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Autore: Vedra    23/05/2013    3 recensioni
Cosa si può pensare quando lo sguardo cade sulla più bella e antica città che il mondo abbia mai conosciuto? Quando si osserva per la prima volta Roma? Madre, sorella, figlia, bellissimo gioiello scintillante.
Piango perché Roma è bella, troppo bella quando il cielo si fa scuro e le stelle fioriscono come gemme vive in cielo, quando ogni luce è accesa e la Città brilla come se fosse ricoperta d’argento. Roma è bella, bellissima, nobile e dignitosa, limpida e sfavillante, ricca di luce e di vita, ricca di colori e suoni, meravigliosa e antica. Roma fu passato, è presente e sarà futuro, perché la sua maestosità non potrà mai decrescere, né la sua luce affievolirsi.
Perché Roma è eterna.
Genere: Introspettivo, Mistero, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    Fu passato, è presente, sarà futuro
 

   
 
Le stelle sbocciano come fiori sfavillanti in questo cielo d’inverno e sovrastano con il loro arcano splendore Roma, Roma che è un nome, una città, una leggenda. Roma che è vita pulsante e splendore perpetuo; Roma che è un sogno antico e fragile, tuttavia sempre presente; Roma che è una delle storie più lunghe che il mondo possa narrare; Roma che è un’idea, un’immagine, eppur qualcosa di tangibile; Roma che è un sussurro appena pronunciato, catturato dalla brezza che vi soffia leggera; Roma che è luce affascinante e unica, dorata all’alba e rossa al tramonto, tanto comune quanto speciale.

Roma che è un posto, ma un posto speciale, perché qui si sono consumate le svolte della storia antica, qui hanno avuto origine i miti che ancora oggi vengono raccontati, qui è sorta la più grande civiltà dell’Occidente.


Ed io vivo in questa Roma, in questa Roma il cui splendore non tramonta mai; in cui ogni cosa è bella; in cui ogni cosa sa di casa. E questa è davvero la mia casa, e come lei mi appartiene, io appartengo a lei.

Passeggio.

Alzo lo sguardo: è il crepuscolo e la luce che ha soltanto Roma ammanta la città. È una luce dal sapore d’amore e mistero, di sangue e lacrime, di trepidazione e fantasia. In contrasto con il cielo, freddo e lontano, seppur intoccabile nella sua bellezza, c’è il mondo fervente e frizzante di Roma. Mi guardo attorno: via del Corso.

Attorno a me ci sono decine di turisti.

Li odo urlare nella loro lingua madre, e piantarsi in mezzo alla strada, e ridere sguaiatamente.
Li ho visti per tutto il giorno stravaccarsi sulle marmoree scalinate di Trinità dei Monti, infilare i piedi nell’etera Fontana di Trevi, sdraiarsi sui verdi prati che circondano piazza Venezia e il candido Monumento al Milite Ignoto.
Li ho visti buttare le cicche sui mattoni densi di storia che formano l’Anfiteatro Flavio e scattare migliaia di fotografie senza nemmeno sapere cosa stanno ritraendo.
Li ho visti fermarsi da quei venditori cinesi di souvenir e riempirsi la borsa di spazzatura.
Li ho visti mancare di rispetto a Roma, trattarla senza la reverenza che merita.
E mi domando: cosa racconteranno a casa quando torneranno?
Ricorderanno le stelle che ora splendono sulla Città Eterna?
Ricorderanno la perfezione dei marmi di Roma?
Ricorderanno l’emozione che hanno provato trovandosi per la prima volta davanti al Colosseo?
Ricorderanno quella sensazione d’inferiorità e piccolezza che prende un po’ tutti quando si mirano le grandi opere del passato?
Continuo a camminare.
Via Frattina… Via Borgognona… Via dei Condotti… Sto percorrendo le strade del cuore di Roma.

Quanti volti, quante espressioni, quante parole, quante vite mi scorrono al fianco senza che io sappia nulla di loro, né loro di me. Quante vite s’intrecciano al mio fianco, silenziose, e quanti volti scivoleranno nell’oblio della mia mente.

