25 Febbraio 1947.


Quella dannata data.
L'avvenimento sensazionale accaduto in quel giorno rimane nel cuore di Elizaveta come un macigno impossibile da rimuovere.
Le immagini un po' sfocate sono insediate nella sua mente, una dietro l'altra, veloci, impossibili da rimuovere.



E' sera.
Elizaveta è a casa sua, mentre dalla finestra si possono notare che dal cielo scuro cadono delicati fiocchi di neve tipici dell'inverno che sta per volgere al termine. 
Il fuoco ancora scoppietta allegramente nel camino, mentre l'ungherese, sola come al solito in casa, si alza dal divano, con una coperta che l'avvolge, cercando un libro sulle fiabe. Certo, sembrerebbe un gesto altamente infantile, ma passa la magigor parte delle seri d'inverno così. Leggendo libri per bambini, vicino al calore accogliente del focolare, soffre meno la solitudine.

E anche la mancanza di Gilbert.

Non ce l'ha materialmente affianco a sé da quando è scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, dall'invasione in Polonia da parte dei tedeschi il 1° settembre 1939.
Si erano sentiti tramite lettere, nulla di più. 
Parevano due calamite, una di polo positivo e una di polo negativo, che si cercavanoe si attraevano, per non staccarsi più.


[ ... ]


Terminato il libro, è pronta ad andare a letto, senza però aver bevuto prima una bella cioccolata calda. Sente bussare alla porta e ancora con la tazza bollente in mano, corre verso il pianerottolo e apre, trovandosi davanti un soldato tedesco che pare, oltre che infreddolito, stravolto.
Un po' curiosamente lo fa entrare in casa, infischiandosene di non essere nelle condizioni adatte per ospitare qualcuno.

« Buon uomo— com'è finito qui? »

Chiede cortesamente, facendolo sedere sulla poltrona, mentre lei si sistema pigramente sul divano. L'uomo, che non riesce a parlare, apre la bocca e non esce alcun suono. L'ungherese aggrotta le sopracciglia, rimanendo perplessa— ma che diamine è successo di così grave? Qualche relazione internazionale è sfociata in rivalità?

« Signorina.
Oggi, 25 febbraio 1947— »

Il giovane deglutisce, prima di terminare quello che doveva dire.

« La Prussia è stata cancellata dalle cartine; ha cessato di esistere.
Quindi è scomparso anche il signor Gilbert Beilschmidt. »

Un colpo inferto al cuore, improvviso, non previsto.
Elizaveta rimane per qualche attimo incapace di formulare una frase di senso compiuto e non sa come reagire. 
Le cade dalla mano destra la tazza di cioccolata, ormai quasi raffreddata, che si sfracella indecorosamente sul pavimento.
Pensieri.
I pensieri si susseguono nella sua mente, ballerini e leggiadri. 
La loro infanzia.
I loro continui e imperterriti battibecchi.
La divisione definitiva con l'unione tra Austria e Ungheria.

Gli occhi verdi di Elizaveta sono come spenti, non trasmettono nulla.
Sembra morta pur lei, come Gilbert.
Ha il forte di desiderio di raggiungerlo, peccato che non possa farlo.
Non si esprime, non si lamenta. Rimane a fissare come assorta il vuoto, mentre lentamente le lacrime cariche di dolore le rigano le guance.


Sarebbe bello poter resettare tutto.
Tornare a quando erano infanti, quando lei era semplicemente Ungheria e lui l'Ordine Teutonico, quando affrontavano delle comuni guerricciole e si addormentavano sfiniti e spossati dalle battaglie sul prato.
Bei tempi.

Ma impossibile è tornare a viverli.