«Oh,
no! Oh, no no no! Alice, ti prego, no!»
Non era
mia intenzione offenderla, giuro.
Ma
non potei proprio trattenermi quando la vidi volteggiare con grazia attraverso
la sua stanza, mimando una danza sensuale che voleva imparassi.
«Che c’è
Bella, non mi vuoi abbastanza bene da accontentare questo mio piccolo,
insignificante capriccio?», mormorò accorata.
Stavo
scoprendo in quei giorni tanti piccoli particolari della mia futura famiglia
che sarebbero stati sufficienti a far fuggire qualsiasi altro essere umano.
Emmett,
per esempio, mi sfiniva con battute e commenti lascivi, e si era di recente
auto proclamato mio insegnante ad honorem.
Senza
lasciarmi possibilità di fuga, mi costringeva a lunghe lezioni nella sua
stanza, spiegandomi i rudimenti delle arti seduttive.
«Ecco, la
mano deve stare appoggiata qui», spiegava, facendo seguire alle parole le
dimostrazioni pratiche.
La prima
volta mi aveva preso una mano, posandola con delicatezza sulla sua gamba.
Quando,
con un brivido di imbarazzo e rossa come un peperone,
l’avevo fatta scivolare verso il ginocchio, mi aveva preso il polso lanciandomi
uno sguardo ammonitore. «No Bella, no. Non così in
basso. A metà gamba, così puoi toglierla se il ragazzo è infastidito, o farla
salire se dimostra di apprezzare», aveva concluso
ammiccando.
«Emmett, di quale “ragazzo” stiamo parlando, precisamente?».
Immancabilmente,
Emmett scoppiava a ridere, e via all’insegnamento successivo.
Se non
altro dopo quell’imbarazzante lezione non aveva più dato mostra di volermi spiegare
anche il lato pratico delle arti che si affannava tanto ad
insegnarmi.
Rosalie,
d’altra parte, si divertiva a stuzzicare il mio
decisamente alto senso del pudore con l’aggiunta di ampi e dettagliati compendi
alle lezioni di Emmett.
La sua
materia preferita era il look.
«Allora,
Bella, ripetiamo. Come ti vesti per andare in
discoteca?» mi chiedeva appena mettevo piede nella sua stanza, agitandomi una
bacchetta davanti agli occhi ad ordinarmi di andare al
suo nutrito guardaroba.
Doveva
essere una specie di mantra, per lei.
La
domanda “come ti vesti per andare in discoteca?” era evidentemente parte
integrante del suo DNA.
A quella domanda
seguiva sempre un mio sospiro rassegnato, e indicando i
vestiti mano a mano che li nominavo, rispondevo sussurrando: «Se sono con
le amiche, una minigonna nera di pelle, un top aderente nero, tacchi alti,
matita, fard, ombretto e capelli legati in uno chignon. Niente calze, sono
fuori moda. Se invece sono con Edward, jeans o pantaloni neri, una maglia
elegante ma non troppo scollata, stivali con il tacco basso, un velo di cipria
e capelli sciolti».
La
risposta era sempre la stessa.
Quantomeno,
Rosalie pareva soddisfatta.
Ovviamente
non avevo la minima intenzione né di entrare in una discoteca, né tantomeno di
entrarci vestita come secondo lei era “di moda”.
Ma
per soddisfarla e mettere fine a quelle torture avrei fatto qualsiasi cosa.
Oh, avevo
cercato di resistere. All’inizio.
Le prime
volte mugugnavo qualcosa come: «Non metterò mai e poi
mai piede in discoteca! E’ una domanda inutile, Rose!».
Poi mi
ero trovata a sguazzare nelle acque del fiume vicino a casa Cullen, e dopo la
terza volta avevo deciso che accontentare le sue manie di stilista rispondendo
a qualche innocente domanda non sarebbe stato un grande sacrificio.
Poi venivano le lezioni di Jasper. Le
più tranquille, in un certo senso, e in un certo senso anche le più
imbarazzanti.
Con lui studiavo l’arte del “controllo”.
E, più precisamente, imparavo a “controllare i miei ormoni
impazziti”, che secondo Jasper si scatenavano con tutto il loro vigore ogni
volta che avvistavo Edward all’orizzonte del mio campo visivo.
Che posso farci se è irresistibile?
«Dimmi, Bella», aveva detto alla
sua prima “lezione”. «Trovi sexy un pomodoro?».
Un pomodoro? Che razza di domanda era?
«Jasper…»
«Ascoltami. Tutto quello che voglio è non impazzire di desiderio ogni volta che vedo te e
mio fratello insieme. E’ piuttosto imbarazzante, mi capisci? Voglio dire, non
solo è mio fratello, e questo biologicamente parlando è piuttosto discutibile. Ma è un uomo,
Bella. Non posso stare sempre all’erta e bloccare i tuoi ormoni in subbuglio».
Questo era stato tutto quello che, secondo lui, meritavo
di sapere.
Poi, mi aveva ordinato di pensare ai pomodori tutte le
volte che sentivo il desiderio di un rapporto meno…
casto con il suo irresistibile fratello.
All’inizio era stato facile… o difficile, a seconda dei punti di vista.
Non tanto pensare ai pomodori – cosa che, di per sé, è
piuttosto semplice – quanto più che altro non pensare a Edward.
E non pensarci in determinate situazioni, soprattutto.