***

 

Scende la sera, e Roma si accende di mille colori. Il rosso, verde e arancio dei semafori si mescolano ai verdi, blu, viola e bianchi delle insegne.  Colori tenui, chiari e neutri, o violenti, lucenti e accesi: colori che dipingono la città di mille sfumature diverse, e che la illuminano a giorno, colori che rendono Roma simile ad un immenso quadro dalle vivide tinte e dai contorni definiti da una luce multicolore.

Roma vive.

Di sera, di notte, il centro di Roma ritorna alla vita.
Centinaia di persone scendono da ovunque, per ammirare il maestoso spettacolo di Roma illuminata.

Alti e imponenti palazzi sorgono all’argine delle vie; decine di venditori ambulanti stendono i teli e si posizionano ai lati delle piazze, delle strade, mostrando la merce scintillante, che riflette la luce colorata, creando un gioco di bagliori cangianti. Non dovrebbero essere qui, questi venditori, ma ormai, come i graffiti sui muri delle scuole o come i manifesti sui cartelloni, sono parte dell’immensa cartolina chiamata Roma.


Pochi passi e mi trovo sul Lungotevere.
Mi affaccio al parapetto per osservare il lento fluire del fiume. Le luci dorate dei lampioni vi si riflettono come se ci fossero, sotto la superficie dell’acqua, delle torce accese.
Rami, foglie e alghe contaminano la superficie del Grande Padre, ma egli non si ferma, prosegue il suo corso, così come fa da molto più di duemila anni; scivola dolcemente verso il mare, impetuoso o calmo, sottile o profondo, sempre presente, sempre antico; ha scavato il suo letto nella terra di Roma, e la caratterizza da sempre.

È il suo fiume, così come il Tamigi è il fiume di Londra e la Senna quello di Parigi. Migliaia di anni ha trascorso scendendo leggero dai monti nei quali è la sua sorgente, e sempre ha donato le sue acque a Roma, sempre l’ha servita, anche se Roma l’ha mal utilizzato, inquinandolo di sangue e morte, di pattume e scarichi: sempre è stato pronto a perdonare, sempre ha reso nuovamente limpide le sue acque, poiché è legato da un patto eterno a Roma.


Sollevo lo sguardo dalle acque.

Vicino a me c’è un ponte: è pieno di luci dorate, e le macchine corrono su di esso, rapide, veloci, portando i lavoratori che stanno tornando a casa, insensibili al fascino di Roma proprio perché è la loro città, perché la possono mirare tutti i giorni e la sua bellezza ha perso valore ai loro occhi: troppo a lungo l’hanno ammirata.  
Al chiasso della folla si è sostituito quello delle automobili.
Se c’è una cosa quasi impossibile da trovare in questa città è proprio il silenzio.
Roma vive ininterrottamente, e quando qualcuno si corica per dormire ecco subito un altro che si sveglia.
Non c’è riposo, non c’è oscurità, non c’è calma: Roma è vigile e splendente sia di giorno sia di notte, mai dormì, dall’alba dei tempi in cui fu eretta la sua prima pietra, dal giorno lontano in cui venne tracciato il suo solco sulla terra umida, essa non riposò mai.
I rami degli alberi si stagliano contro un lampione, spogli, scheletrici quasi, ma colmi anch’essi del fascino di Roma.



Abbandono il Lungotevere e mi avvio verso piazza Venezia, desiderosa di ammirarla ancora e ancora, perché, per qualche strano motivo, io non mi stanco mai della sua bellezza.
Quando non sono che a pochi passi da lei, mi fermo e ascolto.

Confusione, tanta confusione, indistinto vociare.

Da qualche parte un gruppo di musicisti intona canzoni popolari e si accompagna con strumenti di seconda mano.
L’odore penetrante delle caldarroste e dei frutti canditi è nell’aria: Indiani dalla pelle scura rivoltano su un fornelletto le castagne marroni dai gusci croccanti e le servono a chi le desidera dentro un cono di carta gialla.
Il freddo pungente mi ricorda che è arrivato l’inverno, e l’aria gelida rende limpido il cielo e chiare le stelle.

