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Autore: Otta_Weasley    22/05/2013    0 recensioni
La prima cosa che entrò nella sua visuale furono gli stivali con il tacco alto, neri. Poi i leggins sottili e il giubbotto da motociclista nero, sbottonato sul davanti, che metteva in bella mostra il decoltè e la canotta [...] il viso sottile e spigoloso che lo fissava con espressione intensa, le labbra di un rosso scuro, strette in un sorriso provocatorio e gli occhi –oh, gli occhi!- più intensi che Jeremy avesse mai visto.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

<< Le bestie peggiori sono quelle che ci teniamo dentro
       e che non lasciamo uscire..>>

 
 

Li pneumatici aderivano perfettamente con l’asfalto, la Lamborghini in vernice nera sfrecciava come un’aquila che scende in picchiata verso la terra per catturare la sua preda, gli occhi color ghiaccio della ragazza rimasero fissi sulla strada, il labbro inferiore era bloccato tra la fila superiore dei denti, lei non aveva un’espressione tranquilla, anzi, sembrava parecchio tesa. L’autostrada era deserta e questo le permetteva di premere al massimo il pedale dell’acceleratore. Il display attaccato al cruscotto, si accese, lo schermo da nero divenne bianco e poi apparve il volto di un signore dall’aspetto invecchiato ma dall’espressione fiera, si complimentò con la giovane per il lavoro da lei svolto. La sua voce era roca e interrotta da qualche colpo di tosse; il labbro inferiore di lei si stese insieme a quello superiore in un sorrisetto soddisfatto ora entrambi gli occhi erano sulla strada nonostante l’uomo continuasse a parlare indisturbato.
-      Una nuova missione? – domandò lei eccitata al sol pensiero.
-      No, mia cara. Qualcosa di più importante, ne parliamo appena rientri- rispose l’uomo chiudendo la conversazione con un colpo di tosse.
Uno sfondo arancione dove montagne sabbiose spuntavano da tutti i lati, sembrava una strada senza fine quando, dietro una curva, si aprì uno squarcio meraviglioso. Una struttura interamente costruita nella roccia, grandi vetrate come finestre e abbondanti cascate scendevano dal punto più alto della rupe e cadevano delicatamente in una voragine in marmo. L’auto rallentò e gli occhi della giovane si guardarono intorno come per individuare qualcosa, la sua mano destra andò ad aprire il cruscotto e afferrò un piccolo telecomando nero, premette il pulsante verde e ,da sotto la sabbia, si aprì un portellone che portava al garage. Parcheggiò accanto alle altre sei macchine che c’erano li poi uscì dall’auto e si recò all’ascensore. Varcata la soglia si diresse verso l’ultimo piano, il rumore dei tacchi a spillo sul marmo bianco ,rimbombava  in tutto il corridoio, gli occhi della fanciulla dai tratti ammalianti vagarono sul panorama che era possibile osservare attraverso il vetro che contornava le pareti. La camminata si arrestò e l’indice andò a posarsi su uno schermino al lato della porta in ferro battuto essa si aprì mostrando l’enorme salone in stile country di Smith.
 