Edward sotto la doccia. Edward in costume da bagno. Edward
sdraiato sul letto. Edward dal fisico scolpito, un blocco di
marmo levigato e modellato da un secolo di perfezione.
Non è cosa che si possa dimenticare facilmente, questa.
Per amore di Jasper ci avevo provato, e il risultato fu
che quando esplosi, lo feci sul serio.
Eravamo tutti in salotto, quella sera, a guardare un film
che i Cullen avevano visto almeno quindici volte.
Io ero solo alla terza.
Edward si era mosso sul divano, accavallando le gambe, il
suo braccio freddo a farmi da cuscino.
Bè, non avevo resistito. Non sono una santa, dopotutto.
Le situazioni più assurde si mescolavano ai pochi ricordi
che avevo di un Edward sexy e bellissimo, e il
desiderio mi travolse come una marea.
Jasper mi aveva lanciato uno sguardo allarmato, e come un passaparola il turbamento aveva investito tutta la famiglia.
Emmett si agitava sul divano inveendo contro il
protagonista del film, la cui unica colpa era quella di
recitare un copione scritto apposta per lui; Rosalie sbuffava, implorando il
suo aitante fidanzato di portarla in camera; Alice piroettava per la stanza,
lanciando gridolini entusiasti davanti agli occhi stupiti di Jasper; Carlisle
ed Esme si guardavano, ai lati opposti del divano ad angolo, con smania e
desiderio.
Ed Edward… ah, Edward! Pur cercando
di controllarsi, mi sfiorava dolcemente le spalle nude con la punta delle dita,
facendomi venire i brividi, con movimenti lenti e sensuali.
Avevo creduto di impazzire sul serio in quel momento.
Pensavo che gli sarei saltata addosso, e poco importava
che ci fosse tutta la famiglia presente.
Secondo Jasper, quel giorno abbiamo evitato il disastro
per un soffio.
Ci erano voluti parecchi minuti prima
che riuscisse a calmare la sua famiglia impazzita e riportasse tutto alla
normalità.
Dopo quell’episodio, controllare i miei ormoni era
diventato un tantino più facile.
Di tutta la famiglia Cullen solo Carlisle non aveva
cercato di fare sua la professione dell’insegnante.
Perfino Esme, la dolce Esme, si era assunta
il compito di istruirmi: doveri coniugali.
«Accudire il proprio marito»,
esordì il primo giorno, contando sulle dita, «lavare, stirare, cucinare… bè,
no, cucinare no vista la situazione… obbedire e mantenere un timido riserbo.
Queste sono le doti di una moglie. Non credere di poterti sottrarre ai tuoi
obblighi solo perché il tuo futuro marito è un vampiro, Bella»,
mi aveva raccomandato con severità.
Obblighi… parlando di obblighi, credetti si riferisse alle
regole del buon costume della sua epoca, non certo
della mia!
Presi sottogamba i suoi suggerimenti fino a quando, nel
corso di una rappresentazione pratica di una comune scena familiare, non mi
portò tutta la biancheria della casa.
Ci misi due giorni a lavare e stirare tutto. E non potevo
certo tirarmi indietro; un aiuto in famiglia era il minimo che potessi fare
verso coloro che, quotidianamente, provvedevano alla mia protezione.
Fu per questo, credo, che non mi opposi ai loro tentativi
di insegnarmi ciascuno qualcosa di diverso nella speranza di fare di me una
perfetta moglie, un’ottima amante, un’accettabile ballerina ed
una più tranquilla persona, il tutto corredato da un look impeccabile, come
secondo Rose era giusto che fosse.
Edward, d’altra parte, non faceva assolutamente niente per
fermare la sua sciagurata famiglia.
A volte assisteva in silenzio alle mie lezioni, cercando
di soffocare le risate.
Ovviamente non mi aiutava affatto
vedermelo davanti con espressione semi seria mentre Emmett mi istruiva sul modo
migliore di portarmelo a letto, o mentre Alice mi insegnava un nuovo passo di
danza che avrei dovuto “assolutamente provare al tuo matrimonio, Bella, questa
coreografia è fantastica!”.
In fondo è così divertente vedere la propria fidanzata in
evidente imbarazzo!
Perché avrebbe dovuto rinunciare, pensavo con malcelata
amarezza.
Ma quando Alice mi si presentò davanti vestita di veli,
pronta ad insegnarmi la danza del ventre – grazie al
cielo Edward era a caccia, quel giorno - mi ribellai.
Non che avessi altra scelta davanti al suo sguardo triste,
al labbro tremolante e a quell’accusa di insensibilità
che mi vidi rivolgere.
Un ricatto?
Ebbene si, era uno sporco
ricatto.
Ma avevo forse alternative?
«Alice, ma certo che ti voglio
bene. Ma non puoi chiedermi…»
«Posso», sentenziò lei senza accettare scuse. «Posso e lo farò! Adesso avanti, alzati. Abbiamo una danza
da imparare».
«Alice…», piagnucolai avvilita.
Non avrebbe sentito ragioni, questo l’avevo capito.
Ma avevo almeno una minima
possibilità di apprendere i rudimenti della danza del ventre vestita
normalmente, senza essere coperta solo da quei veli semi trasparenti?
No, a quanto pareva no.
Erano necessari per la libertà di movimento, mi spiegò con
un sorriso.
«Forza Bella, non fare la bambina.
Dobbiamo muoverci, devo assolutamente sperimentare una nuova acconciatura!»
Ecco. Il mio inferno.
Le mie disgrazie avrebbero mai avuto fine?