'Cristo.'
Entro nell'appartamento come una sconosciuta, aggirando
rifiuti di giorni, vestiti ed alcuni mobili spostati alla rinfusa che
ostruiscono quasi completamente il passaggio dall'ingresso al salotto, ridotto
forse peggio.
Peccato che questo buco sia anche mio.
Le finestre sono come sempre spalancate, alla faccia della
prevenzione contro i furti, ma l'aria è rimasta comunque viziata, come sporca,
e la luce che filtra a quest'ora tarda del mattino mette in risalto le migliaia
di polveri che nuotano sospese al suo interno, rendendola densa.
Le vibrazioni della metro appena sotto il palazzo fanno
tremare le sottili pareti in cartongesso e la loro carta strappata in più
punti, ma il suo rumore lascia presto spazio al fruscìo della televisione,
accesa da chissà quanto su un canale inesistente.
Mi faccio strada in quel campo minato, diretta verso il
tavolino dove afferro il telecomando senza nemmeno più far caso alle
innumerevoli bottiglie vuote, cartine, ceneri e quant'altro lì sopra. Mi limito
ad arrestare quel fastidioso rumore che inizia a torturarmi la testa.
'Quante volte ti ho detto di non fare questo macello in
casa?' urlo verso la camera da letto a pochi passi da me, ancora immersa nel
buio.
Silenzio.
Odio non ricevere risposta, perciò inizio rumorosamente a
mettere in ordine, come a condannarlo per quest'ennesimo affronto.
E' il prezzo da pagare, caro. Fottiti, fai quel cazzo che ti
pare, ma non distruggermi la mobilia.
Si, sono dannatamente cinica, ma a volte viene proprio dal
cuore.
'Fottiti. Fottiti. FOTTITI.' ripeto, non accorgendomi di
farlo a voce sempre più alta, e ogni mia ripetizione è una bottiglia di birra
che si infrange ai miei piedi. E sono tante, potete giurarci.
Fossero state lattine avrei avuto meno lavoro da fare dopo,
ma il vetro è più soddisfacente, credetemi. E' quasi liberatorio.
'Si può sapere che cazzo stai facendo?'
Esce dalla stanza ancora stordito dai postumi di quella che
presumo sia stata una sbornia colossale, a piedi nudi, con solo un paio di jeans
logori addosso. E' talmente magro che anche la taglia più piccola gli veste
larga, scivolando sulla sua vita fino a mostrare un pezzo dei suoi boxer neri.
Probabilmente la maglietta che indossava ieri sera è buttata da qualche parte
sul pavimento di là, sporca del suo acido intestinale.
Magari una delle tante che gli ho regalato io e che ora
mette tanto distrattamente da profanarle con il rifiuto delle sue budella.
Mi sta bene. Mi sta bene un cazzo.
'Secondo te che cazzo sto facendo? Le sto mettendo a posto
la reggia, mio principe!' dico sarcastica buffoneggiando un fare servile.
'Bah, piantala.' mi risponde lui con un cenno distratto,
infastidito.
'Certo, come vuoi!' continuo con un tono di voce decisamente
alto.
Non me ne frega niente, voglio che tutti i coinquilini
sentano, seppur questi non sappiano nemmeno della loro stessa esistenza. Anime
perse in un mare di nulla. Ma in fondo non lo siamo anche noi?
'Ti prego, smettila di urlare, mi sta scoppiando la
testa...' dice in una smorfia di dolore, tenendosi una tempia. '... e il
risveglio non è stato dei migliori.' aggiunge poi, con un chiaro riferimento.
'Oh, scusami tanto! Gradivi forse la colazione a letto? Eh?
Peccato che sia quasi ora di pranzo e in questa casa non ci sia nulla di non
ancora andato a male. Tu e la tua fame chimica...' gli faccio sprezzante
aprendo tutti gli sportelli della cucina, come ad enfatizzare le mie ultime
parole.
'Se sei venuta per criticare quella è la porta.' mi risponde
lui secco, prendendo il pacchetto di rosse sul tavolino e infilandosene una tra
le labbra.
Mi fermo un secondo, forse due, a guardarlo.
Se non me ne sono ancora andata è anche per quelle labbra,
maledetto.
'Sei davvero simpatico, sai? Anzi, no. Sei proprio un
genio!' sbotto ironica con un sorriso al limite del falso , ma dannatamente
voluto.