-      Freya, mia cara- da una delle poltrone si alzò lo stesso uomo che era apparso sullo schermo attimi prima, stessa voce stessi colpi di tosse. – Vieni accomodati- allargò le braccia indicando il salotto attorno al camino, la donna camminò verso la zona da Smith indicata e si accomodò sul divanetto
-      Nessuna traccia, nessun corpo. È filato tutto liscio- la voce di lei era profonda, suadente e anche leggermente provocatoria, lo sguardo sembrava rappresentare il gelo del polo sud e la sua espressione, o la sua espressione, era un miscuglio di smorfie delicate e attraenti: labbra piegate in un leggero ed accennato sorriso, occhi leggermente socchiusi e testa di poco inclinata verso un lato per guardare il vecchietto meglio.
-      Cosa si fa ora? Nuova missione?- domandò all’uomo quasi impaziente di partire per una nuova avventura.
-      Mi dispiace, mia cara, ma questa volta il tuo compito sarà un po’ più… Complicato- la mano aggrinzita di Smith si posò per un momento interminabile sulla spalla della donna che lo guardò con aria di sufficienza.
-      Cosa vuoi dire?- chiese aggrottando la fronte e alzando un sopracciglio, l’atmosfera non era più quella di qualche minuto prima, la mora non toglieva i suoi occhi color ghiaccio dal volto del vecchio cercando di captare ogni forma di indizio
-      Beh, Freya, sarà più impegnativo stavolta…- fece una breve pausa guardando, per un momento, fuori dalla vetrata –Dovrai proteggere una famiglia da un gruppo di killer e dovrai recuperare una chiave USB di vitale importanza- gli occhi giallognoli di Smith si agganciarono a quelli di Freya che deglutì in modo quasi impercettibile.
-      C’è un’altra cosa…- aggiunse lui prima che lei potesse protestare o dire altro –non lavorerai da sola – Freya sgranò gli occhi e serrò i pugni conficcando le unghie nella pelle della poltrona sulla quale era seduta.
-      Come prego?- biascicò infine guardando (leggermente con astio) il suo capo.
-      Esattamente, mi hai sentito bene… Un’altra ragazza, Keira, è qui per aiutarti. È inesperta ma imparerà subito non temere- strizzò l’occhio destro e accennò una risata profonda ed inquietante.
-      No, forse non è chiaro: io non lavoro in compagnia, sono un tipo solitario, non posso perdere tempo e mettere a rischio la missione per colpa di una novellina- pronunciò quell’ultima parola quasi con disgusto, lei era sempre stata molto capace nel fare fuori i cattivi (o i buoni dipende dai punti di vista). Scosse la testa con veemenza indicando il suo profondo dissenso verso la decisione presa dal signor Smith.
-      Ora vai, la tua camera è infondo al corridoio a destra, domani partirai per Vancouver lì incontrerai la tua nuova collega e una macchina ad aspettarti- detto questo premette il pulsante, rosso e medio grande, che si trovava sulla scrivania così da far aprire le porte in ferro battuto. Freya si alzò e senza dire parola uscì dall’ufficio.
I corridoi che portavano alla sua stanza erano desolati e silenziosi, dalle grandi vetrate che fungevano da muro, trapelava una luce fioca e rossastra; solo dopo un paio di metri comparve la prima figura animata. Un uomo dalla pelle bianca latte stava pulendo il pavimento, l’uniforme che indossava, rossa e con un piccolo stemma sulla tasca destra, stava ad indicare la sua appartenenza ai dipendenti di quel palazzo. La donna arrestò la sua camminata e si parò davanti la porta che sti trovava alle spalle del ragazzo.
-Mi scusi, le dispiace spostarsi un momento?- la chioma rosso fuoco di lui si alzò fino a che i suoi occhi azzurri non incontrarono quelli grigio chiaro di lei, un’espressione mortificata gli si dipinse sul volto e subito si scostò dall’ingresso mormorando un “mi scusi signorina O’Malley”, in tutta risposta ebbe solo la porta sbattuta in faccia dalla suddetta signorina.
La stanza era di una bellezza sconvolgente: vista sulle cascate, un letto matrimoniale con coperta in seta pura (con pigiama coordinato sotto il cuscino) , una scrivania in legno di quercia si trovava contro la finestra. La donna sbuffò probabilmente scocciata da quello successo poco prima –ma guarda te se è mai possibile.. – mormorò tra se e se lasciandosi cadere sul letto. Il sole calava, segnando così la fine di un altro giorno, il suo sguardo era rivolto verso il soffitto imbiancato e le sue mani erano unite in una stretta salda sotto il capo, il suo corpo affondava nel materasso , alto e soffice. Chiuse gli occhi lasciandosi andare tra le braccia di Morfeo.
 

  
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