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Autore: Subutai Khan    22/05/2013    2 recensioni
Vecchianza per tutti.
I giovinciuelli di Nerima crescono, si accoppiano, figliano e invecchiano.
Vediamo un po' cosa combinano. Perché non penserete che bastino un po' di acciacchi per fermare questi tizi scatenati, spero.
E preparatevi a conoscere Misaki ed Akira.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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8 luglio 2063.
Guardo fuori dalla finestra. Sta arrivando la sera, oramai. Ukyo e Akira se ne sono appena andati. Mi hanno fatto compagnia tutto il giorno, cari che sono.
Sono passati ventisei anni dal peggior giorno della mia vita. Ventisei anni da quando ho perso la persona per me più importante.
E ancora persisto. Mi sento molto sequoia millenaria, anche se novant’anni sono nulla paragonati agli alberi più vecchi del mondo. Ma mi so accontentare.
Specie considerato che sono solo da sanno solo i kami quanto, considerando la morte della mia cara moglie e la brusca uscita dalla mia vita della mia unica figlia. Akira mi ha parlato più di una volta, in passato, di lei e del presunto sgarbo che le avrei fatto ma io, in tutta onestà, non sono mai riuscito a capire a cosa quella caprona di Misaki possa riferirsi. Davvero, non me ne capacito. Non so quale crimine possa aver commesso nei suoi confronti, lei non ha nessuna intenzione di venire a dirmelo e il pur gentilissimo giovane Hibiki non è in grado di aiutarmi. Abbiamo provato, in più di un’occasione, a venire a capo del mistero ripercorrendo a ritroso le tappe. Tempo perso.
Quel ragazzo è veramente fatto d’oro, comunque. Si dedica anima e corpo alla madre, rimasta vedova da qualche anno e ridotta su una sedia a rotelle dalla degenerazione fisica che, per non so quale miracolo, ha ben pensato di dedicarsi solo a lei ignorandomi quasi del tutto. Perché, acciacchi dell’età a parte, io sto tutto sommato bene. Se mi sforzo riesco persino a fare dei saltelli.
E non solo è diventato la balia di Ukyo. Trova anche il tempo di venire a trovarmi per farmi compagnia. Non ci crederà nessuno, me ne rendo conto, ma con la vecchiaia ho clamorosamente imparato a giocare a poker e ogni tanto riesco addirittura a vincere. O forse lui mi dà il contentino per non farmi sentire un fallito completo. Glielo dovrò chiedere, prima o poi.
Oh Akane, se tu fossi ancora qui con me. Saresti sicuramente in grado di aiutarmi a capire cosa c’è che non va nella testa della nostra figliola, e probabilmente mi picchieresti in testa col bastone rimproverandomi di essere un testardo insensibile buzzicone. Naturalmente faresti solo bene. Facevi sempre bene a insultarmi.
Sei un catorcio ormai, Saotome. Ma alla fine cosa pretendi? Hai la tua età, le rughe, l’arteriosclerosi e tutta quella simpatica serie di problemi dovuti al tempo che passa impietoso. Non è neanche giusto lamentarsi più di tanto. E poi sei stato sposato per più di quarant’anni con la migliore donna del mondo, non tutti possono vantarsi di questo.
No vecchio, non cadere nel patetismo. Sai che poi ti vengono le crisi di pianto e…
CRAAAAAAAAAAAAAAAASH.
Oddio. Che succede? Cos’è stato quel botto?
Spalanco la finestra.
No.
No.
No.
Dio santo. No.
Cerco di precipitarmi fuori. Chiaramente quel cerco è dovuto al fatto che sembro una lumaca zoppa.
Non posso aver visto quel che ho visto. Dev’essere colpa del buio, della mia pessima vista, di... di qualcosa.
Finalmente, dopo un’eternità di passetti minuscoli, giungo in strada.
E ho la conferma che, purtroppo, ci vedo molto meglio di quanto sperassi.
La Daihatsu blu di Akira è accartocciata contro un palo della luce. Un’altra macchina è messa di traverso lungo la corsia, ferma e fumante. Comincia a sentirsi un rumore, forse l’allarme di qualche altra vettura.
Un incidente. Un dannato incidente.
“Ukyo! Akira!”.
Le mie gambette cominciano a mulinare freneticamente per farmi avvicinare più in fretta che posso. Ci impiego quindi quei sette, otto, nove, dieci, undici minuti.
Troppo vecchio. Troppo lento.
Altra gente si affaccia dalle finestre, attirati come me dal casino infernale. Qualcuno urla di telefonare al 911.
Non riesco a salvarli. Non posso salvarli.
