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Autore: pandina90    21/05/2013    5 recensioni
"-Come ti chiami?- mi chiese il bel ragazzo davanti a me mentre si accendeva una sigaretta dopo essersi passato una mano in fronte per togliere il sudore dovuto al caldo.
-Isabella, ma gli amici possono chiamarmi Bella- risposi.
-E io come posso chiamarti?- chiese avvicinandosi ancora di più a me.
-Come preferisci-
Da allora mi chiamai Bells, solo per lui."
Due amici inseparabili. L'amore diviso dalla guerra. Un segreto nascosto e un ritorno inaspettato.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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he's back He’s back


-Nonna…-
-Dimmi piccola-
-Ti ricordi la prima volta che ti sei innamorata?-
-Se lo ricordo? Oh Alice, è come se fosse accaduto ieri-



Era un caldo pomeriggio di fine inizio, per noi in Florida era sempre estate ma quell’anno il caldo era stato veramente afoso, andavo in spiaggia ad abbronzarmi ogni attimo possibile e così mia sorella. Alice aveva un paio d’anni più di me, eravamo così simili e così diverse, insieme ne combinavamo tante da costringere nostra madre a richiamarci ogni attimo.
Pochi giorni dopo avrei compiuto diciotto anni e, un pomeriggio, uscendo dal cancello di casa intravidi un camioncino dei traslochi, una nuova famiglia si stava trasferendo accanto a casa nostra. Ero così emozionata, nuove persone con cui fare amicizia, magari qualche ragazza da portare con me a fare shopping o in spiaggia, non avevo pensato alla possibilità che in quella famiglia ci fossero solamente una coppia e il loro unico figlio di vent’anni.
-Come ti chiami?- mi chiese il bel ragazzo davanti a me mentre si accendeva una sigaretta dopo essersi passato una mano in fronte per togliere il sudore dovuto al caldo.
-Isabella, ma gli amici possono chiamarmi Bella- risposi.
-E io come posso chiamarti?- chiese avvicinandosi ancora di più a me.
-Come preferisci-
Da allora mi chiamai Bells, solo per lui.
In quelle poche settimane che condividemmo insieme, imparammo ad essere amici, migliori amici e a volerci bene, a modo nostro.
Trascorrevamo le giornate a viaggiare con la sua decappottabile, in spiaggia o in piscina, fu l’estate più bella della mia vita.
Mi resi conto di essermi innamorata del mio vicino di casa una sera quando, stesi sul tetto di casa sua, contemplavamo il cielo e le stelle pensando al futuro, pianificando la nostra vita, inventando situazioni impossibili e inimmaginabili.
-Faresti veramente la casalinga se tuo marito te lo chiedesse?- mi chiese. Ci pensai per un po’ e poi mi ritrovai a rispondere senza rendermene conto.
-Se fossi tu a chiedermelo, probabilmente si-
Calò un imbarazzante silenzio, rotto solo dai nostri respiri, il mio agitato per la rivelazione che avevo appena lasciato trasparire dalle mie parole, il suo tranquillo anche se un po’ troppo veloce.
-Bells…-
-Cosa?-
-Hai mai baciato un ragazzo?-
-Certo- non che Mike fosse chissà che conquista di cui vantarsi, ma risposi in tono offeso alla sua domanda.
-E… ci hai mai fatto l’amore, con un ragazzo?- chiese ancora, questa volta si voltò verso di me e mi fissò serio, una ruga gli solcava la fronte ed era così strana, lo faceva apparire più grande di quanto fosse.
Negai con il capo senza guardarlo negli occhi, di questo un po’ mi vergognavo. Non tanto di non averlo ancora fatto, ma di parlare con lui di tutto questo.
Lui si spostò più vicino a me e posò la testa sull’incavo del mio collo, respirò a fondo il mio odore e si addormentò lasciandomi con una grande confusione in testa.
Il dubbio mi perseguitò per alcuni giorni, finchè, il pomeriggio del mio diciottesimo compleanno venne a prendermi a casa con la sua macchina e mi accompagno da un tatuatore. Entrambi ci tatuammo due soli, lui sulle anche, io sugli avambracci. Il sole era il nostro simbolo, la nostra terra assolata, l’Arizona, eravamo il sole l’una dell’altro, illuminavamo i nostri giorni bui e le nostre serate sui tetti delle case.
La nostra felicità durò poco però, una delle peggiori catastrofi della storia si era portata via troppo vite e, come se servisse perderne altre, anche lui decise di far parte di qualcosa più grande lui, di me, di entrambi messi insieme.
-Bells devo partire, non posso permettere che delle persone abbiano perso la vita per noi senza far nulla in cambio. Andrò ad aiutare dove hanno bisogno di me…-
“Ma io ho bisogno di te, qui e soprattutto vivo“ avrei voluto dire, ma restai in silenzio.
-Sarò sempre con te- disse abbracciandomi e stringendomi al proprio petto –mi avrai al tuo fianco ogni volta che guarderai questi- indicò i miei tatuaggi sulle braccia –lasciami andare e tornerò presto da te, te lo prometto- disse ad un soffio dalle mie labbra, io annuii sconsolata ma forte, era il suo desiderio ed io lo avrei rispettato.
-Brava piccola- sussurrò prima di lasciarsi andare e catturare le mie labbra con le sue.