Poi abbandono l’udito, l’olfatto, e mi affido solo agli occhi: donne, uomini, bambini, stranieri, militari, lavoratori, dirigenti, operai, tutti affluiscono al centro, quando scende la sera. E vesti multicolori, e volti, tanti volti diversi, e parole, e gesti: vita.

C’è l’impiegato che attende l’autobus, il direttore che parla al cellulare, la quindicenne che chiacchiera fitto fitto con l’amica, la madre che sorride al proprio figlio, la coppietta che si tiene per mano. Roma ha tante sfaccettature, e ognuna ha la sua importanza, ognuna il suo ruolo, ma tutte contribuiscono a farne la più bella città che questo nostro mondo abbia mai visto.  

Passo davanti alla fermata dell’autobus, sgusciando tra la calca, e, lasciandomi a destra il Campidoglio, salgo i centoventicinque gradini che portano alla maestosa chiesa dell’Ara Coeli. Sono affollati, ma non impiego molto tempo per arrivare in cima.
Una volta sono entrata in questa chiesa, e ricordo ancora l’impressione che mi ha suscitato la visione di tutti quegli stucchi dorati, di quei lampadari di cristallo, di quegli splendidi affreschi.
Passando tra i mattoni spogli dell’Ara Coeli e il marmo bianco della “Macchina da Scrivere” si può arrivare a un ascensore che conduce fin sopra il monumento al Milite Ignoto, all’altezza dei grandi carri di bronzo.
La fila è lunga, ma non lenta e dopo pochi minuti mi ritrovo alla cassa.

Pago e salgo.

L’ascensore si apre ed io respiro a fondo prima di muovere un passo.

Cosa vedrò?

Quello che ho rimirato decine di volte, eppure è sempre nuovo, sempre bello, sempre emozionante. Tutte le volte sento un brivido scorrermi lungo la schiena, un fremito al cuore, un battito in meno, perché questa, e solo questa, sarà per sempre la mia patria, la mia città, la mia casa. Potrò viaggiare per molti anni, solcando oceani e cieli, camminando su terre sconosciute, potrò essere distante da lei migliaia di chilometri, ma nessuna città, nessun luogo la scaccerà mai via dal mio cuore. 


Un passo dopo l’altro avanzo.


Pian piano mi si schiude dinanzi uno scenario che nessun’altra città al mondo può vantare di possedere, non la moderna New York, non la romantica Parigi, non la rigida Londra.

Solo Roma, perché dicono che quando Roma cadrà, il mondo avrà fine.

Mi fermo: non riesco a respirare, come non vi riuscivo ieri e non vi riuscirò domani.
Davanti a me scintillano centinaia di puntini luminosi, che si uniscono fino a non avere più identità, fino a formare una galassia di luci. Strade, case, piazze, colori, luce, ombra, tutto questo si mescola per dar vita a uno spettacolo che mai si potrà altrove trovare.

Il cielo nero contrasta nettamente con la distesa di luce bianca che vedo dinanzi ai miei occhi: una distesa luminosa, candida, pulsante di vita. In cielo, attorniata dalle stelle, sue ancelle, brilla una pallida falce di luna, e sovrasta con il suo splendore la Città Eterna.

È chiara, lontana, appartiene ad ere passate, a tempi remoti, e nulla ricorda, anche se tutto vede; pare che Roma le abbia rubato la bellezza. Possibile che la luna sembri insignificante rispetto alla Città Eterna?
Possibile che il suo splendore sia minore di quello che ora si spande da Roma?
Oppure è un’illusione dettata dal mio amore per questa città?