A metà percorso mi fermo, esausto. Era veramente tanto, tantissimo tempo che non sottoponevo il mio corpo a uno sforzo.
Anf anf anf anf anf.
Ditemelo che mi prendete in giro, lassù. Ditemelo. Non c’è altra spiegazione per questa sfilza di colpi al cuore.
Mi pietrifico dove sono, incapace di muovere un solo altro passo.
La cognizione del tempo va a farsi uno spuntino da qualche parte lontana da qui.
Poi, dopo chissà quanto, delle mani mi afferrano le spalle da dietro e fanno per spostarmi: “Si tolga, per favore. Ci ostacola”. Voce maschile sconosciuta.
“No”. Scusa, infermiere o poliziotto o quel diavolo che sei. Ma da qui io non mi muovo.
“Si levi, le ho detto. Rischia di prendere fuoco”.
“Non m’importa. Sai chi c’era là dentro?”.
Non risponde, non subito almeno. In compenso sento rumore di passi e me lo ritrovo davanti. È un bel ragazzo giovane, non più di trentacinque anni, piuttosto prestante e con la faccia preoccupata. Mi dà l’idea di non saper trattare con un anziano testardo e orgoglioso.
“Signore, per favore. È pericoloso restare qui”.
“Ti ho detto che non m’interessa. Dentro quella macchina... là dentro...”.
“Chi c’era? Lei lo sa, per caso?”.
“Oh, ci puoi giurare che lo so”.
“I miei colleghi stanno per estrarli. Non si preoccupi, faremo del nostro meglio e...”.
“Di’ pure loro di non affannarsi, non c’è nulla da fare”.
“Non dica così signore, le assicuro che...”.
“Fidati di novant’anni di sfiga quando dico che non c’è nulla da fare”.
Mi prende per le spalle e mi trascina via. Non oppongo resistenza, morirei seduta stante se li vedessi mentre li tirano fuori da quella carcassa.
Finita. È finita.

“No maledizione, no. Non così presto”.
“Senti Ryoga, non è colpa mia. Prenditela con quello scapestrato di nostro figlio, tutt’al più”.
“Mamma? Scusa? Stai scaricando su di me?”.
“Beh, non stavo di certo guidando io”.
“Ok, ma non ti pare di esagerare? O l’età ti ha rincoglionita del tutto e hai già dimenticato cos’è successo?”.
“No, certo che non l’ho dimenticato. Dai su, ti prendevo solo un po’ in giro. Ma bada alla lingua, giovincello”.
"Tsk. Ha parlato Miss Cuoca Bagnata. Da ragazza eri veramente uno schianto, lasciatelo dire. Capisco perché a lui si sono bruciate tutte le cellule cerebrali".
"AKIRA!".
“E comunque, anche fosse, non l’ho di certo fatto volontariamente. Papà mi mancava, ma non ci tenevo a raggiungerlo così presto”.
“Ukyo, Akira. Finitela”.
“Sì, hai ragione. Litigare fra di noi non risolve nulla. Come se ci fosse qualcosa da risolvere, peraltro”.
“Sante parole. È andata ormai. Mi addolora vedervi qui a farmi compagnia così presto, ma bisogna saper giocare con la mano che ci è stata servita. In vita e in morte”.
“Papà, ma zia Akane? È qui con te?”.
“Sì. Appena vi siete schiantati ha ritenuto opportuno lasciarci un po’ di privacy, per una bella riunione familiare in piena regola”.
“Tsk. Che dolce. Aspetta che ce l’abbia sottomano e...”.
“... e cosa, Kuonji?”.
“Oh, Akane. Ciao. Quanto tempo”.
“Non abbastanza, purtroppo. Ma dimmi, cosa vorresti fare? Il tuo tono suonava così belligerante da incuriosirmi”.
“Nulla, nulla. Scherzavo”.
“Sì, scherzavi. E domani nevicano rane violette”.
“Perché, non succede mai qui?”.
“Non essere assurda, su. Siamo morti, non dentro un film di fantascienza”.
“Ma che delusione. E io che pensavo...”.
“Va bene gente, basta così”.
“Akira?”.
“Due minuti che siamo qui e dovete già battibeccare? Non potete fare le vecchie carampane, come quando stavamo giù, e raccontarvi le ultime come due matusalemmi che non si vedono da anni? Che è poi la realtà, vorrei farvi presente”.
“Tuo figlio ha ragione, Ukyo. Tieni a freno il ritrovato vigore da sedicenne, metti la museruola alla spatola e seguici. Io e tuo marito vogliamo presentarti qualcuno”.
   
 
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