La sveglia mi risvegliò improvvisamente da uno dei tanti sogni che facevo ultimamente, mai gli stessi ma comunque sempre simili.
Erano le sette e mezza del mattino e alle nove sarebbe cominciato il mio turno di lavoro, mi alzai insonnolita e mi diressi verso la camera di mio figlio.
-Svegliati ometto, è ora di andare dai nonni- dissi posandogli un veloce bacio sulla tempia, lui mi sorprese svegliandosi immediatamente e saltandomi in braccio felice.
-Buongiorno mamma- mi salutò raggiante.
-Buongiorno tesoro mio- lo strinsi a me e accarezzai i capelli chiari, così simili a quelli del padre.
Un’ora dopo eravamo lavati e vestiti, pronti per uscire e spaccare il mondo, lui dall’altra parte della strada, io in ospedale. Bussammo insieme alla porta di quella casa tanto famigliare, sentimmo dei passi avvicinarsi e poi il viso sorridente di Esme.
-Buongiorno cari, vi stavo giusto aspettando per la colazione- disse felice.
-Mi dispiace Esme, io sono un po’ in ritardo, farò colazione al lavoro- dissi incoraggiando mio figlio ad entrare.
-Cosa ti vada di mangiare stamattina?- chiese lei al bambino.
-Pancakes-
-Allora corri in cucina, c’è nonno a tavola che ti sta aspettando- disse lei.
Mentre loro parlavano io mi soffermai ad osservare uno zaino militare, vistosamente consumato e liso dal tempo e dall’usura. Mi ci volle un attimo per capire che poteva appartenere ad una sola persona.
-È tornato ieri sera. Vuoi entrare e… vederlo?- io mi risvegliai dai miei pensieri sentendola parlare.
-No. Sono in ritardo, devo andare. Grazie per aver preso con te Tommy- risposi solamente –verrò a prenderlo alla solita ora, ciao- dissi prima di andarmene e sperare che il ritorno di Edward non fosse un errore.

EPOV

Ero nascosto dietro al muro del salotto ed avevo ascoltato ogni cosa. L’ultima cosa che mi aspettavo accadesse dopo il mio ritorno era sentire la sua voce dopo così tanto tempo. Una fitta di angoscia mi colpì allo stomaco, la mia mente non era stata abbastanza coerente con la realtà, ricordato il suono della sua voce diverso, più squillante, più giovanile, ma erano passati sette anni per me come per lei. Io non ero la stessa persona di allora e così lei.
Io ero tornato con qualcosa in meno e avevo trovato lei con qualcuno in più.
Casa non mi era sembrata tanto estranea come ora, abituato alla sabbia ed al sole cocente, le brande nelle tende impolverate erano un ricordo lontano, ora il mio letto comodo mi aspettava, pasti caldi preparati da mia madre, la compagnia di mio padre, l’idea di non aver trovato le cose come le avevo lasciate mi spezzò il respiro.
Ma cosa credevo? Che mi avrebbe aspettato? Che nessuno si sarebbe preso la parte migliore di ciò che avevo abbandonato andando a combattere una guerra più grande di me? Era stato un folle ed ora era troppo tardi.
-Tu chi sei?- sentii una voce acuta riportarmi al presente, abbassai uno sguardo e trovai un soldo di cacio guardarmi dal basso interessato. Gli occhi chiari e grandi, due pozze dove specchiarsi e perdersi. Non risposi, restai solamente ad osservare il bambino che pochi minuti prima era entrato in casa, accompagnato da Lei.
-Tommy tesoro, dove ti sei cacciato? Oh… Edward, non credevo di trovarti in piedi- mia madre si sorprese trovandomi già sveglio dopo il lungo viaggio di ritorno che avevo fatto dall’ospedale militare della base in Florida.
-Ti va di unirti a noi per la colazione?- chiese ancora prendendo per mano il bambino. Io annuii solamente e mi incamminai dietro di loro fino alla cucina. Trovai mio padre seduto al tavolo, così come lo avevo lasciato anni fa, mi sorrise e mi indicò la sedia accanto a se perché mi accomodassi.
Restammo in silenzio per alcuni lunghi minuti, spezzati solamente dalle chiacchiere del piccolo che sembrava essere di casa più di me li dentro, chissà quanto tempo ci passava con i miei genitori.
-Nonna, cosa facciamo oggi?- chiese allegro.
-Non so caro, potremmo farci raccontare qualcosa da Edward- disse interpellando anche me nella conversazione. Io alzai lo sguardo dalla mia tazza di caffè e li guardai dubbioso. Perché volevano sapere qualcosa di me?
-Che lavoro fai?- chiese Tommy sorridendomi. Sembrava genuinamente curioso.
-Io… sono un Marine-
-Davvero?- chiese sorpreso –wow deve essere bello fare il militare- disse avvicinandosi di più a me.
Bello? non ero sicuro che il termine adatto per definire il mio lavoro fosse “bello”. Massacrante, orribile, una perdita di vite. Ma in grado si salvarne molte altre, ma a che prezzo?
-Figliolo dobbiamo andare all’ospedale oggi- mi disse mio padre attirando la mia attenzione.
-Oh andate a trovare la mamma? Posso venire anche io nonno?- chiese Tommy correndo verso mio padre.
-Piccolo, non andiamo li per vedere la mamma. Dobbiamo vedere un dottore- rispose lui.
-Va bene, ma se la vedete salutatemela-

