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Autore: blazethecat31    22/05/2013    4 recensioni
Era da tempo praticamente immemore che non premeva dei tasti che non fossero della tastiera di un computer costretta a scrivere formule su formule; in aggiunta Gin che la induceva a fare le cose bene e velocemente. Si trovava in una situazione esattamente parallela.
Si passarono svariate volte quella scatoletta magica per non far annoiare troppo l’altro e allo stesso tempo si scambiarono idee su come rendere perfetta la strategia di combattimento. Quel che non sapevano è che si stavano scambiando anche degli sguardi che convinsero sempre di più entrambi che prima o poi sarebbero diventati amici, nonostante tutto.
(Oh, la mia prima fanfic su questo fandom è su Conan e Ai. Sono pronta alle mazzate)
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Avrebbe giurato di avere avuto a che fare con una relativa coetanea scorbutica e piagnucolona mentre la stava accompagnando a casa, e fu una delle poche volte che l’infallibile piccolo detective si sbagliò.
Era la seconda volta che piangeva davanti a lui, ma questo era diverso; un pianto disperato e liberatorio, di chi ha bisogno di sfogare una frustrazione troppo grande per stare nel corpo di una bambina di sei anni o poco più.

-Dimmi perché…perché non hai salvato mia sorella?-

Eppure tanta era la sua tristezza in quel momento tanta era la voglia di tirare avanti, cercando di convincere almeno chi gli stava attorno di sembrare quel che era diventata.
Conan da lì aveva capito che poteva finalmente fidarsi di lei, era certo che Ai non sarebbe rimasta a lavorare per un’organizzazione poco raccomandabile a fare ricerche su un veleno letale dopo che i suoi stessi colleghi avevano ucciso ciò che rimaneva della sua famiglia.
Lei non era come gli uomini in nero, ma solo un angelo della morte in camice bianco ignaro delle vittime che la sua creazione aveva fatto, che pur di scappare fu costretto a tagliarsi le ali che non aveva mai usato.

-Allora ragazzi, visto che entrambi dormirete da me preparerò due lettini nella mia camera, così potrete chiamarmi per qualsiasi cosa senza girare troppo per casa.- aveva annunciato Agasa abbandonandosi poi a un immenso sbadiglio. Sia Conan che Ai non si fecero troppi problemi ad accettare, non fino a quando il dottore non si addormentò iniziando a russare poderosamente; un rumore assordante, forse ancora di più delle esplosioni che a volte provocava con i suoi esperimenti. Entrambi si dimenavano tra le coperte alla ricerca di una posizione che impedisse alle loro orecchie di sentire troppo dando loro il silenzio necessario per chiudere gli occhi e mettere a riposo i loro neuroni continuamente in movimento.
-Basta, non lo sopporto più…- sbuffò Conan buttandosi il cuscino in testa tentando invano di attutire il russare antipatico che gli impediva di addormentarsi.
-Ti lamenti tu che devi rimanere solo oggi? Figurati cosa dovrò passare io che vivrò in questa casa per chissà quanto.- sentenziò la biondina dall’altra parte voltandosi verso di lui. Aveva ancora davanti l’immagine della formula dell’ APTX4869 cancellarsi davanti ai suoi occhi sgranati, la mano tremante sul mouse incapace di bloccare l’operazione, per di più il russare di Agasa le ricordava maledettamente il rumore che faceva il suo computer ogni volta che si accendeva o che si appesantiva.
-Ai, sei veglia anche tu?-
Si potè rispondere da solo vedendo la ragazzina alzarsi dal letto e dirigersi verso la porta, gesto che non esitò ad emulare in modo talmente sciolto da scordare l’abitudine di indossare gli occhiali in quel momento.
Dopotutto in quella casa rispondeva solo al nome di Shinichi Kudo.

-Giuro che domani chiedo al professore di mettermi a dormire in un’altra stanza.- sospirò annoiata Ai, sdraiata sul grande divano a penisola del salotto intenta a trovare qualsiasi cosa potesse sembrare interessante nel muro bianco che stava guardando pur di combattere la noia, a differenza di Conan che invece prese dal tavolino una console portatile spessa e grigia che tramite un interruttore su un lato si accese, facendo partire una musichetta apparentemente suonata con un sintetizzatore e molto incalzante che fece cambiare posizione alla ragazza, passando da coricata ad alzata per capire che genere di gioco fosse.

-Oh, questo? E’ un gioco di quando ero bambino che ho lasciato qui per non far insospettire la figlia dell’uomo che mi ospita. Bisogna allenare degli esserini che via via diventano sempre più forti.-
Ai gli si avvicinò di più e guardò ancora più incuriosita lo schermo illuminato che dava l’immagine di un omino in uno sfondo di alberi a pixel che mandava in campo delle creature per farle combattere con altre. A giudicare dalla velocità con cui sceglieva le mosse e vinceva lotte su lotte doveva essere molto esperto, il che le diede da pensare che forse anche lei avrebbe dovuto trovare qualcosa che la facesse somigliare a qualcuno che non dimostrasse la sua reale età. Lo squadrare il corpo di Conan, concentrato  come se stesse ragionando su un caso complicato le diede inspiegabilmente un giramento di stomaco, come di ansia, non si seppe spiegare il motivo.
-Ehi Shinichi, posso provare?-
Il finto Edogawa si girò verso di lei, all’inizio sorpreso, poi le mise la console tra le mani senza esitazioni, allargando le labbra in un leggero sorriso.
-Certo! Ti insegno le regole mentre giochi.-
Ai lo ascoltò relativamente interessata, intenta più che altro a imparare da autodidatta, come aveva sempre fatto. Era da tempo praticamente immemore che non premeva dei tasti che non fossero della tastiera di un computer costretta a scrivere formule su formule; in aggiunta Gin che la induceva a fare le cose bene e velocemente. Si trovava in una situazione esattamente parallela.
Si passarono svariate volte quella scatoletta magica per non far annoiare troppo l’altro e allo stesso tempo si scambiarono idee su come rendere perfetta la strategia di combattimento. Quel che non sapevano è che si stavano scambiando anche degli sguardi che convinsero sempre di più entrambi che prima o poi sarebbero diventati amici, nonostante tutto.

Quella notte tornarono davvero bambini, troppo concentrati sui loro giochi piuttosto che sui loro problemi e infine troppo stanchi per accorgersi di essersi ingenuamente addormentati sul divano, spalla contro spalla.

 

  
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