Abbandono il cielo e torno con lo sguardo su Roma.
Passano gli autobus, passano i taxi, davanti a me fiori colorati dipingono in un’aiuola la bandiera del’Italia, illuminata dai fari che sono puntati su di essa.
Piazza Venezia pullula di vita, di vite che per un solo istante si sono intrecciate.  
Roma è vita, e io l’amo, l’amo di un amore così puro che mi spezza il cuore con la sua dolcezza, che mi pesa sul diaframma come una pietra scolpita finemente e ricoperta di colori.

L’amo quando l’alba dorata si leva lesta su di essa, illuminando di rosa le sue strade silenziose; l’amo quando la pioggia vi scroscia sopra, calando come un velo grigio su di essa, mondandola dal pattume e facendola risplendere d’argento, limpida e pulita; l’amo quando la sera passo sopra ponte Testaccio e scorgo i lampioni riflettersi nella acque del Tevere, e intanto in macchina si accende la radio, trasmettendo una canzone di Lucio Battisti; l’amo quando il cielo limpido permette alle stelle di rifulgere in cielo come gemme, e la luna brilla come splendida corona della Città Eterna; l’amo quando il sole scintilla caldo e d’oro in un cielo terso e riversa la sua luce sulle foglie verdi degli alberi che ornano la Garbatella, tingendole d’oro; e l’amo quando mi fermo, immobile, nella calca e nella confusione di una Piazza Navona nel giorno dell’Immacolata Concezione.



L’amo perché ne odo i sussurri, ne ascolto le storie che mi sa raccontare, lei, come nessun’altro è in grado di fare, perché lei ha visto ciò di cui parla: ha visto il sangue scorrere sui suoi muri, ha visto la felicità negli occhi degli amanti.
Lei è stata testimone vegliante della lunga Storia.
E in lei tutto vive ancora, perché se a Pechino riecheggia l’eco del passato, qui a Roma il passato è vivo, e innumerevoli persone le hanno affidato i loro segreti inconfessabili, li hanno confidati ai suoi muri, ai suoi angoli più oscuri, al cielo immutato, e lei li ha raccolti e, per chi vuole udire, li racconta ogni giorno.

Li racconta nei graffiti antichi duemila anni che si possono scorgere nei profondi cunicoli del Colosseo, nelle immagini, ormai quasi sbiadite, che vedono nuova luce ogni giorno.
E non cesserà mai di raccontare, né di ascoltare, e ogni giorno ascolterà e racconterà, anche se gli uomini diventano sempre più sordi ai suoi sussurri, e verrà un tempo in cui nessuno più ascolterà, e le antiche storie perdureranno solo sui suoi muri più oscuri.
Ma quel il tempo non è ancora giunto, ed io continuo ad ascoltare.

Riemergo dai miei pensieri con un brivido: una folata di vento è penetrata nei miei capelli, che ora fluttuano leggeri su di essa.

Ispiro.
Freddo.
Freddo profondo mi entra nei polmoni.
Ancora osservo: tutto è illuminato da una luce multicolore e abbagliante, che conferisce alla stessa Città un’aura di potere, e che le restituisce, come ogni notte, il suo antico splendore.

Sento la vita scorrere attorno e dentro di me, un fiume impetuoso che si ferma sul cuore, potente, pesante, un fiume che si mostra al mondo nei miei occhi, rendendoli lucidi di lacrime, lacrime gioiose, perché cos’è la gioia se non una dolcissima sofferenza?

Piango perché Roma è bella, troppo bella quando il cielo si fa scuro e le stelle fioriscono come gemme vive in cielo, quando ogni luce è accesa e la Città brilla come se fosse ricoperta d’argento.
Roma è bella, bellissima, nobile e dignitosa, limpida e sfavillante, ricca di luce e di vita, ricca di colori e suoni, meravigliosa e antica.
Roma fu passato, è presente e sarà futuro, perché la sua maestosità non potrà mai decrescere, né la sua luce affievolirsi.



Perché Roma è eterna. 


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Questa storia si è classificata settima al concorso 'Descriptions contest. Quanto sei bravo a descrivere?' indetto da Ellecrz sul forum di EFP

   
 
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