Tre ore dopo mi trovavo in sala d’aspetto all’ospedale. Intorno a me persone che avevano problemi più o meno gravi dei miei, poi la porta dello studio del dottore si aprì, una voce chiamò il mio cognome.
-Cullen-
Alzai lo sguardo verso quella donna che mi fissava intensamente e sorpresa. Non mi aspettavo di trovarla li, non mi spettavo di doverla vedere così presto e soprattutto talmente bella da bruciare lo sguardo.
-Isabella- la salutò mio padre sorridente mentre ci accomodavamo all’interno del suo studio.
-Carlisle, non mi aspettavo di trovarvi qui, oggi. È successo qualcosa di grave? Tommy sta…-
-Tuo figlio sta benissimo, Esme l’ha portato al parco stamattina. Siamo qui per Edward. Penso proprio abbia bisogno di te- disse lui indicando me. Lei a quel punto si voltò verso di me e mi guardò attenta individuando subito il problema.
-Capisco-
-Qui ci sono le sue cartelle, io esco- disse allungandole i plichi di fogli che teneva in mano.
L’attimo seguente restammo solamente io e lei all’interno della stanza, troppo piccola per sfuggire gli sguardi in eterno.
-Bentornato- disse infine. Io annuii e cercai con lo sguardo un punto qualsiasi di ciò che mi circondava, se l’avessi guardata mi sarei perso nella profondità dei suoi occhi.
-Allora, diamo un’occhiata alla tua cartella- si sedette alla scrivania e fece accomodare anche me.
Riemerse dalla lettura della mia cartella solo quando sussurrò a voce alta “ferito in azione”. Portò lo sguardo sul mio viso, poi su quello che fino a tre mesi prima doveva essere il mio braccio sinistro ma che ora non esisteva più.
-Ti dispiace se ti visito?- chiese indicandomi un lettino. Io negai e mi alzai andandomi a sedere sul lettino, lei si posizionò davanti a me.
-Riesci a togliere la t-shirt?- chiese. Un po’ goffamente riuscii a sfilarmi la maglia e la posai accanto a me.
-Adesso vorrei che tu mi rispondessi a voce, va bene?- chiese ancora gentile.
-Si-
Posò le mani sulla mia spalla sinistra. Un piccolo sfioramento di pelle che mi ricoprì di brividi.
-Ti fa male?- chiese palpando la carne di quello che restava del mio tricipite.
-Non ora-
-Quando ti fa male?- chiese ancora tastando la muscolatura e le ossa.
-Di notte-
-Riesci a dormire?-
-Se non mi tiene sveglio il dolore, lo fanno gli incubi- dissi io guardandola intensamente. Lei annuì, poi tornò a dare attenzione al mio moncherino. Sfiorò la cicatrice che l’amputazione mi aveva lasciato.
-Si è cicatrizzata bene, malgrado l’intervento di fortuna che hai subito-
Lasciò scivolare le dita dalla mia spalla fino alla clavicola, poi più in giù. Accarezzò il pettorale sinistro, segnato da una brutta bruciatura e si fermò esattamente sopra il mio cuore.

Mezz’ora dopo, con in mano ricette per sonniferi e massaggi alla spalla, uscii dal suo studio e mi diressi verso mio padre che mi accolse sorridente.
In macchina non volava una mosca.
-Chi è il padre?- chiesi ad un certo punto ricordando mio padre salutare Isabella da parte di suo figlio.
-Non ti ha detto nulla?- chiese lui.
-No-
-Dovrai parlare con lei di questo- rispose solamente tornando a guardare la strada.
Cosa mi ero perso in questi sette anni? Oltre alla mia migliore amica, potevo dire di aver perso anche l’unico motivo per cui avevo deciso di tornare a casa, prima dell’incidente?



Piccola storiella in due atti partorita in attesa di ispirazione per completare altre storie, e tutti sappiamo che mi riferisco a FWB. Ispirata a una storia vera che una mia grande amica del corso pre parto mi ha lasciato scrivere e raccontare. Il seguito domani. Bacio!


  
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