'Lo so, per questo sei ancora con me...' Sorride anche lui,
talmente consapevole da spiazzarmi, mentre accende la sigaretta penetrandomi in
un lampo con quei suoi due occhi azzurri, ancora troppo gonfi, ancora troppo
rossi per tutto il veleno della scorsa notte.
'Piantala... ' gli dico con un filo di voce, già conoscendo
le sue intenzioni, la sua mossa successiva.
Perché non è la prima volta che accade. Che combina un
macello, che io me ne vado, che continua a fottersi, che io torno sui miei
passi, che mi guarda in quel modo,
Mi mangia con quei suoi occhi. Fanno l'amore con me.
che si avvicina piano scontrandosi poi col mio corpo di
ghiaccio, una lastra troppo sottile per resistere al suo calore.
'Perché?' mi domanda lui con le sue labbra, QUELLE labbra
che ora lente sfiorano il mio orecchio, inumidendolo con il suo respiro.
Le sue mani bruciano sui miei fianchi, e non è il tabacco
tra le sue dita, ma queste stesse.
Cerco di scostarmi, ma lui continua a seguirmi con lo
sguardo, con tutto il suo volto ed il suo corpo ormai praticamente incollato al
mio. Tenta di braccarmi. Anzi, l'ha già fatto.
'Dai, dimmi perché...' continua, stavolta scandendo le
parole sulle mie labbra, stringendo di più la presa.
I suoi capelli cadono a ciocche sfiorandomi il viso. Il loro
nero fittizio rende ancora più netto il contrasto con le sue sopracciglia
chiare, quasi bionde, e la sua pelle bianca.
Non li lava da giorni, non si lava da giorni, ma non glien'è
mai fregato un cazzo.
Ecco il punto.
Non gliene frega niente del mondo, né tantomeno di questa
topaia di appartamento o di me, e men che meno di sé stesso, sempre imbottito
di veleno com'è.
Più che altro disprezza tutto, ne è deluso. Saturo.
Eppure in questo in fondo ha ragione. Ha testa, e a volte
riesce anche ad usarla, quando non è preda della sua autodistruzione o del suo
agire esasperando troppo le cose.
Le parole che sono uscite dalla sua bocca non le ho mai
sentite uscire da nessun'altra. Mi han preso lo stomaco come libellule
impazzite, altro che semplici farfalle. Troppo banali. Mi han fatto tremare di
emozione, quella vera che senti dentro di botto, violenta, e che poi si
impossessa completamente di te come se scorresse nelle tue vene, facendoti
tremare.
Ecco perché sono ancora con lui, ecco perché me ne vado, ma
ritorno sempre.
Cristo, quanto mi fa rabbia.
Gli blocco i polsi, che lenti stavano già relazionandosi con
la mia pelle, sotto la maglietta.
'Non mi va. Finiscila.' gli rispondo secca.
'EHN. Risposta sbagliata!' Sta giocando.
Si diverte, lui, ma sta diventando pesante. E probabilmente
non se ne rende conto, ma mi sta facendo male, e non soltanto dentro.
Esagera, come al suo solito.
Lo spingo via prima che il banco del piccolo angolo cottura
dietro di me mi tagli la schiena per il suo lento ma intenso movimento, ma
subito mi riafferra con la sua mano ruvida. Stavolta il viso.
E' un attimo.
Il mio palmo si scontra sonoro con la sua guancia, facendolo
finalmente arretrare.
La sua sigaretta non ancora al filtro precipita al suolo, ma
non è un danno in mezzo a tutto quel porcile. E' piuttosto un dramma per lui.
Ama godersele fino in fondo, un pò come tutto il resto. Fondi di bottiglia
compresi, ovviamente.
Mi guarda stupito coprendosi la 'ferita' di questa nostra
intima e stanca guerra, mentre io mi congedo determinata.
Ma non è affatto una resa. E nemmeno pietà.
'Sei uno stronzo.'
Gli passo di fianco scandendo bene questo concetto, per poi
uscire nuovamente dall'appartamento, come due giorni fa, per l'ennesima volta,
ma stavolta senza bagaglio, senza più badare a cosa pestano i miei piedi.
