Cammino da un po', quando vedo un gruppo di persone che battono le mani, seguendo la melodia di un violino. Mi avvicino incuriosita: ho sempre adorato vedere i musicisti improvvisare.
Un ragazzo poco più grande di me è al centro della scena; i capelli lunghi sembrano essere nel mezzo di una frenetica danza mentre le sue dita si muovono leggere e veloci sulle corde dello strumento, suonando una canzone decisamente poco classica. Lo osservo, affascinata dal sorriso che incurva le belle labbra e che, nel giro di pochi secondi, mi contagia.
In quel momento, il ragazzo alza gli occhi verso di me. Mi scruta per un attimo, senza smettere di suonare, per poi indicare con un cenno della testa la custodia del mio flauto.
«Vieni» mi incita, con uno spiccato accento tedesco.
Con una scrollata di spalle, mi avvicino e poggio la mia custodia accanto alla sua. Assemblo il mio strumento velocemente e, senza nemmeno aver bisogno di accordarci, iniziamo a suonare assieme con un'intesa che mi era stata sconosciuta prima di allora. Le nostre due voci si intrecciano, dando vita a magnifici disegni che risuonano amalgamandosi e allo stesso tempo contrastando il rumore del traffico cittadino.
Suoniamo per circa mezz'ora. Dopodichè, simultaneamente ci allontaniamo dai nostri strumenti. Con un sorriso, ci inchiniamo al nostro pubblico, tenendoci per mano come amici di vecchia data.
«Dovremmo rifarlo qualche volta» mi dice, mentre ripone il violino e, dopo un abbraccio spontaneo, si allontana.