguono il numero 17: l'aquila ad ali spiegate.
 
L'espressione della bionda si irrigidì e una luce rossa come il sangue illuminò la stanza. La musica si era fermata e in quel luogo indefinito regnava un silenzio tombale che sembrò durare secoli. Almeno fin quando non fu interrotto dalla voce della Fabray.
 
Be', ero in un tale stato di shock, la vista mi si era totalmente oscurata, l'ultima cosa che ricordo è l'immagine della mia mano destra mentre afferra la pistola carica che mio
marito portava sempre con sé... Ed è stato solo tempo dopo, mentre mi stavo lavando il sangue via dalle mani che ho scoperto che erano morti!
 
Mentre lo diceva, fece scivolare due nastri rossi dai palmi delle mani, che stavano a simboleggiare il sangue che aveva versato. Rachel non aveva torto, Quinn era sì la più bella, ma anche la più letale e, sicuramente, la più arrabbiata. Cantò il ritornello da sola, le altre assassine si limitarono ad armonizzare e a fare da coro.
 
They had it coming
They had it coming
They had it coming all along
I didn't do it
But if I'd done it
How could you tell me that I was wrong?
 
Perché lo stava negando?, si chiese l'ebrea. Era perché non riusciva a crederci che si comportava con aria così indifferente?
 
They had it coming
They had it coming
They had it coming all along
I didn't do it
But if I'd done it
How could you tell me that I was wrong?
 
E fu così che il riflettore fu puntato sull'ultima donna. Come aveva presupposto Rachel, si trattava di una ragazza di colore, dai lunghi capelli neri e lisci sciolti sulle spalle. Il suo nome era Mercedes Jones e come le altre, portava con sé un nastro rosso che avrebbe utilizzato sicuramente durante il suo assolo.
 
Amavo Sam Evans più di quanto possiate immaginare. Anche noi ci eravamo conosciuti al liceo, frequentavamo entrambi il Glee club e la prima cosa che avevo notato di lui
era stato il suo innato talento. Ci siamo messi insieme durante l'Estate che separava il terzo dal quarto anno scolastico e abbiamo trascorso insieme le migliori vacanze di sempre.
Oltre ad essere un artista, un bravo musicista, era un ragazzo molto sensibile. E bello. Con i suoi capelli biondi e le grandi labbra rosse come ciligie. Ero certa di aver 
trovato il mio Principe Azzurro, perciò, quando mi chiese di andare a convivere dopo il diploma, non esitai a dire di sì. Ci guadagnavamo da vivere cantando e suonando in
diversi locali newyorkesi, alle feste e ai matrimoni. Eravamo felici, ma Samuel era tormentato dai suoi demoni interiori. Mi ripeteva spesso di avere dei dubbi sulla sua identità,
di non sapere quale fosse davvero il suo posto nel mondo e quale fosse il suo ruolo nella vita. Il dilemma di tutti gli artisti, insomma. Ecco perché ogni sera usciva e andava
alla ricerca di se stesso. E sulla via trovava Ruth, Gladys, Rosemary e un certo... Alvin Lipschitz. Lo scoprìi dopo aver trovato delle tracce di rossetto sul colletto della sua
camicia. M'insospettii ed inagaggiai un detective privato affinché indagasse sulle sue frequentazioni. Ma non fu questa la ragione della nostra separazione. Più che altro, potreste
dire che abbiamo rotto per divergenze artistiche. Lui si vedeva vivo, ed io lo vedevo morto.
 
That dirty bam, bam, bam, bam, bam.
That dirty bam, bam, bam, bam, bam.
 
They had it coming
They had it coming
They had it coming all along
'Cause if they used us and they abused us
How could you tell us that we were wrong?
 
He had it coming
He had it coming
He only had himself to blame
If you'd have been there
If you'd have seen it
I bet that you would have done the same!
 
In quello che sembrò un attimo, le sei allegre assassine terminarono la canzone e si ritrovarono dietro le sbarre, proprio dove l'avevano cominciata. E, sovvrapponendosi l'una con l'altra, ripetevano le frasi principali dei loro racconti, quelle che rappresentavano la brutalità degli omicidi che avevano commesso.
 
<< Fa' pop con quella gomma ancora una volta... >>, diceva Tina.
<< Single col cazzo! >>, la sovrastava Sugar.
<< Dieci volte! >>, ripeteva Santana nel frattempo.
<< E' una bugia >>, aggiungeva subito Brittany.
<< Il numero 17: l'aquila ad ali spiegate >>, esclamava contemporaneamente Quinn.
<< Divergenze artistiche >>, concludeva Mercedes.
 
Poi ciascuna cantò nuovamente il titolo della propria storia, questa volta con una lentezza quasi esasperante.
 
Pop! Six! Squish! Uh-uh! Cicero! Lipschitz!
 
E la prigione le inghiottì con il tipico tonfo sordo dei cancelli di metallo che si chiudono.
 
Rachel spalancò gli occhi di scatto. Era stato tutto un sogno. Un sogno di una lunghezza estenuante, ma così vero e brutalmente sincero da farle credere che fosse realtà. Aveva assaporato la libertà che tanto le mancava durante quel sogno. Era uscita dalla sua cella ed era tornata a contatto con il suo elemento: la musica. Anche se non era stata lei a cantare quelle note, la sensazione era comunque stata piacevole. La prima cosa che le venne in mente al suo risveglio, fu la morte di Jessie St. James, che lei stessa aveva causato. Ma adesso guardava al passato da una nuova prospettiva e con una nuova consapevolezza. Se prima aveva avuto dei dubbi sulla moralità del suo gesto ed era combattuta dal'indecisione tra l'essere dispiaciuta per quell'uomo e non pentirsene affatto, essi erano scomparsi. Rach era giunta alla conclusione che ormai era inutile piangere sul latto versato: quel che è fatto è fatto, non poteva più tornare indietro e si sentiva come se avesse fatto un favore all'umanità eliminando un essere così perfido e calcolatore. Le cinque allegre assassine non avevano mai e poi mai avuto torto: in fondo quel St. James non era così diverso dai loro mariti o amanti o fidanzati; Rachel gli aveva donato il meglio di lei e lui era sul punto di venderla, la stava usando per raggiungere i suoi scopi di fama e di ricchezza, aveva intenzione di abusare di lei, e se l'aveva spinta ad ucciderlo la colpa era stata solo e soltanto sua.
Se l'era proprio cercata.
  
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