Seguo lo stretto corridoio del pianerottolo per poi uscire
dalla finestra in fondo, perennemente rotta, perennemente aperta, che dà sulla
scala antincendio, ma ignorata dai vari sciacalli e topi d'appartamento in
quanto qui non avrebbero nulla da rubare. In questo stabile solo topi di natura
animale al cento per cento. Potrebbero farci un cartello.
Dire che abbiamo culo sarebbe una grande battuta di spirito.
Mi siedo sull'acciaio appena scaldato dal sole mentre infilo
a fatica una mano nella tasca dei miei skinny per tirare fuori le mie light
morbide.
Chi se ne fotte se ne fumo oltre venti al giorno, tanto sono
leggere.
Adoro sparare queste cazzate.
Il problema è che senza accendino non posso fumare proprio
un beneamato nulla, e solo in questo momento realizzo di non averlo con me.
Sbuffo con la sigaretta incollata alla sottile pelle delle
mie labbra, quando uno di quegli aggeggi a gas, ora per me il Santo Graal,
compare magicamente ad un centimetro dal mio naso.
Magia un cazzo, la mia fiamma salvatrice è seguita dal mio
odiato quanto amato lui.
Finalmente si è messo una maglietta, e con mio grande
stupore noto che è apparentemente pulita.
Si, anche questa è uno dei miei regali. Uno dei tanti.
In mano ha un'immancabile bionda, aperta ma stranamente
ancora intatta.
'Ti sono mancato?' mi dice ironico, ma con una punta di
dolcezza, porgendomela mentre già tiro la prima boccata di tabacco.
Fumo, nicotina, catrame, cancro in gestazione. Chiamatelo
come vi pare.
'Vaffanculo Bert.' gli rispondo, disillusa, accettando però
anche il suo secondo 'dono'.
Cristo, manco fosse uno dei Re Magi.
'Prego tesoro, anch'io ti amo!' mi fa, sedendosi accanto a
me.
Tenta di smorzare i toni, ma con scarsi risultati. Poi
cambia approccio, arrivando così al dunque. 'Ehi...' Mi accarezza cauto una
spalla, quasi avesse paura di rompermi, o di buscarsi un altro mio schiaffo.
'Mi spiace. Io non volevo...' mi dice pentito.
Lo sembra davvero.
Un altro mio sospiro. Guardo la cenere infilarsi tra i
piccoli rombi della piattaforma su cui siamo, per poi cadere leggera. In basso,
sempre più in basso.
'Mi spieghi perché...' Sposto i miei occhi e la mia
attenzione da quel punto sotto di me a lui.
'Cosa?' mi incalza prendendomi la sigaretta dalle dita e
assaggiandone un tiro.
'Perché diavolo abbiamo scelto di abitare al quinto piano?'
gli faccio con un sorriso.
Ebbene si, l'ho rifatto. Mi sono buttata tutto alle spalle,
ancora una volta, ma è più forte di me.
So che non cambierà mai nulla, so che LUI non cambierà mai,
ma è proprio questo il punto.
A me sta bene così.
Fottuta masochista, si, ma che ci posso fare? Mi piace
dannatamente soffrire.
Per lui. Con lui.
'Non ne ho proprio idea.' mi risponde guardando giù,
divertito e rincuorato dalla mia uscita. 'L'unica cosa che so in questo preciso
istante è che è meglio rientrare.'
Si alza di scatto e lancia la sigaretta in strada.
Due non finite, e nel giro di pochi minuti. Un record
impossibile, conoscendo bene il soggetto.
'... Anche perché inizio ad avere fame.' riprende poi,
porgendomi una mano per aiutarmi e lasciandomi entrare nello stabile per prima.
Che galanteria. Altro caso straordinario, più unico che
raro. Sono senza parole, ma allo stesso tempo non mi lascio illudere. Non più.
'Ma in casa non c'è nulla, te l'ho detto.'
'Ti sbagli.' mi sussura sul collo sfiorandomi con le mani i
fianchi, per poi superarmi con uno sguardo malizioso in volto, lo stesso che ha
mentre varca la soglia del nostro interno.
'Come fai a fottermi sempre?' dico piano, più a me stessa
che a lui.
Un piccolo sorriso si fa strada sul mio volto vedendolo già togliersi di dosso il mio regalo, uno dei tanti, davanti alla camera da letto, mentre piano chiudo la porta alle mie spalle.